Allarma la falla che si è aperta nella società italiana e che incrina alcuni dei principi economico-sociali della nostra democrazia. A provocarla è l’intesa intervenuta tra Confindustria, da una parte e CGIL, CISL e UIL dall’altra. Le maggiori organizzazioni sindacali italiane intenderebbero riavviare così un processo unitario sulla contrattazione, auspicato ed auspicabile. Ma la partenza è preoccupante, la direzione sbagliata. L’intesa sancisce una compressione intollerabile dei diritti dei lavoratori e uno snaturamento della natura stessa del sindacato.
Il diritto dei lavoratori di decidere con il proprio voto sugli esiti della contrattazione risulta precluso. Dalla fase iniziale del procedimento di formazione delle piattaforme fino alla loro conclusione, qualsiasi intervento delle lavoratrici e dei lavoratori è precluso. Scompare il diritto di pronunziarsi sui contenuti delle piattaforme e a indicare i margini del mandato. Nessuna direttiva può essere espressa, nessuna influenza esercitata, nessun orientamento suggerito sull’andamento della trattativa nelle fasi successive. La definizione dell´accordo e la sua sottoscrizione escludono qualsiasi pronuncia dei destinatari delle clausole contenute, siano o non iscritti ai sindacati. Il contratto collettivo nazionale viene in tal modo a configurarsi come atto normativo avente ad oggetto prestazioni e controprestazioni, il cui contenuto, la cui determinazione concreta (entità del salario, orari, tempi, modalità delle prestazioni e della vita in fabbrica) saranno decise, per le lavoratrici e i lavoratori, dai sindacati senza nessun intervento previsto dei lavoratori. Come se il diritto al salario – quello sancito, per esempio, dall’articolo 36 della Costituzione – pur spettando alla singola lavoratrice, al singolo lavoratore, potesse essere disponibile, quanto a determinazione, senza che possa esprimersi il titolare legittimo.
La natura del sindacato, e delle rappresentanze aziendale unitarie, di strumento dei lavoratori viene distorta, almeno per quanto attiene al profilo contrattuale. Se ne cambia il ruolo: quello di mandatario dell’esercizio del potere di negoziare i contenuti del contratto, per conto dei lavoratori e sulla base del mandato che gli è conferito, si trasforma in quello di titolare del potere contrattuale tout court. Lo si trasforma sopprimendo l’obbligo, una volta definito il contratto, di far decidere alle lavoratrici e ai lavoratori, titolari unici ed indefettibili del diritto a contrarre, su quel che si è ottenuto. Come se il contratto non avesse ad oggetto il salario e il carattere del lavoro, e col salario e il carattere del lavoro la qualità della condizione umana nella fabbrica ed oltre la fabbrica. Togliendo così alle lavoratrici ed ai lavoratori la possibilità di definire la propria condizione.
Sulla centralità della funzione dei sindacati per la democrazia economica, per la tutela dei diritti e la dignità del lavoro, per lo sviluppo della persona umana non abbiamo mai avuto dubbi. Abbiamo però ritenuto e riteniamo che la rappresentanza sindacale, perché specificamente inerente agli interessi economici dei lavoratori e delle lavoratrici nei loro rapporti di lavoro, debba essere effettiva, credibile, vissuta, verificabile. Non è come quella politica che si conferisce ogni quattro o cinque anni, che ha carattere generale ed è sanzionabile solo con il rifiuto della rielezione, ma pur trova nei referendum abrogativi il controllo sugli atti dei rappresentanti. Iscriversi ad un sindacato non comporta assolutismo fiduciario, non comporta delega senza mandato specifico sui contenuti del contratto di lavoro.
Ma è proprio sul contratto nazionale di lavoro, sulla configurazione che ne risulterebbe dall’intesa, che le preoccupazioni si aggravano. Nel contratto nazionale viene inserita una clausola dissolvente, quella delle deroghe, che sono tali ma in mentite spoglie. È dissolvente questa clausola per come configura le deroghe, non ne prevede limiti. Intanto, i fattori, gli stimoli, le pressioni per le deroghe si moltiplicheranno in ragione corrispondente ai condizionamenti, alle sollecitazioni, ai ricatti che sarebbero esercitati col successo derivante dalla flessione della solidarietà di classe che la deroga determina. La deroga, infatti, è dissolvente la stessa ragion d’essere del contratto collettivo che è quella di opporre alla parte più forte del contratto di lavoro la forza complessiva dei lavoratori. Forza che verrebbe infranta o, almeno, compressa dall´effetto negativo della deroga. Il contratto nazionale viene così abbattuto proprio nella sua ragione fondativa e quando più ce ne sarebbe bisogno.
Un ultimo ma non minore timore, non poca preoccupazione ci suscita la parola “tregua” usata dall’intesa per nascondere la rinunzia all’esercizio del diritto di sciopero. Quale altra possibilità, quale altro strumento di difesa, da usare o anche solo da trattenere nella sua disponibilità ed integrità, resterebbe ai lavoratori a fronte del potere sempre crescente ed invasivo del capitale ?
Riassumiamo in queste righe tutta la nostra apprensione di vecchi militanti del movimento dei lavoratori, la esprimiamo ai dirigenti della CGIL e, con pari fervore, a quelli della altre organizzazioni sindacali, ai leaders dei partiti democratici, a tutti coloro che sentono il dovere di difendere le conquiste sociali che hanno onorato la democrazia italiana. Con una preghiera: ascoltateci, e soprattutto ascoltate le lavoratrici e i lavoratori. Chiediamo, infine, a tutte le forze politiche democratiche, progressiste e di sinistra di dar vita ad uno spazio pubblico aperto a tutti per discutere questo passaggio storico nelle relazioni sociali del paese. Bisognerebbe essere consapevoli che, senza l’assunzione di una democrazia compiuta, le sinistre, in questa nuova fase, risulterebbero irriconoscibili. L’accordo tra la Confindustria ed i sindacati non è questione da poter essere confinata in una ordinaria vicenda sindacale, essa interroga direttamente e crudamente anche la politica.
Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Gianni Ferrara
Il Manifesto, martedì 05 luglio 2011
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