martedì 30 novembre 2010

monicelli: In Italia ci vorrebbe la rivoluzione


Fiat Mirafiori - Cremaschi ANSA

"Ricordo che il Comitato Centrale della Fiom ha respinto formalmente il modello della Newco. Quindi non credo che ci sia nessuna possibilità che la Fiom tratti su questa base".Lo afferma Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale della Fiom."La newco è un obbrobrio - osserva Cremaschi - sindacale e industriale. Non ha alcuna giustificazione produttiva perché si fa solo o per fabbriche totalmente nuove, e mi sembra che Mirafiori sia già stata costruita o per aziende fallite e non mi sembra che questo sia il caso Fiat. La newco si fa per fare una fabbrica cacciavite, usa e getta con un suo regolamento extraterritoriale. Se la Fiat vuole trattare con la Fiom deve rinunciare prima di tutto alla newco, non solo a Torino ma anche a Pomigliano. Questo sarebbe il solo segnale interpretabile come la volontà di fare cose diverse". Cremaschi critica anche il merito della proposta Fiat: "manca ancora - sostiene - un piano industriale di gruppo e purtroppo le newco si buttano là proprio perché il piano non c'è e si usano gli stabilimenti come scatoloni da cui prendere quello che serve.Produrre un Suv, che è la macchina più inquinante del mondo a Torino, significa non credere nel futuro di Mirafiori e considerarla un'officina flessibile della Chrysler". Quanto alle flessibilità, secondo Cremaschi, sono "condizioni di lavoro extracontrattuali inaccettabili per la Fiom, a Torino come a Pomigliano". "Nessuno infine s'illuda - conclude - di risolvere le questioni con un referendum. Anche su questo il Comitato Cetrale ha una posizione inderogabile. Si può sottoporre a referendum solo la gestione del contratto nazionale e non l'uscita da esso o ancor di più l'abbandono di diritti indisponibili della persona. Se la Fiat non cambia le sue posizioni la Fiom non cambierà la sua". 

Studenti e operai contro la Newco Italia

Maria Stella Gelmini e Sergio Marchionne sono impegnati nella stessa impresa. L’amministratore delegato della Fiat ha presentato a Torino un progetto per Mirafiori che è la pura riproposizione di quello presentato a Pomigliano. In Campania, per fare uno dei modelli più vecchi e senza futuro della Fiat la Panda, si chiede ai lavoratori di rinunciare al contratto nazionale e al diritto costituzionale allo sciopero. A Torino per fare l’auto più inquinante del mondo, il Suv, si chiede la stessa cosa. L’unica differenza tra Torino e Pomigliano è il maggior tasso di ipocrisia con cui Marchionne si è presentato ai sindacati. Ma questo verrà meno presto, perché la sostanza è che Marchionne vuole imporre lo stesso diktat di Pomigliano anche ai torinesi, e alla fine riceverà gli stessi no che ha ricevuto quest’estate.
Il modello organizzativo e sociale con cui Marchionne realizza i suoi arretratissimi progetti industriali è la “newco”, cioè una nuova compagnia secondo quell’inglese con cui in Italia spesso si coprono i peggiori misfatti sociali, nella quale assumere i lavoratori selezionati dall’azienda. Si smantella la vecchia Fiat, si chiudono Termini Imerese così come tanti altri impianti e reparti in tutta Italia, e da essa si estraggono gli impianti e i lavoratori che dovranno essere spremuti al massimo. La salute delle persone, così come l’innovazione tecnologica, non sono previste: si tratta di estrarre in fretta il maggior profitto possibile dalla realtà industriale così come essa è ora, chiedendo ai selezionati la rinuncia a tutto e buttando a mare tutti gli altri. Maria Stella Gelmini è stata tra le prime a sostenere Marchionne quest’estate. Oggi essa propone la newco nella scuola e nell’università pubblica. Da un sistema scolastico, di studio e di ricerca che viene abbandonato a se stesso, si estrae quella parte che verrà privatizzata e regalata al mondo degli affari. Anche lì una minoranza di studenti e ricercatori sarà selezionata, purché accetti di mettere conoscenza e libertà al servizio della speculazione. E i baroni che si rivestiranno dei panni del manager potranno rinnovare ed estendere i propri privilegi.
Per questo oggi c’è un’identificazione profonda tra operai, studenti e ricercatori in lotta. Essi sono di fronte allo stesso progetto economico e sociale. Non a caso “Il Sole 24 ore” sostiene con la stessa fermezza la newco di Marchionne e quella della Gelmini. Sono due progetti di esclusione sociale mascherati da riforma. Marchionne cancella il diritto al lavoro così come è sancito dalla Costituzione, la Gelmini il diritto allo studio, anch’essa, stracciando il dettato costituzionale. Questi progetti vanno fermati, anche a costo di scontrasi con tutti coloro, Fini e Casini in testa, che vogliono superare Berlusconi ma non la sua politica.
Bisogna fermare le newco, perché dopo di loro, se Gelmini e Marchionne dovessero vincere, toccherà alla Lega Nord o a chi per essa, sostenere che fatta le newco nelle fabbriche e nelle scuole resta solo da programmare la newco Italia.

di Giorgio Cremaschi (articolo pubblicato su Micromega)

Cremaschi - il punto dopo la manifestazione Cgi

lunedì 29 novembre 2010

E la Camusso lascia fuori lo sciopero

Primo discorso dal palco: «Pronti alle vertenze contro il Collegato lavoro»
«Il futuro è dei giovani». Anche se di giovani, a parte gli studenti, ce ne erano pochini, è stato questo il timbro che la neosegretaria della Cgil Susanna Camusso ha impresso sul suo primo discorso di piazza da leader del più grande sindacato dei lavoratori in Italia. Un discorso che ha badato molto alle cose concrete su fisco, welfare, migranti, legalità e scuola, «la Cgil non dice solo dei no ma fa anche delle proposte», che ha coniugato lo sciopero generale al "futuro neutro", «è il Paese per cui abbiamo scioperato e continueremo a scioperare», e che si è tenuto ben lontano da Confindustria. L'unica accusa agli imprenditori è stata rivolta alla Fiat, accusata di voler "emigrare" all'estero e di voler peggiorare i diritti in Italia. Per ora la Cgil ha solo un nemico giurato, ed è il Governo guidato da Silvio Berlusconi, non in grado di traghettare il Bel Paese fuori dalla crisi. «Il nostro Paese non merita questa classe politica, queste manifestazioni di machismo da parte dei potenti», dice dal palco.Insomma, Camusso riconferma che anche per la Cgil il punto fondamentale in questo momento è buttare giù l'attuale esecutivo. Poi, se nel mentre, magari sotto gli auspici di un "governo tecnico" (che poi è lo stesso schema, in fondo, dell'accordo sulla concertazione) si riesce a fare un bel "patto sociale" tutto di guadagnato. Del resto questa preoccupazione su un governo che non sa fare il suo mestiere è anche della Confindustria, fa capire la leader della Cgil. E questo varrà bene un tavolo, o no? A quale stadio è il confronto, però, Camusso non l'ha detto. Nè ha accennato alle linee dei possibili sviluppi. E' usando la chiave dei giovani che la Cgil promette, innanzitutto, battaglie nelle aule giudiziarie. Susanna Camusso è pronta ad aprire gli uffici della Cgil a tutti quei precari che tra «cinquantasette giorni» si troveranno strozzati dal ricatto del Collegato lavoro. C'è una norma, infatti, che a partire dalla fine di gennaio 2011 azzera tutti i contenziosi per il riconoscimento della stabilizzazione a danno di tutti quei lavoratori precari che non hanno aperto una vertenza. Dove lo troveranno il coraggio di fare questo atto di "insubordinazione" i lavoratori precari che, in fondo, sul luogo di lavoro si ritrovano da soli? Il ddl lavoro «è una legge crudele e ingiusta», dice Camusso. «Dobbiamo dire a tutti che hanno 57 giorni per impugnare un contratto irregolare, illegale, a progetto senza progetto oppure chiedere giustizia. Sappiamo che è una scelta difficile tra la speranza di un lavoro, seppure precario, e la volontà di giustizia. E qualunque legge costringa qualcuno a decidere in solitudine è una legge che limita i diritti. Per questo diciamo che il ddl lavoro è una legge crudele e ingiusta», aggiunge. Il sindacato, invece «è pronto ad ascoltarli e a dare risposte». A rispondere soprattutto a chi «pensava che bastasse una legge per cancellare il futuro dei precari». E la Cgil ribadisce: «Noi sì che non lasceremo solo nessuno perchè il futuro si costruisce così; il futuro non è fuggire ed avere paura; un futuro senza giovani è peggio per tutti», conclude. Camusso ha attaccato frontalmente anche la ministra Gelmini, dicendosi stupita delle sue parole sull'unità tra pensionati e studenti. « Forse la ministra - ha detto - non sa come è fatto questo Paese e che dietro ai giovani e agli studenti ci sono famiglie ed un Paese che li sostiene». Per il resto, se da una parte la Cgil ripete il no a "deroghe nei contratti", «perchè il contratto collettivo nazionale di lavoro è un diritto universale per i lavoratori. I contratti devono guardare a tutti», dall'altra sposta l'asticella della "democrazia sindacale", proprio perché c'è il tavolo sul patto sociale insieme alla Cisl, nel territorio della cosiddetta "via pattizia". Niente legge, quindi, ma un accordo con quei sindacati che rappresentano la maggioranza dei lavoratori. Per Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale della Fiom, il discorso di Susanna Camusso è stato «deludente». «Non si può rimandare sine die lo sciopero generale. Cosa deve accadere ancora? E non si può continuare a non citare nemmeno gli imprenditori», ha detto. Per Gianni Rinaldini, portavoce della "Cgil che vogliamo", è chiaro che l'iniziativa «non può avere come sbocco il patto sociale o una improbabile agenda per le forze politiche». A chiedere lo sciopero è anche la Fiom. «Bisogna arrivare allo sciopero generale. La prossima settimana c'è un direttivo della Cgil, resta da indicare una data», dice Maurizio Landini, leader del metalmeccanici, sostenendo che «a questo punto il problema non è solo il governo e la mancanza di una politica industriale, ma è anche la Confindustria con la sua politica».
Più possibilista Nicola Nicolosi, membro della segreteria nazionale e leader di "Lavoro e Società". «Il 17 settembre abbiamo deciso un percorso che traguarda lo sciopero generale nel caso in cui non dovessero essere accolte le nostre richieste. C'è da mettere nel conto, aggiunge, anche se ci sarà o no la crisi di governo. Se non ci sarà decideremo dopo il 14 dicembre».

Fabio Sebastiani
Articolo su Liberazione del 29/11/2010

mercoledì 24 novembre 2010

Confindustria e Cisl: omonimi o sfacciati?

Ma la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, e il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, hanno degli omonimi?
Questo dubbio è legittimo perché su tutti i giornali sono comparse dichiarazioni con questi nomi che erano una vera e propria sponsorizzazione del ruolo di Pierferdinando Casini nella crisi politica. Emma Marcegaglia affrontava temi e modalità della campagna elettorale e sosteneva che rispetto ad essa era meglio un governo del tipo di quello sponsorizzato dal leader dell’Udc. Più o meno le stesse cose sosteneva Raffaele Bonanni. In più, in un incontro in Lombardia, sempre la signora Emma Marcegaglia, scavalcava a destra la Lega Nord sostenendo che le regioni pronte per il federalismo potevano partire subito. Queste due persone, che oscillano tra l’appoggio a Casini e quello alla secessione padana, sono le stesse che hanno più volte accusato la Fiom di fare politica?
Sì perché quando la Fiom si è opposta ai tanti disastrosi accordi separati, con argomenti squisitamente sindacali, è stata accusata di strumentalità politica proprio dalla presidente della Confindustria e dal segretario della Cisl. Ora costoro intervengono a piedi giunti nella crisi di governo, danno consigli, suggerimenti, assumono persino qualche ruolo che sarebbe di competenza di altre sedi istituzionali.
Viene il dubbio, allora, che siano persone diverse coloro che hanno accusato la Fiom di fare politica perché non accettava i loro accordi. E che altri siano quel Bonanni e quella Marcegaglia che adesso entrano nella crisi politica e ne suggeriscono svolgimenti e conclusioni. Mancano solo, per ora, le indicazioni di voto.
Si sa, l’Italia non è il paese delle coerenze ma, di fronte alla crisi del regime berlusconiano, questi interventi nella politica fatti a nome di non meglio precisati interessi delle parti sociali, sono davvero sfacciati.

di Giorgio Cremaschi (articolo pubblicato su Micromega)

domenica 21 novembre 2010

Sintesi documento conclusivo dell'assemblea naz. La Cgil che vogliamo

L’Europa affronta la crisi ridimensionando il proprio modello sociale e riducendo i diritti del lavoro, nell’illusione di rispondere così alla sfida competitiva accelerata dalla globalizzazione. 
L'Italiana presenta maggiori criticità a causa di ritardi strutturali e infrastrutturali, arretratezza del proprio modello produttivo, devastazione del territorio e dimensione del debito pubblico. Problemi aggravati dalle scelte del Governo. Il taglio di 300.000 lavoratori pubblici, la riduzione delle risorse di scuola, università e ricerca e l’approvazione del collegato lavoro, prefigurano un futuro con meno servizi per i cittadini, diritti e tutele per i lavoratori, primo tra tutti il contratto nazionale di lavoro.Occorre una risposta che vincoli l'intera Cgil nell'arginare questa deriva. La prossima Finanziaria non conterrà interventi sulla lotta all’evasione e politiche redistributive, tutelando rendite e alti redditi, acuendo l’emergenza sociale e occupazionale. Per questo crediamo che il Governo Berlusconi debba andare a casa e che non ci sia spazio per fantasiose alchimie. Al complessivo decadimento della politica si accompagna una rinnovata crudezza delle scelte imprenditoriali. La destrutturazione del contratto nazionale attraverso disdette e deroghe, l’attacco ai diritti sindacali e all’esercizio democratico della rappresentanza nei luoghi di lavoro operati da Fiat e Federmeccanica e avallati dalla Confindustria rappresentano un ritorno indietro e un rischio concreto di effetto domino sul complesso del mondo del lavoro. In questo contesto, determinato dalle posizioni imprenditoriali e dalle scelte del governo, nel pieno di una conclamata crisi politica, nella profonda diversità di posizioni di merito con le altre organizzazioni sindacali, senza nessuna regola democratica di validazione degli accordi, riteniamo sbagliata e impercorribile la scelta di un “patto sociale”. Tutto questo in assenza di una discussione e di un mandato circa le posizioni con le quali la CGIL si presenta a tale confronto. Non si tratta di aver paura del confronto, ma di sapere che in questo contesto la trattativa non può che avvenire sul terreno e sui contenuti determinati e dichiarati esplicitamente dalle controparti, in uno scenario politico quanto mai incerto e confuso e dagli imprevedibili sbocchi. E’ per questo che l’Assemblea dell’Area Programmatica La CGIL che Vogliamo decide l’avvio di una grande campagna di iniziativa e mobilitazione contro il patto sociale. Occorre sospendere il confronto e avviare un’ampia e partecipata discussione negli organismi e tra i delegati per definire la piattaforma della CGIL . Prioritariamente è necessario definire le regole della rappresentanza e della democrazia per impedire ulteriori accordi separati e consentire attraverso lo strumento referendario la libera espressione dei lavoratori e delle lavoratrici. In caso di sottoscrizione del patto l'Assemblea è riconvocata per decidere le iniziative da assumere. L’Assemblea, dopo la straordinaria giornata del 16 ottobre, è impegnata nella piena riuscita della manifestazione del 27 Novembre e ritiene indispensabile dare continuità alla mobilitazione, annunciando già in questa occasione la proclamazione di uno sciopero generale da definire in relazione all’evolversi della crisi politica.

Landini (Fiom) suona la sveglia a Pd e sinistra

«Il tempo della solidarietà agli operai è alle spalle, ora serve un impegno diretto». E’ un appello a 360 gradi quello che Maurizio Landini lancia dal congresso della Federazione della sinistra. Il segretario generale della Fiom parte raccontando dei 750 interinali dell’Ilva di Taranto, che in questi giorni stanno accampati su un ponte sull’Appia contro il licenziamento dal gruppo Riva. E’ al Pd e non solo alle diverse forze della sinistra che si rivolge il segretario Fiom. Perché la manifestazione del 16 ottobre per la prima volta ha prodotto un programma sindacale largamente condiviso che però è anche direttamente politico: contratto nazionale, precarietà del lavoro, democrazia sindacale, legalità. 

«Il 16 ottobre sono venuti con noi studenti e ricercatori universitari, precari del pubblico impiego, semplici cittadini», ricorda Landini. «Nessuno può rappresentare tutti e nessuno deve ‘mettere il cappello’ sugli altri». La Fiom insomma è e rimane un sindacato checché ne dica Confindustria o il governa: «Ma ci sono domande di quella piazza che non spetta al sindacato affrontare e risolvere». 

Landini, iscritto e delegato alla vendoliana Sinistra e libertà, non rinuncia al profilo del suo corso alla guida dei metalmeccanici: umiltà, senso del limite ma anche nettezza delle proprie posizioni e dialogo con la politica. Servono scelte chiare. La Fiom, non da oggi, vede nel terreno della democrazia sindacale e nel referendum sugli accordi il modo principale per far partecipare ed esprimere le persone sulle loro condizioni di lavoro e su chi ha il mandato di discuterle. E alla Fiat ripete l’urgenza di una discussione politica nazionale tra politica, sindacati, impresa e lavoratori sulla sua missione e funzione: «La Fiat non produce auto, deve produrre mobilità». 

Landini è esplicito e sottolinea l’urgenza di una mobilitazione. Dopo il collegato che privatizza il diritto del lavoro arriva lo «statuto dei lavori» e perfino «il tempo medio di lavoro» con cui Confindustria pensa di sostituire le 40 ore o le 8 giornaliere. Dopo il 16 ottobre della Fiom c’è il 27 novembre della Cgil. «Lo dico subito, dobbiamo proseguire con lo sciopero generale, ma va costruito, preparato. Siamo partiti da uno scatto di dignità dal basso, non delle organizzazioni ma delle persone, a Pomigliano, a Melfi e non solo, che dobbiamo raccogliere». 

E’ un compito del sindacato ma anche della politica. Landini, per la sua parte, fa alcune proposte innovative di lotta: 1) l’introduzione del reddito di cittadinanza e 2) «l’estensione dello statuto dei lavoratori anche a chi non ce l’ha, a cominciare dai precari». 

Il messaggio alla politica è altrettanto chiaro e sintetico: una legge (finalmente) sulla rappresentanza sindacale, la lotta alla precarietà e la fine dell’evasione fiscale che danneggia soprattutto lavoratori e pensionati. Alla politica il dovere di raccoglierle. E infatti Ferrero (Prc) oggi dirà che la sinistra «le accoglie integralmente». Il Pd è avvisato. Il tempo delle strette di mano davanti alle fabbriche è finito da un pezzo.

ilManifesto del 21-11-10

sabato 20 novembre 2010

A gennaio in pensione a 61 anni. Poi il governo punta ai 67

Arriva il doppio scalino per i lavoratori che vogliono andare in pensione: da gennaio bisognerà aver compiuto almeno 61 anni, a meno di averne lavorati almeno 41. Ed è per questo che, nei primi dieci mesi del 2010, si è registrato un boom di pensioni di anzianità: chi ha potuto, se n’è già andato. Ma il vero allarme lo lancia il vicepresidente del parlamento europeo Gianni Pittella (Pd), che informa dell’intenzione del governo «di mettere ulteriormente le mani sulle pensioni con un progetto di riforma che va oltre i provvedimenti già dolorosi che scatteranno da gennaio». In altri termini: «Secondo quanto esposto in un capitolo titolato “La riforma delle pensioni” del Programma nazionale presentato all’Unione europea e approvato dal Consiglio dei ministri, dal 2012 l’aspettativa di andare in pensione supererà i 66 e per molti sfiorerà i 67 anni, nonostante i conti dell’Inps siano largamente in attivo», spiega Pittella. Si parte, intanto, da gennaio 2011. La normativa è nota: entreranno in vigore sia le nuove regole per l’accesso alla pensione di anzianità previste dalla riforma del 2007 (l’età minima per uscire passa da 59 a 60 anni per i lavoratori dipendenti a fronte di almeno 36 anni di contributi), sia quelle sulla «finestra mobile» per l’uscita decise dalla manovra di luglio (12 mesi di attesa una volta raggiunti i requisiti per i dipendenti, 18 per gli autonomi). Per gli autonomi quindi l’età per l’anzianità si alza ancora (a 62 e mezzo) visto che ai 61 anni minimi si aggiungono 18 mesi di attesa della finestra. I 12 mesi di attesa dal raggiungimento dei requisiti valgono anche per la pensione di vecchiaia (65 anni gli uomini, 60 le donne) portando l’età minima a 66 per gli uomini e a 61 per le donne (62 per le statali che si troveranno di fronte anche all’inasprimento delle condizioni per il pensionamento di vecchiaia).

«Provvedimenti così sono un danno per il sistema, non un vantaggio - commenta la segretaria generale Cgil, Susanna Camusso - Ed è ovvio che ci sia un boom di richieste nel 2010: chi ha maturato i diritti giustamente cerca di ottenere il prima possibile l’assegno di pensione». Il punto, secondo Camusso, è «smetterla di fare pasticci: togliamo la norma dei 12 mesi in più e variamo un sistema nel quale le persone siano libere di decidere in un range nel quale vi sia una flessibilità di rendimento» dell’assegno di pensione in base al tempo lavorato.

DATI INPS
Nel frattempo, il numero delle pensioni di anzianità è aumentato del 54% in meno di un anno. Tra gennaio e ottobre 2010 le uscite anticipate rispetto all’età di vecchiaia sono state 155.440 a fronte delle 100.880 pensioni liquidate nel 2009. E la gran parte delle uscite per anzianità del 2010 è dovuta ai lavoratori dipendenti (97.559 a fronte delle 56.963 pensioni liquidate nell’intero 2009, con un aumento del 71%). «Il dato - sottolinea il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua - risente del calo per le pensioni di anzianità del 2009 ed è dovuto alla maturazione dei requisiti per l’uscita dal lavoro di una parte rilevante di persone bloccate dall’aumento dello scalino a luglio del 2009 (da 58 a 59 anni). Nel 2011 - avverte - ci si attende un nuovo calo con uscite per anzianità sotto le 100mila unità».

L’aumento delle pensioni di anzianità nel 2010 era atteso dall’Istituto. Anzi: le previsioni parlavano di 160.300 pensioni liquidate nei primi 10 mesi, 4.860 in più rispetto a quelle effettive. Scostamento nelle previsioni soprattutto nel fondo dipendenti con un numero di assegni molto superiore a quello atteso (97.559 contro i 76.800 stimati), mentre nelle altre gestioni si erano previsti rialzi ancora maggiori. Nel fondo coltivatori diretti le pensioni liquidate sono state 11.243 (9.943 nell’intero 2009), nel fondo artigiani sono state 28.676 (22.035 nel 2009), e nel fondo commercianti 17.962, anch’esse in aumento.
Per il 2011, l’Inps si attende un miglioramento dei conti con un avanzo finanziario di 1,2 miliardi a fronte dei 706 milioni del bilancio assestato 2010.

venerdì 19 novembre 2010

Un piano economico e sociale alternativo

Si deve «avere il coraggio di proporre un vero e proprio piano economico e sociale alternativo alle politiche correnti, che riproponga lo spirito del piano del lavoro della Cgil di Di Vittorio».

La terribile evoluzione della crisi politica, sempre più avulsa da qualsiasi contenuto materiale, sottolinea ancora di più la necessità che, almeno fuori dal palazzo, ci si confronti sulla crisi reale del paese. Guido Viale ha proposto alla Fiom di discutere concretamente della riconversione ecologica del sistema produttivo e del modello di consumo dominanti. Credo che proprio oggi il tema vada posto all'ordine del giorno delle lotte sociali e dei movimenti in corso. Non che questo terreno sia così agevole da praticare. È evidente, infatti, che la fuga della politica nell'astratto assoluto è anche frutto della sua incapacità di padroneggiare la crisi economica e sociale. Che si sta aggravando, in Europa in particolare, e che sta sommando assieme tre crisi. Una produttiva e di modello di sviluppo, cioè una stagnazione dell'economia che nei paesi occidentali è determinata proprio da una caduta della crescita delle tradizionali produzioni e prodotti. Una crisi sociale che è determinata da una crescente e sempre più drammatica disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Una crisi finanziaria e fiscale che si riflette sia nei debiti privati che in quelli pubblici.
Mentre la Cina e i paesi di nuova crescita, seppure a prezzi sociali e ambientali enormi, continuano lo sviluppo, l'Europa accumula assieme tutte le crisi. Per questo è molto più facile continuare a blaterare di "riforme" che in realtà nascondono controriforme sociali e ha buon spazio in Italia la filosofia reazionaria di Marchionne, che semplicemente propone di rilanciare il vecchio modello di sviluppo su basi produttive molto più ristrette e con una brutale selezione sociale. In Italia, e quasi sicuramente in Europa, una ripresa economica che assorba le contraddizioni e gli squilibri della crisi non ci sarà. Da qui il trionfo di ricette sociali brutali che, dalle privatizzazioni dell'acqua, della scuola e di tutti i beni comuni, alla distruzione dei contratti nazionali, alla messa in discussione di ciò che resta dello stato sociale, hanno come unico scopo quello di rimpicciolire la base sociale dell'attuale del modello di sviluppo. Il che conduce alla scelta folle di spingere la competitività e la produttività in funzione della crescita e dell'esportazione. Obiettivo logicamente assurdo se perseguito da tutti e socialmente devastante. Obiettivo che necessariamente impone un modello puramente autoritario nei rapporti di lavoro, come chiarisce Pomigliano. Anche le persecuzioni dei migranti, lo stato di polizia che ne garantisce il supersfruttamento fanno parte di questa drammatica reazione alla crisi.
In Italia, in particolare, il liberismo si propone così di selezionare un popolo fedele al proseguimento dell'attuale modello di sviluppo, nella piena consapevolezza che la crescita per tutti, anche nelle forme più distorte e ingiuste, non c'è e non ci sarà mai più.
Per questo la manifestazione del 16 ottobre e tutte le lotte sociali più radicali non trovano interlocutori veri sul piano dei programmi, nella politica italiana di oggi. Possono anche momentaneamente vincere, come Viale ha scritto per Terzigno, ma poi si trovano di fronte al muro di un sistema bloccato. La radicalità popolare ferma il regime liberista, ma poi esso riparte come prima. Il bullismo antisindacale di Marchionne serve a mascherare il fatto che la Fiat non tornerà mai più in Italia ai volumi produttivi del passato, che solo una produzione di nicchia sarà riservata al nostro paese, fondata su un numero ristretto di operai appositamente selezionati e disposti a tutto. La Newco, la nuova società che la Fiat vuole imporre a Pomigliano e probabilmente in tutto il gruppo, diventa un modello per tutta l'Italia. Ovunque si vuol passare a una newco sociale e produttiva che abbandona una parte del paese a sé stesso e seleziona sulla base del ricatto, della fedeltà e della disponibilità coloro che devono perpetuare il modello di sviluppo.
Tutte le lotte di resistenza, leva indispensabile per cambiare, oggi reclamano così un progetto economico sociale ecologico alternativo. Tutto si tiene, ma da dove partire allora? Io non credo che basti il ritorno alle economie locali che propone Guido Viale. Le lotte locali sull'ambiente, così come sui diritti, così come sul lavoro, scagliano immediatamente le comunità contro meccanismi e i poteri nazionali e sovranazionali. L'assoluta estraneità tra i due articoli comparsi su questo giornale a firma di Alberto Asor Rosa, il primo sulla crisi politica, il secondo sulle reti locali per la difesa del territorio e dell'ambiente, dimostra che oramai ovunque la scissione tra bisogni e realtà politica, si manifesta ovunque. Se l'obiettivo che ci diamo non è la pura sostituzione di Berlusconi con Marchionne o Montezemolo o simili, è evidente che l'arcipelago di lotte che oggi c'è in Italia e che si è ritrovato assieme il 16 ottobre a Roma con la Fiom, richiede una piattaforma unificante sociale e politica che è estranea, come sostiene anche Viale, alle attuali classi dirigenti. Una piattaforma che deve toccare le tasse, la finanza, la spesa pubblica, le politiche industriali, gli interventi pubblici nell'economia, la conoscenza, il pubblico e il privato, i diritti dei lavoratori, la distribuzione della ricchezza, la garanzia del reddito e di una reale parità dei diritti.
La riconversione ecologica dell'economia si intreccia con questo processo. Si possono produrre e comprare meno auto se si riduce l'orario di lavoro, se si lanciano programmi di investimento pubblico che costringano il sistema a consumare e a produrre trasporto pubblico al posto di quello privato. Questo richiede ingenti risorse che non possono che essere reperite portando via i soldi ai ricchi. Questione sociale e questione ecologica, diritti e uguaglianza, oggi sono strettamente e immediatamente connessi, non si tocca un pezzo della crisi senza essere coinvolti nella crisi di tutto il sistema. Non ci sono soluzioni riformiste alla crisi attuale, almeno nel significato che oggi questa parola ha assunto nella politica. La forza della reazione, il ritorno continuo di Berlusconi e del berlusconismo, derivano dal fatto che l'alternativa è o cambiamenti radicali o regressione e selezione sociale.
Per questo credo che si debba avere il coraggio di proporre un vero e proprio piano economico e sociale alternativo alle politiche correnti, che riproponga lo spirito, non i contenuti, del piano del lavoro della Cgil di Di Vittorio degli anni Cinquanta. La Fiom, che ha interpretato con il 16 ottobre un sentimento diffuso di tanta parte del paese, può forse proporsi di promuovere un'operazione più ambiziosa, quella della costruzione di tale piano, facendolo nascere dall'incontro tra i saperi liberi e l'esperienza dei movimenti. Vale la pena di provarci per costruire una piattaforma alternativa alla pura conservazione e restaurazione del sistema esistente. Una piattaforma che guidi i conflitti e rifiuti i patti sociali e selezioni una nuova classe dirigente per i prossimi anni. Questo per me significa costruire una vera alternativa a Berlusconi e al berlusconismo. Ma qui torniamo ancora alla crisi della politica, della sinistra e del sindacato italiano.

di Giorgio Cremaschi (articolo pubblicato su il Manifesto)

La minoranza della Cgil si mobiliti ora per fermare il patto sociale

Il 20 novembre si riunisce a Roma l’Assemblea della Cgil che vogliamo, è un momento decisivo per un’area programmatica che finora ha stentato nella costruzione di una forte iniziativa politica. E’ chiaro che con questa assemblea la minoranza congressuale deve dare un segnale fortissimo nella confederazione. Il primo obiettivo è fermare il patto sociale, il tavolo sulla produttività, il progressivo scivolare della Cgil verso il sistema definito da Cisl, Uil, Confindustria e governo. I segnali non sono buoni, dopo la grande manifestazione del 16 ottobre il gruppo dirigente della Cgil ha operato come se quella eccezionale mobilitazione non ci fosse stata. Lo sciopero generale è stato sostanzialmente archiviato e si è dato il via ad accordi, incontri, tavoli che hanno rappresentato tutti arretramenti rispetto a quanto affermato e rivendicato dalla confederazione.
E’ ricominciato un dialogo con una Confindustria che, con la Fiat, con le deroghe, con il collegato lavoro, continua assieme al governo l’attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori. Ma, soprattutto, la Cgil è sempre più scomparsa dalla drammaticità della crisi del paese e la scelta di accettare un tavolo sulla produttività, cioè un tavolo che per la materia stessa da discutere accetta il punto di vista delle imprese, ha mostrato incertezza e arretramento. La Fiom è oggi sostanzialmente isolata in Cgil, al di là di qualche accordo di facciata, e la sua scelta di chiedere la chiusura del tavolo sulla produttività non ha avuto nessuna riposta. Nello stesso tempo con la crisi politica le spinte a chiedere alla Cgil di sacrificarsi per un governo di unità nazionale sono sempre più forti e le resistenze sempre più deboli. Sul piano della democrazia interna si accentua la gestione autoritaria e amministrativa dell’organizzazione, sia con l’emarginazione del dissenso, sia con la crescita dell’intolleranza e di una logica di comando estranea alla cultura democratica del più grande sindacato italiano.
A questo punto la Cgil che vogliamo è messa di fronte alla necessità di affermare la propria identità costruendo lo scontro politico dentro la confederazione. Occorre passare dal confronto di vertice al confronto di massa nelle strutture, nei territori, nelle categorie, nei luoghi di lavoro. Occorre suscitare una mobilitazione che pretenda di decidere e che influisca sulle scelte della Cgil. Occorre organizzare la disubbidienza contro gli accordi sbagliati e mobilitare tutte le forze possibili per fermare il tavolo del patto sociale. In poche settimane possono succedere avvenimenti decisivi per la vita del primo sindacato italiano: la minoranza congressuale ha il compito di mobilitare tutta se stessa.
di Giorgio Cremaschi

martedì 16 novembre 2010

Brescia: comincia la lotta contro l’apartheid italiano

A Brescia, i quattro lavoratori migranti sono scesi dalla gru dopo una resistenza eroica di 17 giorni, sostenuta da un’eccezionale appoggio popolare. Quest’ultimo è quello di cui si è meno parlato, anche perché si è dato credito alla tesi di regime che la città di Brescia era nemica nei confronti dei migranti in lotta. Invece per 16 giorni sotto la gru c’è stato un presidio popolare di migranti e nativi che nella storia della città non ha precedenti. Va dato merito di questo a tante e tanti persone e organizzazioni, ma in particolare all’instancabile gruppo dell’Associazione Diritti per tutti e della Radio Onda d’Urto, i cui redattori hanno continuato ad entrare ed uscire dalla Questura tra un servizio e l’altro. Migliaia di persone si sono alternate a sostenere i lavoratori sulla gru. Tenute a ben distanza da uno schieramento di polizia che ha solo i precedenti con quanto avvenuto a Genova nel 2001.
Questa solidarietà non solo dei migranti, ma di una parte rilevante della città è la dimostrazione che il regime leghista che vuole impadronirsi del Nord può essere sconfitto se la sinistra, i sindacati, le forze democratiche escono dall’autoreferenzialità, dalla passività, dall’ipocrisia. 
Sono scesi dalla gru, ma è bene ricordare che tutte le ragioni della loro lotta restano in piedi. Esse saranno sostenute ancora da altri presidi che, a partire da quello di Milano, sono in corso o sono annunciati. La lotta dei migranti contro la “sanatoria truffa” cominciata al Nord è il segno di una ribellione di milioni di lavoratori a una condizione di supersfruttamento. Dopo Rosarno e Casalprincipe,  a Brescia gli operai migranti hanno detto basta. Ed è per questo vengono perseguitati. Tutto il regime poliziesco e persecutorio impiantato dal governo nei confronti dei migranti ha il solo scopo di impedire la lotta per i diritti e l’eguaglianza sociale da parte di milioni di lavoratori. Nessuno può permettersi in Italia di non avere migranti. Ciò che si vuole imporre è una presenza di migranti privi di qualsiasi diritto.
Il Ministro Maroni, che non si sa per quale ragione ha ricevuto persino elogi a sinistra per il suo “rigore”, in queste vicende ha mostrato il peggio di sé. La polizia ha messo sotto controllo un quartiere e un’intera popolazione a Brescia. Le persone venivano fermate per il colore della pelle o per i tratti somatici. Durante una delle cariche è stato persino arrestato il vigilante in divisa del cantiere presidiato dai migranti, il quale continuava a urlare che lui era lì per lavoro e che aveva divisa e pistola. Ma è stato portato in questura per la semplice ragione che era nero. E a proposito del “rigore”, diversi operai egiziani sono stati fermati dalla polizia a Brescia perché partecipavano al presidio. Senza alcuna accusa particolare sono state inviati al Cie e poi imbarcati a Malpensa e spediti in Egitto. Evidentemente non erano parenti di Mubarak.
Tutto questo non avviene se non c’è un impulso preciso inculcato dall’alto. Del resto il Ministro Maroni ha dichiarato che finché lui sarà titolare degli interni non ci sarà né sanatoria, né diritto al voto per i migranti. Oltre che fornirci una ragione in più per cacciarlo, queste sue affermazioni hanno il pregio di farci cogliere quali sono la realtà e le dimensioni del lavoro migrante oggi in Italia. 
Spesso si afferma che nel Nord, e in particolare nel Nord-Est, la maggioranza degli operai vota Lega. Non è vero, la maggioranza degli operai non vota, o perché avendone il diritto non lo esercita o perché questo diritto le viene formalmente negato. Ci sono città del Nord a sindaco leghista dove, se potessero votare gli operai migranti probabilmente il sindaco sarebbe un africano. 
A questo ci ha abituato il regime di discriminazione costruito in questi anni, a sprofondare progressivamente nell’apartheid senza neanche accorgercene. I quattro lavoratori saliti sulla gru hanno avuto il pregio di farci vedere la realtà e di spingere tante e tanti a ribellarsi contro di essa. Comincia con essi la lotta contro l’apartheid italiano.
di Giorgio Cremaschi articolo pubblicato su Micromega

Delibera su Insiel

Art. 33
(Servizio sistemi informativi ed e-government)

1. Il Servizio sistemi informativi ed e-government:
a) promuove, pianifica e progetta il Sistema informativo regionale - SIR, coordinando gli interventi per lo sviluppo dei sistemi informativi di interesse degli Enti locali;
b) gestisce e sviluppa il Sistema informativo regionale - SIR;
c) gestisce e sviluppa il Sistema informativo sanitario regionale;
d) gestisce sviluppa e definisce gli standard del Sistema informativo territoriale regionale (SITER);
e) cura i rapporti con le società di informatica, verificando gli adempimenti contrattuali connessi;
f) cura l’esercizio del controllo analogo sulla società di informatica in house secondo le modalità stabilite dalla Giunta regionale;
g) definisce gli standard, assicura l’approvvigionamento e cura la messa a disposizione delle dotazioni informatiche dell’Amministrazione regionale;
h) monitora il livello dei servizi offerti da INSIEL;
i) cura lo sviluppo e la realizzazione di servizi sia applicativi che infrastrutturali per l’attuazione delle politiche dell’e-government, con particolare riguardo all’integrazione ed all’interoperatività dell’azione tra enti e soggetti territoriali e nazionali;
j) verifica l’operato dei soggetti individuati per la realizzazione dei servizi e l’implementazione delle azioni di e-government;
k) promuove la diffusione degli strumenti previsti dal D.lgs. n. 82/2005;
l) partecipa alla elaborazione dei piani nazionali e regionali di sviluppo informatico al fine di garantire il coordinamento e la coerenza dell’azione di e-government territoriale;
m) cura i rapporti con la PAC, il CNIPA – Centro Nazionale per l’Informatica nella P.A. e con il CISIS – Centro Interregionale per i Sistemi Informatici e Statistici in tema di << Società dell’Informazione nella P.A. >>;
n) promuove la diffusione della Carta Regionale dei Servizi (CRS) e l’implementazione di servizi innovativi basati su <<strong authentication>>;
o) coordina le attività del Centro regionale di competenza per l’e-government e la società dell’informazione;
p) coordina, in stretta relazione con le Aziende e gli altri soggetti interessati, il processo di definizione degli indirizzi per la gestione e lo sviluppo del sistema informativo del S.S.R.;
q) svolge attività di indirizzo e controllo sui progetti di sviluppo e conduzione del SISSR, ne cura l’attuazione e verifica il loro stato di avanzamento;
r) cura il debito informativo dei flussi informativi ministeriali;
s) partecipa ai tavoli ministeriali (TSE, DIT, Commissione delle regioni) e progetti nazionali (IPSE, ALIAS);
t) cura, per le materie di competenza, i rapporti con le strutture deputate alla gestione centralizzata di attività tecnico-amministrative per conto del S.S.R., con il Ceformed e con il Centro collaboratore dell’OMS per le Classificazioni Internazionali.

sabato 13 novembre 2010

Continuano a smontare la Costituzione

Il 9 novembre è un pessimo giorno per il mondo del lavoro. Esce infatti sulla Gazzetta Ufficiale, e quindi diventa operativo entro 15 giorni, il “collegato lavoro”. Un insieme di leggine e provvedimenti che contorna un attacco brutale ai diritti costituzionali dei lavoratori. I due provvedimenti più nefasti sono la sanatoria, a favore delle imprese sul lavoro precario, e l’introduzione pressoché obbligatoria dell’arbitrato. La prima misura stabilisce che, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, decadono tutti i diritti accumulati dai lavoratori precari assunti in maniera non conforme alla legge e ai contratti. Mentre per i migranti che hanno pagato migliaia di euro c’è l’imbroglio della sanatoria truffa, pagano e vengono espulsi. Per gli imprenditori che hanno violato la leggi nei confronti dei precari si fa l’esatto contrario.

O i lavoratori ricorrono entro 60 giorni oppure perdono per sempre qualsiasi diritto. In questo modo passa il principio aberrante e anticostituzionale che si possono cancellare retroattivamente dei diritti acquisiti.

L’introduzione dell’arbitrato nelle cause di lavoro è una vera e propria privatizzazione della giustizia. Nel momento della massima debolezza contrattuale del lavoratore, cioè all’inizio del rapporto di lavoro, questo viene costretto a sottoscrivere la rinuncia a ricorrere dal giudice per tutelare i propri diritti e l’accettazione di un arbitro privato, per sempre e per ogni motivo.

L’arbitro a sua volta non agirà secondo la legge, ma secondo un più generico e accomodante principio di equità.
Il Presidente della Repubblica aveva rinviato alle Camere il “collegato lavoro”, perché lo riteneva squilibrato a danno dei lavoratori. Senza alcuna modifica sostanziale ora questa legge viene per la seconda volta e definitivamente approvata.

Mentre il palazzo è squassato dalla crisi politica personale di Berlusconi, il lavoro di smantellamento della Costituzione formale e materiale del paese prosegue alacremente. E’ bene inoltre ricordare a tutti i tifosi del patto sociale e delle grandi alleanze antiberlusconiane che questa legge mostruosa è stata approvata in parlamento con i voti dell’Udc ed è stata sostenuta e caldeggiata da Cisl, Uil e Confindustria.

Di Giorgio Cremaschi - su MicroMega online

Mobilità in Insiel

Visto che l'azienda Insiel sta descrivendo l'indennità di mobilità come un'opportunità per i lavoratori, ci sembra doveroso spiegare ai lavoratori cos'è e come funziona la mobilità.

 http://www.inps.it/portal/default.aspx?itemdir=5807

Mobilità

È un intervento a sostegno di particolari categorie di lavoratori licenziati da aziende in difficoltà che garantisce al lavoratore un' indennità sostitutiva della retribuzione e ne favorisce il reinserimento nel mondo del lavoro.

A CHI SPETTA


L'indennità spetta ai lavoratori con qualifica di operaio, impiegato o quadro:
  • licenziati, collocati in mobilità e iscritti nelle relative liste;
  • in possesso di un'anzianità aziendale di almeno 12 mesi, di cui almeno sei di effettivo lavoro;
  • che erano stati assunti a tempo indeterminato da:
    • imprese industriali che hanno impiegato mediamente più di 15 dipendenti nell'ultimo semestre;
    • imprese commerciali che hanno impiegato mediamente più di 200 dipendenti nell'ultimo semestre;
    • cooperative che rientrano nell'ambito della disciplina della mobilità, che hanno impiegato mediamente più di 15 dipendenti nell'ultimo semestre;
    • imprese artigiane dell'indotto, nel solo caso in cui anche l'azienda committente ha fatto ricorso alla mobilità;
    • aziende in regime transitorio:
      • aziende commerciali che hanno impiegato mediamente tra 50 e 200 dipendenti nell'ultimo semestre;
      • agenzie di viaggio e turismo che hanno impiegato mediamente più di 50 dipendenti nell'ultimo semestre;
      • imprese di vigilanza che hanno impiegato mediamente più di 15 dipendenti nell'ultimo semestre.
Dal 01.01.2005 al personale, anche viaggiante, dei vettori aerei e delle società da questi derivanti, indipendentemente dal limite numerico dei dipendenti occupati nell'ultimo semestre.

QUANDO SPETTA

In caso di licenziamento per:
  • esaurimento della cassa integrazione straordinaria;
  • riduzione di personale;
  • trasformazione dell'attività aziendale;
  • ristrutturazione dell'azienda;
  • cessazione di attività aziendale

LA DOMANDA

Va presentata, a pena di decadenza, entro il 68° giorno dal licenziamento sul Mod. DS21, reperibile sul sito www.inps.it, sezione moduli.
Il termine può subire slittamenti in caso di:
  • vertenza sindacale o giudiziaria: entro 60 gg dalla data di definizione della vertenza;
  • malattia iniziata prima del licenziamento o entro gli otto giorni successivi: entro 60 gg dalla data del riacquisto della capacità lavorativa;
  • percezione dell'indennità sostitutiva del preavviso: entro 68 gg dal termine del preavviso;
  • servizio militare:
    • se iniziato entro gli otto giorni dal licenziamento: entro 60 gg dal congedo;
    • dopo gli otto giorni dal licenziamento: scade il 68° giorno dalla data del licenziamento.

LA DECORRENZA

L'indennità decorre:
  • dall' 8° giorno se la domanda viene presentata entro i primi 7 giorni dal licenziamento o dalla scadenza dell'indennità per mancato preavviso;
  • dal 5° dalla data di presentazione della domanda, se la stessa viene presentata dopo il 7° giorno.

IL PAGAMENTO

L'indennità viene pagata direttamente dall'Inps, con una delle seguenti modalità a scelta dell'interessato:
  • tramite bonifico bancario o postale. Devono essere indicati anche gli estremi dell'IBAN (27 caratteri:stato, CIN, ABI, CAB e numero di c/c.);
  • allo sportello di un qualsiasi Ufficio Postale del territorio nazionale o localizzato per CAP previo accertamento dell'identità del percettore, presentando:
    • un documento di riconoscimento;
    • il codice fiscale;
    • consegnando l' originale della lettera di avviso della disponibilità del pagamento trasmessa all'interessato via Postel in Posta Prioritaria.

QUANTO SPETTA

Spetta nella misura dell'80% della retribuzione teorica lorda spettante, che comprende le sole voci fisse che compongono la busta paga.
Per i primi dodici mesi, è pari al 100% del trattamento straordinario di integrazione salariale, detratta una aliquota contributiva del 5.84%.
Dal 13° mese è pari all'80% dell'importo lordo corrisposto nel primo anno.
L'indennità che non può superare i massimali stabiliti annualmente.
L'importo dell'indennità non può mai essere superiore all'importo della retribuzione percepita durante il rapporto di lavoro.

Sulla prestazione compete l'assegno al nucleo familiare.

Retribuzione (euro)
Massimale lordo (euro)
Massimale netto (euro)
Pari o inferiore a 1.931,86
892,96
840,81
Superiore a 1.931,86
1.073,25
1.010,57

 

PER QUANTO SPETTA

L'indennità di mobilità varia in relazione all'età del lavoratore al momento del licenziamento e all'area geografica in cui è ubicata l'azienda.


Età del lavoratore all'atto del licenziamento      Aziende NON del Mezzogiorno
Fino a 40 anni (non compiuti) 12 mesi
Da 40 a 50 anni (non compiuti) 24 mesi
Oltre 50 anni  36 mesi 

venerdì 12 novembre 2010

Un attacco alla democrazia senza precedenti

Il Segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, ha rilasciato oggi la seguente dichiarazione.

“Scrive oggi Repubblica che la Fiat intende, a partire da Pomigliano, dar vita a newco per non applicare il contratto nazionale e le leggi del nostro Paese ed anche al fine di impedire che le lavoratrici e i lavoratori possano iscriversi alla Fiom o votare nelle elezioni delle Rsu i candidati dei metalmeccanici Cgil.”

“Cioè vorrebbero cancellare la presenza della Fiom dagli stabilimenti della Fiat che, in base ai voti ricevuti nelle elezioni delle Rsu, è risultato il sindacato maggioritario”

“Se ciò corrispondesse al vero, siamo di fronte ad un attacco senza precedenti al sistema democratico, di relazioni sindacali e costituzionale del nostro Paese.”

“E’ un sogno illusorio pensare che, dalla grave crisi che colpisce la Fiat, si può uscire cancellando i diritti di chi lavora, il contratto nazionale e la democrazia.”

“Ci auguriamo che le altre Organizzazioni sindacali non si rendano complici di un tale disegno della Fiat, che in realtà vuole semplicemente cancellare definitivamente il diritto e la libertà di ogni singolo lavoratore di poter decidere collettivamente di contrattare i contenuti della propria condizione di lavoro. Invece che pensare ad escludere la Fiom, sarebbe opportuno mettere i lavoratori nella condizione di scegliere il proprio sindacato e di votare sulle proprie condizioni, senza che vengano sottoposti a ricatti”

“Ciò che serve alle lavoratrici e ai lavoratori è di aprire una vera trattativa sul piano industriale e degli investimenti del Gruppo Fiat per difendere l’occupazione, costruire prodotti innovativi, definire le missioni produttive per ogni stabilimento, garantendo la continuità produttiva e occupazionale anche per Termini Imerese.”

“Trattativa che deve coinvolgere anche il Governo sulla base di un vero piano pubblico di politica industriale, capace di sostenere un reale processo di innovazione dei prodotti e di qualificazione della struttura produttiva dell’auto e dei mezzi di produzione nel nostro Paese.”

“Oggi registriamo nel Gruppo Fiat un aumento al ricorso alla Cassa integrazione, il rinvio del piano degli investimenti per ora solo annunciati, ed un calo delle vendite. Non è accettabile che la Fiat, di fronte a queste reali difficoltà, cerchi di alimentare le divisioni, anziché assumersi le proprie responsabilità ed accettare di svolgere una vera trattativa con tutte le rappresentanza sindacali presenti nel Gruppo.”

“Non siamo disponibili ad accettare questa pericolosa deriva, non solo perché peggiora le condizioni salariali e di lavoro dei dipendenti del Gruppo, ma perché così non si affrontano i reali problemi che stanno impedendo alla Fiat di recuperare una nuova capacità competitiva.”

Fiom-Cgil/Ufficio stampa

Parte l'attacco finale allo Statuto dei Lavoratori: Sacconi presenta lo Statuto dei lavori

Maggiori e migliori posti di lavoro non si creano per decreto. Le leggi possono contribuire a un contesto favorevole per la competitività delle imprese e sostenere la loro naturale propensione ad assumere e investire in modo stabile sulle persone. Ma possono anche determinare un effetto contrario, comprimendo le potenzialità del sistema produttivo e le istanze di inclusione, soprattutto là dove non siano capaci di interpretare e governare gli imponenti cambiamenti intervenuti nella società e nel lavoro.
L’attuale centralismo regolatorio di matrice pubblicista e statualista riflette assetti di produzione propri della vecchia economia. Dominati dalla grande fabbrica industriale. Con modelli di organizzazione del lavoro standardizzati e rigidi. Con un perimetro aziendale ben definito quanto a struttura, composizione della manodopera, localizzazione territoriale.
È questa l’immagine del lavoro riflessa nello “Statuto dei lavoratori” del 1970.
Una legge storica perché ha consentito l’effettivo ingresso nelle fabbriche dei diritti fondamentali della persona sanciti nella Costituzione, anche attraverso la promozione della presenza sindacale in azienda. Una legge che, tuttavia, trova oggi applicazione per una parte limitata del mondo del lavoro.
Quarant’anni di Statuto evidenziano gli enormi progressi compiuti a tutela della persona che lavora, ma anche tutta la distanza che separa l’impianto di questa legge dai nuovi modelli di produzione e di organizzazione del lavoro e dalla recente evoluzione di un mercato del lavoro sempre più terziarizzato e plurale: con forza sempre meno radicata presso la stessa azienda; con nuove istanze di conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro dettati dal massiccio (ma non ancora soddisfacente) ingresso delle donne nel mercato del lavoro; con nuovi e crescenti dualismi, a partire da quello tra Nord e Sud, che ampliano e rendono via via sempre più profondo il solco tra chi partecipa al mercato del lavoro istituzionale, sindacalmente presidiato e tutelato, e chi invece è costretto alla inattività quando non relegato in una economia informale governata da rapporti di lavori grigi che progressivamente degradano nel sommerso totale.
Al lavoro stabile e per una intera carriera si contrappongono oggi sempre più frequenti transizioni occupazionali e professionali che richiedono tutele più adeguate. I mutamenti del mondo del lavoro implicano l’insorgere di esigenze che spiazzano un sistema di tutele ingessato – perché fatto di norme rigide sulla carta quanto ineffettive e poco adattabili alla mutevole realtà del lavoro – suggerendo l’introduzione di assetti regolatori maggiormente duttili e la definizione di diritti universali e di tutele di matrice promozionale.
Uno Statuto rigido, ancorato ai modelli e alle logiche di un passato che non c’è più, tradirebbe la sua funzione storica che è ancora oggi pienamente attuale. Quella cioè di approntare, al di là delle tecniche e delle norme di dettaglio di volta in volta adottate, un sistema di tutele moderne e mobili tali da consentire il pieno sviluppo della persona attraverso il lavoro e nel lavoro.
I tempi per discutere lo Statuto dei lavoratori sono dunque maturi. Non si tratta di prospettarne la cancellazione, quanto un suo aggiornamento. E come potrebbe essere diversamente in un tempo in cui le sollecitazioni al più generale cambiamento dei paradigmi della crescita sono straordinarie.
La verità è che l’attuale sistema normativo del diritto del lavoro non soddisfa pienamente nessuna delle due parti del contratto di lavoro. Non i lavoratori che, nel complesso, si sentono oggi più insicuri e precari. Né gli imprenditori ritengono il quadro legale e contrattuale dei rapporti di lavoro coerente con la sfida competitiva imposta dalla globalizzazione e dai nuovi mercati.
Anche dopo le recenti innovazioni apportate dalla legge Treu e, più ancora, dalla legge Biagi è palese, e non solo nei settori maggiormente esposti alla competizione internazionale, l’insofferenza verso un corpo normativo sovrabbondante e farraginoso che, pur senza dare vere sicurezze a chi lavora, rallenta inutilmente il dinamismo dei processi produttivi e l’organizzazione del lavoro.
Stime incerte ci portano a parlare di circa 1.000 atti normativi che incidono, direttamente o indirettamente, sulla regolazione dei rapporti di lavoro per un numero approssimativo di oltre 15.000 precetti e disposizioni. Così, se per un verso i lavoratori chiedono tutele più incisive ed effettive, le imprese reclamano a loro volta maggiore certezza del diritto e un quadro di regole meno invasivo, chiaro, esigibile.
Il superamento delle molte criticità nel mercato del lavoro – vere e proprie ingiustizie sociali per il valore che attribuiamo al lavoro come occasione di sviluppo e formazione della persona – non può più essere affidato a una concezione formalistica e statualista dei rapporti di lavoro che alimenta un imponente contenzioso e un sistema antagonista e conflittuale di relazioni industriali. Ma non può neppure essere affidato a soluzioni semplicistiche, pensate a tavolino, che ipotizzano di ricondurre forzatamente la multiforme e sfuggente realtà del lavoro in un unico schema contrattuale. Un modello di giuridificazione dei rapporti di lavoro rigido che non solo non è presente in nessun Paese industrializzato ma che non è stato ipotizzato neppure nell’epoca, oggi superata, in cui imperava il modello di organizzazione del lavoro massificato di tipo fordista. 
È in effetti una operazione astratta – quanto illusoria – quella di pensare di poter cristallizzare il dinamismo dei nuovi lavori e della nuova economia in rigide categorie e schemi di legge unificanti (solo) sulla carta, ma lontani da una realtà che, per essere governata e non rifuggire nella economia sommersa, deve essere sempre meno ingabbiata dal legislatore statale e sempre più affidata alla libera contrattazione collettiva tanto più quando accompagnata da forme di partecipazione dei lavoratori ai destini dell’impresa.
La stessa dinamica del salario ne può beneficiare attraverso lo sviluppo della componente collegata agli incrementi di produttività o ai risultati dell’impresa.
È giunto il tempo di realizzare l’intuizione di una parte del sindacato quando sosteneva con coraggio e lungimiranza, rispetto al dibattito che ha poi portato alla codificazione dello Statuto dei lavoratori, che “il contratto è il mio Statuto”.
È questa l’unica strada praticabile per superare una concezione sterilmente conflittuale e antagonista dei rapporti di lavoro consolidando e, anzi, estendendo i diritti del lavoro. Non solo quelli presidiati da norme inderogabili di legge, ma anche quelli di matrice promozionale che li rendono adattabili ed esigibili a una realtà in costante movimento.
Con l’obiettivo di incoraggiare una maggiore propensione ad assumere e un migliore adattamento tra le esigenze del lavoro e quelle della impresa, l’articolo 1 del presente disegno di legge affida pertanto al Governo la delega a emanare uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni, anche di carattere innovativo, volte alla redazione di un testo unico della normativa in materia di lavoro denominato «Statuto dei lavori».
I diritti universali della persona e le moderne tutele di matrice promozionale possono infatti essere esaltati e meglio perseguiti nella ottica unitaria dello «Statuto dei lavori» ipotizzato da Marco Biagi già nel corso del passato decennio quale corpo di tutele adattabili, affidate alla contrattazione collettiva e costruite per geometrie variabili e modulabili in funzione di molteplici parametri tra cui, in particolare, le caratteristiche del lavoratore e le condizioni della azienda, del settore o del territorio di riferimento.
La delega di cui all’articolo 1 del presente disegno di legge, che dovrà essere esercitata in conformità agli obblighi derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, si propone, in primo luogo, la razionalizzazione e semplificazione del quadro legale con l’obiettivo di ridurre almeno del 50 per cento la normativa attualmente vigente frutto di una stratificazione disorganica. Ciò potrà avvenire anche mediante abrogazione delle normative risalenti nel tempo prevedendo altresì, ove opportuno, un nuovo regime di sanzioni civili, penali e amministrative.
La semplificazione del quadro legale vigente potrà essere perseguita anche attraverso la valorizzazione delle sanzioni di tipo premiale in modo da tenere conto della natura sostanziale o formale della singola violazione anche attraverso la utilizzazione di strumenti che favoriscano la regolarizzazione e la eliminazione degli effetti della condotta illecita da parte dei soggetti destinatari dei provvedimenti amministrativi.
Avviata la razionalizzazione e semplificazione del quadro legale la delega si propone di identificare nell’ambito della legislazione vigente, che viene dunque confermata, un nucleo di diritti universali e indisponibili, di rilevanza costituzionale e coerenti con la Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, applicabili a tutti i rapporti di lavoro dipendente e alle collaborazioni a progetto rese in regime di sostanziale mono-committenza.
Le tutele non ricomprese nel nucleo dei diritti universali potranno essere eventualmente rimodulate e adattate, anche in chiave promozionale, alle reciproche esigenze di lavoratori e imprese attraverso un rinvio permanente alla contrattazione collettiva per la definizione di assetti di tutele variabili a livello territoriale, settoriale o aziendale anche in deroga alle norme di legge, valorizzando altresì, mediante norme promozionali e di sostegno, il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali.
La rimodulazione delle tutele da parte della contrattazione collettiva potrà avvenire attraverso il riferimento ad alcuni indicatori dinamici come l’andamento economico della impresa, del territorio o del settore di riferimento con particolare riguardo alle situazioni di crisi aziendale e occupazionale, all’avvio di nuove attività, alla realizzazione di significativi investimenti e ai più generali obiettivi di incremento della competitività e di emersione del lavoro nero e irregolare. Potranno altresì essere prese in considerazione le caratteristiche e la tipologia del datore di lavoro e dello stesso lavoratore con specifico riferimento alla anzianità continuativa di servizio, alla professionalità o alla appartenenza a gruppi svantaggiati ai sensi della regolamentazione comunitaria di riferimento. Specifiche modulazioni potranno essere previste anche per i contratti a contenuto formativo o di inserimento o reinserimento al lavoro, nonché in ragione delle concrete modalità di esecuzione della attività lavorativa con particolare riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative rese a favore di un unico committente.
Quanto alle tutele sul mercato l’articolo 1 del disegno di legge – preso favorevolmente atto delle deleghe in materia di razionalizzazione degli ammortizzatori esistenti contenute nel “collegato lavoro” – dispone l’estensione (su base volontaria od obbligatoria e mediante contribuzioni corrispondenti alle prestazioni) degli ammortizzatori sociali e contempla interventi di politica attiva del lavoro coerenti con le linee guida e i principi concordati tra Governo, Regioni e parti sociali nell’accordo del 17 febbraio 2010 con particolare riferimento alla valorizzazione di percorsi formativi per competenze e in ambiente produttivo, certificabili in funzione degli esiti e programmati in coerenza con i fabbisogni professionali espressi a livello settoriale e territoriale.
In una ottica di sussidiarietà e di maggior coinvolgimento delle parti sociali, il disegno di legge prevede infine che tali principi potranno essere integrati da un avviso comune reso al Governo da associazioni rappresentative dei datori e prestatori di lavoro su scala nazionale entro nove mesi dalla entrata in vigore della legge.
L’articolo 2 del disegno di legge contiene alcune disposizioni di ordine tecnico concernenti l’esercizio della delega di cui all’articolo 1. Gli schemi dei decreti legislativi, deliberati dal Consiglio dei Ministri e corredati da una apposita relazione, saranno trasmessi alle Camere, per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, solo una volta sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e prestatori di lavoro.
Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, il Governo potrà adottare eventuali disposizioni modificative e correttive, comprensive della possibilità di adottare un testo unico delle disposizioni in materia di lavoro, con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi.

* * * * *
 
Articolo 1
Delega al Governo per la predisposizione di uno Statuto dei lavori


1.    Al fine di incoraggiare una maggiore propensione ad assumere e un migliore adattamento tra le esigenze del lavoro e quelle della impresa, il Governo è delegato a emanare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni, anche di carattere innovativo, volte alla redazione di un testo unico della normativa in materia di lavoro denominato Statuto dei lavori.
2.    La delega di cui al comma 1 deve essere esercitata in conformità agli obblighi derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro e nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a)    razionalizzazione e semplificazione con l’obiettivo di ridurre almeno del 50 per cento la normativa vigente anche mediante abrogazione delle normative risalenti nel tempo, prevedendo un nuovo regime di sanzioni, in particolare di tipo premiale, che tengano conto della natura sostanziale o formale della violazione e favoriscano la immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita;
b)    identificazione di un nucleo di diritti universali e indisponibili, di rilevanza costituzionale e coerenti con la Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, applicabili a tutti i rapporti di lavoro dipendente e alle collaborazioni a progetto rese in regime di sostanziale mono-committenza;
c)    conseguente identificazione della rimanente area di tutele con possibilità per la contrattazione collettiva di una loro modulazione e promozione nei settori, nelle aziende e nei territori, anche in deroga alle norme di legge, valorizzando il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali. Nell’esercizio di questa capacità la contrattazione collettiva tiene conto, in particolare, dei seguenti indici:
-    andamento economico della impresa, del territorio o del settore di riferimento con particolare riguardo alle crisi aziendali e occupazionali, all’avvio di nuove attività, alla realizzazione di significativi investimenti e ai più generali obiettivi di incremento della competitività e di emersione del lavoro nero e irregolare;
-    caratteristiche e tipologia del datore di lavoro anche con riferimento a parametri dimensionali della impresa non legati al solo numero dei dipendenti;
-    caratteristiche del lavoratore con specifico riferimento alla anzianità continuativa di servizio, alla professionalità o alla appartenenza a gruppi svantaggiati;
-    modalità di esecuzione della attività lavorativa autonoma e coordinata con un solo committente, con particolare riferimento all’impegno temporale e al grado di autonomia del lavoratore;
-    finalità del contratto con riferimento alla valenza formativa o di inserimento al lavoro.
d)    riordino della regolazione delle tutele nel mercato del lavoro con riferimento ai servizi di orientamento e collocamento al lavoro e ad attività di formazione secondo percorsi per competenze in ambiente produttivo, certificabili negli esiti, coerenti con i fabbisogni professionali rilevati;
e)    estensione, su base volontaria od obbligatoria e mediante contribuzioni corrispondenti alle prestazioni, degli ammortizzatori sociali senza oneri aggiuntivi di finanza pubblica.
3.    I principi e criteri direttivi di cui al comma 2 potranno essere integrati da un avviso comune reso al Governo dalle associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su scala nazionale entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Articolo 2
Disposizioni concernenti l’esercizio della delega di cui all’articolo 1

1.    Gli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, deliberati dal Consiglio dei Ministri e corredati da una apposita relazione sono trasmessi alle Camere, una volta sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e prestatori di lavoro, per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la scadenza del termine previsto per l’esercizio della relativa delega.
2.    In caso di mancato rispetto del termine per la trasmissione, il Governo decade dall’esercizio della delega. Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Qualora il termine per l’espressione del parere decorra inutilmente, i decreti legislativi possono essere comunque adottati. Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, quest’ultimo è prorogato di sessanta giorni.
3.    Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, il Governo può adottare eventuali disposizioni modificative e correttive, comprensive della possibilità di adottare un testo unico delle disposizioni in materia di lavoro, con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi.

giovedì 11 novembre 2010

Richiesta d'incontro sulle prospettive di INSIEL

Considerata la delibera di Giunta 2977 del 30- 12- 2009 che:
Conferma il ruolo strategico di Insiel quale “..soggetto attuatore delle politiche di semplificazione amministrativa della Regione..”
Conferma la necessità di “.. disporre che gli uffici dell’amministrazione regionale e degli enti funzionali della Regione si avvalgano di Insiel S.p.A., in quanto società strumentale della Regione, per l’acquisizione di beni e servizi rientranti nel oggetto sociale della medesima..”
Considera “.. necessario alla luce della normativa comunitaria e nazionale in materia di società in house verificare le ipotesi di allargamento della partecipazione societaria ad Insiel Sp.A. ad altri soggetti pubblici ..”
Autorizza gli uffici regionali competenti a predisporre di concerto la bozza di una nuova legge regionale su Insiel S.p.A.
Delinea un percorso di ampliamento della compagine societaria di Insiel S.p.A

Considerata la Legge regionale n. 8 del 04/06/2010, “Norme urgenti in materia di societa' partecipate dalla Regione”, che conferma la legge regionale 27 aprile 1972, n. 22 e ribadisce che il servizio reso Insiel SpA “a favore degli enti del Servizio sanitario regionale e degli enti locali della regione, è strumentale all'attività della Regione in quanto reso nell'interesse, in funzione e su incarico della stessa.”
Considerata la delibera 1780 approvata il  9 settembre 2010 che all’art.33 specifica le funzioni del Servizio sistemi informativi ed e-government, che comprendono:
  • coordinamento, pianificazione, controllo e progettazione del Sistema informativo Regionale SIR, e coordinamento degli interventi per lo sviluppo dei sistemi informativi di interesse degli Enti locali; 
  • definizione di standard, approvvigionamento e cura la messa a disposizione delle dotazioni informatiche dell’Amministrazione regionale; 
  • sviluppo e la realizzazione di servizi sia applicativi che infrastrutturali per l’attuazione delle politiche dell’e-government, con particolare riguardo all’integrazione ed all’interoperatività dell’azione tra enti soggetti territoriali e nazionali; 
  • gestione dei rapporti con le società di informatica, verificando gli adempimenti contrattuali connessi; 
  • esercizio del controllo analogo sulla società di informatica in house secondo le modalità stabilite dalla Giunta regionale.
Considerata la mancanza, a oggi, di quell’intervento legislativo in materia di Società dell’Informazione in Friuli Venezia Giulia, annunciato come imminente nel corso dell’audizione della I commissione consiliare del 15 luglio u.s. e che, in base alle dichiarazioni dei suoi promotori, ha tra gli obiettivi quello di rilanciare il ruolo strumentale di Insiel anche autorizzando l’allargamento della compagine societaria dell’azienda ai soggetti pubblici regionali interessati e coinvolti nello sviluppo di un sistema informativo integrato regionale;
Considerato che l’incertezza del quadro legislativo sta creando una effettiva difficoltà nella gestione operativa dell’azienda e che questa sta provocando uno stallo nell’organizzazione interna con ovvie ed evidenti ricadute sulle possibilità di Insiel di svolgere il proprio ruolo.
Le RSU e OOSS di Insiel, al fine di prevenire i rischi per le prospettive industriali ed economiche dell’azienda e di pregiudizio della valorizzazione di un patrimonio regionale di professionalità e competenze di Information e Communicaton Technology,
chiedono un urgente  incontro alla Proprietà-Regione che permetta di comprendere quale sia lo stato di avanzamento dell’iter di discussione della proposta di legge sulla Società dell’Informazione e quali siano i tempi per il riordino delle normative che definiscono attualmente il ruolo di Insiel e l’esercizio, da parte dell’azienda, delle proprie competenze in materia di sviluppo dell’ICT e dell’e-governement.