Assemblea nazionale Fiom
Le ragioni dello sciopero generale
Un'assemblea nazionale di metalmeccanici non è un  pranzo di gala. Gli interventi «ingessati», qui, fanno salire un fischio  alle labbra (se ne accorgerà poi Danilo Barbi, neosegretario  confederale, mentre polemizza a vuoto con «chi privilegia i mezzi invece  che i fini»). Specie in una sala che è quasi un capannone industriale,  come questo Atlantico, alle porte di Roma. 
È anche per questo che Maurizio Landini -  segretario generale Fiom che deve spiegare le ragioni di uno sciopero  altrettanto generale - resta molto sul concreto, come sua abitudine:  «hanno cancellato le pensioni di anzianità e non va bene; un conto è  fare il professore universitario, che in cattedra fino a 70 anni ci puoi  anche stare, tutt'altro è stare alla catena, negli ospedali o negli  asili nido». Un attacco frontale a una logica ragionieristica che cerca  di far passare per «eque» misure che affondano in differenze pesanti  nella vita di ognuno: «i lavori non sono tutti uguali». Punto.
I  bersagli polemici sono trasparenti. Il governo dei «professori», qui,  non è per nulla popolare. «Siamo contenti che non ci sia più Berlusconi,  ricordo che siamo stati tra i pochi a scendere spesso in piazza per  mandarlo via». Ma questo non rende ciechi e sordi: «giudichiamo i  governi per quello che fanno», e questo sta devastando la coesione  sociale. Basta pensare al problema degli «esodati»: oltre 70.000  lavoratori, molti in tuta blu, che sono usciti dai posti di lavoro «in  base alle regole che esistevano in quel momento e come atto di  solidarietà per permettere ad altri, più giovani, di continuare a  lavorare»; persone oggi senza lavoro e senza pensione, a causa della  «riforma» computerizzata e disumana messa in campo a dicembre da Fornero  & co. Oppure all'art. 18, «che va tolto dalla trattativa con il  governo». Perché «è contraddittorio dire 'basta precarietà' e poi  abolirlo, rendendo così tutti precari».
Il tema di quest'assemblea è  lo sciopero dei metalmeccanici, certo. Ma in questa situazione è  difficile tracciare una separazione netta tra problemi di categoria e  confederali, o politici tout court. La relazione parte dal contratto  scaduto (quello del 2008, firmato anche dalla Fiom e poi disdettato da  Cisl e Uil, prima che dai padroni), dalla situazione in Fiat e dalla  tentazione, tra gli imprenditori, di «diffondere» il modello  «autoritario» di relazioni lì inaugurato con la svolta di Pomigliano. Ma  travalica di continuo i confini, assumendo i contorni potenti di una  piattaforma dell'opposizione sociale e politica.
D'altro canto, gli  inviti ai «movimenti» hanno portato qui centri sociali del Nordest (Luca  Casarini), sindaci No Tav, segretari di altre categorie Cgil (Carla  Cantone per lo Spi, Mimmo Pantaleo per scuola e università), i membri  dell'area programmatica «La Cgil che vogliamo». Voci tutte un po' fuori o  ai limiti del coro, che sentono la pressione sociale salire sotto politiche piovute da Marte.
Ma se i temi di carattere  generale acquistano prevalenza, non sono certo le tute blu a  spaventarsene. Questo si è sempre concepito come «sindacato generale».  Lo ricorda Landini en passant: «noi non siamo mai stati un sindacato  solo 'operaio'; fin dall'inizio ci siamo chiamati 'Federazione impiegati  e operai metalmeccanici'; e in Finmeccanica, piena di ingegneri, siamo  il primo sindacato».
Fuor di cronaca. La percezione comune è di  essere a un tornante della storia. Dopo 20 anni passati a «lasciar fare  al mercato, che risolve tutti i problemi», siamo in una crisi da cui  nessuno sa come uscire. Serve un «piano straordinario di investimenti  pubblici e privati», che inquadri un «nuovo modello di svluppo». Una  prospettiva che può essere persino insufficiente, ma nell'unica  direzione logica. Al contrario: qui stanno strozzando «il lavoro che  produce ricchezza» per «salvare la finanza che la distrugge». In questo  nuovo mondo, esemplificato dal governo Monti, non esistono più questioni  «solo» categoriali. «Se si defiscalizza il lavoro straordinario», per  esempio, si favorisce ovunque una riduzione dell'occupazione, a scapito  di quei giovani che tutti - a chiacchiere - dicono di voler difendere.  Al contrario, «se si ha a cuore l'occupazione bisogna defiscalizzare la  riduzione d'orario e i contratti di solidarietà».
La lista degli  interventi possibili e necessari è lunga. Quel che è peggio, per chi  oggi governa, è che si tratta di una lista con una coerenza interna  superiore. Ma non comanda. «È finito il tempo delle pacche sulle spalle,  quello in cui ci si chiama ai tavoli solo per i casi di crisi, perché  siamo rappresentativi; mentre gli accordi e i contratti si fanno con chi  dice sempre sì». Il paese sta rischiando il tracollo del sistema  industriale, quindi «noi non stiamo scherzando».
Va rovesciato  l'ordine delle «priorità». È un problema politico, oltre che sindacale.  Non a caso viene posto da un «sindacalista rock» - direbbe Celentano -  che chiude in una standing ovation al grido di «non ci avrete mai come  volete voi».
Appuntamento al 9 marzo; in piazza, a Roma. Tutti. 
F Piccioni - il Manifesto 19/02/2012
 
 
 
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