Con la firma del Presidente della Repubblica sono diventati veramente operativi i decreti che incorporano la manovra voluta dal Governo e approvata dal Parlamento. E’ un giorno nero per la democrazia italiana e non solo perché questa manovra produrrà drammatici tagli sociali, aumenterà la disoccupazione, aggraverà tutta la condizione economica del paese senza minimamente porre rimedio alla speculazione sul debito. Ma anche perché questa manovra contiene gravissime violazioni di principi fondamentali della nostra Costituzione.
Con la parte del decreto che riguarda le liberalizzazioni e le privatizzazioni si è completamente ignorato il risultato del referendum di giugno. Sostanzialmente il decreto Ronchi sulla privatizzazione dei beni comuni viene ripristinato, alla faccia del pronunciamento dei cittadini. Per quanto riguarda il lavoro c’è poi il famigerato articolo 8, che la Camera ha votato di rivedere, ma che intanto diventa pienamente operativo. I contratti in deroga potranno stabilire contratti e legislazioni diverse da quelle della Repubblica italiana, nel nome della competitività e della produttività. E’ la cancellazione di tutti gli articoli sociali della Costituzione e la soppressione, prima ancora che il Parlamento lo abbia deciso, dell’articolo 41 della nostra Carta.
E’ vero che la raccomandazione della Camera chiede di trovare una soluzione che attenui la portata liberticida di quel decreto, riconducendo tutta la materia all’accordo del 28 giugno. Ma intanto il decreto c’è e l’amministratore delegato della Fiat, Marchionne, prima di scontrarsi con i sindacati americani, ne ha apprezzato il rigore e la chiarezza. Il confronto fra le parti sociali dovrebbe quindi correggere l’articolo 8 , avvicinandolo al già disastroso accordo del 28 giugno, con la spada di Damocle della legge già approvata e del ricatto della Fiat e di chiunque sia interessato a distruggere i diritti del lavoro.
Duole che il capo dello Stato abbia ignorato gli appelli a lui rivolti perché i commi anticostituzionali venissero rinviati alle Camere, mentre l’ufficio stampa della Presidenza della repubblica ha espressamente polemizzato con chi faceva richieste in tal senso, a partire dal segretario generale della Fiom. A chi si deve rivolgere, in Italia, chi crede che una legge violi brutalmente la Costituzione? A un Parlamento che ha votato a maggioranza che Rubi è effettivamente la nipote di Mubarak? No. E’ evidente che in quella sede i dubbi di costituzionalità non possono trovare soluzione. E’ quindi sacrosanto rivolgersi alla più alta carica dello Stato, quando si vedono messi in discussione diritti fondamentali. Ed è un sacrosanto diritto anche criticare la Presidenza della Repubblica quando ignora queste richieste. Che per rassicurare i mercati si debba così tranquillamente soprassedere a principi fondamentali della nostra Costituzione, è un ulteriore segno della crisi della nostra democrazia.
di Giorgio Cremaschi
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