Il direttivo approva l’accordo con Cisl, Uil e Confindustria con 117 sì, 21 no e un astenuto. Ora la consultazione degli iscritti Fiom e minoranza denunciano una svolta pericolosa per democrazia e i diritti dei lavoratori
Il direttivo nazionale della Cgil ha approvato a larga maggioranza il dispositivo con cui si sottoscrive l’accordo siglato con Cisl, Uil e Confindustria con cui si modificano profondamente le norme che regolano democrazia e rappresentanza nei posti di lavoro, la natura e il valore dei contratti nazionali e persino alcuni diritti fondamentali, come quello di sciopero. 117 voti favorevoli, 21 contrari e un solo astenuto sanciscono un cambiamento di stagione e - secondo chi si è opposto alla firma - la natura stessa del sindacato. Dato l’investimento fatto dalla segreteria e personalmente da Susanna Camusso sul «ritorno alla normalità» della Cgil nel rapporto con le altre confederazioni chiamate fino a ieri «complici» e con la Confindustria, il voto di ieri è stato di fatto un «voto di fiducia» alla segretaria generale. Anche i dubbi e i mal di pancia, che non mancano, sono stati messi da parte e le percentuali raccolte dai sì e dai no rispecchiano gli schieramenti usciti dal congresso nazionale.
Ora, il testo dell’accordo insieme al dispositivo approvato che lo «interpreta» saranno messi a disposizione di tutti gli iscritti alla Cgil che entro il 17 di settembre dovranno esprimersi anch’essi con un voto. Sembra escluso che Cisl e Uil accettino una consultazione generale dei loro iscritti e a nessuno - tranne alle minoranze Cgil - è venuto in mente di consegnare la decisione finale a tutti i lavoratori interessati, con o senza tessere sindacali. Il «perimetro» interessato, cioè gli iscritti alla Cgil che potranno dire la loro, comprende i dipendenti delle aziende che aderiscono a Confindustria. Quel che gli iscritti non potranno conoscere è il documento della minoranza congressuale, perché nelle assemblee nelle fabbriche e negli uffici il loro documento non avrà cittadinanza. In teoria, il segretario della Fiom Maurizio Landini dovrebbe andare alla Fiat o in Fincantieri a difendere la posizione contro cui ha votato e si è battuto. O forse alle assemblee la relazione sarà fatta solo dai dirigenti fedeli alla linea. Sembra di leggere Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler: «La vostra fazione, cittadino Rubasciov, è stata battuta e disfatta. Volevate spezzare il Partito, pur dovendo sapere che una scissione nel Partito avrebbe significato la guerra civile. Sapete dello scontento fra i contadini, che non hanno ancora imparato a comprendere il senso dei sacrifici imposti loro. In una guerra che può scoppiare da qui a qualche mese, tali correnti possono portare a una catastrofe. D’onde la necessità imperiosa per il Partito di essere unito. Esso deve essere come fuso in una colata, tutto cieca disciplina e fiducia assoluta. Voi e i vostri amici, cittadino Rubasciov, avete creato una frattura nel Partito. Se il vostro pentimento è sincero, dovete aiutarci a sanare questa frattura. Come vi ho detto, è l’ultimo servizio che il Partito vi chiede».
A decidere le modalità della consultazione saranno le categorie interessate (quelle del «perimetro») e le assemblee dovranno svolgersi entro il 17 di settembre, per consentire l’elaborazione dei risultati non oltre il 20 e, dunque, la formalizzazione della firma della Cgil in calce all’accordo. Susanna Camusso ha sostenuto il testo sottoscritto con la motivazione che finalmente si chiude la stagione degli accordi separati. Tesi contestata dalla Fiom e dalla minoranza, secondo cui l’unica garanzia per evitare che si continuino a firmare contratti e accordi di parte è il diritto di voto di tutti i lavoratori interessati. È proprio questo uno dei punti critici dell’accordo, un punto che concerne la democrazia: mentre si raccolgono le firme per un referendum che restituisca ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti, questo diritto viene negato ai lavoratori. «Forse i lavoratori non sono cittadini? si chiede il segretario generale della Fiom Maurizio Landini. Il portavocie della «Cgil che vogliamo», Gianni Rinaldini, aveva chiesto una gestione «più democratica» della consultazione tra gli iscritti ma è stato respinto con perdite.
Dal principio «una testa un voto» si passa alla mediazione sindacale ma, sostiene Susanna Camusso, «c’è sempre una relazione con i lavoratori e la loro rappresentanza». Più difficile invece sostenere che il contratto nazionale non si tocca, visto che le deroghe sono previste in tutti i casi di crisi, ristrutturazione e investimenti. Cioè sempre. Inoltre, ricorda Rinaldini, se nel 2009, quando fu siglato un accordo separato sul sistema contrattuale da tutti tranne la Cgil, si fossero applicate le regole previste con l’accordo unitario varato ieri dal direttivo, anche senza la firma della Cgil che non ha il 50% più uno della rappresentanza sarebbe passato e avrebbe avuto valore generale. La «tregua» (il divieto di sciopero), sostiene il dispositivo, impegna «soltanto» le organizzazioni firmatarie dell’accordo e non i singoli lavoratori.
Ieri di fronte alla sede nazionale della Cgil, in Corso d’Italia a Roma, un gruppo di delegati «autocovocati» ha manifestato contro l’accordo con uno striscione in cui era scritto «No al patto di resa finale, il sindacato non si deve suicidare». In alcune fabbriche, in Toscana e in Lombardia, c’è anche chi ha scioperato contro l’accordo unitario.
L’ex segretario generale Guglielmo Epifani ha dato il suo appoggio alla scelta della segreteria, al contrario di Giorgio Cremaschi che ha messo in fila tutte le ragioni di un voto contrario al direttivo.
di Loris Campetti, Il Manifesto
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