«In campo anche dopo». Per “la Cgil che vogliamo”, area di opposizione, che ieri ha tenuto a Roma la sua assemblea nazionale, la battaglia contro l’accordo interconfederale del 28 giugno non si ferma certo al “pronunciamento” dei lavoratori. Intanto, nelle assemblee all’interno dei luoghi di lavoro, i dissidenti non daranno tregua a chi pensa di cavarsela con qualche parola di circostanza e una generica “certificazione” del voto: gli strumenti saranno i “Comitati per il no” all’interno dei posti di lavoro e i “Comitati per la democrazia” a livello territoriale. E’ in ballo una battaglia per la democrazia, infatti, ed anche un modello di sindacato che a questo punto taglia del tutto i ponti con i lavoratori e, come scrivono Bertinotti Ferrara e Cofferati, trasferisce la sovranità da questi agli apparati sindacali.
Gianni Rinaldini, che ha introdotto i lavori, non ha esitato a definire «atto di irresponsabilità» la sigla dell’accordo interconfederale. E questo per il semplice motivo che non può essere letto fuori dal quadro politico che sta portando al «masacro sociale» della legge di bilancio e che provoca enormi divisioni all’interno del sindacato. Rinaldini, coordinatore dell’area programmatica, ha fatto letteralmente a pezzi quanto sottoscritto dalla Cgil, ponendo questioni «di metodo e di merito». Il medoto, una gestione della procedura che ha portato alla firma, «senza nemmeno la delegazione trattante» e con il vizio orginario della modifica «a colpi di maggioranza» dello statuto della Cgil. Uno schiaffo non solo all’opposizione ma anche alle categorie, che non hanno potuto dire niente. Il merito, la democrazia. Negare il voto ai lavoratori vuol dire aprire «alla balcanizzazione del sindacato». Che non è esattamente quella “ritrovata unità” di cui ha tanto parlata la segreteria nazionale. Rinaldini ha letto in forte continuità con l’accordo separato del 2009 l’intesa del 2011. «Nemmeno nel 2009 si parlava di deroghe, eppure la Cgil lo criticò per questo».
Tra gli altri, sono intervenuti sia Maurizio Landini che Giorgio Cremaschi, leader della “Rete 28 aprile”. Mentre il leader della Fiom ha espresso la proccupazione che la battaglia contro l’accordo si trasformi in un «pro o contro» la Cgil, Cremaschi ha sottolineato che «questo è un accordo di rottura e non di unità». «L’opposizione all’accordo - ha aggiunto il presidente del Comitato centrale della Fiom - non finisce con la consultazione, peraltro già segnata nelle conclusioni». Pietro Passarino, della segreteria della Cgil di Torino, ha ricordato che lo stesso Bruno Trentin, segretario della Cgil all’epoca della concertazione, rassegnò le dimissioni con la motivazione di «non avere il mandato a chiudere». «In questo caso, invece - ha aggiunto Passarino - siamo al mandato postumo». L’invito è stato a non «sottovalutare la consultazione» e a non «lasciare la Fiom da sola a fare la disobbedienza». Valutazione che fa il paio con quanto hanno sottolineato altri interventi a favore di una opposizione «non in punta di forchetta», come l’ha definita Eliana Como, della Fiom di Bergamo.
Secondo Maurizio Scarpa, della segreteria nazionale della Filcams, «stiamo andando verso un modello di sindacato che non permetterà più alcuna possibilità di reazione. E’ la chiusura del cerchio».
Articolo di Fabio Sebastiani, Liberazione, 14 luglio 2011.
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