Cari compagni della FIOM,tornati a casa dopo la tour di 24 ore di ieri, anche voi vi porrete sicuramente la domanda su come è andata,(...)
farete anche voi nelle strutture direttive del sindacato i vostri
bilanci. Io per conto mio ho fatto qualche pensata che vorrei
trasmettervi. Riflessioni che non possono essere che parziali in quanto
mi posso solamente riferire a quanto ho visto e sentito personalmente.
Coinvolgo nella distribuzione di questo testo (c/c) compagni di lotta
sindacale e politica con i quali sono in discussione.
Partirete
sicuramente anche voi dalla questione partecipazione. Ho fatto il
viaggio con il pulman da Sesto, e vi devo dire che sono rimasto
spaventato. Il pulman di Sesto non era pieno neanche a metà. Se negli
altri due pulman da Milano è stato simile, siamo stato neanche in cento a
venire a Roma. Dei quali tanti non-metalmeccanici. Che da un lato è un
buon segno, perché la FIOM coinvolge, però rimane la domanda: dove erano
i metalmeccanici milanesi quel giorno? Sul pulman di Sesto i delegati,
quelli che conosco, erano praticamente assenti. A Roma non ho visto
neanche un segno delle nostre fabbriche in lotta: la Marcegaglia per
esempio che proprio in questi giorni annuncia esuberi in tutta Italia,
dove era? La Nokia Siemens di Cassina? Eccetera. Parlando con uno di voi
mi avete parlato di “difficoltà” riscontrate durante la assemblee.
Anch’io credo, un problema c’è. Viviamo in un periodo di attacchi del
capitalismo alle condizioni di lavoro e di vita mai visti, e per cui il
bisogno oggettivo di sindacato è molto forte. Per quale motivo gli
operai e i lavoratori delle nostra fabbriche si assentono
dall’iniziativa sindacale? Quando il viaggio è pure gratis. Cosa dicono i
delegati? Quali sono state le voci durante gli attivi? Cosa dicono i
lavoratori delle aziende? Cosa si aspettano dal sindacato in questo
periodo? Nell’analisi delle risposte a queste domande si potrebbe
trovare forse qualcosa sulle cause delle difficoltà.
Seconda
la mia impressione il corteo era bello lungo e pieno, ben partecipato.
Non ho avuto però l’impressione di un corteo incazzuto. I fischietti
distribuiti all’arrivo a Roma non li ho praticamente sentiti. Sembrava
piuttosto una tranquilla passeggiata romana. E la piazza? Mi sono
fermato per sentire tutti interventi. Quando ha iniziato parlare il
segretario Landini me ne sono andato dopo neanche cinque minuti. Niente
di nuovo, già tutto sentito. E credo che non solamente io mi trovavo in
questo stato d’animo, visto che la piazza si stava lentamente svuotando
per rimanere in non più di cinquemila. Mi posso sbagliare. In ogni caso
credo che questo sia un altro problema, se non lo stesso di sopra. In
decine di migliaia veniamo da tutta Italia nella capitale per
manifestare … che cosa? In ogni caso, al momento clou della giornata,
quando inizia il comizio che dovrebbe riassumere lo stato d’animo di
tutti quelli che sono venuti e quando si dovrebbero ascoltare idee
strategiche del sindacato su come difendersi, su come lottare con
successo, i metalmeccanici se ne vanno, me compreso. Sicuramente anche
voi avete fatto queste osservazioni, e mi interesserebbe conoscere le
vostre conclusioni.
Tornato
a casa mi sono fatto la banale domanda: ma perché sono andato a Roma?
Riformulo: che cosa abbiamo voluto raggiungere con la manifestazione?
“Non possiamo più aspettare” è stato il capello di tutta la iniziativa.
Un motto che in sé è vuoto e già si gridava anni fa. Ammesso che sia
adatto alla situazione di oggi, sorge la domanda: cosa vogliamo che
venga fatto? Vorrei fare un passo indietro: Come stiamo? Quali sono i
nostri problemi? Quello che elenco lo sapete anche voi. La nostra realtà
si è trasformata in una macelleria di lavoro e sociale. Le fabbriche
chiudono una dopo l’altra, la nostra Sesto purtroppo ne e bruttissimo
esempio. I ruderi della ex-FALK, sempre lì come uno scheletro vivente,
ci ne ricordano tutti i giorni. Nuove non ne aprono. Il sistema di
produzione industriale di Italia viene fatto a pezzi. Con le
pesantissime conseguenze sul tutto l’apparato produttivo della società
in cui viviamo. E chi rimane dentro è costretto di lavorare di più per
lo stesso salario (vedi ultimi rinnovi CCNL di alcune categorie) con
sempre meno diritti. La precarietà di lavoro e di vita è diventata la
norma. Con il sindacato che lascia fare, alcuni scioperini dimostrativi a
parte. Viviamo in un mondo che, se vogliamo ribellarci con successo,
richiederebbe una denuncia pesante, ma molto pesante. Tutta questa
denuncia alla crisi del capitalismo e agli effetti della crisi sui
lavoratori non c’è stata in Piazza San Giovanni. La vita dei lavoratori,
della classi popolari non è stata nel centro nelle cose che sono state
dette dai microfoni in piazza. A volte avevo la sensazione che il nostro
problema principale fosse la costituzione, da salvare, da modificare,
sia quello che sia. I dati che ciclicamente vengono pubblicati
dall’ISTAT su PIL, disoccupazione, disoccupazione giovanile, caduta del
reddito, da un certo punto di vista soddisfano più questa bisogno di
denuncia che gli interventi sentiti ieri, salvo qualche eccezione.
Denuncia non vuol dire che abbiamo qualche problema. La denuncia che il
sindacato dovrebbe fare è lo smascherare di sfruttamento, precarietà e
povertà e andare con questo fino alle ossa del sistema. Questa mancanza
mi sembra caratteristica negativa principale di tutta l’iniziativa. Si
rimane in superficie, si chiede una politica un po’ diversa. Senza
sviluppare questa denuncia, senza porsi la domanda da dove viene la
crisi e quali sono le sua cause, senza affrontare seriamente questa
domanda, quale valore può avere quando il segretario l’ennesima volta
apostrofa “ci vuole un nuovo modello di sistema politico-economico”.
Sono domande e argomenti difficili, ma vanno affrontati. Se no, perché i
lavoratori dovrebbero assumersi il sacrificio del tour di Roma? Un mio
amico esodato è venuto a Roma con il cartello “Agire insieme contro la
disoccupazione”. Credete che adesso sa come agire, collettivamente
intendo?
In
questi mesi nel sindacato sono successe della cose di cui voglio
enunciare solamente alcune. Sappiamo che proprio ieri era previsto la
conclusione di un nuovo patto su rappresentanza e democrazia tra
sindacati e Confindustria. Sapete anche voi che la clausola
dell’”esigibilità” prevede che chi non aderisce al CCNL non ha più
diritto di protestare. Certo, chi firma, non ha neanche motivo.
Ragionando fino in fondo, questo nuovo patto elimina il senso del
sindacato. E’ anti-democrazia sindacale che grida vendetta. Ne avete
sentito qualcosa dal palco? Davanti a questa situazione, quale valore,
quale credibilità può avere la richiesta della legge per la
rappresentanza? Si vuole trasformare il patto in legge? Invece abbiamo
sentito N. Nicolosi per fare propaganda indiretta a questo scempio
sindacale. Altro episodio che voglio nominare qui è l’estromissione del
compagno Sergio Bellavita del direttivo del comitato centrale della
FIOM. Bruttissimo esempio di pre-potenza sindacale. Annientare il
pensiero dell’altro perché da fastidio. Da quando questo è pratica di
democrazia sindacale? In ogni caso, non riesco a non collegare eventi di
cui sopra con i problemi riscontrati per mobilitare alle manifestazione
nazionale della FIOM.
Noto
anche una difficoltà generale di fare discussione con voi compagni
funzionari su argomenti critici. Quello che riscontro sono la difesa del
sindacato e l’autocelebrazione. Sono venuto a Roma con il cartellone
“Nazionalizzare le aziende in crisi”. Nazionalizzare perché la risposta
che conosce il capitale privato sono licenziamenti, esternalizzazioni,
riduzione dello stipendio. La FIAT è esempio scalzante, la FIAT che come
tanti altri si è tirata su con i nostri soldi. Nazionalizzare per
salvare i posti di lavoro e con esso il lavoro. Nazionalizzare per
estrarre un bene fondamentale dal regno del capitale finanziario. Ma non
per trasformarlo in capitale pubblico, per cui “La fabbriche sotto
controllo operaio”, cioè di chi fa la produzione. Discorsi complessi,
però indispensabili. Purtroppo, l’unica reazione che mi è giunta da
parte vostra è stato un laconico deriso. Discussione chiusa. Non così
con la piazza.
Sul
viaggio di ritorno nel pulman FIOM è stato proiettato un film
poliziesco, sicuramente scelto con l’idea di offrire un po’ di svago.
Però: un film poliziesco e di inseguimento, un’americanata pura. Devo
dirvi che mi sentivo peggio che sui viaggi di ritorno in pulman con lo
ski-club. E’ questa la cultura che il sappiamo offrire alla gente? La
non-cultura? Se è così, poveri noi. Ma non deve essere così.
Lutz, Milano 19 maggio ‘13
Rete28aprile* * * * * * *
Un'inutile sfilata?
La Fiom di Landini sfila a Roma: molti slogan poche strategie.
Si è concluso nel primo pomeriggio di sabato quello che era stato
preannunciato come un corteo con obiettivi ambiziosi: "diritto al
lavoro, all'istruzione, alla salute, al reddito, alla cittadinanza, per
la giustizia sociale e la democrazia".
"La priorità è il lavoro, non l'Imu" secondo Maurizio Landini. Per il segretario generale della Fiom i primi provvedimenti presi da Palazzo Chigi "non ci fanno uscire dall'emergenza, non ci fanno guardare al futuro". "Occorrono la riforma della cassa integrazione e il reddito di cittadinanza", ha quindi aggiunto il leader sindacale. Ottimi slogan certo. Ma con gli slogan non si otterranno posti di lavoro; per restituire centralità alle rivendicazioni delle classi lavoratrici, la Fiom dovrebbe attuare una strategia in netta discontinuità rispetto a quanto fatto in questi anni. Ma restando la strada maestra quella delle gite nella Capitale assolata, con le celebrity a fare discorsi edificanti dal palco, la richiesta di lavoro, magari decentemente retribuito, non troverà per molto tempo ancora orecchie ricettive. A maggior ragione se l'interlocutore è l'esecutivo di larghe intese Napolitano-Letta-Berlusconi: è come chiedere al lupo cattivo di non mangiare cappuccetto rosso.
La preoccupazione del Segretario Generale era quella di polemizzare con il Pd perché non presente ufficialmente in piazza: "Non capisco come si può essere al governo con Berlusconi ed avere paura di essere qui". Come se il Pd fosse ancora da considerare un interlocutore affidabile per il mondo del lavoro! Come se prima delle "larghe intese" con Berlusconi, non avesse appoggiato il Governo "tecnico" di Mario Monti, sempre in combutta con il Pdl. Come se ci fossero dubbi su quali siano gli interessi (di classe) che rappresenta il Pd.
La sfilata a cui abbiamo assistito era dunque niente più che una manifestazione di rito, a cui hanno preso parte (numeri reali) 25-30 mila persone. Significativo che una delle componenti più importanti fosse costituita dai pensionati dello Spi-Cgil, mentre il clima generale ricordava più una gita del dopo lavoro che un corteo combattivo in grado di rappresentare la rabbia e la sofferenza diffusa.
Viviamo in tempi dove questo genere di riti hanno sempre minor presa sociale. E si è visto fin troppo bene. Basti ricordare che il 16 ottobre 2010 la Fiom della lotta contro Marchionne, nella stessa piazza San Giovanni, aveva portato circa 500.000 manifestanti. Meno di tre anni hanno profondamente segnato la storia dell'organizzazione dei metalmeccanici, che si è tramutata nell'ombra del più antico e glorioso sindacato italiano. Piegato e svilito da una linea politica rinunciataria, passiva, perdente. Una linea che ha sostituito il conflitto sociale, unica strada, seppur difficile, per difendere veramente i diritti dei lavoratori, con le battaglie dei ricorsi in tribunale.
Addirittura Landini aveva preannunciato che l'iniziativa di ieri non sarebbe stata contro il governo. E contro chi allora? Contro nessuno? E per quale ragione i lavoratori dovrebbero partecipare ad un corteo contro nessuno? Come se nessuno fosse responsabile del massacro sociale, dell'austerità e dell'annientamento dei diritti. E se Landini dal palco ha precisato che "noi siamo qui perché non rinunciamo ad un'idea di fondo, quella di cambiare questo paese", ci sfugge come possa credere di cambiare questo paese temendo di chiamare per nome e per cognome gli avversari dei lavoratori che dovrebbe rappresentare. Senza spendere nemmeno una parola per denunciare l'abominevole matrimonio Cgil-Cisl-Uil con Confindustria, chiamato anche accordo sulla rappresentanza e democrazia, che riserva ai soli sindacati complici la possibilità di agire all'interno dell'ambito di lavoro. In pratica la generalizzazione del modello Marchionne.
Insomma l'impressione è che la Fiom di Landini non abbia più le risorse per offrire ai lavoratori una risposta all'altezza degli attacchi che subiscono quotidianamente.
A. Lami - 19/05/2013
http://megachip.globalist.it
"La priorità è il lavoro, non l'Imu" secondo Maurizio Landini. Per il segretario generale della Fiom i primi provvedimenti presi da Palazzo Chigi "non ci fanno uscire dall'emergenza, non ci fanno guardare al futuro". "Occorrono la riforma della cassa integrazione e il reddito di cittadinanza", ha quindi aggiunto il leader sindacale. Ottimi slogan certo. Ma con gli slogan non si otterranno posti di lavoro; per restituire centralità alle rivendicazioni delle classi lavoratrici, la Fiom dovrebbe attuare una strategia in netta discontinuità rispetto a quanto fatto in questi anni. Ma restando la strada maestra quella delle gite nella Capitale assolata, con le celebrity a fare discorsi edificanti dal palco, la richiesta di lavoro, magari decentemente retribuito, non troverà per molto tempo ancora orecchie ricettive. A maggior ragione se l'interlocutore è l'esecutivo di larghe intese Napolitano-Letta-Berlusconi: è come chiedere al lupo cattivo di non mangiare cappuccetto rosso.
La preoccupazione del Segretario Generale era quella di polemizzare con il Pd perché non presente ufficialmente in piazza: "Non capisco come si può essere al governo con Berlusconi ed avere paura di essere qui". Come se il Pd fosse ancora da considerare un interlocutore affidabile per il mondo del lavoro! Come se prima delle "larghe intese" con Berlusconi, non avesse appoggiato il Governo "tecnico" di Mario Monti, sempre in combutta con il Pdl. Come se ci fossero dubbi su quali siano gli interessi (di classe) che rappresenta il Pd.
La sfilata a cui abbiamo assistito era dunque niente più che una manifestazione di rito, a cui hanno preso parte (numeri reali) 25-30 mila persone. Significativo che una delle componenti più importanti fosse costituita dai pensionati dello Spi-Cgil, mentre il clima generale ricordava più una gita del dopo lavoro che un corteo combattivo in grado di rappresentare la rabbia e la sofferenza diffusa.
Viviamo in tempi dove questo genere di riti hanno sempre minor presa sociale. E si è visto fin troppo bene. Basti ricordare che il 16 ottobre 2010 la Fiom della lotta contro Marchionne, nella stessa piazza San Giovanni, aveva portato circa 500.000 manifestanti. Meno di tre anni hanno profondamente segnato la storia dell'organizzazione dei metalmeccanici, che si è tramutata nell'ombra del più antico e glorioso sindacato italiano. Piegato e svilito da una linea politica rinunciataria, passiva, perdente. Una linea che ha sostituito il conflitto sociale, unica strada, seppur difficile, per difendere veramente i diritti dei lavoratori, con le battaglie dei ricorsi in tribunale.
Addirittura Landini aveva preannunciato che l'iniziativa di ieri non sarebbe stata contro il governo. E contro chi allora? Contro nessuno? E per quale ragione i lavoratori dovrebbero partecipare ad un corteo contro nessuno? Come se nessuno fosse responsabile del massacro sociale, dell'austerità e dell'annientamento dei diritti. E se Landini dal palco ha precisato che "noi siamo qui perché non rinunciamo ad un'idea di fondo, quella di cambiare questo paese", ci sfugge come possa credere di cambiare questo paese temendo di chiamare per nome e per cognome gli avversari dei lavoratori che dovrebbe rappresentare. Senza spendere nemmeno una parola per denunciare l'abominevole matrimonio Cgil-Cisl-Uil con Confindustria, chiamato anche accordo sulla rappresentanza e democrazia, che riserva ai soli sindacati complici la possibilità di agire all'interno dell'ambito di lavoro. In pratica la generalizzazione del modello Marchionne.
Insomma l'impressione è che la Fiom di Landini non abbia più le risorse per offrire ai lavoratori una risposta all'altezza degli attacchi che subiscono quotidianamente.
A. Lami - 19/05/2013
http://megachip.globalist.it
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