Un appello improvviso dal palazzo dei sindacati e delle imprese, chiede con urgenza al Governo un “patto per la crescita”. Ha ragione chi ha detto che è un tipico testo democristiano, dove si fanno grandi auspici che coprono manovre che non possono annunciate con chiarezza. L’appello nella sostanza chiede di cambiare il Governo, o almeno il ministro dell’Economia, o almeno quello dello Sviluppo economico. E lo fa nel nome dell’aggravarsi della crisi. Non c’è una sola proposta di merito in quel documento, se non la richiesta che l’economia debba riprendere a crescere con discontinuità, come dire che vogliamo il bel tempo dopo la tempesta. La realtà è che, se si va al concreto dei programmi che Il Sole 24 Ore allega all’appello, si vede che essi sono la versione italiana delle scelte greche. Tagli, tagli, e ancora tagli, soprattutto ai diritti, allo stato sociale, ai salari e ai contratti. E’ per questo che le banche possono firmare assieme agli artigiani e ai commercianti, che contro le banche sono scesi in piazza, e la Confindustria assieme alla Cgil, dopo che l’accordo del 28 giugno ha cominciato lo smantellamento del contratto nazionale.
Il segretario della Cisl, spiega che siamo in una situazione peggiore del ’92. E’ utile ricordare che in quell’anno il governo Amato, con un solo provvedimento, tagliò le pensioni delle donne, eliminò la scala mobile, bloccò tutta la contrattazione, aziendale e nazionale, aprì la via a tutte le privatizzazioni istituì una valanga di tasse. Se è quello il punto di riferimento, se, come auspica La Repubblica bisogna tornare allo spirito del ’92, allora il “patto per la crescita” non è altro che una nuova terribile stangata ai danni dei lavoratori e dei pensionati.
C’è però allora da chiedersi: e se Berlusconi uscisse dalla sua depressione finanziaria e politica e accettasse il “patto”? In questo modo firmerebbe un’assicurazione bancaria per la continuità del proprio governo e quindi renderebbe ridicola l’operazione politica tentata da chi, con l’appoggio delle banche, opera per sostituire Berlusconi con un governo più presentabile alle agenzie di rating. Se invece il Presidente del Consiglio dovesse rifiutare la proposta, cosa faranno i firmatari? Una manifestazione assieme ai rappresentanti della Goldmann Sachs? La realtà è che questo documento è solo un’ulteriore riprova della crisi complessiva delle classi dirigenti italiane, politiche, imprenditoriali e sindacali.
Fino a poche settimane fa avremmo detto che l’unica firma che stona in quel testo è quella della Cgil. Oggi purtroppo non possiamo più dirlo, perché la segreteria della Cgil ha appaltato alla Cisl le proprie scelte di fondo.
di Giorgio Cremaschi
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