Il 20 novembre si riunisce a Roma l’Assemblea della Cgil che vogliamo, è un momento decisivo per un’area programmatica che finora ha stentato nella costruzione di una forte iniziativa politica. E’ chiaro che con questa assemblea la minoranza congressuale deve dare un segnale fortissimo nella confederazione. Il primo obiettivo è fermare il patto sociale, il tavolo sulla produttività, il progressivo scivolare della Cgil verso il sistema definito da Cisl, Uil, Confindustria e governo. I segnali non sono buoni, dopo la grande manifestazione del 16 ottobre il gruppo dirigente della Cgil ha operato come se quella eccezionale mobilitazione non ci fosse stata. Lo sciopero generale è stato sostanzialmente archiviato e si è dato il via ad accordi, incontri, tavoli che hanno rappresentato tutti arretramenti rispetto a quanto affermato e rivendicato dalla confederazione.
E’ ricominciato un dialogo con una Confindustria che, con la Fiat, con le deroghe, con il collegato lavoro, continua assieme al governo l’attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori. Ma, soprattutto, la Cgil è sempre più scomparsa dalla drammaticità della crisi del paese e la scelta di accettare un tavolo sulla produttività, cioè un tavolo che per la materia stessa da discutere accetta il punto di vista delle imprese, ha mostrato incertezza e arretramento. La Fiom è oggi sostanzialmente isolata in Cgil, al di là di qualche accordo di facciata, e la sua scelta di chiedere la chiusura del tavolo sulla produttività non ha avuto nessuna riposta. Nello stesso tempo con la crisi politica le spinte a chiedere alla Cgil di sacrificarsi per un governo di unità nazionale sono sempre più forti e le resistenze sempre più deboli. Sul piano della democrazia interna si accentua la gestione autoritaria e amministrativa dell’organizzazione, sia con l’emarginazione del dissenso, sia con la crescita dell’intolleranza e di una logica di comando estranea alla cultura democratica del più grande sindacato italiano.
A questo punto la Cgil che vogliamo è messa di fronte alla necessità di affermare la propria identità costruendo lo scontro politico dentro la confederazione. Occorre passare dal confronto di vertice al confronto di massa nelle strutture, nei territori, nelle categorie, nei luoghi di lavoro. Occorre suscitare una mobilitazione che pretenda di decidere e che influisca sulle scelte della Cgil. Occorre organizzare la disubbidienza contro gli accordi sbagliati e mobilitare tutte le forze possibili per fermare il tavolo del patto sociale. In poche settimane possono succedere avvenimenti decisivi per la vita del primo sindacato italiano: la minoranza congressuale ha il compito di mobilitare tutta se stessa.
di Giorgio Cremaschi
E’ ricominciato un dialogo con una Confindustria che, con la Fiat, con le deroghe, con il collegato lavoro, continua assieme al governo l’attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori. Ma, soprattutto, la Cgil è sempre più scomparsa dalla drammaticità della crisi del paese e la scelta di accettare un tavolo sulla produttività, cioè un tavolo che per la materia stessa da discutere accetta il punto di vista delle imprese, ha mostrato incertezza e arretramento. La Fiom è oggi sostanzialmente isolata in Cgil, al di là di qualche accordo di facciata, e la sua scelta di chiedere la chiusura del tavolo sulla produttività non ha avuto nessuna riposta. Nello stesso tempo con la crisi politica le spinte a chiedere alla Cgil di sacrificarsi per un governo di unità nazionale sono sempre più forti e le resistenze sempre più deboli. Sul piano della democrazia interna si accentua la gestione autoritaria e amministrativa dell’organizzazione, sia con l’emarginazione del dissenso, sia con la crescita dell’intolleranza e di una logica di comando estranea alla cultura democratica del più grande sindacato italiano.
A questo punto la Cgil che vogliamo è messa di fronte alla necessità di affermare la propria identità costruendo lo scontro politico dentro la confederazione. Occorre passare dal confronto di vertice al confronto di massa nelle strutture, nei territori, nelle categorie, nei luoghi di lavoro. Occorre suscitare una mobilitazione che pretenda di decidere e che influisca sulle scelte della Cgil. Occorre organizzare la disubbidienza contro gli accordi sbagliati e mobilitare tutte le forze possibili per fermare il tavolo del patto sociale. In poche settimane possono succedere avvenimenti decisivi per la vita del primo sindacato italiano: la minoranza congressuale ha il compito di mobilitare tutta se stessa.
di Giorgio Cremaschi
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