Mi sembra utile segnalare in argomento il contributo apparso qualche giorno fa sul blog www.dirittoedemocrazia.wordpress.com
Il "nuovo" articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Ne estraggo solo un passaggio significativo e invito alla lettura del testo integrale.
Il punto più critico, difatti, è costituito proprio dal comma 6 del nuovo art. 18 dello Statuto, previsto dal Disegno di legge. E’ facile prevedere che al datore di lavoro (il quale intenda privarsi della collaborazione di un dipendente comunque “scomodo” e che non sia così ingenuo da lasciar trasparire motivazioni discriminatorie, surrettiziamente disciplinari o economiche, ovvero addirittura illecite) convenga sempre intimare un licenziamento semplicemente immotivato: in tal caso il giudice, dichiarato inefficace il licenziamento, potrà soltanto dichiarare risolto il rapporto e condannare il datore di lavoro alla corresponsione dell’indennità risarcitoria; a meno che, sulla base della domanda formulata dal lavoratore (e, pertanto, con onere della prova interamente a suo carico), non ravvisi anche un difetto di giustificazione (stesso comma 6) o la ricorrenza di ragioni discriminatorie o disciplinari (comma 7), nel qual caso potrà ordinare, per contro, la reintegrazione. E’ chiaro che siamo in presenza di una specifica, netta e gravosa, inversione dell’onere probatorio, interamente in capo al lavoratore e non più al datore di lavoro. E che non sia necessario essere degli esperti giuslavoristi per comprendere come esso sia difficilmente assolvibile (se non nell’ipotesi, come affermano alcuni con una battuta, di essere donna, meridionale, di colore, di religione diversa dalla cattolica, magari incinta, ma non coniugata, e pure iscritta alla FIOM !). Se ce ne fosse bisogno, la conferma della circostanza è testualmente contenuta nel documento che accompagna il disegno di legge governativo; pagina 11: ” Al fine di evitare la possibilità di ricorrere strumentalmente a licenziamenti oggettivi o economici che dissimulino altre motivazioni, di natura discriminatoria o disciplinare, è fatta salva la facoltà del lavoratore di provare che il licenziamento è stato determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, nei quali casi il giudice applica la relativa tutela “.
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Mi sembra utile segnalare in argomento il contributo apparso qualche giorno fa sul blog www.dirittoedemocrazia.wordpress.com
Il "nuovo" articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Ne estraggo solo un passaggio significativo e invito alla lettura del testo integrale.
Il punto più critico, difatti, è costituito proprio dal comma 6 del nuovo art. 18 dello Statuto, previsto dal Disegno di legge. E’ facile prevedere che al datore di lavoro (il quale intenda privarsi della collaborazione di un dipendente comunque “scomodo” e che non sia così ingenuo da lasciar trasparire motivazioni discriminatorie, surrettiziamente disciplinari o economiche, ovvero addirittura illecite) convenga sempre intimare un licenziamento semplicemente immotivato: in tal caso il giudice, dichiarato inefficace il licenziamento, potrà soltanto dichiarare risolto il rapporto e condannare il datore di lavoro alla corresponsione dell’indennità risarcitoria; a meno che, sulla base della domanda formulata dal lavoratore (e, pertanto, con onere della prova interamente a suo carico), non ravvisi anche un difetto di giustificazione (stesso comma 6) o la ricorrenza di ragioni discriminatorie o disciplinari (comma 7), nel qual caso potrà ordinare, per contro, la reintegrazione. E’ chiaro che siamo in presenza di una specifica, netta e gravosa, inversione dell’onere probatorio, interamente in capo al lavoratore e non più al datore di lavoro. E che non sia necessario essere degli esperti giuslavoristi per comprendere come esso sia difficilmente assolvibile (se non nell’ipotesi, come affermano alcuni con una battuta, di essere donna, meridionale, di colore, di religione diversa dalla cattolica, magari incinta, ma non coniugata, e pure iscritta alla FIOM !). Se ce ne fosse bisogno, la conferma della circostanza è testualmente contenuta nel documento che accompagna il disegno di legge governativo; pagina 11: ” Al fine di evitare la possibilità di ricorrere strumentalmente a licenziamenti oggettivi o economici che dissimulino altre motivazioni, di natura discriminatoria o disciplinare, è fatta salva la facoltà del lavoratore di provare che il licenziamento è stato determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, nei quali casi il giudice applica la relativa tutela “.
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