L’assemblea nazionale autoconvocata da delegati Rsu,  attivisti sindacali e semplici lavoratori svoltasi al teatro Ambra  Jovinelli per tentare di mettere in campo mobilitazione adeguate a  contrastare l’attacco gravissimo all’art.18 e, più in generale, a tutte  le politiche antisociali del governo Monti-Napolitano, è stata un buon  inizio. 
Tanti  lavoratori appartenenti alla Fiom, alla Cgil e ai sindacati di base,  Usb in primis, superando le rispettive sigle sindacali si sono  confrontati e hanno discusso di come sia possibile rilanciare, insieme,  il conflitto sociale: tutti gli interventi che si sono susseguiti  miravano a capire come costruire iniziative realmente includenti e  fornire una risposta “complessiva e duratura”, alle “cure anti-crisi”  imposte dalla Bce e attuate dal governo “tecnico”. Significativamente la platea era sovrastata da un grande striscione: “via il governo Monti!”.
Tanta  la rabbia tra i lavoratori presenti, ma anche la convinzione che se si  torna a lottare con determinazione tutti insieme si può aprire uno  spiraglio di speranza. Unanime il desiderio di superare sia la  subalternità dell’attuale segreteria Cgil al PD e alle pratiche  sindacali “complici” di Cisl, Uil e Ugl, sia la debolezza e la  frammentazione del sindacalismo di base 
Tra i primi a prendere la parola Dante De Angelis,  rappresentante dei ferrovieri per la sicurezza, reintegrato per ben due  volte sul posto di lavoro proprio grazie all’articolo 18. La sua storia  testimonia in modo inequivocabile l’importanza delle tutele contro i  licenziamenti discriminatori. Tutele conquistate dopo anni di lotte  culminate nell’autunno caldo del 1969 e sancite dallo statuto dei  lavoratori del 1970 e che sono messe pesantemente in discussione dalla  controriforma del ministro Fornero. 
Francesco Staccioli,  cassintegrato e responsabile assistenti di volo Usb, porta l’esempio  della sua esperienza in Alitalia, azienda paradigmatica di quanti non  hanno potuto usufruire delle tutele previste dall’art. 18: in cinquemila  hanno subito un’ingiustizia che ha fatto da apripista alla libertà  totale delle aziende di prendersi tutto “senza che si senta un belato”.
Pierpaolo Pollini,  Rsu-Fiom Cgil della Fincantieri di Ancona, prima di intervenire è già  sul palco ed è arrabbiato. Manifesta assoluta distanza dal moderatismo  del linguaggio sindacale comune, delle cose dette e non dette. A suo  avviso, buona parte delle colpe della fine di ogni tutela e diritto  risiede anche tra quelle burocrazie sindacali che sostengono che gli  scioperi generali non servano a nulla: la Grecia invece sta lì a  dimostrare che se fatti con la dovuta convinzione e radicalità gli  scioperi generali servono, “là ne hanno fatti tanti ed a qualcosa hanno  portato: abbiamo visto i risultati delle recenti elezioni”.
Poi  senza mezzi termini accusa di corruzione tutte quelle forze che  sostengono questo governo in parlamento, ed invita gli altri delegati a  farsi promotori di lotte ad oltranza: “alla Fincantieri siamo stati  lasciati soli, in tanti ci hanno detto che non c’era alternativa, ma noi  abbiamo risposto che non era vero che non potevamo fare nulla, che  avremmo deciso noi. Quando ci hanno detto che non ci avrebbero dato  lavoro, che non ci avrebbero dato la fabbrica, noi ce la siamo presa,  l’abbiamo occupata. Non è vero che non possiamo fare niente.” E finisce  il suo intervento, applauditissimo, con un invito che è già un  programma: “ora non è più tempo di suicidi ma di ribellione”.
Paolo di Vetta,  responsabile AS.I.A. Usb, da sempre in prima fila nelle lotte del  movimento per la casa, sostiene che “il vero bene comune è la rivolta, e  si tratta del terreno da costruire in sinergia tra i conflitti nel  mondo del lavoro e quelli che riguardano il territorio.” 
Sergio Bellavita,  della segreteria nazionale Fiom, sostiene che la Cgil, per non aver  dichiarato battaglia in difesa dei lavoratori, porta con sé una  responsabilità enorme: il sindacato è attraversato da una grossa crisi  perché i lavoratori capiscono che non basta uno sciopero di 4 ore, né  uno di 8, così come lo sciopero generale non sarà di per sé sufficiente.  Ma per aprire qualunque prospettiva, “l’elemento decisivo è non  rassegnarsi e dare battaglia”.
Secondo Giorgio Cremaschi  “c’è un palazzo politico, ed uno sindacale, che è quello che farà  l’inutile manifestazione del 2 giugno, e poi ci siamo noi, che non siamo  un palazzo, siamo il sindacato vero.” Ascoltando le dichiarazioni di  Monti nella trasmissione Piazza Pulita abbiamo avuto esempio del  politichese bocconiano, per Cremaschi, in cui tra tante “formulette” e  frasi fatte, l’unico punto chiaro era quello sulla Grecia: Monti infatti  ha detto che alle prossime elezioni si augura non vincano i partiti  “estremi”, perché se così dovesse essere potrebbe verificarsi un  contagio alla Spagna, al Portogallo. Non ha citato l’Italia.
  “Ma noi la lotta di liberazione del popolo greco dobbiamo trasportarla  qui. Dobbiamo dirci che sull’art.18 il movimento c’è stato ma si è  fermato perché non è stato fatto proprio dalla dirigenza della Cgil”, la  quale ha dimostrato “un coraggio politico inferiore a quello di  Cofferati” capace di mantenere una difesa intransigente dello Statuto  dei lavoratori. Oggi, invece, la classe dirigente del principale  sindacato italiano, rinunciando a qualunque iniziativa efficace si è  coperta di “una macchia indelebile”.
Pertanto  la convinzione di Cremaschi è che “se anche non dovessimo riuscire a  fermarli, dovremo almeno far loro pagare il prezzo più alto. Diamo pure  la colpa a Cgil, Cisl e Uil per tutto quello che gli spetta, ma  assumiamoci la responsabilità di fare, di spenderci.” Questa è una  assemblea di rottura.” Nel rivendicare il suo diritto all’unità  trasversale con chi lotta, Cremaschi ha denunciato “pressioni sui  compagni della Cgil per non farli venire in questa assemblea”.
Riprendendo lo stesso concetto Paolo Leonardi,  coordinatore Usb, sostiene che “bisogna rompere con l’apartheid  sindacale per cui le lotte si fanno fuori dalla Cgil o al suo interno”, è  tempo dell’unità di tutto il sindacalismo conflittuale. A suo avviso,  si tratta di una fase difficile perché è forte la rassegnazione, infatti  anche tra i lavoratori sta passando il messaggio che non è possibile  fare nulla per fermare l’attacco feroce del padronato e del governo  Monti. Pertanto “oggi non dobbiamo vivere nell’autoreferenzialità di  quanto costruito sino ad oggi. Se fino a ieri si marciava divisi per  colpire uniti, oggi bisogna anche saper marciare uniti per colpire  uniti”.
Luigi Sorge,  operaio Fiat di Cassino, critica la strategia di Landini, a suo avviso  sbagliata perché inadeguata alla portata dello scontro attuale. “  Dobbiamo costruire uno sciopero generale vero che porti la Grecia in  Italia”, è l’invito di Luigi, perché “il nostro obiettivo è cacciare  Monti, ma non per avere un Governo Bersani   magari supportato da  Ferrero ma per aprire la strada ad una autentica prospettiva  anticapitalista.”
Dopo di lui, prende la parola un delegato Fiom di Filippi srl,  azienda in provincia di Padova che produce elettrodomestici ma ha  deciso di chiudere lasciando a casa 234 dipendenti: “o alziamo il  livello dello scontro o non ne veniamo fuori: la Fiom, senz’altro  sindacato conflittuale, può essere un cimitero di buone intenzioni se la  lotta nelle singole fabbriche non si coordina e non si generalizza a  tutto il mondo del lavoro”.
L’assemblea  è terminata con una mozione conclusiva che, “tenendo conto dei diversi  equilibri” tra le varie forze presenti, ha fissato per l’8 giugno, sotto  Montecitorio, durante la discussione della controriforma del lavoro  alla camera, una manifestazione per “assediare” il parlamento in  contemporanea agli scioperi del settore dei trasporti e del pubblico  impiego. In prospettiva l’obiettivo è quello di costruire nella  lotta “un progetto sindacale complessivo per di difendere il mondo del  lavoro ed elaborare una piattaforma unificante in grado di ricomporre le  lotte dei lavoratori con le lotte per i beni comuni”.
Anna Lami - 27/05/2012
www.megachip.info
 
 
 
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