Nello stesso giorno in cui il palazzo festeggia l'annuncio del ritiro
da parte della Commissione Europea della procedura di infrazione per
eccesso di deficit, l'OCSE rivede in peggio le previsioni sulla
disoccupazione ufficiale.
Che continuerà a crescere per tutto quest'anno
e per quello prossimo, fino a superare il 12%,un livello da anni trenta
del secolo scorso.Se davvero la questione sociale fosse al centro delle
preoccupazioni, il secondo dato avrebbe la precedenza sul primo. Ma
naturalmente non è così.(...)
Con le politiche di austerità la classe dirigente del paese
ha scelto consapevolmente di pagare le riduzione dello spread
finanziario con la più che proporzionale crescita dello spread sociale,
il resto sono solo lacrime di coccodrillo e ipocrisia elettorale.
Il
Presidente della Corte dei Conti ha calcolato in 230 miliardi di euro
il mancato prodotto dovuto alle politiche di austerità. Se nel 2014 sarà
possibile davvero, come sostiene il governo, recuperare 10 miliardi per
investimenti, sarà un ventitreesimo di ciò che si è perso.
La
crisi e la recessione, con i loro costi sociali sempre più alti,
continueranno non malgrado, ma proprio a causa di quella scelta
prioritaria di riduzione del deficit per cui oggi Monti e Letta sono
premiati in Europa.
Come si dice nei più falsi comunicati medici, l'operazione è tecnicamente riuscita, ma il paziente....
Immagino
a questo punto la solita obiezione scandalizzata: ma la riduzione del
debito pubblico è una priorità assoluta, chi la rifiuta è nemico della
buona economia e delle nuove generazioni, a cui quelle vecchie
spendaccione lasciano da pagare i conti delle loro dissipatezze.
Per
mostrare il carattere assolutamente ideologico e in malafede di questa
affermazione basterebbe un dato di fatto. Cioè l'aumento dell'ammontare
del debito pubblico.
Da quando Berlusconi, Monti e ora
Letta hanno adottato l'austerità, lo stock del debito è aumentato di
quasi 200 miliardi. Quindi le politiche del rigore lasciano alle nuove
generazioni più debito da pagare di quelle della "spesa facile".
Se però consideriamo troppo volgare misurarci con la brutalità di questi dati di fatto, allora andiamo alla idea di fondo.
Cosa
lasciano le generazioni precedenti a quelle future? Quello che hanno
ereditato dal passato, dal Colosseo alle strade agli ospedali alle
scuole, e quello che hanno speso per mantenere e migliorare i beni
ricevuti. Il debito non è dunque male in sé, lo diventa in base a
quello che finanzia.
Se si spende per migliorare la vita,
l'ambiente, la cultura, si lascia un debito che le generazioni future
non potranno che positivamente condividere.
Se il debito
serve a pagare i profitti delle banche e della finanza, la corruzione,
gli F35 e la Tav in Vallesusa, allora è giusto che sia messo in
discussione.
Il paradosso è che le politiche di taglio
del debito nel nome delle nuove generazioni lasciano sostanzialmente
inalterate le spese cattive, e massacrano quelle buone. Questa è la
sostanza della austerità, che altro non è che il tentativo di continuare
le politiche economiche liberiste in crisi, facendone pagare tutti i
costi non genericamente a questa o a quella generazione, ma a tutte le
persone più povere di tutte le generazioni e a ogni età del mondo del
lavoro.
Perché da noi non ci si divide aspramente su
questo? Perché la politica ufficiale si scontra spesso sul nulla e mai
sul debito, sull'austerità e sui patti europei che la impongono?
Il
conformismo delle classi dirigenti e l'assenza di uno scontro tra
alternative reali, che ha come primo effetto l'astensionismo di massa,
non è però solo colpa della casta politica o sindacale.
Anche
gli intellettuali e il mondo della informazione hanno la loro quota di
responsabilità. Negli Stati Uniti il premio Nobel Paul Krugman è
arrivato agli insulti con i teorici liberisti della austerità Rogoff e
Rheinart. In Italia gli esperti economici ufficiali di destra e
sinistra quando vanno in tv si danno sempre ragione gli uni con gli
altri. E infatti è stato ancora una volta l'americano Krugman ad
attaccare Alberto Alesina e la Bocconi per i danni che le loro teorie
economiche stanno combinando in Italia e in Europa. In Italia silenzio.
È
di questo che muore il paese, di cure sbagliate propalate e accettate
da gran parte della classe dirigente politica e intellettuale per
malafede, conformismo, opportunismo.
Da noi più che mai la crisi economica è crisi intellettuale e morale.
G.Cremaschi - 29/05/2013
Rete 28 Aprile
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