Centinaia  di migliaia di lavoratori fuori dal lavoro e senza pensione, oppure  costretti a pagare una seconda volta i contributi previdenziali. Il patronato Inca Cgil non usa mezzi termini per definire la "ricongiunzione onerosa" dei contributi. Domanda a Fornero: "Può una nuova legge cancellare contratti e accordi già firmati?"
Un «furto legalizzato», ma anche «il delirio di un folle». Si sta  parlando degli effetti concreti della prodigiosa «riforma delle  pensioni» approvata in pochi giorni dal governo Monti. 
L'Inca Cgil ha voluto limitare la sua denuncia, ieri, soltanto a due «effetti diretti» di quel provvedimento, nel timore - fondato - che i giornalisti si perdessero negli infiniti meandri una una «riforma» fatta secondo criteri che ricordano il tracciamento coloniale dei confini di certi paesi sahariani: con la riga e la squadra, senza guardare chi cadeva dentro o fuori.
L'Inca Cgil ha voluto limitare la sua denuncia, ieri, soltanto a due «effetti diretti» di quel provvedimento, nel timore - fondato - che i giornalisti si perdessero negli infiniti meandri una una «riforma» fatta secondo criteri che ricordano il tracciamento coloniale dei confini di certi paesi sahariani: con la riga e la squadra, senza guardare chi cadeva dentro o fuori.
Il primo punto riguarda i cosiddetti «esodati»,  lavoratori messi fuori dalla produzione grazie ad accordi sottoscritti  con l'azienda e con il governo, secondo le regole pensionistiche in  vigore fino al 4 dicembre 2011. Gente al momento senza pensione, senza  più posto di lavoro e spesso persino senza ammortizzatori sociali. La  platea identificata dall'Inca comprende quanti sono ancora in mobilità o  che stavano per andarci, ma anche chi è uscito per crisi e  ristrutturazione aziendale, quanti sono stati convinti dall'azienda ad  uscirsene con incentivi, ché tanto le pensione era lì a un passo.
La  «riforma» ha confermato il taglio dei ponti alle spalle, ma ha  allontanato il traguardi di molti anni (fino a 7, in alcuni casi). Il  loro numero è stato quantificato dall'Inps in 70.000, inizialmente; ma  si riferisce solo ai casi già arrivati all'attenzione dell'istituto,  ossia accordi siglati prima del 4 dicembre. Ma da allora sono andati in  porto dismissioni importanti (Termini Imerese e Irisbus, per dirne due),  con migliaia di persone coinvolte. La manovra prevedeva una «cifra x»,  da decidere, per «coprire» queste posizioni; ma ammoniva anche che si  trattava di un fondo «a esaurimento»: finché c'erano soldi si paga, poi  amen. Con buona parte di un diritto fin qui certo (l'andare in pensione  dopo una vita di lavoro).
L'iter parlamentare del «milleproroghe»,  che doveva porre riparo alla «disattenzione» del governo, peggiorava  addirittura la situazione: veniva allargata la platea dei possibili  beneficiari, ma il fondo rimaneva uguale. La Cgil - spiegano sia Vera  Lamonica (segretario confederale) che Morena Piccinini, presidente  dell'Inca - chiede di sapere se «gli accordi con il governo sono validi o  no?»; e, dal ministro, «qual'è l'atto riparativo che ha  promesso e quando sarà deliberato». Ma il ministro Fornero, per ora, non  ha mai neppure risposto.
La seconda questione è in prospettiva  persino più esplosiva, anche se già ora sta facendo danni formidabili.  Si parla della «ricongiunzione contributiva onerosa», una misura decisa  dal governo Berlusconi - ai tempi della sua «riforma delle pensioni.  Avendo deciso di equiparare l'età pensionabile delle donne a quelle  degli uomini, nel pubblico impiego (uno «scalone» di ben 5 anni), si  pensava che molte avrebbero preferito ritirarsi subito, anche prendendo  un assegno minore. Quindi, per scoraggiarle, fu deciso di far loro  pagare la «ricongiunzione» tra i diversi periodi contributivi della loro  vita lavorativa. Ben poche vi fecero ricorso, ma la norma è rimasta.
L'attuale governo ha avuto il colpo di genio, rivelando solo qui una «competenza tecnica» degna di miglior causa: ha esteso a tutti questa norma. Con effetti  letali. Misura decisa «per equità», perché «era necessario metter fine  ai privilegi», dice il governo. Mentendo. La «ricongiunzione» - tra  istituti che oltretutto sono in corso di unificazione, come Inpdap e  Inps - è sempre stata gratuita per chi passava da un trattamento  migliore a uno peggiore; onerosa solo per il viceversa. Ora pagano  tutti, a prescindere.
La tragedia nasce dal fatto che si è obbligati a  pagare - e cifre inconcepibili, per un lavoratore dipendente: decine di  migliaia di euro - se per caso, pur avendo fatto sempre lo stesso  lavoro nella stessa azienda, è cambiata la «ragione sociale» della  ditta. È il caso delle Poste e Ipost, con persone contributivamente  trasferite - per decisione dell'allora a.d., Corrado Passera -  dall'Inpdap (statali) all'Inps (privati). Ora dovrebbero ripagarsi una  seconda volta tutto un (lungo) periodo contributivo già versato,  altrimenti la loro pensione sarà quella di uno che ha lavorato appena  20-25 anni. Di fatto, gli anni di contributi non utilizzabili sono  incamerati senza un servizio corrispettivo. È dunque legittimo parlare  di «furto legalizzato», con lo Stato nella parte del ladro.
Ma si  trovano nella stessa situazione anche tutti coloro che sono stati  «privatizzati» (le municipalizzate, Telecom, Alitalia, ecc), scorporati,  esternalizzati, o riassunti da una «newco» (pensate a Fiat? toccherà  anche a loro, ovvio). Per non dire dire dei giovani che, secondo gli  stessi ministri, «devono abituarsi a cambiare spesso lavoro». Cosa  accadrà quando, com'è giusto, dovranno «ritirarsi»? Quanto dovranno  versare per «riunificare» una carriera lavorativa svolta sotto 12 o 20  società diverse, tra periodi mancanti o fasi da «partita Iva»? Di fatto,  quello che era il diritto alla pensione per chi ha sempre lavorato,  diventa ora «una lotteria», o un diritto puramente «ipotetico». Ossia  l'esatto contrario di un diritto garantito dallo Stato.
La Cgil  minaccia ovviamente cause legali. Ma a lavoratori che pure hanno lo  stesso problema sembra impossibile persino praticare la strada della  class action. Pare che il genio legislativo che l'ha materialmente  scritta l'abbia congegnata in modo tale da renderla inapplicabile;  perlomeno in casi simili.
Un comma 22. 
La domanda che anche in casa Cgil sorge al termine di questa disarmante ricognizione è abbastanza precisa: «ma una nuova legge può sciogliere contratti e regole precedenti, liberamente sottoscritti da soggetti indipendenti e persino dallo Stato?». In regime di democrazia, no. Può accadere solo in caso di golpe o di rivoluzione. Ma, quest'ultima, non l'abbiamo vista passare...
La domanda che anche in casa Cgil sorge al termine di questa disarmante ricognizione è abbastanza precisa: «ma una nuova legge può sciogliere contratti e regole precedenti, liberamente sottoscritti da soggetti indipendenti e persino dallo Stato?». In regime di democrazia, no. Può accadere solo in caso di golpe o di rivoluzione. Ma, quest'ultima, non l'abbiamo vista passare...
manifesto - 22/02/2012
 
 
 
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