Ammortizzatori nuovi (e di meno) dal 2015, ma da subito si cancella cig  per cessazione attività e mobilità. Un'«ecatombe sociale», anche per  Bonanni. Apprendistato per i nuovi assunti.
Quella sulla «riforma» del mercato del lavoro è una partita che il  governo ha condotto a carte coperte. Ma ora si comincia a vedere  qualcosa di concreto. E fa orrore. 
Il ministro continua a  scommettere che la conclusione arriverà tra il 21 e 23 di questo mese.  Al tempo stesso, però, ammette che «non sono in grado di dirvi dove  saranno trovate le risorse, il governo è impegnato a cercarle». Erano  tutti entrati convinti che erano stati trovati 2 miliardi per la  «riforma degli ammortizzatori sociali». Un vecchio volpone delle  trattative come Raffaele Bonanni aveva subito fatto notare che quella  cifra viene spesa ogni anno soltanto per la cassa integrazione «in  deroga» (l'unica forma a carico dello stato), e che quindi «il governo  doveva chiarire». 
Sull'argomento ci si è dilungati parecchio, e  Fornero è intenzionata a mandare a regime la sua «riforma» a partire dal  2015 anziché dal 2017, come chiedeva persino Confindustria. Peggio:  vuol fare iniziare oggi stesso il processo di «transizione», cominciando  dall'abolizione sia della della cig «per cessazione di attività» che  della «mobilità»; un gesto che mette a rischio tutte le vertenze per  crisi oggi sul tavolo (compresa quella che riguarda proprio il  manifesto). Accoppiata al già varato aumento dell'età pensionabile, dice  anche Bonanni, «sarebbe un'ecatombe sociale». È anche il primo punto su  cui si è espressa Susanna Camusso, segretario generale della Cgil: «il  dato di oggi è un passo indietro». L'accelerazione dell'ingresso della  riforma degli ammortizzatori, spiega, «si traduce nel breve periodo,  durante la crisi, in una riduzione della copertura e nessun vantaggio  sulla prestazione economica». Insomma, nessuna nuova risorsa sugli  ammortizzatori sociali da parte del governo, ma «solo una diversa  redistribuzione di quelle esistenti».
In mancanza di notizie certe,  tutti si erano fin lì esercitati ieri sul «modello tedesco». Se n'era  parlato soprattutto in riferimento all'art. 18, che governo e  Confindustria (più Cisl e Uil) vorrebbero modificare in due punti  sostanziali: la «reintegra» sul posto di lavoro (con sentenza del  giudice) sparirebbe in caso di licenziamento per «motivi economici» e  per «motivi disciplinari». Resterebbe così in piedi solo il divieto di  licenziare «motivi discriminatori», il caso più difficile da dimostrare  in aula. In pratica: scomparirebbe. In ogni caso, da oggi partiranno  «incontri bilaterali» tra il ministro e i leader delle varie «parti  sociali» proprio su questo tema, «lasciato per ultimo».
Il «modello  tedesco» delega il giudice a decidere tra reintegra e indennizzo  (proprozionale a stipendio, età, carico famifliare). Ma il sistema di  protezione sociale complessivo è molto più forte che non in Italia. Ad  esempio, ci sono almeno tre forme di sussidio per i disoccupati:  indennità (dai 6  ai 32 mesi, secondo l'età), sussidio (equivalente alla nostra  «mobilità») e «aiuto sociale» per quelli esclusi dale prime due forme.  In pratica, la Germania spende per le politiche del lavoro  complessivamente il 2,26% del Pil, mentre l'Italia solo l'1,84.
Il  governo sembrava stesse perfezionando un'«assicurazione sociale» (Aspi)  per tutelare le forme di lavoro «non a tempo indeterminato». I dettagli  tecnici sono andati cambiando di ora in ora; alcuni sembravano più che  altro esche per far fare i titoli sui giornali, come il «bonus per tutti  i disoccupati da 1.119 euro al mese». Se si dovesse prendere sul serio  la cosa - visto che i disoccupati sono ufficialmente 2 milioni e 300mila  - il governo dovrebbe spendere quasi 3 miliardi al mese (mentre, si  diceva all'inizio, fanno fatica a trovarne 2 per un anno). Poi si è  capito che in realtà si tratta solo dell'indennità che dovrebbe  sostituire - con perdita secca - tutte le tutele attuali, compresa la  mobilità, tranne la cig ordinaria. «L'«ecatombe sociale» di cui parla  Bonanni, ma presentata come un «fatto positivo».
Sulla flessibilità  in entrata (assunzioni), Fornero propone un «contratto dominante» ma  «non unico». Anche Angeletti (Uil) e Bonanni (Cisl) hanno storto il naso  parlando di «aspetti da correggere», anche se «sono stati fatti passi  avanti sui contratti a termine». La convergenza con i sindacati  avverrebbe sul «contratto di apprendistato a tempo indeterminato», ma  resterebbero in vigore moltissimi contratti «atipici» anche se il  ministro ha detto che «dovrebbero costare un po' di più».
Che misure  come queste siano in grado di abbattere il tasso di disoccuparione  dall'attuale 9,2% all'obiettivo dichiarato dal governo (4-5%), appare  decisamente utopistico. Certo, le imprese avranno un bel po' di mano  libera sui lavoratori che decidono di tenere o di licenziare. Ma non c'è  nulla in queste proposte che, onestamente, possa essere considerato un  «incentivo all'assunzione». Solo un abbattimento violento del grado di  copertura degli ammortizzatori sociali, nell'illusione che poi «il  mercato» sappia mettere ordine da solo nei disastri che ha provocato.
F. Piccioni - 13/03/2012
il Manifesto
 
 
 
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