domenica 11 settembre 2011

F.S.: Cremaschi, il successo dell’assemblea di Roma è fuori discussione.

G.C.: Si riconferma che c’è uno spazio sociale unitario che chiede un cambio netto e che va oltre la semplice cacciata del governo Berlusconi. E quindi, per questo, incontra due avversari: uno è Belusconi, e l’altro è il fronte delle banche, che stanno chiaramente distruggendo i diritti sociali. L’idea di fondo è che è che il cosiddetto debito si può anche non pagare. Bisogna far pagare i ricchi, certo, ma non per dare i soldi alla Bce, bensì per finanziare le case, le scuole, gli ospedali e i diritti sociali.


Non è esattamente quello di cui si sente parlare sui maggiori giornali.

Sta passando l’idea che il Pd sta producendo uno scontro con il Governo, ma in realtà dietro c’è il grande capitale che contemporaneamente porta avanti l’offensiva contro i diritti attraverso il famigerato articolo 8. Contro questo disegno c’è attualmente una radicalità sociale che non ha rappresentanza.

La Cgil, che si è espressa contro l’articolo 8, non dovrebbe rappresentare questa radicalità? Non mi sembra sia in queste condizioni. Cioè mi sembra stare nell’angolo. All’ultimo direttivo non è riuscita nemmeno a chiedere a Confindustria e a Cisl e Uil lo stralcio dell’articolo 8. E’ chiaro che la confederazione è in crisi e che questa crisi si risolve in un sostanziale comportamento schizofrenico.

Cosa vuoi dire?

Voglio dire che il 4 agosto la Cgil ha firmato un manifesto con gli imprenditori in cui si sbandiera l’importanza delle privatizzazioni, dell’attacco alle pensioni, della tassazione degli straordinari e di tante altre perle di questo tipo, e poi il 6 settembre ha fatto lo sciopero generale. Senza contare che quello stesso manifesto, e l’accordo del 28 giugno, sono stati la base utilizzata dal governo per attaccare i diritti sociali. Questa contraddittorietà ha una sola spiegazione, e cioè che il gruppo dirigente usa i movimenti sociali, ma appoggia la formula politica dell’unità nazionale. E allora dico: basta fare politica pensando all’angoscia dei mercati, occorre pensare all’angoscia dei lavoratori e degli strati sociali più deboli. La Cgil è nella tenaglia e il gruppo dirigente rischia di trasformare l’accordo del 28 giugno in una piattaforma che cerca di limitare i danni dell’articolo 8 del ministro Sacconi. La schizofrenia porterà fatalmente ad una subalternità a Cisl e Uil, oppure a restare nell’angolo, impotenti.

Cosa dovrebbe fare la Cgil e l’opposizione in Cgil?

Questa Cgil non è in grado di usare l’unica parola giusta: discontinuità. Ed è per questo che non incontra la radicalità che si sta esprimendo in questo paese. E poi basta con questa subalternità del gruppo dirigente al Pd. In Cgil occorre alzare la voce. Il gruppo dirigente deve sapere che chi lotta non può accettare che tutto finisca in un governo di unità nazionale. Il punto non è mettere in equilibrio i sacrifici, ma smetterla con la pratica dei sacrifici. Ed è per questo, per esempio, che vanno trovati cinquanta miliardi da mettere a disposizione di un piano a favore del lavoro. E’ chiaro che un provvedimento del genere apre un conflitto, anche con il presidente della Repubblica. Ma il punto è che fino ad oggi quella istituzione non ha rappresentato gli interessi al di sopra delle parti. E quindi è criticabilissima.

A parte l’opposizione interna in Cgil non sembra muoversi granché…

Ci sono tanti dirigenti sindacali che nei corridoi dicono di non essere d’accordo e poi votano a favore. Stanno diventando una caricatura della politica. E all’opposizione lancio un appello: occorre rendere visibile il dissenso nelle piazze. Tra l’altro è necessario che reagiamo con fermezza a un inaccettabile clima autoritario in Cgil. Penso a tanti episodi in tutta Italia di mortificazione, in particolare all’espulsione di Ezio Casagrande, dirigente storico della Cgil trentina, e al licenziamento del vice-presidente del Comitato direttivo, Maurizio Scarpa, che viene rimandato a lavorare per puri motivi politici.

Che bilancio fai di questa prima fase di presenza della Fiom nelle piazze a pochi giorni dal varo della piattaforma per il rinnovo del contratto nazionale?

La Fiom il prossimo 22 e 23 settembre dovrà discutere della piattaforma, ma anche del fatto che se passa definitivamente l’articolo 8 la piattaforma per il rinnovo contrattuale si collocherebbe paradossalmente fuori dalla legge. E quindi un contratto nazionale che tuteli veramente i lavoratori è raggiungibile solo facendo saltare il banco.

Fabio Salvatori, pubblicato su Liberazione

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