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lunedì 25 luglio 2016

Comunicato unitario 25 luglio


Trieste, Udine - 25 Luglio 2016
 
Dopo l’ennesima e incomprensibile decisione aziendale di sospendere l’erogazione del contributo a favore dei colleghi che intendono avvalersi della future convenzioni per gli asili nido subordinandole "…all’eventuale ridefinizione del contratto integrativo…",
 
le RSU denunciano per l’ennesima volta

una politica aziendale che, con le nuove disposizioni su Orario di lavoro, Ferie, Asilo nido, Part time, Parcheggi, Politica sui Premi, Sedi di Udine, Polizza Sanitaria (ad oggi nulla è dato sapere circa le decisioni a tal riguardo dell’ultimo CdA) e tutte le altre voci, alimenta il malcontento generale esercitando un atteggiamento pervasivo e autoritario nei confronti dei lavoratori al solo scopo di fare  pressione sulle RSU aziendali.

Le RSU di Insiel ritengono questi atteggiamenti  inadeguati ed inopportuni

ai fini del mantenimento  delle corrette relazioni industriali.

A partire da oggi, pertanto, ogni rapporto con l’Azienda  è interrotto a tempo indeterminato.
 
Per quanto sopra esposto, a questo punto, le RSU ritengono prioritario incontrare la proprietà, come promesso dalla Presidente Serracchiani nel corso dell’incontro del 1 giugno, per avere risposte sulla politica industriale e soprattutto sulle modalità inerenti alla sua attuazione e solo dopo valutare la ripresa delle relazioni industriali.

Le RSU Insiel di Trieste e Udine

mercoledì 9 marzo 2016

L'ATTO DEL LAVORO: IL (MAGRO) BILANCIO DI UN ANNO DI INTERVENTI RENZIANI, E I LORO VERI OBIETTIVI

Premessa: quello che state per leggere è il nostro quarto o quinto contributo sul Jobs Act. Se la nostra è un'ossessione, lo è in misura speculare a quella del governo e dei suoi megafoni ambulanti che, nel corso dell'ultimo anno, ci hanno quasi quotidianamente edotto sui prodigiosi effetti delle politiche governative sul lavoro.
Arriviamo buoni ultimi a rivelarvi che, in realtà, di prodigi se ne sono visti pochi: ma l'ansia da prestazione dell'apparato di governo su questi temi è di per sé rivelatrice del fatto che l'attacco al mondo del lavoro non può essere oggetto di alcuna critica. Il complesso di interventi volti a rendere più incerta la continuità lavorativa, minore e più precario il salario non consentivano critiche di alcun tipo: la realtà, però, è più forte di ogni rappresentazione, anche di quella di chi controlla le leve del potere politico e influenza paurosamente il potere mediatico.
Nota di metodo: ascriveremo alla categoria Jobs Act molte cose diverse: gli esoneri contributivi stabiliti dalla legge di stabilità 2015; i decreti che costituiscono il Jobs Act vero e proprio (decreti Poletti del 2014, contratto a tutele crescenti, demansionamento e controllo a distanza); l'estensione della possibilità di utilizzo dei voucher. Faremo questa mescolanza perché, al di là delle differenze tecniche tra i provvedimenti, ci interessa cogliere il nesso politico dietro tutta l'azione governativa sul lavoro, in un contesto, quello italiano, che non sembra proprio intenzionato a voler uscire dalla crisi (ammesso che qualcun altro ci sia effettivamente riuscito).
AGGIORNAMENTO 6 MARZO 2016: Nota sulle fonti
I dati che sono stati utilizzati per questo documento sono presi, essenzialmente, dall'Osservatorio sul Precariato dell'INPS e dal database dell'ISTAT. In particolare, quelli relativi all'incremento occupazionale 2015 e alla sua composizione sono tratti dal comunicato stampa ISTAT del 2 Febbraio 2016, reperibile qui. L'Istat ha, successivamente, aggiornato tutte le serie storiche relative all'occupazione, in seguito ad un'innovazione metodologica relativa alla destagionalizzazione dei dati. I cambiamenti non sono pochi, nè di scarso peso: per fare solo un esempio, il dato relativo all'incremento occupazionale 2015, che ammontava a +109.000 unità secondo il vecchio metodo, è “improvvisamente” diventato +163.606. Non avendo la possibilità di verificare di nuovo, e in breve tempo, tutti I dati, ci attestiamo su quelli che l'Istat forniva fino al mese scorso. Non possiamo fare a meno di notare, però, che la procedura seguita dal nostro istituto di statistica è poco rigorosa e piuttosto “bizzarra”, quantomeno dal punto di vista comunicativo. Del resto questo improvviso aumento di circa un terzo dei posti di lavoro in più per il 2015 – che ai malpensanti potrebbe far nascere più di un sospetto – è in scia con quanto è accaduto, ad esempio, in Grecia, Spagna e Portogallo negli anni scorsi; o con quanto è accaduto con I dati sulle migrazioni forniti da Frontex; dati che cambiano all'improvviso e che dimostrano, anche presupponendo la buona fede di chi li fornisce, il carattere profondamente politico, e quindi ideologicamente orientato, della raccolta ed elaborazione statistica di dati, sulla quale poi si fanno, o si giustificano, le scelte dei governi.


1. Spazziamo il campo dalla falsa propaganda: il Jobs Act è stato un flop (a caro prezzo)

Vi chiediamo un momento di pazienza prima di iniziare. Vi sembrerà di essere sommersi da un mare di numeri contraddittori e incomprensibili, e di perdervi, ma state tranquilli: ne usciremo vivi.
Le fonti utilizzate sono, come abbiamo detto, il bollettino mensile dell'Osservatorio sul Precariato dell'INPS e le rilevazioni statistiche dell'ISTAT.
Qual è la differenza tra le due fonti? L'INPS analizza i flussi, cioè l'andamento mensile delle attivazioni e delle cessazioni di contratti; l'ISTAT lo stock, cioè il saldo finale degli occupati, il suo incremento o decremento.
Non è la stessa cosa, un nuovo contratto o un nuovo posto di lavoro? No. Una stessa persona può essere intestataria di più contratti, contemporaneamente – due part-time, per esempio – o successivamente: ad un solo posto di lavoro possono corrispondere più contratti. Un altro esempio – è successo nel 2015 – è che un lavoratore, formalmente “autonomo”, diventa dipendente: quel lavoratore già era presente nel mercato del lavoro, quindi al nuovo contratto non corrisponde automaticamente un nuovo posto.
Che cosa ha fatto la propaganda governativa, a partire dall'inizio del 2015? Ha usato sistematicamente i dati INPS, cioè quelli sui contratti, e li ha spacciati per posti di lavoro (con la supina, pigra e colpevole complicità della quasi totalità della stampa nazionale); non solo, per cantare le lodi del Jobs Act il governo è arrivato addirittura a presentare come “crescita dell'occupazione” il dato lordo sui nuovi contratti attivati, senza calcolare le contemporanee cessazioni. Hanno imbrogliato spudoratamente e goffamente, per un anno intero.
La realtà, ovviamente, è diversa.


continua < QUI >


fonte : 
http://clashcityworkers.org
6 marzo 2016 

mercoledì 11 novembre 2015

NOTE CRITICHE SULLA PIATTAFORMA FIOM

Punto per punto, alcune riflessioni su quel che non va della Piattaforma FIOM 2016, tralasciando per lo più quel che altri hanno già detto.

di Lorenzo Mortara


Nuovismo – La prima cosa che colpisce della PIATTAFORMA FIOM per il RINNOVO del CONTRATTO DEI METALMECCANICI 2016, è la voglia di novità e di sperimentazione contrattuale. Tutto il preambolo è un unico peana in onore del rinnovamento. Peccato che anche Federmeccanica, non parli d’altro che di rinnovare l’assetto contrattuale. Questo vizio di ammiccare alla controparte con le stesse parole, ben sapendo che le lingue sono diverse, ha già prodotto disastri nel recente passato. Chi non ricorda che Landini fu il primo ad aprire a Renzi? Il metodo era lo stesso: il Berluschino del PD voleva cambiare l’Italia, e anch’io, disse il nostro Leader, lo voglio, perché nessuno più dei lavoratori vuole cambiare questo Paese. Sperava così di diventarne un interlocutore privilegiato. Divenne solo un giocattolo nelle sue mani. Possibile che dobbiamo fare un’altra volta la figura dei fessi? Così come Renzi vuole cambiare in peggio il Paese, e Landini in meglio, almeno per i lavoratori, alla stessa maniera l’innovazione contrattuale di Federmeccanica è lo smantellamento del Contratto Nazionale, l’innovazione della Fiom è invece il suo rafforzamento. Sono due cose opposte e inconciliabili, perché quando due discorsi vaghi e generici sul rinnovamento contrattuale si incontrano, tra i due prevale sempre quello più forte. Esattamente come l’apertura a Renzi sul cambiamento del Paese, non ha sortito altro che l’uso strumentale di Landini come copertura delle sue politiche antioperaie. La colpa non è di Renzi, ma di Landini che l’ha continuamente promosso, portandolo in palma di mano per un paio di mesi, anziché smascherarlo subito senza pietà. La Piattaforma ripete lo stesso errore col profondo rinnovamento contrattuale…

 

mercoledì 28 ottobre 2015

La dottrina del Jobs Act e il deserto dei diritti


di Domenico Tambasco

Proprio centodieci anni fa, di questi tempi, la Corte Suprema statunitense nella causa Lochner contro New York dichiarava incostituzionale la “limitazione” a dieci ore lavorative giornaliere (ovvero 60 ore settimanali) introdotta dallo Stato di New York a favore dei dipendenti dei panifici. Nella motivazione di tale provvedimento, è dato leggere che “la norma priva queste persone della libertà di lavorare finché lo desiderano”[1].

Una sentenza analoga desterebbe oggi ilarità e stupore; eppure, nell’era del Jobs Act si considerano con serietà le affermazioni di uno degli ispiratori delle moderne “riforme del lavoro”, Pietro Ichino, che nel brandire il vessillo della “protezione nel mercato del lavoro e non dal mercato del lavoro”[2] e nell’auspicare un regime nel quale il licenziamento “è considerato come evento appartenente alla normale fisiologia della vita aziendale, in qualche misura utile anche alle stesse persone che lavorano”[3], afferma perentoriamente che “non c’è legge o contratto collettivo, non c’è giudice, o ispettore, o sindacalista, che possano assicurare a una persona che vive del suo lavoro la libertà e la dignità che le è data dalla possibilità di andarsene sbattendo la porta dall’azienda dove è trattata male, perché sa dove trovarne un’altra dove la trattano meglio. Un mercato del lavoro fluido e innervato da buoni servizi per l’incontro fra domanda e offerta può fare molto di più, per la dignità e libertà dei lavoratori, di quanto possa la Gazzetta Ufficiale”[4].

A parte il secolo di distanza, tra i principi sanciti dalla Corte Suprema e le tesi espresse da Ichino non c’è proprio nessuna differenza: la “libertà di lavorare finché lo si desidera” e la “libertà di andarsene via sbattendo la porta” sono pure mistificazioni, nello stile della neolingua orwelliana[5], costruite ad arte allo scopo di isolare il lavoratore e il suo prodotto, il lavoro, abbandonandoli alle leggi di mercato. Un vecchio schema distruttivo, già collaudato nei decenni del primo liberismo e del laissez faire, che risponde all’applicazione del principio della libertà di contratto[6], ovverosia un ritorno all’infanzia del diritto del lavoro, dove lavoratore e datore di lavoro erano parti accomunate dall’astratta ed apparente eguaglianza in un contratto di scambio[7].

Dinanzi alla “dottrina” del Jobs Act, si staglia tuttavia la cruda realtà del mercato del lavoro: la costitutiva, connaturale disparità di potere economico che da sempre caratterizza i rapporti tra lavoratore e datore di lavoro ed un immane esercito industriale di riserva, rappresentato da una massa di disoccupati e da “un vasto sistema legale di occupazioni con contratti di breve durata, a tempo parziale, in affitto, pagate al di sotto della soglia di povertà”[8].

Al deserto dei diritti sul lavoro, perfezionato dalla recente liberalizzazione dei licenziamenti anche nei contratti a tempo indeterminato e dalla legittimazione dei demansionamenti, fanno da controcanto le misere compensazioni nel mercato del lavoro, costituite dall’aumento dell’indennità di disoccupazione e da qualche voucher, senza tuttavia alcun serio ricorso a misure doverose (e diffuse in quasi tutta Europa) di reddito minimo garantito: i jobcentre dell’esperienza tedesca o inglese sono solo un miraggio[9].

Quale libertà di scelta potrà mai avere l’impiegato cinquantenne licenziato dall’oggi al domani? Quale libertà di definire la propria retribuzione potrà avere il lavoratore di fronte ad aziende che, con migliaia di “lavoratori poveri” alle porte, fanno del contenimento del costo del lavoro il proprio “cavallo di battaglia”? Quale employability[10] sul mercato del lavoro (per utilizzare gli anglicismi cari alla neolingua del Jobs Act) potrà mai vantare il lavoratore ora “liberamente” demansionato per anni a seguito di una decisione unilaterale del datore?

Parlare di libertà del lavoratore nel mercato del lavoro in questo scenario, dunque, è come gettare una persona nel mare in burrasca, rassicurandola che è libera di nuotare per salvarsi.

E allora è proprio il caso di chiamare le cose con il loro nome, tornando all’epoca in cui abbiamo trovato la sentenza della Corte Suprema, e seguendo l’opposto discorso di un personaggio animato dalla penna di un altro statunitense, Jack London, le cui parole paiono ancora tanto attuali: “Quando parlava dell’uguaglianza delle probabilità per tutti, alludeva alla facoltà di spremere guadagni......desiderate l’occasione per spogliare i vostri simili uno alla volta e vi suggestionate al punto di credere che volete la libertà…...trasformate il desiderio di guadagno, che è puro e semplice egoismo, in sollecitudine altruistica per l’umanità sofferente…….la parola libertà, nel caso vostro, significa ricavare profitti dagli altri[11].



fonte
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-dottrina-del-jobs-act-e-il-deserto-dei-diritti/


[1] La sentenza del 1905 è citata da Ha-Joon Chang in Economia, istruzioni per l’uso, Milano, Il Saggiatore, 2015, p. 334, come esempio della logica economica liberista in materia di lavoro.
[2] P. Ichino, Il lavoro ritrovato, Rizzoli, Milano, 2015, p. 69.
[3] P. Ichino, cit., p. 71.
[4] P. Ichino, cit., p. 85.
[5] La neolingua del Jobs Act, Micromega, 11 marzo 2015.
[6] Karl Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino, ed. 2010, p. 210.
[7] Maria Vittoria Ballestrero, Il lavoro e l’eguaglianza nel deserto dei diritti, in La vocazione civile del giurista – saggi dedicati a Stefano Rodotà, Roma-Bari, Laterza, 2013, pp. 166-167.
[8] Luciano Gallino, Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti, Torino, Einaudi, 2015, p. 119.
[9] Si rimanda alla completa trattazione di G. Perazzoli, Contro la miseria, Roma-Bari, Laterza, 2014.
[10] Traducibile con il termine “occupabilità”.
[11] Si tratta del discorso di Ernest nel capitolo “I distruttori della macchina” del romanzo di Jack London, Il tallone di ferro, 1907, ed. 2014, Feltrinelli, Milano, pp. 105 e 109.
 

lunedì 10 agosto 2015

Il mio pensiero razzista del giorno


il dio fallito

Ve la ricordate quella bella favoletta che vi hanno insegnato in tutte le scuole di ogni ordine e grado che avete frequentato e i cui personaggi erano la "concorrenza perfetta" che garantiva il massimo dei benefici ai produttori e ai consumatori di beni, il mercato quale "migliore allocatore di beni e servizi" immaginabile da mente umana, l'insuperabile efficienza della libera iniziativa privata che garantisce sempre e comunque il meglio del meglio che si possa desiderare?
Ve la ricordate?
Dovreste, perché la favoletta viene ripetuta ogni giorno, milioni di volte al giorno, da tutto l'universo mediatico con cui venite in contatto (tv, giornali, web, pubblicità, ecc.)
Beh, adesso che vi siete ricordati metteteci una pietra sopra e dimenticatevela, la favoletta, perché proprio da uno dei massimi esponenti del pensiero unico fondato sulla religione del mercato, il liderino renzifonzi, abbiamo saputo che l'efficienza del mercato, della concorrenza, dell'iniziativa privata è una insulsa buffonata. Nel senso che tutta questa efficienza non è assoluta, è relativa. Anzi relativissima.
Non che la cosa non fosse nota, anzi tutti i manuali di economia appena decenti trattano il tema del "fallimento del mercato" in circostanze determinate, però sentirlo dire a uno di quelli che ci sta tormentando giorno e notte dicendoci che si deve liberalizzare, privatizzare, rendere tutto più efficiente con sempre maggiori dosi di "mercato" e di "concorrenza" fa un certo effetto.
Il liderino renzifonzi ce lo ha fatto presente l'altro ieri quando ha presentato il supermega piano per la banda ultra super mega larghissima. Il piano prevede investimenti per 12 miliardi, di cui 7 statali e 5 provenienti dai "privati", per "non lasciare" nessuna zona d'Italia senza banda larga, cioè senza Internet superveloce.
Il liderino ha ammesso, impappinandosi non poco (vedere il video, dal minuto 2':45" in poi, per capire il disagio che gli provocava dirlo), che i "privati" investono solo dove pensano di potere fare profitti e quindi se si sta con la speranza che i "privati" investano in infrastrutture per portare la banda extra large pure nei paesini di montagna del già sottosviluppato Sud stiamo freschi.
Pertanto che fa lo Stato? Mette mano al portafoglio e sgancia una montagna di denari per incentivare i "privati" a investire dove non c'è nulla da guadagnare. In altre parole lo Stato paga i privati per garantire un servizio che i privati, cioè l'efficientissimo libero mercato di questa gran cippa, non riescono a garantire.
Detto con altre parole ancora, per chi fosse duro di comprendonio, lo Stato si fa carico delle inefficienze, del fallimento, del mercato pagando profumatissimamente con denari pubblici i privati pregandoli di fare una cosa che non farebbero manco morti. Chiaro adesso?
Eppure, ve lo ricordate?, la Telecom (come mille altre aziende di Stato), quindici anni fa, è stata privatizzata sotto la spinta mortifera dell'onda anomala che chiedeva più mercato e meno Stato. Perché il mercato è il bene e lo Stato è il male. Epperò, all'evidenza, il mercato fa schifo almeno quanto lo Stato visto che se fosse stato efficiente oggi non solo ci sarebbe la banda larga almeno in tutte le città capoluogo di regione (e così non è) ma pure nel più piccolo paesello sperduto in mezzo alle valli delle Madonie.
E questo al netto di tutte le porcherie finanziarie che si sono fatte alle spalle di una delle maggiori compagnie di telecomunicazioni del mondo che l'hanno ridotta ad un pozzo senza fondo di debiti arricchendo però un pugno di "liberi imprenditori" uno più inefficente e deficiente dell'altro (da colaninno e i "capitani coraggiosi" di dalemiana memoria ai tronchetti groviera).
Cinquant'anni fa le cose non erano così disgustose.
Cinquant'anni fa o poco più (luglio 1962 per essere precisi) Amintore Fanfani assieme a Pietro Nenni, in procinto di entrare nella maggioranza di governo, per risolvere il penoso problema dell'assenza di energia elettrica in mezza Italia (isole comprese) non chiese alle compagnie elettriche private se volevano aderire ad un piano per portare la luce a tutti gli italiani. No, fece un'altra cosa: consapevole del "fallimento del mercato", nazionalizzò tutte le compagnie elettriche e creò l'Enel. Che portò la luce ovunque. E affanculo l'efficienza del mercato.
Ora tutti a battere le manine al liderino renzifonzi che, coraggiosamente, "stacca assegni" come dice lui, per ammodernare la città e fare vedere a tutti YouPorn sul telefonino e nessuno che noti come questo "staccare assegni" dia la certificazione, incontrovertibile oltre che ennesima, che il dio unico chiamato mercato è un dio fallito per definizione e chi crede alla sua efficienza sempre e ovunque è più fallito del dio che adora.

P.S.: ah, un'altra cosa. Avete sentito che i cinesi della Tre e i russi della Wind hanno fuso le due società creando il primo operatore di telefonia mobile in Italia? Adesso gli operatori sono diventati tre da quattro che erano. Era già un oligopolio prima e lo è ancora di più adesso. La prova provata, l'ennesima, che il "mercato" - lungi dal prediligere la famosa atomizzazione di produttori e consumatori, cioè la dura concorrenza tra produttori in primis che abbassa i costi e migliora i prodotti - predilige la concentrazione, l'accordo tra i concorrenti, i "cartelli" e, in ultima analisi, la "reductio ad unum" cioè la tendenza al monopolio privatistica, cioè il massimo dell'inefficienza del "libero mercato".

Un'altra prova dell'esistenza del dio fallito.

 Turi Comito

 
 

venerdì 9 gennaio 2015

Nessun pasto è gratis, ovvero…

…di alcune perplessità contabili della serva intorno alla presunta rivoluzione copernicana dell’attuale italico governo

In questo finire dell’anno corrente, in conseguenza dei meccanismi innescati dalla legge Fornero del 2012 in relazione alla riforma degli ammortizzatori sociali, decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici ultracinquantenni vengono licenziati in tutto il paese per «non perdere» un anno di mobilità; una quantità, al momento imprecisabile, di crisi aziendali viene risolta mettendo in mobilità, più o meno incentivata, migliaia di dipendenti a prescindere dalla possibilità di raggiungere i requisiti pensionistici, tanto sotto il profilo contributivo quanto sotto quello dell’età anagrafica: tutto questo per non perdere l’opportunità di un anno di indennità dal 30% al 50% inferiore al loro salario contrattuale, ma valido per maturare la copertura pensionistica figurativa.

Una botta di c… che di questi tempi non va sprecata.

Già dallo scorso anno, invece, sempre come conseguenza della legge Fornero, va assumendo dimensioni sempre più rilevanti il fenomeno delle dimissioni volontarie cui viene, per così dire, indotti un numero crescente di dipendenti per non danneggiare i padroni che, ove li licenziassero, dovrebbero pagare all’Inps una penale di circa 240 €, compromettendosi altresì la possibilità di godere di benefici contributivi e/o sgravi fiscali assortiti. La perdita del diritto all’Aspi o alla MiniAspi, con annessi assegni al nucleo familiare da parte di lavoratori e lavoratrici è un incidentale effetto collaterale che, per quanto deprecabile, costituisce il prezzo che qualcuno deve pur pagare, e certamente non possono essere le imprese – fulcro delle ipotesi governative per uscire dalla crisi – a farsene carico.

l'articolo continua > QUI < 


fonte : http://www.connessioniprecarie.org
autore : M Fontana - 31 dicembre 2014

mercoledì 31 dicembre 2014

Cremaschi : 2015, col Jobs act sarà l’anno dei licenziamenti di massa

Era lecito domandarsi a che servisse togliere la tutela dell’articolo 18 a tutti i nuovi assunti, quando non si creano nuovi posti di lavoro e la disoccupazione aumenta.

Il decreto natalizio del governo Renzi supera questa contraddizione. Senza che se ne fosse minimamente accennato nella discussione parlamentare sulla legge delega, il testo sfrutta al massimo l’incostituzionale mandato in bianco imposto col voto di fiducia e estende la franchigia anche al mancato rispetto delle regole sui licenziamenti collettivi. 
La legge 223 infatti, recependo principi e regole in vigore in tutti i paesi industriali più avanzati e sostenute con forza da tutte le organizzazioni internazionali, Onu in testa, da oltre venti anni disciplina i licenziamenti collettivi per crisi, stabilendo criteri e regole nel loro esercizio. Ad esempio essa applica un concetto principe del diritto del lavoro degli USA, la “seniority list ” . Se proprio si deve licenziare si parte dagli ultimi arrivati , dai più giovani, da coloro che non hanno carichi familiari e si risale verso le madri e gli anziani capi di famiglia. In vetta a quella lista, nelle aziende Usa sindacalizzate, stanno addirittura i rappresentanti dei lavoratori. 
In Italia non siamo così rigidi, ma il senso della regola è lo stesso. 
La 223 stabilisce che solo con un accordo sindacale controfirmato da una pubblica autorità si possa derogare ai criteri dell’anzianità e dei carichi familiari. Così son state definite con le aziende, da ultimo con Meridiana, le uscite dei più anziani, in grado di raggiungere la pensione con la indennità di mobilità. Se un’azienda prima del decreto Renzi avesse voluto fare licenziamenti indiscriminati di massa , avrebbe subìto un doppio danno. Avrebbe dovuto pagare consistenti penali e avrebbe rischiato la reintegra da parte di un giudice di tutti i dipendenti licenziati senza il rispetto di regole e procedure. Questo vincolo ha frenato i licenziamenti di massa, anche in una crisi senza precedenti come quella attuale. 
Ora viene tolto e le aziende potranno liberamente sbarazzarsi, per crisi e ragioni economiche, di lavoratrici e lavoratori che hanno l’articolo 18 e sostituirli con dipendenti precari a vita, pagati molto meno e per la cui assunzione riceveranno anche un consistente finanziamento pubblico.

La portata reazionaria di questo decreto mostra tutta la malafede di un governo che sa perfettamente che la liberalizzazione dei licenziamenti non ha mai prodotto, né mai produrrà un solo posto di lavoro aggiuntivo a quelli esistenti. Nessuno assume in più se non ha lavoro in più da far fare. 
Ma se viene offerta la possibilità di realizzare, a condizioni più che favorevoli, quello che le imprese chiamano il ricambio organico del personale, perché rifiutarla? Questo è lo scopo vero del Jobact : un gigantesco scambio di manodopera tra chi ha più e chi ha meno diritti e salario. Come più di cento anni fa, quando i braccianti venivano cacciati dalla terra che avevano coltivato, perché agrari e baroni reclutavano gente più povera disposta a subire condizioni peggiori. 
Non solo il Jobact non fa nulla contro la disoccupazione, ma anzi proprio per funzionare ha bisogno di una massa ricattabile di senza lavoro, senza i quali le sue norme resterebbero lettera morta. Alla fine l’ occupazione complessiva sarà ancora minore, come già sapientemente prevede la Confindustria, ma quella rimasta somiglierà molto di più a quella che lavora oggi in Cina rispetto a quella che aveva conquistato diritti e dignità in Italia. Le imprese rimaste festeggeranno per i maggiori profitti, mentre il lavoro sarà sottoposto alla schiavitù di un Medio Evo tecnologico.
A questo punto non serve aggiungere altre parole. Ogni atto del governo Renzi rappresenta una coerente azione di restaurazione sociale. Non si colpisce solo il lavoro, ma la scuola, la sanità. i servizi pubblici, mentre si rafforzano le spese militari. Quando si interviene, come all’Ilva, lo si fa per permettere alle multinazionali cui verrà ceduta di risparmiare i costi del risanamento e degli investimenti. Tutte le riforme politiche proposte stravolgono principi e libertà costituzionali.

Ma a questo punto continuare a rimproverare a Renzi e a Giorgio Napolitano, che ne è il primo sostegno, di fare quello che dichiarano di voler fare non serve a niente. Il governo Renzi è la personalizzazione della distruzione della Costituzione Repubblicana, è nato e opera per questo. 
Rappresenta una classe dirigente italiana che ha deciso che il sistema sociale e democratico del dopoguerra non possa più essere mantenuto, di fronte ai vincoli della Troika e della finanza globale. O si contestano quei vincoli, euro compreso, o si insegue il modello del capitalismo selvaggio senza vincoli. Renzi e Napolitano hanno scelto di essere fino in fondo fedeli esecutori di quei vincoli, per questo oggi son avversari di tutto ciò che nella storia italiana ha significato progresso sociale e democratico. Renzi e Napolitano hanno scelto e chi si oppone a questa loro scelta deve essere altrettanto intransigente e rigoroso. Altrimenti la coerenza reazionaria del governo sarà la sola devastante forza in campo .

Giorgio Cremaschi
 
 

venerdì 28 novembre 2014

COME CAMBIA IL LAVORO AL TEMPO DEL JOBS ACT

E io contavo i denti ai francobolli, dicevo grazie a dio, buon natale”. A differenza dell’impiegato di Fabrizio De André, questa storia non inizia col maggio francese e non finisce con la bomba che debutta in società: questa è la storia di un impiegato nel mondo della Leopolda, quello in cui il Jobs Act è il nuovo Statuto dei lavoratori, una storia di quando il futuro sarà il presente. Avvertimento preliminare: tutto quello che verrà raccontato è coerente con le disposizioni del ddl delega sul lavoro che diventerà legge la prossima settimana.

SUL LUOGO DI LAVORO STALIN NON TI VEDE, L’IMPRENDITORE SÌ

Milano. Anno decimo dell’era renziana del mercato del lavoro. Interno giorno. Un classico ufficio, tre postazioni di lavoro, una grande finestra, è l'ora di pranzo e un uomo solo guarda verso l’esterno.

È Carlo G., laurea in Economia e Commercio, 45 anni, impiegato da sette alla XXX SPA, media società che fornisce servizi logistici, sposato , due figlie. Carlo G. è un amministrativo e si occupa di preparare le buste paga: da contratto lavora sette ore e 12 minuti al giorno, che poi nella realtà sono spesso più di otto, guadagna 1.950 euro netti al mese, non è iscritto a nessun sindacato e non s’è mai lamentato, i suoi capi lo apprezzano.

Oggi, però, l’impiegato Carlo G. è preoccupato. Gli è arrivata una email dalla direzione: “Stante che un Dpcm del 2015 (governo Renzi) ci autorizza a utilizzare forme di controllo a distanza sui dispositivi aziendali, questa direzione è qui a chiederle informazioni sul suo comportamento del 15 novembre u.s.

Dai dati raccolti sul suo Pc risulta infatti che le operazioni di compilazione delle buste paga siano state interrotte senza apparente motivo tra le ore 15:12 e le ore 16:03. Come risulta inoltre dalla telecamera puntata sulla sua postazione – e non su di lei, ovviamente, come prescrive il Dpcm citato – lei si è assentato dalla postazione non solo in quel lasso di tempo, ma anche per mezz’ora nel pomeriggio di due giorni dopo”.

continua   >>> QUI <<<

(Marco Palombi per il Fatto Quotidiano via Dagospia)

lunedì 24 novembre 2014

IL DIRITTO DEI DIRITTI

Intervista a Alberto Piccinini
realizzata da Barbara Bertoncin

UNA CITTÀ n. 216 / 2014 ottobre

Le resistenze a intervenire nuovamente sull’articolo 18, dopo che già la Riforma Fornero ha fortemente limitato l’obbligatorietà del reintegro, vengono dalla preoccupazione che se si prevede una motivazione, una qualsiasi, che consente di non reintegrare una persona licenziata illegittimamente, i datori di lavoro potranno sempre licenziare con quella motivazione; la questione, irrisolta, della soglia dei 15 dipendenti, cioè tra chi ha diritto e chi no. Intervista ad Alberto Piccinini. 

Alberto Piccinini, avvocato giuslavorista, dello "Studio Legale Associato” di Bologna, ha sempre svolto la professione forense con specializzazione in diritto del lavoro, patrocinando cause avanti alla Corte di Cassazione, alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea. Membro del collegio difensivo Fiom, con Franco Focareta, Massimo Vaggi e Lina Grosso, ha difeso la Fiom di Potenza nel processo per condotta antisindacale di Sata (Fiat) relativo ai licenziamenti di due delegati ed un iscritto alla Fiom, dichiarati infine antisindacali.


Alberto Piccinini, avvocato giuslavorista, dello "Studio Legale Associato” di Bologna, ha sempre svolto la professione forense con specializzazione in diritto del lavoro, patrocinando cause avanti alla Corte di Cassazione, alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea. Membro del collegio difensivo Fiom, con Franco Focareta, Massimo Vaggi e Lina Grosso, ha difeso la Fiom di Potenza nel processo per condotta antisindacale di Sata (Fiat) relativo ai licenziamenti di due delegati ed un iscritto alla Fiom, dichiarati infine antisindacali.

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Alberto Piccinini, avvocato giuslavorista, dello "Studio Legale Associato” di Bologna, ha sempre svolto la professione forense con specializzazione in diritto del lavoro, patrocinando cause avanti alla Corte di Cassazione, alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea. Membro del collegio difensivo Fiom, con Franco Focareta, Massimo Vaggi e Lina Grosso, ha difeso la Fiom di Potenza nel processo per condotta antisindacale di Sata (Fiat) relativo ai licenziamenti di due delegati ed un iscritto alla Fiom, dichiarati infine antisindacali.
Alberto Piccinini, avvocato giuslavorista, dello "Studio Legale Associato” di Bologna, ha sempre svolto la professione forense con specializzazione in diritto del lavoro, patrocinando cause avanti alla Corte di Cassazione, alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea. Membro del collegio difensivo Fiom, con Franco Focareta, Massimo Vaggi e Lina Grosso, ha difeso la Fiom di Potenza nel processo per condotta antisindacale di Sata (Fiat) relativo ai licenziamenti di due delegati ed un iscritto alla Fiom, dichiarati infine antisindacali.
Alberto Piccinini, avvocato giuslavorista, dello "Studio Legale Associato” di Bologna, ha sempre svolto la professione forense con specializzazione in diritto del lavoro, patrocinando cause avanti alla Corte di Cassazione, alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea. Membro del collegio difensivo Fiom, con Franco Focareta, Massimo Vaggi e Lina Grosso, ha difeso la Fiom di Potenza nel processo per condotta antisindacale di Sata (Fiat) relativo ai licenziamenti di due delegati ed un iscritto alla Fiom, dichiarati infine antisindacali.
Alberto Piccinini, avvocato giuslavorista, dello "Studio Legale Associato” di Bologna, ha sempre svolto la professione forense con specializzazione in diritto del lavoro, patrocinando cause avanti alla Corte di Cassazione, alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea. Membro del collegio difensivo Fiom, con Franco Focareta, Massimo Vaggi e Lina Grosso, ha difeso la Fiom di Potenza nel processo per condotta antisindacale di Sata (Fiat) relativo ai licenziamenti di due delegati ed un iscritto alla Fiom, dichiarati infine antisindacali.

Alberto Piccinini, avvocato giuslavorista, dello "Studio Legale Associato” di Bologna, ha sempre svolto la professione forense con specializzazione in diritto del lavoro, patrocinando cause avanti alla Corte di Cassazione, alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea. Membro del collegio difensivo Fiom, con Franco Focareta, Massimo Vaggi e Lina Grosso, ha difeso la Fiom di Potenza nel processo per condotta antisindacale di Sata (Fiat) relativo ai licenziamenti di due delegati ed un iscritto alla Fiom, dichiarati infine antisindacali.

Alberto Piccinini, avvocato giuslavorista, dello "Studio Legale Associato” di Bologna, ha sempre svolto la professione forense con specializzazione in diritto del lavoro, patrocinando cause avanti alla Corte di Cassazione, alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea. Membro del collegio difensivo Fiom, con Franco Focareta, Massimo Vaggi e Lina Grosso, ha difeso la Fiom di Potenza nel processo per condotta antisindacale di Sata (Fiat) relativo ai licenziamenti di due delegati ed un iscritto alla Fiom, dichiarati infine antisindacali.

Alberto Piccinini, avvocato giuslavorista, dello "Studio Legale Associato” di Bologna, ha sempre svolto la professione forense con specializzazione in diritto del lavoro, patrocinando cause avanti alla Corte di Cassazione, alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea. Membro del collegio difensivo Fiom, con Franco Focareta, Massimo Vaggi e Lina Grosso, ha difeso la Fiom di Potenza nel processo per condotta antisindacale di Sata (Fiat) relativo ai licenziamenti di due delegati ed un iscritto alla Fiom, dichiarati infine antisindacali.

venerdì 21 novembre 2014

Jobs act - Il nuovo articolo 18

da il Sole 24 ore 

L’emendamento al Jobs act riformulato dal Governo e approvato in commissione Lavoro alla Camera fa entrare direttamente nel testo della delega ciò che finora non c’era: un riferimento diretto alla reintegra nel posto di lavoro, e dunque all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Agganciate all’introduzione del contratto a tutele crescenti, le nuove regole escludono per i licenziamenti economici la possibilità della reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegra ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento. Saranno i decreti delegati a dover recepire questi principi.

continua > QUI

martedì 23 settembre 2014

Audizione del presidente di Insiel sul nuovo piano industriale in prima commissione consiliare - resoconto da Twitter fiom insiel

(dal basso in alto)

*

[L'incontro è terminato]

Pozza: "si cercherà un tavolo di incontro ad personam per tutelare i dipendenti che devono restituire più soldi, esprimo piena solidarietà"

Pozza: "La posizione aziendale sul recupero delle quote è che non ci sono condizioni per fare diversamente"

Panontin: "A nostro giudizio non c'era modo di evitare il recupero dei soldi e non è un argomento più in discussione"

Panontin "mi piacerebbe pensare che al termine del triennio noi fossimo in grado di dire agli enti locali di diventare partner e non clienti"

Panontin: "In Insiel negli ultimi 6 mesi c'è stata una riduzione di costi di 2 milioni e mezzo"

Panontin: "Massima autonomia manageriale della società. Chiediamo al dottor Pozza di rispondere con i numeri"

Panontin: "Riordino di governance della regione a ruota dopo quello di Insiel"

Panontin: "Dobbiamo fare un patto molto chiaro con gli eell: se decidono di usare prodotti esterni se li devono pagare da soli"

Panontin: "la digitalizzazione distrugge posti di lavoro e ne crea altri, Pozza risponde ad un efficientemente della società"

Riccardi: "Non vorrei si passasse da un monopolio statale ad un monopolio privato"

Riccardi (pdl) : "Non so quante aziende siano in grado di offrire un servizio come quello che Insiel offre alla sanità"

Tondo (gr. misto) : "Ha senso che noi lasciamo questa società a competere con le piccole aziende o facciamo crescere l'autoimprenditoria locale?"

[AIA = Accordo Integrativo Aziendale]

Bianchi: "Vorrei conoscere anche la versione dell'azienda in merito, per sapere se è vero che la questione può essere risolta tramite AIA"

Bianchi: "Come si può mantenere in Insiel dei buoni rapporti se ci sono delle questioni aperte come quella del recupero dei soldi?"

Bianchi: "Messa a posto Insiel come sarà messa a posto la regione?"

Elena Bianchi (M5S) : "Trovo una buona idea spostare il focus di Insiel a centro servizi, mi chiedo come la regione si interfaccerà con l'Insiel"

[Il presidente Pozza ha concluso la sua presentazione]

Pozza: "L'azienda è disunita al suo interno e deve ritrovare la collaborazione"

Pozza : "Coordinamento con le strutture ICT DELLA regione che si occupano della sanità"

Pozza: "Processo di revisione per i sistemi core dell'azienda ormai tecnologicamente obsoleti"

Pozza : 35 milioni di euro investiti nei prossimi anni per portare i 30 megabit a tutti e i 100 megabit ad almeno il 50% dei cittadini della regione

Pozza : "Cittadino al centro della nostra azione di programma"

Pozza : "L'azienda è rimasta agli anni 80 per quanto riguarda i processi interni"

Pozza: "L'Insiel non può più pensare di fare tutto da sola. L'azienda deve in primis diventare un centro servizi"

Pozza: "Non possiamo pensare che i nostri servizi costino di più di altre aziende presenti sul mercato"

Pozza: "Ho visto in azienda quella capacità di reazione che mi fa pensare che sarà in grado di recepire questo cambiamento"

Pozza: "Ho speso il mio primo semestre cercando di capire la realtà informatica territoriale"

Le linee guida preparate da Insiel rispecchiano quanto richiesto dalla regione

Insiel viene definita una "sartoria informatica artigianale" dall'assessore Paolo Panontin

[Siamo in diretta dalla sala stampa del consiglio regionale]

volantino che verrà consegnato ai componenti della prima commissione

una nostra delegazione infatti è andata in Regione per seguire in diretta la presentazione di Pozza.
Vi invitiamo a partecipare numerosi all'assemblea delle 12.10 
e di coinvolgere quanti più colleghi possibile. 
Date massima diffusione! 

Barbara, Max e Alex







giovedì 18 settembre 2014

Comunicato RSU FIOM Insiel - Trieste

Oggi (17/09/2014) il Presidente Pozza, in un incontro con le Rsu di Insiel ha nuovamente approfondito i punti su cui verterà il piano industriale per il prossimo triennio.
Le Rsu Fiom Insiel di Trieste lo reputano insoddisfacente sia per i lavoratori che per l'utente "pubblica amministrazione" dunque per tutti i cittadini e le imprese del Friuli Venezia Giulia.
 

L'azienda nel suo piano è sfuggita alla caratteristica di strumentalità prevista dalla legge regionale 9/2011 puntando a trasformarsi prevalentemente in un centro d’acquisti della Regione Friuli Venezia Giulia, diventando cioè un "consumer" senza neppure definire quali saranno gli asset strategici dell’Azienda e quali non lo saranno (manca, ad esempio, l’indicazione su quali programmi ritenere fondamentali e quali acquistare all'esterno).

In questo piano industriale viene deciso di cambiare l’impostazione stessa dell’Azienda. Non sarà infatti più produttrice di software ma centro di servizi, questo di fatto cancella il ruolo dell’Insiel all’interno del sistema informativo regionale, facendo peraltro aumentare i costi dovuti agli appalti esterni e riducendo qualità e personalizzazioni fatte espressamente per gestire le specialità della regione autonoma Friuli Venezia Giulia.

A conclusione dell'incontro La Direzione aziendale comunica la  decisione unilaterale di trattenere ai dipendenti la parte di stipendio anticipata nel 2013 disconoscendo le richieste, fatte da più parti, di utilizzare metodi più concordati possibile e violando gli impegni previsti dall’accordo aziendale vigente.

Per questi motivi le Rsu FIOM dell'Insiel, invitando all'unità i lavoratori, dichiarano aperta la vertenza Insiel e nei prossimi giorni chiameranno i lavoratori a lottare per i propri diritti.

Le RSU FIOM di Trieste

mercoledì 3 settembre 2014

assemblea 2 settembre 2014




L'assemblea degli iscritti della Fiom dell'Insiel di Trieste non condivide la scelta effettuata dai componenti della commissione elettorale di FIM e UILM nell’indicare, il 6 e 7 ottobre 2014, come date per le prossime elezioni RSU.





Le motivazioni che hanno portato la Fiom di Trieste a richiedere il rinnovo delle RSU nella sede dell'INSIEL di Trieste sono:



  • le RSU avevano terminato il loro incarico a giugno 2014.
  • Si erano manifestate, sia la mancanza di coerenza da parte della delegazione aziendale che azioni non condivise di altre confederazioni.
  • Si avvicinano l’apertura della nuova stagione contrattuale con il rinnovo del contratto integrativo, la definizione dei valori per il PDR 2013 e la ricerca di una soluzione economica in merito alla rinnovata richiesta di restituzione delle somme erogate in riferimento alla legge 95/2012(spending review),  nonché la necessità di aprire con la Direzione Aziendale e con la Proprietà un confronto sul piano industriale.



Questa scelta di posticipare a ottobre le elezioni RSU non permetterà, in questo mese, ai lavoratori di essere adeguatamente tutelati da una rappresentanza votata e forte del mandato ricevuto.



FIM e UILM dovranno assumersi la responsabilità della loro volontà di non disturbare “il conducente”: motivano la scelta di tali date, nascondendosi dietro la parola democrazia, considerano infatti il mese di settembre come periodo di ferie, che non consentirebbe ai lavoratori di esprimersi pienamente.



Da parte nostra non vogliamo cedere su nessun argomento a partire dalla questione economica in quanto già a fine settembre l'Azienda vuole precedere unilateralmente con le trattenute sullo stipendio in base alla legge 95/2012 senza aver ricevuto nuove  indicazioni dalla Proprietà.

Quindi, attraverso le RSU uscenti chiediamo la convocazione di un'assemblea generale dei lavoratori da effettuarsi il 9 settembre per continuare la mobilitazione a difesa dei nostri interessi nella speranza che le RSU unitariamente affrontino questa vertenza.



Il comitato degli Iscritti Fiom Insiel Trieste