mercoledì 1 febbraio 2012

Documento Cremaschi per discussione nell'Area "La Cgil che vogliamo"

Premessa:
Da tempo l'area programmatica “La Cgil che vogliamo” è in crisi. Ora non è più rinviabile una verifica di fondo sulle volontà e sulle capacità politiche e organizzative di sviluppare in Cgil una lotta politica adeguata alla gravità di quanto accade. Il Contratto Nazionale, lo Statuto dei Lavoratori, ciò che resta dello Stato sociale, tutto è oggi in discussione e le posizioni e le iniziative della Cgil sono deboli e ininfluenti. Quindi o l'area programmatica nata dalla minoranza congressuale si organizza come opposizione alla deriva della Confederazione e agisce nei luoghi di lavoro, nei territori, nelle categorie in modo da essere chiaramente visibile e utilizzabile da chi vuole lottare, oppure cessa di avere qualsiasi utilità. Per questo proponiamo di aprire subito una discussione vasta in tutta l'area programmatica fino ai militanti ed agli iscritti, partendo da una grande assemblea nazionale ove organizzare l'opposizione e l'alternativa al Governo Monti e all'attacco padronale. E con lo scopo conseguente di organizzare in tutta la Cgil una visibile e incisiva opposizione alle scelte oggi prevalenti.
Per questo proponiamo le seguenti Tesi. 

1.    Con la crisi economica il processo di riduzione dei diritti del lavoro avviato da oltre trent’anni ha raggiunto il massimo di estensione e di intensità. La precarietà è diventata la condizione comune di tutto il mondo del lavoro, solamente distribuita in diverse forme e gradualità. Tutto il mondo del lavoro viene sottoposto alla brutale aggressione ai diritti e alla dignità della persona. Competitività e flessibilità sono le parole con cui si giustifica ogni scelta lesiva dei più elementari diritti. Alla fine si sta giungendo a una vera e propria restaurazione di forme servili, mentre l'autoritarismo e l'attacco alle libertà sindacali dilagano. 
    Questa aggressione al lavoro è in corso in tutto il mondo occidentale e nell'Europa che già fu dei contratti e dei diritti. In Italia il via all'attacco conclusivo ai diritti contrattuali e allo stato sociale l'ha dato l'amministratore delegato della Fiat nel 2010. Da allora la politica e il modello di Marchionne si sono progressivamente estesi in tutto il mondo del lavoro e, là dove non sono stati accettati esplicitamente, sono comunque stati utilizzati per colpire i diritti e il potere contrattuale dei lavoratori. Nel decreto liberalizzazioni è il governo stesso che cancella l’obbligo del contratto nazionale per il trasporto ferroviario e per il trasporto locale. Decisione questa alla quale non si era spinto neppure il governo Berlusconi, che pure con l'articolo 8 del suo ultimo decreto, aveva dato il via libera definitivo a tutte le deroghe contrattuali e di legge. 
    Contro questo disegno di riduzione della forza lavoro a pura merce usa e getta non sono possibili accomodamenti. O lo si accetta pensando magari a ridurre i danni, pratica fallimentare di questi anni, o lo si respinge con il dichiarato intento di sconfiggerlo e di costruire un'alternativa generale adesso.

2.    La crisi economica è una crisi di sistema che nasce dal modello sociale di sviluppo del capitalismo globalizzato. Le disuguaglianze sociali enormi e crescenti, la distruzione della natura, la crescita selvaggia del mercato, dopo essere state utilizzate dal capitalismo globalizzato come leva per la crescita sono oggi diventate causa stessa della sua crisi. Solo un cambiamento profondo della società può affrontare le cause strutturali della crisi, ma le classi dirigenti occidentali vanno tutte nella direzione opposta. 
Si affronta la crisi, cioè, riproponendo in misura sempre più radicale quelle politiche liberiste che ci governano dagli ultimi trent’anni. Si portano indietro gli orologi, gli anni dieci del duemila diventano come gli anni ottanta, come se da allora non ci fossero stati un terribile arretramento del mondo del lavoro, una crescente disuguaglianza, una riduzione progressiva degli spazi e dei diritti democratici. E' fallita la promessa del capitalismo liberista di scambiare la riduzione dei diritti con la ricchezza individuale. Tuttavia proprio la crisi, proprio la disoccupazione e la precarietà di massa, diventano occasioni per scatenare un nuovo attacco ai diritti sociali proprio da parte di chi ha causato la crisi. La crisi del capitalismo occidentale in Europa diventa così l’occasione per esaltarlo nelle sue forme più brutali.
Il centro sinistra e i grandi sindacati, salvo eccezioni, sono subalterni a questa politica restauratrice. Al massimo puntano ad attenuarne gli effetti, a mitigarne i danni, ma non propongono in nessun caso una alternativa ad essa. D'altra parte una alternativa a queste politiche richiederebbe una scelta di rottura culturale e politica di compatibilità che è oggi è estranea o minoritaria sia nel centro sinistra, sia nei grandi sindacati. Così mentre le classi dirigenti provano a fermare il tempo, il movimento sindacale in Italia e in Europa spera solo in un ritorno alla concertazione e a politiche sociali meno aggressive, oppure tenta patti di complicità corporativa con le grandi imprese

3.    La difficoltà nella situazione sta proprio nella rigidità delle compatibilità economiche, politiche e culturali che sono state progressivamente costruite e imposte negli ultimi trent’anni. Queste compatibilità sono oggi presentate come senza alternative, per cui ogni critica alle politiche economiche viene condannata ideologicamente e politicamente e messa al di fuori di ogni confronto. Un potente regime informativo e culturale martella l'opinione pubblica sulle certezze incontestabili del capitalismo finanziario. Ogni lotta sociale che si scontri con questo regime di compatibilità è costretta all'isolamento. Nell'epoca del trionfo della parola riformismo, le uniche vere riforme sono le controriforme liberiste. Chi si oppone ad esse è contro il progresso e la ragione. Per questo le lotte oggi hanno la necessità di unirsi e riconoscersi in un punto di vista globalmente critico rispetto al sistema esistente e alla sua ideologia totalitaria. 

4.    Per ricostruire democrazia, diritti, giustizia e uguaglianza è necessario scontrarsi in Italia e in Europa contro politiche e poteri dominanti. Il governo reale dell' Europa oggi è costituito dall' alleanza tra finanza e capitalismo multinazionale, tecnocrazia liberista, governi e ideologie conservatori. Il massacro sociale in Grecia è usato da questo governo reale come monito e ricatto per tutti i popoli. Tutto deve essere sacrificato al pareggio di bilancio e alle politiche di austerità competitiva.
    In Italia questa politica e questa forma di governo si sono affermate con Monti. Il fallimento politico del governo Berlusconi, contro cui si era mobilitata per un anno e mezzo una parte sempre più vasta del paese e dell'opinione pubblica, ha aperto una fase completamente nuova. Il governo Monti si presenta come il governo degli obblighi e delle necessità imposte dall'Europa, mentre non può essere certo accusato di tutto ciò di cui si è macchiato il precedente governo. Per questo il conflitto sociale non può più godere della rendita di posizione dell'antiberlusconismo, di cui si serve anzi il centro sinistra per appoggiare il governo Monti, che rappresenta un'assoluta novità nella storia politica italiana del dopoguerra. E' il primo governo che reclama esplicitamente come proprie linee guida gli interessi del mercato e del grande capitale, presentandoli come interessi di tutti. A tal fine è fondamentale il ruolo assunto dal Presidente della Repubblica e l'uso della unità nazionale del paese contro il comune nemico , il debito pubblico. E' una propaganda da guerra patriottica quella che viene usata per richiedere e giustificare i sacrifici. Per questo il conflitto sociale necessita della rottura culturale e politica con l 'ideologia della coesione, del patto sociale, dello stare tutti nella stessa barca.

5.    Per tutte queste ragioni la questione della opposizione al governo Monti diventa una questione costituente sul piano sociale, come su quello politico e anche culturale. Il governo Monti è infatti un governo ideologico che cancella l'autonomia del movimento operaio e il conflitto sociale nel nome della ideologia liberale. Ed è anche un governo di scopo il cui programma è applicare in Italia le politiche economiche decise dalla Bce e dalla grande finanza internazionale. Per queste ragioni non si possono combattere le singole misure del governo senza contrastare la logica di fondo che le ispira. Non sono cioè praticabili compromessi con la linea di fondo di questo governo.
Liberalizzazioni e privatizzazioni sono il punto centrale di una politica conservatrice e restauratrice, che punta a realizzare la ripresa economica facendo leva sul mercato e il profitto. Una linea destinata a fallire ma che, se non fermata in tempo, provocherà regressioni profonde nella società e nella democrazia.

6.    Quanto avvenuto sulle pensioni è il segno della marginalizzazione del movimento sindacale italiano. Per la prima volta nella storia della Repubblica, si sono cambiate pesantemente le pensioni senza alcun accordo con alcuno dei grandi sindacati confederali. D'altra parte l'ideologia del governo Monti è liberale e liberista e come tale restia a subire anche il condizionamento concertativo del sindacato. Da questo punto di vista vanno in crisi nel confronto con il governo non solo le posizioni della Cgil, ma persino quelle di Cisl e Uil. Il confronto sul mercato del lavoro si è aperto così come una trattativa a perdere, nella quale il movimento sindacale deve fare ulteriori sacrifici sui diritti e sulla contrattazione nel nome della flessibilità e della competitività. Con l'attacco all'articolo 18 il governo prepara una nuova ondata di precarietà e riduzione del valore del lavoro e anche una nuova umiliazione a Cgil, Cisl e Uil.

7.    L'accordo del 28 giugno, sottoscritto dalla Cgil il 21 settembre prima ancora della consultazione, segna un'ulteriore segno di impotenza delle linea politica prevalente nel sindacato confederale oggi. Nelle intenzioni della Cgil quell'accordo doveva segnare un punto d'arresto della destrutturazione dei contratti e invece è stato utilizzato dal padronato, dal governo Berlusconi e anche dal governo Monti, per peggiorare ancora le condizioni di lavoro. Sono continuati gli accordi separati e là dove tutti hanno firmato è ampiamente passato il principio delle deroghe, del sottosalario, delle limitazioni dei diritti. Nel pubblico impiego è proseguita la politica di cancellazione della stessa contrattazione collettiva e del ritorno ad un modello individuale ottocentesco di rapporto di lavoro. L' errore di fondo del gruppo dirigente della Cgil è stato quello di minimizzare la portata dell'attacco scatenato dalla fiat e di non coglierne la dimensione di sistema. Così il no della Fiom è stato considerato un incidente da recuperare invece che una risorsa per tutto il sindacato, un punto da cui partire per combattere ovunque l' asservimento del lavoro. Ora Cgil e Fiom sono ad un bivio, vie di mezzo non ce ne sono. O rientrano nel sistema Marchionne subendo la sconfitta e accettando così la sua generalizzazione a tutto il mondo del lavoro. O continuano il conflitto e lo estendono fino a rovesciare i rapporti di forza. Per queste ragioni l'accordo del 28 giugno non solo non è uno strumento utile, ma va messo in discussione assieme all'articolo 8 del decreto Berlusconi e alla politica contrattuale di governo ed enti pubblici. 

8.    Per tutte queste ragioni è indispensabile aprire immediatamente in tutta la Cgil, in tutte le sue categorie e strutture, un confronto che metta in campo un'alternativa al fallimento della politica concertativa. Occorre affermare ovunque nella Cgil la possibilità di una politica e di una pratica diversa da quella della riduzione del danno. L'opposizione al governo Monti come concreta pratica sindacale, lo scontro con la linea Marchionne e con quella ad essa ossequente della Confindustria, la totale indipendenza dai riferimenti politici e culturali che sono alla base del sostegno al governo tecnico, devono essere elementi costituenti di una nuova fase sindacale. Una fase nella quale la ricostruzione del conflitto assieme a quella di una piattaforma alternativa generale che lo sostenga ed estenda, devono muovere assieme.
Tutto questo impone una svolta radicale nelle scelte e soprattutto nelle modalità di iniziativa della minoranza congressuale-area programmatica 'La Cgil che vogliamo'. Quest'area è da un anno in evidentissima crisi politica e operativa e questo perché non è mai stata in grado di contrastare davvero le scelte prevalenti in Cgil. Il punto centrale della crisi dell'area è che la forza dell'offensiva liberista del padronato e governo impongono ai dissensi di trasformarsi in scelte operative nella vita della Cgil, oppure di essere ininfluenti. Per questo proponiamo a La Cgil che vogliamo di organizzarsi come opposizione, a partire dai luoghi di lavoro, in tutta la Cgil.

9.    La nuova opposizione in Cgil dovrà necessariamente aprirsi a tutti i movimenti, a tutte le forze sociali e sindacali organizzate che lottano contro il governo Monti e contro tutte le logiche che lo ispirano. La ricostruzione dell'unità con Cisl e Uil va nella direzione opposta a quanto è necessario. E non perché queste organizzazioni non possano risentire della crisi di risultati che oggi colpisce tutto il sindacato. Ma perché non è possibile separare la battaglia generale da quella nei singoli luoghi di lavoro, quella contro Monti da quella contro Marchionne con cui invece Cisl e Uil collaborano. La prima unità da costruire è dunque quella con tutte le forze del conflitto sociale, superando inutili barriere con i movimenti e pure con il sindacalismo di base, anche esso oggi in grande difficoltà. Oggi non esistono forze e movimenti autosufficienti e invece è indispensabile che tutte e tutti coloro che intendono lottare contro la linea Monti/Marchionne trovino punti, momenti e iniziative comuni.

10.    La nuova opposizione in Cgil dovrà elaborare una piattaforma alternativa alle politiche economiche degli ultimi trenta anni, fondata prima di tutto sul rifiuto delle politiche europee di austerità e rientro dal debito. Questo rifiuto è decisivo anche per non lasciare il campo alle forze della destra populista e xenofoba per difendere davvero la democrazia.
    Una piattaforma per il lavoro e la dignità di fondata sui beni comuni, sulle nazionalizzazioni e sul controllo del mercato, sull'eguaglianza sociale e la lotta alla precarietà. sul potere contrattuale dei lavoratori, sull'aumento dei salari, sul diritto al reddito e sulla riduzione degli orari. Questa nuova piattaforma che rompe con trenta anni di pratiche concertative, sarà frutto sia della elaborazione comune delle strutture e dei militanti sia delle lotte concrete,che spesso individuano obiettivi, percorsi,modalità di lotta che fanno fare passi avanti decisivi. Nel suo passato migliore la Cgil ha sempre saputo imparare dalle lotte e rinnovare con esse le proprie pratiche. 

11.    La crisi economica è crisi della democrazia. Per questo la nuova opposizione in Cgil dovrà considerare la ricostruzione della partecipazione e della democrazia, nella stessa vita all'interno dell’organizzazione, come un proprio punto identitario. Bisogna rompere con le pratiche autoritarie che si diffondono in tutto il corpo dell'organizzazione, con la delega assoluta ai gruppi dirigenti, con la marginalizzazione della diversità e del dissenso. Una democrazia partecipativa radicale deve essere oggi praticata nella Cgil, così come in tutte le attività politico sociali.
La burocratizzazione e la spoliticizzazione dell'attività sindacale, sempre più trasformata in attività di consulenza e servizio, va sfidata e combattuta. A partire dai luoghi di lavoro la nuova opposizione organizzata in Cgil dovrà rivendicare e affermare il sindacato della democrazia e del conflitto, creando spazi, confronti, pubblica comunicazione. IL mondo del lavoro deve sapere che c'e in campo l'opposizione in Cgil.

Giorgio Cremaschi 

1 commento:

Anonimo ha detto...

too little,too late.