Mi chiamo Viola, i miei ultimi tre anni di vita sono stati  inaspettati, terribili e travolgenti. La banca nazionale per cui  lavoravo e lavoro, in qualità (al tempo) di direttore di una delle  agenzie di Milano – per questo chiedo l’anonimato-,  un’azienda che  conta circa cinquemila dipendenti, mi ha licenziata, e da un giorno  all’altro mentre, all’apice della mia carriera, in odore di promozione.
Sono donna, ho cinquantadue anni, sono divorziata, ho un mutuo per la  prima e unica casa, un prestito personale per la ristrutturazione, e un  figlio di ventisei anni, insomma una persona normale che lavora  e vive un’esistenza impegnativa e banalmente dignitosa.
Esattamente tre anni fa, mi sono addormentata stanca ma tranquilla, e  orgogliosa della mia vita, e mi sono risvegliata in un incubo,  devastata da un licenziamento che non ho mai capito né mai accettato.  Stando ai dirigenti, io non avrei accettato di collaborare a  un’operazione per conto terzi.
Dopo i primi tre/quattro mesi nei quali disperata, attonita e  incredula, ero sostenuta dall’amore vero e disinteressato di pochi amici  e familiari che dopo la caduta mi erano rimasti accanto – perché sì, è  solo quando cadi in disgrazia che ti accorgi di quanta poca compassione  ci sia- ho iniziato a capire. Tamponati grazie a chi ha creduto in me,  non certo al welfare, i troppi, e improvvisi problemi economici,  abbandonati i sensi di colpa -in quanto impiegata da trentacinque  anni non avevo neppure il coraggio di andare dal panettiere per non  dover giustificare la mia presenza fuori ufficio in ore lavorative-, è  cominciata la mia battaglia.
Proprio grazie all’Articolo 18, dovevo e potevo riconquistare la mia dignità, lottando s’intende ma piena di speranza.
Faccio causa alla mia azienda con la certezza di vincere e  tornare al mio lavoro perché, il licenziamento era ingiusto e lo  Statuto dei Lavoratori in questo mi avrebbe tutelata.
Dopo un anno e mezzo di umiliazioni e tutto quanto non posso  raccontare per ragioni di spazio, ho vinto. Il giudice ha ritenuto  assente la “giusta causa”, il licenziamento illegittimo, e ha imposto  all’azienda il mio reintegro (sebbene in un’agenzia non più in città, ma  in provincia).
Senza l’articolo 18 avrei finito la mia esistenza lavorativa e non  solo, perché nella migliore delle ipotesi, con le attuali proposte  di legge, avrei avuto ventisette mesi di stipendio -che oggi sarebbero  finiti- e sarei una disoccupata di cinquantacinque anni piena di  esperienze e idee ma in miseria.
Tutto ciò che sento dire in giro è falso.
Le Aziende licenziano da sempre e nonostante l’Articolo 18: dal  gruppo Facebook “lavoro e dignità” leggo alcuni dati: dal 2007 al  2011 ci sono state 31000 cause per licenziamenti illegittimi di cui  vinte 300. E probabilmente una buona ragione ci sarà.
L’Articolo 18 non è un deterrente al licenziamento ma una FONDAMENTALE TUTELA per i lavoratori licenziati ingiustamente.
Di fronte al pagamento di ventisette mensilità, qualsiasi Azienda si permetterà di licenziare chiunque e senza motivi validi.
Vincerà la strafottenza dei superiori che ti girano le spalle perché  guadagni troppo, perché improvvisamente non servi più, perché c’è stata  una fusione, perché -ma chi se ne frega di quella-, perché  non piace il giornale che leggi, perché porti i calzini azzurri e  per mille ragioni che si possono addurre per sbarazzarsi di te. Punto.
Nel periodo di disoccupazione ho percepito 900 euro mensili per 12 mesi a fronte di un mutuo di 1000 euro e un prestito di 700.
Non ho potuto usufruire della sospensione del mutuo (una moratoria  inutile per i miserabili e chi ne ha veramente bisogno) perché il mutuo  era superiore ai 150mila euro. Mi hanno sbattuto le porte in faccia  perché vecchia, perché prima del licenziamento guadagnavo troppo  perché “macchiata” da un licenziamento, perché troppo qualificata,  perché poco specializzata o troppo… non lo so più. Comunque, troppo  giovane per la pensione e troppo vecchia per un nuovo lavoro.
All’improvviso mi sono trovata in un limbo, in una non esistenza dal  futuro che ha il nome di MISERIA. Corsi di riqualificazione modello  tedesco? Zero. Offerte di lavoro? Zero. Corsi della  Regione?  Zero.
L’ufficio di collocamento non ha mai funzionato e che non ci  raccontino balle visto che in Italia funziona tutto per vie traverse.  Parlano i dati, non io.
La difesa dell’Articolo 18 è importante per chi, come me, sa di  essere stata licenziata illegittimamente e può, combattendo, e  credendo fermamente nelle legge, ottenere giustizia.
Se passerà questa legge, saremo tutti vinti, per sempre sepolti dalle  ingiustizie, e alla fine, drammaticamente sepolti vivi, cremati assieme  al ricordo della nostra semplice, quotidiana e dignitosa esistenza…,  improvvisamente in un mattino qualunque.
29/03/2012 
glialtrionline.it
 
 
 
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