Ma davvero il presidente  della Repubblica ha il potere di intimare alle parti sociali di  rinunciare a “qualsiasi interesse o calcolo particolare”, cioè di non  rappresentare più le categorie che dovrebbero rappresentare, per  inchinarsi alla cosiddetta riforma dell’articolo 18 unilateralmente  imposta dal governo del prof. Monti e della sig.ra Fornero con l’inedita  formula del “prendere o prendere”? 
Ma dove sta scritto che  quella cosiddetta riforma è buona? Ma chi l’ha stabilito che risolverà  “i problemi del mondo del lavoro e dei nostri giovani”? Ma chi l’ha  detto che “sarebbe grave la mancanza di un accordo con le parti  sociali”?
Ma, se “sarebbe grave la  mancanza di un accordo”, perché il capo dello Stato non dice al governo  di ritirare la sua proposta che non trova l’accordo delle parti sociali,  anziché dire alle parti sociali di appecoronarsi alla proposta del  governo in nome di un accordo purchessia? 
E che c’entra la commemorazione del prof. Biagi con l’art. 18? 
Non si era detto che la flessibilità avrebbe moltiplicato i posti di lavoro? 
Ora che ha sortito l’effetto opposto, anziché ridurla, si vuole aumentarla? 
E perché mai un  lavoratore licenziato senza giusta causa dovrebbe rinunciare ad  appellarsi al giudice perché valuti la discriminatorietà del suo  licenziamento? 
E poi: perché mai sarebbe così urgente cambiare l’articolo 18, che riguarda l’1% dei licenziamenti? 
E che senso ha rispondere, come fa la sig.ra Fornero, che così si tutelano i lavoratori non tutelati? 
Per tutelare i non tutelati si tolgono le tutele ai tutelati cosicché nessuno sia più tutelato? 
E siamo sicuri che, in un  paese dove è facilissimo uscire dal mondo del lavoro e difficilissimo  entrarvi, la soluzione sia rendere ancor più facile uscirne? 
E chi l’ha stabilito che la trattativa deve chiudersi il 22 marzo, non un giorno di più? 
E che libera trattativa è  quella in cui il capo dello Stato getta la sua spada su uno dei piatti  della bilancia, quello del governo, per farlo prevalere sull’altro? 
E che senso ha la frase della sig.ra Fornero: “Non si può discutere all’infinito, indietro non si torna”? 
Infinito in che senso, dopo un solo mese di negoziati? Indietro rispetto a cosa? 
E il Parlamento? Esiste  ancora un Parlamento libero di approvare o bocciare le proposte del  governo, o è stato abolito a nostra insaputa?
E perché mai il  Parlamento ha potuto svuotare a suon di emendamenti il decreto  liberalizzazioni, snaturarne un altro con l’emendamento Pini contro i  magistrati, mentre l’abolizione dell’art. 18 sarebbe sacra e  inviolabile? 
È per caso un dogma di fede? 
Siamo proprio sicuri che  l’insistenza del governo e del Quirinale sull’art. 18 risponda a  motivazioni economiche e non al progetto tutto politico di isolare le  voci stonate dal pensiero unico, tipo Fiom, Idv, Sel e movimenti della  società civile e di cementare l’inciucio Pdl-Pd-Terzo Polo? 
Se il governo gode nei  sondaggi della fiducia del 60% degli italiani e tutti se ne felicitano,  perché ignorare il fatto che lo stesso 60% degli italiani è contro  qualunque “riforma” dell’art. 18? 
È proprio ininfluente la  maggioranza degl’italiani sulla scelta di un governo che nessuno ha  eletto, anzi di cui nessuno, alle ultime elezioni, sospettava la  nascita? 
E perché mai gli unici  che devono rinunciare a rivendicare i propri diritti sono i lavoratori e  i pensionati, mentre la patrimoniale non si fa perché B. non vuole e le  frequenze tv non si vendono all’asta perchè B. non vuole? 
Il Quirinale smentisce  l’indiscrezione apparsa ieri sul Foglio, secondo cui Bersani  sarebbe “sempre più insofferente per l’interventismo del capo dello  Stato” che “lo riprende e lo bacchetta” non appena “tenta di smarcarsi  dal governo o dagli alleati” (nel senso di Casini e Alfano) “su Rai e  giustizia”, per “ripor tare all’ovile il Pd” in nome della “stabilità  del governo”? 
Ma, se il Parlamento deve  ratificare senza batter ciglio i decreti del governo e i partiti e le  parti sociali devono prendere ordini dal Colle e dal governo  sottostante, siamo proprio sicuri di vivere ancora in una democrazia  parlamentare? 
E in una democrazia?
M. Travaglio
Il Fatto Quotidiano - 21/03/2012.
  
 
 
 
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