lunedì 27 febbraio 2012

Dichiarazione Fiom Cgil in relazione ai fatti di stamattina in Val di Susa


Comunicato Fiom-Cgil Torino



In relazione ai fatti di questa mattina in Valle di Susa il segretario nazionale della Fiom-Cgil Giorgio Airaudo, e il segretario generale della Fiom-Cgil di Torino, Federico Bellono, hanno dichiarato: "a fronte dei gravi fatti di queste ore, e soprattutto del ferimento del militante No Tav, chiediamo, innanzitutto per ragioni umanitarie, l'immediata sospensione dei lavori di ampliamento del cantiere e del relativo intervento delle forze dell'ordine".


Torino, 27 febbraio 2012



Dichiarazione di Giorgio Cremaschi



TAV: CREMASCHI, INCIDENTE FRUTTO OCCUPAZIONE MILITARE VALLE

(ANSA) - TORINO, 27 FEB - 'Il gravissimo incidente e' frutto di una decisione inaccettabile e sbagliata: l'occupazione militare della valle. Bisogna fermare questa occupazione che e' una vergogna per qualsiasi Paese democratico'. Lo afferma Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della Fiom.
Cremaschi esprime 'speranza per la salute di Luca, solidarieta' totale al popolo della Valle di Susa e appoggio pieno a tutte le mobilitazioni che si stanno organizzando, compreso lo sciopero generale della valle' (ANSA).


24 febbraio - ordine del giorno FIOM Trieste

Direttivo Provinciale Fiom Cgil di Trieste

24 febbraio 2012

Ordine del giorno

Il Direttivo provinciale della Fiom Cgil di Trieste ritiene inaccettabile l'attacco al lavoro, di chiara matrice politica, iniziata dal Governo Berlusconi e continuata dal Governo Monti assieme a Confindustria.

Pertanto, il Direttivo provinciale della Fiom Cgil di Trieste ribadisce:
  • Il mantenimento, nella forma e nella sostanza, dell'articolo 18 della legge 300 “Statuto dei Lavoratori”, considerando la necessità di estendere questo diritto di civiltà anche alle aziende con meno di 15 dipendenti.
  • La richiesta di abrogare l’articolo 8 della legge 148/2011 che mina e il diritto al CCnL e la libertà di associazione sindacale.
  • La creazione di strumenti per garantire a tutti i lavoratori, a seguito di crisi aziendali, una fonte di reddito che permetta un dignitoso sostentamento e la realizzazione di politiche industriali innovative e rispettose dell’ambiente necessarie a creare nuovi posti di lavoro .
  • La riduzione della precarietà, mantenendo soltanto il lavoro subordinato determinato/indeterminato e somministrato. Il lavoratore assunto con contratto di lavoro somministrato deve costare di più alle aziende per disincentivare il ricorso a questa forma di lavoro, ma deve soprattutto avere un guadagno maggiore.
  • La necessità di adeguare i livelli retributivi italiani a quelli dei principali paesi europei, effettuando il calcolo sulle retribuzioni nette a parità di potere di acquisto, di prestazione lavorativa e di tipologia professionale.
  • L'introduzione di una patrimoniale che interessi soprattutto le rendite della finanza, al fine di alleggerire il carico fiscale su lavoratori dipendenti e pensionati.
  • L'urgente necessità di ripristinare il sistema pensionistico che consenta l'accesso alla pensione, senza nessuna penalizzazione economica, per chi abbia raggiunto 40 anni di versamenti contributivi.
  • La reintroduzione della pensione di vecchiaia a 60 anni di età per le donne indistintamente se occupate nel settore pubblico o privato.
  • Una politica di agevolazione pensionistica per lavoratori precoci e lavori usuranti con riduzione del limite di età contributiva e anagrafica.
  • La rivalutazione economica delle pensioni attuali e future adeguandole al costo della vita e non soltanto a quanti contributi versati, ripristinando un sistema solidaristico sulle pensioni, anche introducendo il nuovo principio del limite massimo per tutte le pensioni.

È finito il tempo delle battaglie di retroguardia dove si tenta di difendere i diritti conquistati in altri anni. Per contrastare questo attacco i lavoratori devono rivendicare la dignità sul posto di lavoro con delle richieste chiare e raggiungibili, uscendo dalle logiche di baratto imposte da Regole di Mercato fallimentari.
Soltanto con ampio coinvolgimento di tutti i lavoratori si potrà arginare la crisi, alimentata anche dalla riduzione delle tutele del lavoratore e dalla riduzione dello stato sociale. Quindi il Direttivo provinciale della Fiom Cgil di Trieste chiede alla Confederazione di unirsi allo sciopero del giorno 9 marzo già proclamato dalla FIOM Nazionale, costruendo uno Sciopero Generale che unisca giovani e anziani, lavoratori pubblici e privati, studenti e pensionati confermando la propria vicinanza ai lavoratori e a chi non si rassegna nel veder cancellati, per pura avidità e incapacità della attuale classe politica e industriale italiana, anni di lotte e di sacrifici.
A riguardo La FIOM CGIL di Trieste promuoverà una riunione aperta a tutti per discutere e condividere le ragioni della giornata di sciopero del prossimo 9 marzo.

Approvato con 29 favorevoli e 2 astenuti

Ordine del giorno Comitato degli iscritti del comune di Trieste - CGIL FP


domenica 26 febbraio 2012

La messa cantata nell’acquario Fiat

Segue un intervento di Antonio Di Luca, operaio in cassa integrazione della Fiat di Pomigliano d’Arco e membro del direttivo provinciale della Fiom Cgil di Napoli, pubblicato su Il Manifesto il giorno 21 febbraio 2012.
Sono poco più di duemila dipendenti, e solo 1750 gli operai finora richiamati a Pomigliano. In linea con il quaranta percento dichiarato all’esame congiunto di Roma dalla Fiat nel luglio 2011. Passaggio necessario, per rinnovare di un altro anno la cassa integrazione per cessazione di attività per i restanti tremila e duecento operai ancora fuori dal processo produttivo. A oggi lo stabilimento produce ottocento vetture al giorno su due turni per cinque giorni alla settimana. Dalle ore sei alle quattordici e dalle quattordici alle ventidue. Il turno di notte è saltato, compromettendo anche quel poco di aumento salariale dovuto all’indennità notturna. Questo significa concentrare l’innalzamento della salita produttiva solo su due turni anziché tre, e aumentare notevolmente lo sfruttamento intensivo psicofisico degli operai, costretti a ritmi massacranti oltre ogni limite di ragionevolezza. La salita produttiva nei prossimi giorni porterà a produrre quattrocentoventi vetture a turno, una macchina al minuto. Meno di una margherita nel forno di una pizzeria. Una follia, mentre diversi capannoni sono in disuso e oltre tremila operai in cassa integrazione.
Ma, è questo il punto: non poteva essere altrimenti. Quando si produce una sola vettura, per quanto bella, ma con un bassissimo valore aggiunto, comprimere i costi per l’azienda diventa necessario. Ed è in questo quadro che i delatori diventano essenziali per annientare la dignità degli operai. Le testimonianze che ci giungono quotidianamente hanno dell’inverosimile, spesso accompagnate da pianti. Ecco il motivo umano, prima che sindacale o legale che ci spinge a svelare questo abominio. Da quando è partita la produzione della nuova Panda le pause saltano, senza avvisi, scuse o particolare rispetto delle relazioni minime sindacali: «La pausa dalle diciotto alle diciotto e dieci salta», è il freddo ordine del capo. Per chi aspetta quella pausa, già scelleratamente ridimensionata da “accordi” imposti dal “manager dei due mondi”, per riposarsi dalla fatica di una catena che corre all’impazzata, è il baratro. Lavorare ancora due ore in quelle condizioni, con la schiena a pezzi, le gambe pesanti, la bocca secca e dolori alle articolazioni. Ti sembra di impazzire.
Ma è a fine turno che si compie l’atto drammaturgico più grave, Shakespeare e Brecht a confronto sembrerebbero dei dilettanti: “la messa nell’acquario”. Vi ricordate la lettera scritta al Corriere della sera dal professor Ichino su Pomigliano?: “[…] gli uffici con le pareti di cristallo collocati in mezzo al percorso del montaggio, quasi a sottolineare il superamento di ogni distinzione tra operai e impiegati”. Bene, quelle pareti di cristallo, che gli operai chiamano acquario, sono gli uffici che alla fine di ogni turno sono adibite per la pièce. C’è un microfono, c’è il direttore con tutti i preposti aziendali al cui cospetto sono convocati gli operai. La riunione si apre con la dettagliata delazione dei capi e/o dei team leader sugli errori commessi durante il turno dagli inconsapevoli operai, tralasciando naturalmente errori e ritardi provocati dal processo o dal prodotto. L’audizione è obbligatoria per gli operai e lo spettacolo viene rappresentato nella pausa mensa. Quindi senza mangiare, dopo che quei poveracci hanno trascorso dieci o undici ore lontano da casa, e dopo un turno massacrante di lavoro.
Per espiare i propri peccati, il povero operaio messo in mezzo dalle gerarchie di fabbrica è costretto, al microfono, a scusarsi dinanzi a tutti, magari di errori che neanche ricorda, vista la densità delle operazioni, cui è stato sottoposto. Deve fornire convincenti prove del suo pentimento, nella speranza che la sua esibizione sia accolta con benevolenza dai capi e dal direttore e che scongiuri l’inevitabile contestazione e la multa. Provvedimenti che scatteranno comunque in automatico dopo tre “messe” fino a provocare il licenziamento del malcapitato dopo alcune contestazioni disciplinari.
Molti obietteranno che è normale in una grande azienda effettuare un brainstorming, o un semplice feedbackdella giornata; senza scomodare Marx, credo sia inconcepibile imporlo in queste forme a operai già provati da una giornata alla catena per poche decine di euro al giorno e in un quadro di delazioni tipiche solo in “un universo concentrazionario” dove l’unico obiettivo è l’annullamento della persona umana, prima ancora che dell’operaio. (antonio di luca)

sabato 25 febbraio 2012

Landini: “Le promesse Fiat erano tutte balle”

Questa intervista di Sergio Marchionne contiene molte falsità.
Ma soprattutto una notizia grave, che non dovrebbe preoccupare solo noi, ma tutti gli italiani: la Fiat pensa di chiudere due stabilimenti”.
Maurizio Landini ieri ha compulsato riga per riga quello che Marchionne ha detto al Corriere della Sera.
Due pagine piene di messaggi in codice. Il leader della Fiom la considera “un punto di non ritorno”. 
 
Landini, perché è così preoccupato?
Perché tutto quello che la Fiom ha detto per anni, spesso in solitudine, si sta purtroppo realizzando.

Si riferisce alla produzione?
Cominciamo con il dire che Marchionne non ha parlato in un giorno a caso.
Ma quando i giudici hanno detto che tre lavoratori licenziati ingiustamente vanno reintegrati.

Dice che l’ad ha provato a oscurare la vittoria di Barozzino e dei suoi compagni,con l’azienda che ora si rifiuta ancora di reintegrarli? 
Non so. Ma di sicuro c’è un fatto: è la quarta volta in un anno e mezzo che la Fiat viene condannata per comportamenti antisindacali!
E per di più per vicende diverse e da tribunali diversi: penso al reintegro ordinato a Torino per il licenziamento ingiusto dell’impiegato Pino Capozzi.

Vuol dire che sono eventi collegati?
Ovviamente sì: c’era un disegno preciso: avere in fabbrica solo i sindacati che piacciono alla Fiat e intimidire gli altri.

C’è riuscita?
Può riuscire se in questo paese il governo non si rende conto che deve intervenire per ripristinare la rappresentanza.

Dice Marchionne che voi fate politica.
Mi diverte molto che il dottor Marchionne,che è appena uscito dalla Confindustria,ieri sponsorizzava il suo candidato,Bombassei: l’unico in campagna elettorale per ora è lui.

Lei non lo sopporta, dica la verità.
Affatto. Trovo pericoloso che metta in discussione la rappresentanza sindacale,questo sì.

Lui dice che a Pomigliano non ci sono discriminazioni per voi.
Un’altra bugia: il fatto che invitino gli operai a stracciare la tessera è apparso su tutti i giornali.

Quindi Marchionne mente?
Non c’è un solo iscritto Cgil su 2000 assunti. Questo è un fatto, punto.

E sul piano industriale?
Leggendo l’intervista incalzante di Mucchetti la cosa più preoccupante è che il piano Fabbrica Italia non esiste più. Non lo dice esplicitamente. Dice che il mercato non è più quello che aveva previsto, dice che in Italia non venderà più un milione e 400 mila auto. Non parla più dei 20 miliardi di investimenti!

Colpisce più voi o più Uil e Cisl?
Chi ha firmato contratti adesso sa che ha messo il suo sigillo su cambiali in bianco.

E poi?
In quattro mesi è scomparso un altro stabilimento.

In che senso?
Presentando la nuova Thema Marchionne disse: è venuta meno la produzione di uno stabilimento. Adesso parla di due. Se segue questo ritmo a giugno non c’è più nulla. Ma il governo non ha nulla da dire?

Però Marchionne dice che se vende in America si salvano… 
Ha chiuso Termini dicendo costava troppo attraversare il Tirreno. Adesso pensa che le Punto devono attraversare l’Atlantico?

Per lui l’accordo sul gruppo Fiat è valido perché votato dagli operai.
Altra balla! Hanno votato 6 mi-la su 80 mila! E ci sono 20 mila firme che chiedono un referendum su questo contratto. Perché non lo fa se è così sicuro?

Pensa di vincerlo?
Io mi limito a osservare che con 20 mila firme che lo chiedono, quelli che non vogliono farlo sono loro.

È arrabbiato perché Marchionne dice che con Rinaldini, suo predecessore, si trattava meglio?
Fa assolutamente sorridere. Abbiamo condiviso tutte le scelte: solo in questi anni non ha accettato di vederci. È lui che ha cambiato stile e modi, non noi.

Ma lei ci parlerebbe?
Anche domani. Temo che si sta preparando a fondere il gruppo in cui la Chrysler è il vero baricentro e l’Italia solo un’appendice.

Non crede di dover dialogare con Uil e Cisl?
Ho già proposto a loro di far votare i lavoratori sul contratto. Se loro lo accettano io sono disposto a fare un grande accordo per la democrazia sindacale. Non è colpa mia se si rifiutano.

Lei sa che per loro il referendum è un boccone amaro…
Io non lo voglio fare perché sono certo di vincerlo. Io voglio farlo perché è giusto.

E se lo perdesse lei firmerebbe il contratto, Landini?
La mia organizzazione, quando i referendum si svolgono senza ricatti, ne rispetta sempre il verdetto.
Ma siccome questa possibilità non ce la danno il 9 marzo saremo in piazza San Giovanni, per difendere il lavoro. 

twitter@lucatelese - 25/02/2012



venerdì 24 febbraio 2012

Apple: protesta all’assemblea azionisti “tuteli lavoratori”

1 euro e 33 centesimi l’ora. Questo è il compenso per un lavoratore cinese della Foxconn, l’azienda che produce l’iphone Apple.
E nel giorno in cui a Cupertino si riuniscono gli azionisti per celebrare una capitalizzazione da 336 miliardi di euro, la più alta al mondo, c‘è chi chiede un iphone etico:
“Siamo qui perché non possiamo sopportare le condizioni imposte ai lavoratori per costruire questi telefoni – dice Heidi Pearlmutter, una dimostrante – Siamo anche noi dei lavoratori e pensiamo che queste persone abbiano diritto a un buon salario e a condizioni di lavoro sicure”.
“Sono una cliente Apple – dice Mary Williams, una residente di Cupertino – e sento come una responsabilità essere certa che la compagnia che sostengo garantisca condizioni di lavoro dignitose”.
Apple ha annunciato l’avvio di nuove ispezioni nelle fabbriche cinesi, dopo quelle del 2009 in seguito a diversi casi di suicidi. Ma all’esterno della Foxconn, la polizia deve arginare la folla di giovani disposti a tutto per lavorare per il marchio della mela.

Articolo 18, una questione di civiltà

Una delle basi della democrazia è la garanzia dei diritti e della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori. Su questo terreno l’Italia è da tempo un Paese a rischio.  Ecco perché vi propongo alcuni stralci del seguente appello a difesa dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, già firmato da centinaia di giuristi:

“Desta grande sconcerto, tra gli operatori giuridici (avvocati, magistrati) che quotidianamente hanno a che fare, per il loro lavoro, con la tematica dei licenziamenti, il livello di approssimazione e di assoluta lontananza dalla realtà con cui tanti autorevoli personaggi della politica, del giornalismo e persino dell’economia affrontano l’argomento, contribuendo ad alimentare una campagna di disinformazione senza precedenti.
Sta infatti entrando nella convinzione del cittadino (che non abbia, in prima persona o attraverso persone vicine, vissuto il dramma della perdita del posto di lavoro) la falsa impressione che in Italia sia pressoché impossibile licenziare, persino nei casi in cui un’impresa, in comprovate difficoltà economiche e finanziarie, con forte calo di ordini e bilanci in rosso, avrebbe necessità di ridurre il proprio personale (caso spesso citato nei dibattiti televisivi per mostrare l’assurdità di una legislazione che ingessi fino a questo punto l’attività imprenditoriale). Queste leggi assurde, poi, si salderebbero con una asserita “eccessiva discrezionalità interpretativa” dei magistrati (categoria della quale, nell’ultimo ventennio, ci hanno insegnato a diffidare) e sarebbero la causa, o quantomeno la concausa, del precariato giovanile.
Senza considerare che è l’Europa a chiederci di rivedere la normativa in tema di licenziamenti, perché eccessivamente rigida. Inoltre il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro sarebbe un’ “anomalia nazionale”.

…. Come mai non riusciamo a leggere in nessun giornale che gli indici OCSE che segnalano la cd. rigidità in uscita collocano attualmente l’Italia (indice dell’1.77) al di sotto della media europea (basti dire che la Germania ha l’indice 3.00)? Ed è proprio vero che il diritto alla reintegrazione (in caso di licenziamento dichiarato illegittimo) è previsto solo nel nostro Paese? Premesso che il discorso dovrebbe essere approfondito, va detto che in certi Paesi è addirittura costituzionalizzato (Portogallo) ed in altri è un rimedio possibile (ad esempio Svezia, Germania, Norvegia, Austria, Grecia, Irlanda, in taluni casi Francia) spesso accompagnato da ulteriori tutele.
La verità è che non esiste un vero collegamento tra la ripresa produttiva e la libertà di licenziare, e forte è quindi il timore che il ”governo tecnico”, approfittando della crisi economica, possa dare attuazione ad un antico progetto di riassestamento del potere nei luoghi di lavoro, che per essere esercitato in modo sovrano mal tollera l’esistenza di norme di tutela dei lavoratori dagli abusi. Perchè è questo, e solo questo, il senso profondo dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: una norma che sanziona il comportamento illegittimo del datore di lavoro ripristinando lo status quo ante che precedeva il licenziamento – lo si ribadisce – illegittimo. E la cui esistenza, per l’appunto, impedisce che il potere nei luoghi di lavoro (con più di 15 addetti, purtroppo, perchè altrove, appunto, tale tutela non c’è) possa essere esercitato in modo arbitrario e lesivo della dignità dei dipendenti.

… Perchè si vorrebbe impedire al giudice anche un accertamento di legittimità (e non di merito) sulle motivazioni addotte? Forte è il sospetto che in questo modo si voglia consentire al datore di lavoro di liberarsi di dipendenti scomodi semplicemente adducendo una motivazione economica, anche se non vera. Sancendo così, automaticamente, il pieno ritorno agli anni cinquanta, quando i licenziamenti erano assolutamente liberi e la Costituzione nei luoghi di lavoro, faticosamente introdotta nel 1970 dallo Statuto dei lavoratori, semplicemente un sogno. Auspichiamo proprio che, con la scusa di dover riformare il mercato del lavoro, non si arrivi a tanto”.

Chiunque voglia aderire può scrivere alla mail dello studio legale Piccinini di bologna segreteria@studiolegaleassociato.it

Vi invito a farlo, perché si tratta davvero di una questione di civiltà.  Su questa cadde a suo tempo Berlusconi. Sarebbe davvero paradossale che ad abolire in un modo o nell’altro l’art. 18, riesca il governo Monti, con l’appoggio del PD o di una sua gran parte… Del resto coloro che spingono per abolirlo non possono dare nessuna lezione di moralità, si vedano i guai giudiziari della famiglia Marcegaglia o la furbizia fiscale del caro Marchionne. Padroni, no grazie! Meglio stare dalla parte dei lavoratori, se si vuole davvero salvare questo nostro Paese!

Fabio Marcelli,giurista
Il Fatto Quotidiano - 23/02/2012


mercoledì 22 febbraio 2012

Riforma delle pensioni, per la Cgil "un furto legalizzato"

Centinaia di migliaia di lavoratori fuori dal lavoro e senza pensione, oppure costretti a pagare una seconda volta i contributi previdenziali. Il patronato Inca Cgil non usa mezzi termini per definire la "ricongiunzione onerosa" dei contributi. Domanda a Fornero: "Può una nuova legge cancellare contratti e accordi già firmati?"

Un «furto legalizzato», ma anche «il delirio di un folle». Si sta parlando degli effetti concreti della prodigiosa «riforma delle pensioni» approvata in pochi giorni dal governo Monti. 
L'Inca Cgil ha voluto limitare la sua denuncia, ieri, soltanto a due «effetti diretti» di quel provvedimento, nel timore - fondato - che i giornalisti si perdessero negli infiniti meandri una una «riforma» fatta secondo criteri che ricordano il tracciamento coloniale dei confini di certi paesi sahariani: con la riga e la squadra, senza guardare chi cadeva dentro o fuori.
Il primo punto riguarda i cosiddetti «esodati», lavoratori messi fuori dalla produzione grazie ad accordi sottoscritti con l'azienda e con il governo, secondo le regole pensionistiche in vigore fino al 4 dicembre 2011. Gente al momento senza pensione, senza più posto di lavoro e spesso persino senza ammortizzatori sociali. La platea identificata dall'Inca comprende quanti sono ancora in mobilità o che stavano per andarci, ma anche chi è uscito per crisi e ristrutturazione aziendale, quanti sono stati convinti dall'azienda ad uscirsene con incentivi, ché tanto le pensione era lì a un passo.
La «riforma» ha confermato il taglio dei ponti alle spalle, ma ha allontanato il traguardi di molti anni (fino a 7, in alcuni casi). Il loro numero è stato quantificato dall'Inps in 70.000, inizialmente; ma si riferisce solo ai casi già arrivati all'attenzione dell'istituto, ossia accordi siglati prima del 4 dicembre. Ma da allora sono andati in porto dismissioni importanti (Termini Imerese e Irisbus, per dirne due), con migliaia di persone coinvolte. La manovra prevedeva una «cifra x», da decidere, per «coprire» queste posizioni; ma ammoniva anche che si trattava di un fondo «a esaurimento»: finché c'erano soldi si paga, poi amen. Con buona parte di un diritto fin qui certo (l'andare in pensione dopo una vita di lavoro).
L'iter parlamentare del «milleproroghe», che doveva porre riparo alla «disattenzione» del governo, peggiorava addirittura la situazione: veniva allargata la platea dei possibili beneficiari, ma il fondo rimaneva uguale. La Cgil - spiegano sia Vera Lamonica (segretario confederale) che Morena Piccinini, presidente dell'Inca - chiede di sapere se «gli accordi con il governo sono validi o no?»; e, dal ministro, «qual'è l'atto riparativo che ha promesso e quando sarà deliberato». Ma il ministro Fornero, per ora, non ha mai neppure risposto.
La seconda questione è in prospettiva persino più esplosiva, anche se già ora sta facendo danni formidabili. Si parla della «ricongiunzione contributiva onerosa», una misura decisa dal governo Berlusconi - ai tempi della sua «riforma delle pensioni. Avendo deciso di equiparare l'età pensionabile delle donne a quelle degli uomini, nel pubblico impiego (uno «scalone» di ben 5 anni), si pensava che molte avrebbero preferito ritirarsi subito, anche prendendo un assegno minore. Quindi, per scoraggiarle, fu deciso di far loro pagare la «ricongiunzione» tra i diversi periodi contributivi della loro vita lavorativa. Ben poche vi fecero ricorso, ma la norma è rimasta.
L'attuale governo ha avuto il colpo di genio, rivelando solo qui una «competenza tecnica» degna di miglior causa: ha esteso a tutti questa norma. Con effetti letali. Misura decisa «per equità», perché «era necessario metter fine ai privilegi», dice il governo. Mentendo. La «ricongiunzione» - tra istituti che oltretutto sono in corso di unificazione, come Inpdap e Inps - è sempre stata gratuita per chi passava da un trattamento migliore a uno peggiore; onerosa solo per il viceversa. Ora pagano tutti, a prescindere.
La tragedia nasce dal fatto che si è obbligati a pagare - e cifre inconcepibili, per un lavoratore dipendente: decine di migliaia di euro - se per caso, pur avendo fatto sempre lo stesso lavoro nella stessa azienda, è cambiata la «ragione sociale» della ditta. È il caso delle Poste e Ipost, con persone contributivamente trasferite - per decisione dell'allora a.d., Corrado Passera - dall'Inpdap (statali) all'Inps (privati). Ora dovrebbero ripagarsi una seconda volta tutto un (lungo) periodo contributivo già versato, altrimenti la loro pensione sarà quella di uno che ha lavorato appena 20-25 anni. Di fatto, gli anni di contributi non utilizzabili sono incamerati senza un servizio corrispettivo. È dunque legittimo parlare di «furto legalizzato», con lo Stato nella parte del ladro.
Ma si trovano nella stessa situazione anche tutti coloro che sono stati «privatizzati» (le municipalizzate, Telecom, Alitalia, ecc), scorporati, esternalizzati, o riassunti da una «newco» (pensate a Fiat? toccherà anche a loro, ovvio). Per non dire dire dei giovani che, secondo gli stessi ministri, «devono abituarsi a cambiare spesso lavoro». Cosa accadrà quando, com'è giusto, dovranno «ritirarsi»? Quanto dovranno versare per «riunificare» una carriera lavorativa svolta sotto 12 o 20 società diverse, tra periodi mancanti o fasi da «partita Iva»? Di fatto, quello che era il diritto alla pensione per chi ha sempre lavorato, diventa ora «una lotteria», o un diritto puramente «ipotetico». Ossia l'esatto contrario di un diritto garantito dallo Stato.
La Cgil minaccia ovviamente cause legali. Ma a lavoratori che pure hanno lo stesso problema sembra impossibile persino praticare la strada della class action. Pare che il genio legislativo che l'ha materialmente scritta l'abbia congegnata in modo tale da renderla inapplicabile; perlomeno in casi simili.
Un comma 22. 
La domanda che anche in casa Cgil sorge al termine di questa disarmante ricognizione è abbastanza precisa: «ma una nuova legge può sciogliere contratti e regole precedenti, liberamente sottoscritti da soggetti indipendenti e persino dallo Stato?». In regime di democrazia, no. Può accadere solo in caso di golpe o di rivoluzione. Ma, quest'ultima, non l'abbiamo vista passare...

manifesto - 22/02/2012

domenica 19 febbraio 2012

NON CI AVRETE MAI COME VOLETE VOI

Assemblea nazionale Fiom
Le ragioni dello sciopero generale

Un'assemblea nazionale di metalmeccanici non è un pranzo di gala. Gli interventi «ingessati», qui, fanno salire un fischio alle labbra (se ne accorgerà poi Danilo Barbi, neosegretario confederale, mentre polemizza a vuoto con «chi privilegia i mezzi invece che i fini»). Specie in una sala che è quasi un capannone industriale, come questo Atlantico, alle porte di Roma. 

È anche per questo che Maurizio Landini - segretario generale Fiom che deve spiegare le ragioni di uno sciopero altrettanto generale - resta molto sul concreto, come sua abitudine: «hanno cancellato le pensioni di anzianità e non va bene; un conto è fare il professore universitario, che in cattedra fino a 70 anni ci puoi anche stare, tutt'altro è stare alla catena, negli ospedali o negli asili nido». Un attacco frontale a una logica ragionieristica che cerca di far passare per «eque» misure che affondano in differenze pesanti nella vita di ognuno: «i lavori non sono tutti uguali». Punto.
I bersagli polemici sono trasparenti. Il governo dei «professori», qui, non è per nulla popolare. «Siamo contenti che non ci sia più Berlusconi, ricordo che siamo stati tra i pochi a scendere spesso in piazza per mandarlo via». Ma questo non rende ciechi e sordi: «giudichiamo i governi per quello che fanno», e questo sta devastando la coesione sociale. Basta pensare al problema degli «esodati»: oltre 70.000 lavoratori, molti in tuta blu, che sono usciti dai posti di lavoro «in base alle regole che esistevano in quel momento e come atto di solidarietà per permettere ad altri, più giovani, di continuare a lavorare»; persone oggi senza lavoro e senza pensione, a causa della «riforma» computerizzata e disumana messa in campo a dicembre da Fornero & co. Oppure all'art. 18, «che va tolto dalla trattativa con il governo». Perché «è contraddittorio dire 'basta precarietà' e poi abolirlo, rendendo così tutti precari».
Il tema di quest'assemblea è lo sciopero dei metalmeccanici, certo. Ma in questa situazione è difficile tracciare una separazione netta tra problemi di categoria e confederali, o politici tout court. La relazione parte dal contratto scaduto (quello del 2008, firmato anche dalla Fiom e poi disdettato da Cisl e Uil, prima che dai padroni), dalla situazione in Fiat e dalla tentazione, tra gli imprenditori, di «diffondere» il modello «autoritario» di relazioni lì inaugurato con la svolta di Pomigliano. Ma travalica di continuo i confini, assumendo i contorni potenti di una piattaforma dell'opposizione sociale e politica.
D'altro canto, gli inviti ai «movimenti» hanno portato qui centri sociali del Nordest (Luca Casarini), sindaci No Tav, segretari di altre categorie Cgil (Carla Cantone per lo Spi, Mimmo Pantaleo per scuola e università), i membri dell'area programmatica «La Cgil che vogliamo». Voci tutte un po' fuori o ai limiti del coro, che sentono la pressione sociale salire sotto politiche piovute da Marte.
Ma se i temi di carattere generale acquistano prevalenza, non sono certo le tute blu a spaventarsene. Questo si è sempre concepito come «sindacato generale». Lo ricorda Landini en passant: «noi non siamo mai stati un sindacato solo 'operaio'; fin dall'inizio ci siamo chiamati 'Federazione impiegati e operai metalmeccanici'; e in Finmeccanica, piena di ingegneri, siamo il primo sindacato».
Fuor di cronaca. La percezione comune è di essere a un tornante della storia. Dopo 20 anni passati a «lasciar fare al mercato, che risolve tutti i problemi», siamo in una crisi da cui nessuno sa come uscire. Serve un «piano straordinario di investimenti pubblici e privati», che inquadri un «nuovo modello di svluppo». Una prospettiva che può essere persino insufficiente, ma nell'unica direzione logica. Al contrario: qui stanno strozzando «il lavoro che produce ricchezza» per «salvare la finanza che la distrugge». In questo nuovo mondo, esemplificato dal governo Monti, non esistono più questioni «solo» categoriali. «Se si defiscalizza il lavoro straordinario», per esempio, si favorisce ovunque una riduzione dell'occupazione, a scapito di quei giovani che tutti - a chiacchiere - dicono di voler difendere. Al contrario, «se si ha a cuore l'occupazione bisogna defiscalizzare la riduzione d'orario e i contratti di solidarietà».
La lista degli interventi possibili e necessari è lunga. Quel che è peggio, per chi oggi governa, è che si tratta di una lista con una coerenza interna superiore. Ma non comanda. «È finito il tempo delle pacche sulle spalle, quello in cui ci si chiama ai tavoli solo per i casi di crisi, perché siamo rappresentativi; mentre gli accordi e i contratti si fanno con chi dice sempre sì». Il paese sta rischiando il tracollo del sistema industriale, quindi «noi non stiamo scherzando».
Va rovesciato l'ordine delle «priorità». È un problema politico, oltre che sindacale. Non a caso viene posto da un «sindacalista rock» - direbbe Celentano - che chiude in una standing ovation al grido di «non ci avrete mai come volete voi».
Appuntamento al 9 marzo; in piazza, a Roma. Tutti. 

F Piccioni - il Manifesto 19/02/2012

giovedì 16 febbraio 2012

Estendere lo sciopero del 9 marzo a tutte le categorie CGIL

Denunciata la Fiat per attività antisindacale. Così la Fiom tenta di rientrare nelle fabbriche

Dopo essere stata espulsa da tutto il gruppo Fiat per non avere firmato gli accordi separati in vigore da questo gennaio, la Fiom tenta la rivincita, e lo fa a partire dalla Magneti Marelli di Bologna, azienda del gruppo dove da sempre il sindacato delle tute blu Cgil ottiene percentuali bulgare con punte dell’80 % tra gli operai.

Solo poche settimane fa i delegati Fiom della Marelli erano usciti in lacrime dai cancelli dello stabilimento bolognese, portandosi dietro bandiere e scatoloni con tutto il materiale sindacale accumulato in decenni di attività.  Oggi il tentativo di rientrare in fabbrica nel più breve tempo possibile, con un ricorso per attività antisindacale presentato con procedura d’urgenza al tribunale di Bologna.

“È evidente l’assurdità di cacciare il sindacato più votato dai lavoratori – spiega Bruno Papignani, segretario delle tute blu Cgil a Bologna – È vero che la Fiom non ha firmato il nuovo accordo con Fiat, ma quello, e lo abbiamo ripetuto più volte, per noi era un contratto capestro che privava i lavoratori di diritti inalienabili. Detto questo – conclude Papignani – la Fiat non può cacciare i rappresentanti che gli stessi lavoratori hanno scelto. È una questione di democrazia e di rispetto della Costituzione”. Da qui il ricorso del sindacato bolognese, ricorso che poi sarà seguito da altri analoghi in tutte le fabbriche del gruppo automobilistico torinese, incluse Ferrari e Maserati.

A rappresentare la Fiom in tribunale l’avvocato Franco Focareta, che assieme ad altri colleghi due giorni fa ha depositato le carte del ricorso con procedura d’urgenza. “La Fiat – spiega l’avvocato – sostiene che la Fiom non abbia più i diritti sindacali previsti dallo statuto dei lavoratori in quanto non è firmataria del nuovo contratto. Se Marchionne decidesse di non firmare più nessun accordo cosa succederebbe? Dal gruppo Fiat verranno banditi per sempre i sindacati?” Per questo nel ricorso si parla esplicitamente di incostituzionalità della decisione del gruppo torinese.

Poi ci sono altri aspetti più tecnici. Come per esempio l’esistenza di fondi sanitari e pensionistici che la Fiat ha accettato anche col nuovo contratto considerandoli pienamente operativi. Un caso quello del fondo integrativo Cometa. “Quel fondo – spiega Focareta – è stato istituito con un accordo collettivo tra azienda e sindacati, Fiom compresa. Per questo è tecnicamente sbagliato dire che in vigore non ci sono più accordi firmati anche dalla Fiom”. Poi c’è la questione della rappresentatività di un sindacato, ed è il caso della Fiom, che è quasi ovunque il più votato dai lavoratori quando ci sono le elezioni interne di fabbrica. “La Fiat sostiene che solo chi ha firmato il nuovo accordo può restare in azienda, noi pensiamo che la loro sia una lettura formalistica di un articolo dello statuto dei lavoratori che, nel caso, sarebbe a tutti gli effetti incostituzionale”. Per capire come finirà non resta che aspettare la decisione del giudice. “Non ci vorrà molto, con la procedura d’urgenza queste cause si risolvono in poco più di un mese”.
 
di Giovanni Stinco - Il Fatto Quotidiano - Vai al sito dell'articolo

Tutte le norme che inchiodano Marchionne

Il 12 febbraio ho scritto degli operai Fiat epurati dallo stabilimento di Pomigliano perché appartenenti al sindacato Fiom, nel totale silenzio dei mezzi di informazione. Oggi vi mostro una marea di leggi, carte e normative nazionali e comunitarie, di accordi e di convenzioni internazionali a cui l’Italia ha aderito e che ha addirittura ratificato, che sono state palesemente violate dai vertici della Fiat, invitandovi a diffondere la notizia e ad aiutare gli operai di Pomigliano a ottenere giustizia. 
L’anticostituzionalità di un provvedimento come quello di Pomigliano, innanzitutto, e più in generale dell’atteggiamento tenuto da Sergio Marchionne negli ultimi mesi, appare evidente. E non si capisce perché Napolitano non si pronunci in tal senso. L’articolo 18 della nostra carta stabilisce che “i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”. Inoltre l’articolo 39 ribadisce in maniera ancor più esplicita che “l'organizzazione sindacale è libera” e che “ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge”.
Poi c'è lo statuto dei lavoratori (legge 300/1970). Marchionne potrà anche dire che questa legge non gli piace, ma fintanto che non sarà abrogata, andrà pur rispettata. Ebbene, all’articolo 14 lo Statuto recita: “il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro”. E l’articolo successivo, il 15, definisce “nullo qualsiasi patto od atto diretto a: 1) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; 2) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero”.
Eppure, se ci fermassimo qui, si potrebbe pensare che queste leggi così fortemente protettive nei confronti dei lavoratori sono tipiche soltanto del nostro Paese. Si rischierebbe così di dare ragione al manager col maglione, che dice che “l’Italia è un peso per la Fiat” e che, con le sue logiche tese a salvaguardare soltanto i diritti degli operai, pone un freno allo sviluppo delle aziende. E invece non è così, visto che esistono una miriade di leggi internazionali che tutelano i lavoratori e le loro libertà sindacali.
C’è ad esempio L’OIL, l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere la giustizia sociale nell’ambito del lavoro, a cui aderiscono ben 178 Paesi, tra cui il nostro. Questa struttura si riunisce di tanto in tanto per approvare delle Convenzioni Internazionali che poi devono essere ratificate da tutti gli Stati membri. Esaminiamone alcune che configgono in maniera evidente con la condotta assunta dalla dirigenza della Fiat.
L'articolo 1 della Convenzione 98 dell’OIL è chiaro: “i lavoratori devono beneficiare di un’adeguata protezione contro tutti gli atti di discriminazione tendenti a compromettere la libertà sindacale in materia di impiego. Tale protezione deve in particolare applicarsi a quanto concerne gli atti che abbiano lo scopo di: a) subordinare l’impiego di un lavoratore alla condizione che egli non aderisca ad un sindacato o smetta di far parte di un sindacato; b) licenziare un lavoratore o portargli pregiudizio con ogni altro mezzo, a causa della sua affiliazione sindacale o della sua partecipazione ad attività sindacali al di fuori delle ore di lavoro, o, con il consenso del datore di lavoro, durante le ore di lavoro”. Sembrano norme scritte su misura per il caso di Pomigliano.
Poi c'è l'articolo 2 della Convenzione 111 dell’OIL, che richiama lo Stato ai propri doveri. Dunque è il caso che il nostro Governo intervenga in maniera rapida ed efficace, infatti: “ogni Stato membro per il quale la presente convenzione è in vigore s’impegna a formulare e ad applicare una politica nazionale tendente a promuovere, con metodi adatti alle circostanze e agli usi nazionali, l’uguaglianza di possibilità e di trattamento in materia d’impiego e di professione, al fine di eliminare qualsiasi discriminazione in questa materia”.
Ancora, all'articolo 2, la Convenzione 87 dell’OIL sulla libertà di associazione e protezione del diritto sindacale non ammette varietà di interpretazioni. Prevede infatti che “i lavoratori e i datori di lavoro hanno il diritto, senza alcuna distinzione e senza autorizzazione preventiva, di costituire delle organizzazioni di loro scelta, nonché di divenire membri di queste organizzazioni, alla sola condizione di osservare gli statuti di queste ultime”. L’articolo 8, invece, al comma 2, ammonisce i governi: “la legislazione nazionale non dovrà ledere né essere applicata in modo da ledere le garanzie previste dalla presente convenzione”. Dunque, tutti quelli che in questi mesi straparlano di proporre il “modello Marchionne” come contratto nazionale, dicono delle grosse idiozie.
Ma eccoci alla Convenzione dell’OIL del 1998.  L’articolo 2 ci interessa particolarmente, perché obbliga tutti gli Stati membri ad adeguarsi alle direttive dell’organizzazione. C’è scritto, infatti, che “tutti i Membri, anche qualora non abbiano ratificato le Convenzioni in questione, hanno un obbligo, dovuto proprio alla loro appartenenza all’Organizzazione, di rispettare, promuovere e realizzare, in buona fede e conformemente alla Costituzione, i principi riguardanti i diritti fondamentali che sono oggetto di tali Convenzioni: a) libertà di associazione e riconoscimento effettivo del diritto di contrattazione collettiva […] d) eliminazione della discriminazione in materia di impiego e professione”.
E vogliamo parlare della Carta sociale europea? Bene: si tratta di un accordo sottoscritto a Strasburgo dagli Stati membri dell’Unione Europea nel 1996, e ratificata in Italia nel 1999. Anche in questa occasione si sottolinea – all’articolo 2 – che “tutti i lavoratori hanno diritto ad eque condizioni di lavoro” e che “tutti i lavoratori e datori di lavoro hanno diritto di associarsi liberamente in seno ad organizzazioni nazionali o internazionali per la tutela dei loro interessi economici e sociali” (articolo 5). E, tanto per essere chiara, la Carta sociale europea, con l’articolo 26, sancisce che “tutti i lavoratori hanno diritto alla dignità sul lavoro”. Venire sbeffeggiati, ingiuriati, costretti a stare in piedi per ore e ore perché “avere la tessera FIOM non è salutare”, come è capitato ai lavoratori di Pomigliano, non è affatto dignitoso.
Come dimenticare poi la Carta di Nizza del 2000, entrata in vigore in tutti gli Stati dell’UE a partire dal 2003. Questa “carta” tende ad uniformare le legislazioni dei vari Paesi europei su alcune materie, tra cui quella del lavoro. All’articolo 12, essa recita: “ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni individuo di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi”. L’articolo 28, invece, stabilisce che “i lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero”. Dunque non può esistere alcuna ritorsione, da parte dei dirigenti Fiat nei confronti degli iscritti alla FIOM per il fatto che appartengono al sindacato più ostile all’accordo proposto dall’azienda.
Per finire, ecco il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici . È un trattato delle Nazioni Unite adottato nel 1966 ed entrato in vigore dieci anni più tardi, e che tutti i Paesi firmatari (tra cui l’Italia) sono tenuti a rispettare. L’articolo 22 è questo: “ogni individuo ha diritto alla libertà di associazione, che include il diritto a costituire sindacati e a aderirvi per la tutela dei propri interessi. L'esercizio di tale diritto non può formare oggetto di restrizioni, tranne quelle stabilite dalla legge e necessarie in una società democratica, nell'interesse della sicurezza nazionale, della sicurezza pubblica, dell'ordine pubblico”.
Ora, alla luce di tutto ciò, non si capisce perché nessun uomo politico abbia voluto inchiodare la Fiat ai suoi doveri e al rispetto delle leggi. Se si scippa una vecchietta alle poste siamo tutti pronti all'indignazione e alla rivendicazione di una rapida giustizia, ma se invece si stupra la dignità di migliaia di operai eccoci in silenzio a fare spallucce? Perché non ci rendiamo conto della pericolosità di creare un precedente come quello che riguarda i dipendenti della Fiat? E perché non realizziamo che stiamo commettendo un reato gravissimo nel consegnare ai nostri figli un Paese con meno diritti e con meno libertà?
L’Italia, è bene ricordarselo, è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Se si minano le fondamenta, cioè il lavoro, cosa potrà mai avvenire al resto dell'edificio?
Valerio Valentini
Byoblu.com - 15/02/2012

mercoledì 15 febbraio 2012

La Fiom sciopera e la Cgil tratta, non è proprio la stessa cosa

Quando ancora si facevano le trattative per i contratti nazionali, era uso sia dei padroni che dei sindacati mettere il salario in fondo. Prima si affrontavano tutte le questioni normative, poi, alla fine, si faceva l’affondo finale sul salario. Questo quando si voleva andare all’accordo.
La ministra Fornero, con il consenso di tutti, ha proposto di affrontare l’articolo 18 alla fine della trattativa sul mercato del lavoro. Nello stesso tempo, il presidente del Consiglio annuncia che, in ogni caso, sull’articolo 18 interverrà. Questo significa che il tavolo delle parti sociali è segnato dal ricatto del governo, e che dentro quel confronto la modifica dell’articolo 18 è inevitabile.
Per questo lo sciopero della Fiom deciso per il 9 marzo, che formalmente ha il sostegno della Cgil, in realtà va contro la trattativa in corso. Questo anche al di là delle dichiarazioni ufficiali dell’organizzazione. E’ evidente, infatti, che questo sciopero ha un senso solo e se riesce a precipitare sulla trattativa che si sta preparando a tagliare l’articolo 18. In questo le logiche della Fiom e della Cgil non sono le stesse, anche se Landini e Camusso continuano a dichiarare il contrario. Infatti la Cgil è segnata dalla paura di sottrarsi al tavolo, mentre la Fiom spera che quel tavolo salti. D’altra parte se la Cgil fosse davvero d’accordo con lo sciopero, lo farebbe suo e lo estenderebbe, visto che l’articolo 18 non riguarda solo i metalmeccanici. Invece, nulla di tutto questo.
La sostanza è che sul tavolo del mercato del lavoro non c’è nulla di positivo per i lavoratori, anche per i più precari, se non qualche formuletta e qualche buona intenzione. Mentre invece di negativo c’è la flessibilità che si deve generalizzare e non solo nella forma del ridimensionamento della funzione del’articolo 18, ma in quella della cosiddetta libertà di licenziamento economico, cioè nella possibilità delle aziende di saltare la Cassa integrazione e andare direttamente ai licenziamenti con mobilità nella crisi.
E’ la ricetta greca e spagnola. Per questo i padroni sono convinti di strappare qualcosa e tutto l’impianto del confronto porta in quella direzione. 
Come nei vecchi tavoli contrattuali alla fine l’accordo sul salario arrivava perché lo si voleva fare, così alla fine il nuovo massacro di diritti, l’estensione della libertà di licenziare ci sarà. E se a quel punto la Cgil si sottrarrà al consenso, non sottoscrivendo quella parte dell’intesa, questo non cambierà molto la sostanza. Già sulle pensioni Cgil, Cisl e Uil hanno subito una secca sconfitta praticamente senza lottare, cosa che ogni lavoratore ancora ricorda e rimprovera. Se passerà la libertà di licenziamento non ci saranno scusanti per chi non ha fatto tutto per impedirlo.

martedì 14 febbraio 2012

Comitato centrale Fiom-Cgil : Documento finale e Ordine del giorno a sostegno del popolo greco

Comitato centrale Fiom-Cgil 

14 febbraio 2012
 
Documento finale
 

Il Comitato centrale della Fiom-Cgil proclama, per venerdì 9 marzo 2012, 8 ore di sciopero generale per tutta la Categoria e indice una manifestazione nazionale a Roma.
La manifestazione indetta per sabato 18 è sospesa ed è convocata un'Assemblea nazionale delle delegate,dei delegati e quadri della Fiom-Cgil che si volgerà a Roma presso la struttura Atlantico.
Il Comitato centrale della Fiom, nel confermare le ragioni e i contenuti delle rivendicazioni alla base della mobilitazione precedentemente decisa, intende sottolineare le seguenti questioni.
1. Va respinta ogni manomissione all'articolo 18, che rimane elemento centrale per la tutela della dignità e della libertà nel lavoro; unica disponibilità è per una normativa che acceleri la celebrazione dei processi.
2. La riunificazione dei diritti nel lavoro, la difesa dell'occupazione e la costruzione di nuovi posti di lavoro, sono oggi la vera priorità economica, sociale e politica. Pertanto occorre ridurre la precarietà, estendere i diritti, la tutela del reddito e gli ammortizzatori sociali a tutte le imprese e a tutte le forme di lavoro, impedire le discriminazioni di genere e rimettere in discussione gli ultimi inaccettabili provvedimenti sulle pensioni, comprese le garanzie per l'accesso alla pensione delle persone coinvolte in accordi di ristrutturazione e di crisi.
3. Occorre prevedere un piano straordinario di investimenti pubblici e privati per un rilancio del nostro sistema industriale fondato sull'innovazione, la formazione e la sostenibilità ambientale delle produzioni e dell'uso del territorio.
4. La riconquista del Ccnl e la qualificazione della contrattazione collettiva passa oggi attraverso una reale democrazia nell'esercizio della rappresentanza e dell'affermazione delle libertà sindacali e in tutti i luoghi di lavoro a partire dalla Fiat.
In questo contesto lo sciopero generale della categoria intende contrastare le scelte della Fiat e di Federmeccanica di messa in discussione dei diritti e della contrattazione collettiva, anche attraverso una coerente pratica contrattuale diffusa in tutte le imprese e in tutti i territori.
Inoltre il Comitato centrale considera non accettabili e sbagliate le scelte del Governo italiano, che si rifanno all'applicazione della lettera della Bce, che non intervengono sulle ragioni che hanno prodotto la crisi, ma semplicemente tagliano lo Stato sociale, privatizzano e attaccano i diritti nel lavoro.
Il Comitato centrale assume i contenuti della mobilitazione europea della Ces del 29 febbraio e considera necessario che la nascente Federazione europea dell'industria si faccia promotrice di una iniziativa di mobilitazione capace anche di riunificare le lotte sindacali per una diversa idea d'Europa fondata sul lavoro e la democrazia.
 
Approvato all'unanimità

*

Comitato centrale Fiom-Cgil

14 febbraio 2012
 

Ordine del giorno a sostegno del popolo greco
 

Il Comitato centrale della Fiom esprime la sua totale solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori greci in lotta contro le misure draconiane imposte dalla troika e accettate dal Parlamento greco.
Nessuna situazione economica giustifica le misure ripetute imposte a un popolo il cui 30% ha già raggiunto la povertà.
L'abbassamento dei salari, la cancellazione dei contratti nazionali a favore dei contratti individuali, i tagli alla sanità e alle pensioni in un Paese in recessione da cinque anni diventano accanimento contro un popolo e fa emergere chiaramente tutto il fallimento del neoliberismo ma anche i suoi obiettivi precisi.
Quello alla Grecia è da considerare non solo un attacco feroce alla sua popolazione ma anche alla democrazia. 


Un parlamento e un popolo espropriato di qualsiasi potere decisionale, e al quale si chiede di sottoscrivere una cambiale a vita di povertà, chiunque vinca le prossime elezioni.
Il caso greco rende evidente che: 


- occorre rimettere in discussione l'Europa così com'è e lottare per un progetto federativo democratico dove i cittadini abbiano il potere di decidere;
- occorre combattere la politica liberista dei governi europei che con la loro rigidità sono responsabili della crisi e della povertà di interi paesi;
- occorre un'alternativa dove occupazione e investimenti pubblici recuperino un modello europeo incentrato sul lavoro, sui diritti e sul welfare;
- occorre praticare la solidarietà concreta nei confronti della Grecia i cui titoli di Stato sono in mano alle banche francesi e tedesche.
Il Comitato centrale impegna tutta la Fiom nella partecipazione alla manifestazione indetta in occasione della giornata di lotta europea del 29 febbraio con una forte mobilitazione anche in termini di solidarietà e sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori greci.
 
Assunto dalla presidenza

domenica 12 febbraio 2012

La società civile con la Fiom: "Sì ai diritti, No ai ricatti"

Firma l'appello di Camilleri, Flores d'Arcais e Hack


Il diktat di Marchionne, che Cisl e Uil hanno firmato, contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l’accordo, l’impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto. Questo incredibile annientamento di un diritto costituzionale inalienabile non sta provocando l’insurrezione morale che dovrebbe essere ovvia tra tutti i cittadini che si dicono democratici. Eppure si tratta dell’equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente.

Per questo ci sembra che la richiesta di sciopero generale, avanzata dalla Fiom, sia sacrosanta e vada appoggiata in ogni modo. L’inaudito attacco della Fiat ai diritti dei lavoratori è un attacco ai diritti di tutti i cittadini, poiché mette a repentaglio il valore fondamentale delle libertà democratiche. Ecco perché riteniamo urgente che la società civile manifesti la sua più concreta e attiva solidarietà alla Fiom e ai lavoratori metalmeccanici: ne va delle libertà di tutti.

Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Margherita Hack

Primi firmatari: don Andrea Gallo, Antonio Tabucchi, Dario Fo, Gino Strada, Franca Rame, Luciano Gallino, Giorgio Parisi, Fiorella Mannoia, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Lorenza Carlassarre, Sergio Staino, Gianni Vattimo, Furio Colombo, Marco Revelli, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Carlotto, Valerio Magrelli, Enzo Mazzi, Valeria Parrella, Sandrone Dazieri, Angelo d'Orsi, Lidia Ravera, Domenico Gallo, Marcello Cini, Alberto Asor Rosa, Lella Costa.

(4 gennaio 2011)

 

lunedì 6 febbraio 2012

18 ragioni per dire no all’abolizione dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori

Dove non c'è l'Articolo 18 dello statuto dei lavoratori (che protegge contro il licenziamento senza giusta causa e giustificato motivo) ci sono più morti e infortuni gravi sui luoghi di lavoro.

Premessa
Come tutti gli umani anche i datori di lavoro e i superiori non sono tutti degli stinchi di santo

Con una scusa potrai essere licenziato se:
  1. Sciopererai contro l’azienda o per il contratto ( i precari non scioperano mai pena il mancato rinnovo).
  2. Sei donna e vuoi fare più di un figlio (ricordiamoci dei licenziamenti in bianco fatti firmare dalle giovani donne).
  3. Ti ammali di una patologia invalidante e hai ridotto le tue capacità lavorative.
  4. Passi un periodo di vita difficile e non dai il massimo.
  5. Hai acciacchi ad una certa età che riducono le tue prestazioni (ed è molto probabile con l’allungamento dell’età lavorativa voluta dal Governo Monti).
  6.  Sei “antipatico” al proprietario o ad un capo che ti mettono a fare lavori meno qualificati e umilianti (mobbing).
  7. Chiedi il rispetto delle norme sulla sicurezza (nei luoghi di lavoro dove non esiste l’articolo 18 gli infortuni gravi e i casi mortali sono molti di più).
  8. Rivendichi la dignità di lavoratore, di uomo e donna.
  9. Sei politicamente scomodo (ricordiamoci dei licenziamenti e dei reparti confine degli anni 50 e sessanta).
  10. Non ci stai con i superiori.
  11. Contesti l’aumento del ritmo di lavoro.
  12. T’iscrivi ad un sindacato vero (su 1000 lavoratori richiamati alla FIAT di Pomigliano non uno è iscritto alla FIOM).
  13. Appoggi una rivendicazione salariale o di miglioramento delle condizioni di lavoro.
  14. Fai ombra al superiore e se pensa che sei più bravo di lui e puoi prenderne il posto (a volte comandano più del proprietario).
  15. Hai parenti stretti con gravi malattie e hai bisogno di lunghi permessi.
  16. Non sei più funzionale alle strategie aziendali.
  17. Reagisci male ad un’offesa di un superiore.
  18. Dimostri anche allusivamente una mancanza di stima verso il capo e il proprietario.

Ne avre altre, ma sono 18 come l’articolo che volete abolire o stravolgere.

Molte di queste situazioni le ho toccate con mano nei miei quarant’anni di lavoro in fabbrica e alcune altre riportate dalla stampa.

Carlo Soricelli metalmeccanico in pensione e curatore dell'Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

Riforma sulle pensioni 2011

Negli ultimi mesi il sistema italiano è profondamente cambiato. Vademecum completo alle nuove norme. Quelle vecchie restano in vigore solo per chi, entro il 31 dicembre 2011, ha già maturato il diritto all'assegno
Il sistema pensionistico italiano è profondamente cambiato con il varo della legge n. 214 del 22-12-2011. La vecchia normativa resta vigente solo per chi, entro il 31 dicembre 2011, ha già maturato il diritto a pensione. Dovrebbero conservarla anche i lavoratori posti in mobilità lunga od ordinaria in base ad accordi sottoscritti entro il 4 dicembre 2011, i titolari, alla stessa data, di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore, coloro che sono stati autorizzati alla prosecuzione volontaria dei contributi, i dipendenti pubblici esonerati. Tuttavia, tale salvaguardia è vincolata alle risorse finanziarie disponibili. I nuovi requisiti non si applicano agli appartenenti alle forze armate, ai corpi di polizia, ai vigili del fuoco, ai lavoratori occupati in miniere, cave e torbiere e al personale delle ferrovie dello Stato. Per essi è prevista l’emanazione di un provvedimento del ministro del Lavoro e delle politiche sociali che armonizzerà i requisiti pensionistici, tenuto conto della loro specificità. 
Cosa cambia dal 1° gennaio 2012 

1. Pro-quota contributivo dal 2012 Dal 1° gennaio 2012 a tutti i lavoratori sarà applicato il sistema di calcolo contributivo in pro quota, anche a coloro che rientravano nel sistema retributivo avendo diciotto anni di contribuzione al 31 dicembre 1995. Essi avranno l’applicazione del calcolo contributivo sulla quota di pensione maturata dal 1° gennaio 2012. L’anzianità contributiva maturata successivamente al 1° gennaio 2012 ed eccedente i quarant’anni sarà valutata, dunque, nel calcolo di pensione.

2. Flessibilità e incentivazione La legge reintroduce il concetto di flessibilità e di incentivazione per chi prosegue l’attività lavorativa oltre i limiti di età stabiliti; verranno fissati coefficienti di calcolo per il sistema contributivo per chi va in pensione da 65 a 70 anni.

3. Abolizione delle “finestre” (decorrenze) Chi matura il diritto a pensione, a decorrere dal 1° gennaio 2012, non dovrà più attendere l’apertura della “finestra” (decorrenza): la sua pensione decorrerà dal 1° giorno del mese successivo a quello di maturazione dei requisiti. Le “finestre” (decorrenze) mobili o a scorrimento continueranno ad applicarsi:
• a chi ha maturato il diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011;
• alle lavoratrici che scelgono di pensionarsi optando per il calcolo contributivo;
• ai lavoratori e alle lavoratrici che svolgono attività usuranti;
• ai lavoratori derogati dai nuovi requisiti dalla stessa legge n. 214/2011.

4. Nuovi trattamenti di pensione di vecchiaia e anticipata Per i lavoratori e le lavoratrici che matureranno il diritto a pensione a decorrere dal 1° gennaio 2012 esisteranno solo due tipologie di pensione: la “pensione di vecchiaia” e la “pensione anticipata”; vengono soppresse, dunque, dalla stessa data la pensione di anzianità e la pensione “con le quote”, che restano in vigore solo per chi ha maturato i requisiti pensionistici entro il 31 dicembre 2011 e per i lavoratori “usurati”. Dal 1° gennaio 2012 per avere diritto alla pensione di vecchiaia sia il lavoratore che la lavoratrice dovranno avere almeno venti anni di contributi. Dalla stessa data si potrà andare in “pensione anticipata”: con almeno quarantadue anni e un mese se lavoratore, con almeno quarantuno anni e un mese se lavoratrice. Ogni due anni l’età di pensionamento verrà adeguata rispetto all’incremento della speranza di vita (non più ogni tre anni, come previsto dalla legge 122/2010).

5. Lavori usuranti Viene confermato che i lavoratori e le lavoratrici che svolgono attività usuranti conservano il diritto a pensionarsi prima degli altri e mantengono il sistema delle “finestre” (decorrenze). Tuttavia vengono innalzati bruscamente di tre anni i requisiti di età anagrafica richiesti, con conseguente incremento della “quota”.

6. Blocco biennale della rivalutazione delle pensioni superiori a 1.405,05 euro Per gli anni 2012 e 2013 la rivalutazione delle pensioni è limitata esclusivamente ai trattamenti di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo Inps. Ciò vuol dire che nel 2012 i trattamenti pensionistici di importo superiore a 1.405,05 euro lordi mensili non saranno rivalutati.

7. Contributo di solidarietà Viene istituito un contributo di solidarietà per i lavoratori iscritti e per i pensionati dei fondi speciali confluiti nell’assicurazione generale obbligatoria dell’Inps e del Fondo volo.


Norme valide per chi ha versato contributi prima del 1° gennaio 1996 


Pensione di vecchiaia
L’età per il pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti viene fissata nel 2012 a sessantadue anni e aumenterà progressivamente di diciotto mesi ogni due anni fino a raggiungere sessantasei anni a decorrere dal 1° gennaio 2018; a ciò si aggiungerà, a partire dal 2013, l’incremento dovuto all’aumento della speranza di vita (vedi tabella n. 1).

Attenzione: In via eccezionale le lavoratrici dipendenti del settore privato potranno andare in pensione con almeno sessantaquattro anni di età se entro il 31 dicembre 2012 avranno un’anzianità contributiva non inferiore a venti anni e almeno sessant’anni di età. Per le lavoratrici e i lavoratori dipendenti del settore pubblico e per i lavoratori dipendenti e autonomi del settore privato l’età per il pensionamento di vecchiaia viene fissata, a decorrere dal 1° gennaio 2012, a sessantasei anni; a ciò si aggiunge, dal 2013, l’incremento dovuto all’aumento della speranza di vita (tab. n. 2).



Personale della scuola e dell’Afam: per maturare il diritto a pensione dal 1° gennaio 2012 sono richiesti almeno sessantasei anni di età e almeno venti anni di anzianità contributiva; anche in questo caso va aggiunto l’incremento dovuto alla speranza di vita. La pensione decorrerà dall’inizio dell’anno scolastico o accademico in cui si maturano i requisiti per il diritto a pensione (tab. n. 3).


La pensione anticipata 
A decorrere dal 1° gennaio 2012 il diritto alla pensione anticipata, nelle diverse gestioni pensionistiche, si matura in modo diverso a seconda del sesso:
• le donne con quarantuno anni e un mese di contributi;
• gli uomini con quarantadue anni e un mese di contributi. Non è prevista alcuna differenza di trattamento tra dipendenti pubblici o privati e lavoratori autonomi. I requisiti di anzianità contributiva saranno incrementati di un mese per l’anno 2013 e di un ulteriore mese a decorrere dall’anno 2014; anche in questi casi si applicherà l’adeguamento alla speranza di vita. Verrà praticata una riduzione sulla quota di pensione relativa all’anzianità contributiva maturata fino al 31-12-2011 se il pensionamento avverrà prima del compimento dell’età di sessantadue anni. La riduzione sarà dell’1 per cento per i primi due anni mancanti ai sessantadue anni e del 2 per cento per gli anni mancanti a sessanta, calcolati alla data del pensionamento (vedi tab. n. 4).

Esempio: un lavoratore nato a gennaio 1956, che vada in pensione ad agosto del 2014 all’età di cinquantotto anni e sei mesi, cioè tre anni e sei mesi prima del compimento dei sessantadue anni di età, avrà l’importo di pensione maturato al 31-12-2011 ridotto nel modo seguente: • per i primi due anni mancanti ai 62 = 1% x 2 = 2%; • per l’ulteriore anno mancante = 2% x 1 = 2%; • per le frazioni di anno (sei mesi) = 2% x 6/12 = 1%. L’importo del trattamento di pensione maturato sulla base della contribuzione accreditata fino al 2011 verrà, dunque, ridotto del 5 per cento. 

Per chi ha versato contributi esclusivamente dopo il 1° gennaio 1996 

Pensione di vecchiaia
Ai lavoratori e alle lavoratrici con primo accredito contributivo successivo al 1° gennaio 1996 è richiesta un’anzianità contributiva minima di venti anni. Essi potranno conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia prima di aver compiuto settanta anni a condizione che l’importo della pensione maturata non sia inferiore a un determinato valore (“soglia”), pari a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale (vedi tab. n. 5). La tabella 6riporta i requisiti di anzianità contributiva, età anagrafica e condizioni per l’accesso a pensione di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti del settore privato. Nella tabella 7 sono riportati i requisiti di anzianità contributiva, età anagrafica e condizioni per l’accesso a pensione di vecchiaia delle lavoratrici autonome e parasubordinate. All’età di settanta anni per il diritto alla pensione di vecchiaia sono richiesti almeno cinque anni di anzianità contributiva effettiva indipendentemente dall’importo di pensione maturato.



Pensione anticipata

Per i lavoratori e le lavoratrici con primo accredito contributivo successivo al 1° gennaio 1996 viene introdotta una ulteriore possibilità di pensionamento anticipato a condizione che abbiano:

• un’età anagrafica non inferiore a sessantatre anni;
• almeno venti anni di anzianità contributiva effettiva;
• un importo di pensione maturato, alla decorrenza, di valore non inferiore a 2,8 volte l’ammontare dell’assegno sociale (rivalutato periodicamente). (vedi tab. n. 8)

Pensionamento con la totalizzazione dei contributi versati in casse pensionistiche diverse 


È stato eliminato il requisito minimo dei tre anni di contributi nella singola gestione per l’utilizzazione della contribuzione per la pensione di vecchiaia o di anzianità in “totalizzazione”. Pertanto si potranno totalizzare i contributi versati in tutte le gestioni indipendentemente dalla durata della contribuzione. La recente legge n. 183/2011 ha incrementato di un punto percentuale l’aliquota contributiva dei lavoratori iscritti alla gestione separata.

Iscritti alle casse libero professionali


Entro il 30-06-2012 i fondi previdenziali dei professionisti dovranno adottare provvedimenti per mettere in sicurezza i loro bilanci con l’equilibrio tra entrate e spese per prestazioni. Se ciò non accadrà, ai loro iscritti sarà applicato il pro-rata contributivo dal 1° gennaio 2012 e verrà posto a carico dei professionisti pensionati un contributo di solidarietà dell’1 per cento.



Lavoratori esclusi dalla nuova normativa 


I lavoratori che hanno maturato entro il 31 dicembre 2011 il diritto a pensione di anzianità o di vecchiaia conservano la vecchia normativa e possono chiedere all’ente di appartenenza la certificazione del diritto al pensionamento. Continueranno a conseguire il diritto a pensione sulla base delle vecchie norme, anche se maturano i requisiti dopo il 31-12-2011, ma nei limiti delle risorse finanziarie stabilite dalla legge n. 214 i seguenti lavoratori:

• collocati in mobilità ordinaria, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011 che maturano i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità; • collocati in mobilità lunga per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre 2011;

• le lavoratrici che, nel periodo 2008-2015, optano per il calcolo contributivo di pensione avendo cinquantasette anni di età, se lavoratrici dipendenti, o cinquantotto anni di età, se lavoratrici autonome, unitamente a trentacinque anni di contributi;

• titolari, alla data del 4 dicembre 2011, di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore, nonché i lavoratori per i quali sia stato previsto da accordi collettivi stipulati entro la medesima data il diritto di accesso ai predetti fondi di solidarietà;

• autorizzati alla prosecuzione volontaria antecedentemente alla data del 4 dicembre 2011;

• dipendenti pubblici in esonero dal servizio alla data del 4 dicembre 2011. Per loro l’esonero si considera comunque in corso qualora il provvedimento di concessione sia stato emanato prima del 4 dicembre 2011.

Un decreto del ministro del Lavoro e del ministro dell’Economia che verrà emanato entro il 22 marzo 2012 preciserà criteri e numero dei lavoratori realmente derogati. Il monitoraggio delle domande di pensione dei lavoratori che chiederanno di andare in pensione, quali “derogati”, sarà effettuato dagli enti previdenziali sulla base della data di cessazione dell’attività lavorativa o dell’inizio del periodo di esonero.

Ricordiamo che, per effetto della normativa vigente nel 2011, gli assicurati prima del 1° gennaio 1996 accedono alla pensione di vecchiaia con sessanta anni di età se lavoratrici private (sessantuno anni nel 2011 e sessantacinque anni dal 2012 per le lavoratrici del pubblico impiego) e sessantacinque se uomini con un’anzianità contributiva di almeno venti anni, rispettando l’apertura della finestra mobile di dodici mesi (se dipendente) o diciotto (se autonomo) dalla maturazione dei predetti requisiti. Dal 2013 anche tale età pensionabile sarà incrementata di tre mesi per effetto dell’adeguamento alla speranza di vita (legge n. 122/2010 e legge n. 111/2011).

I lavoratori derogati possono accedere alla pensione di vecchiaia con requisiti agevolati sia per quanto riguarda l’età, nel caso di lavoratore dipendente non vedente o invalido all’80 per cento, sia per quanto riguarda la contribuzione, nel caso di assicurato che ha perfezionato quindici anni di contribuzione al 31-12-1992, autorizzato ai versamenti volontari entro il 31-12-1992, lavoratore discontinuo o stagionale. La pensione di anzianità si potrà conseguire con la “quota”, data dalla somma degli anni e dei mesi di età e degli anni e dei mesi di contribuzione (vedi tab. n. 9). La “quota” si può perfezionare anche con le frazioni di età e di anzianità contributiva. Ad esempio: (60 anni e 6 mesi di età + 35 anni e 6 mesi di contribuzione) = “quota 96”. Resta confermata, sia per dipendenti che per autonomi, la possibilità di accedere alla pensione con quaranta anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica.
a cura dell'Area Previdenza dell'Inca