Sta per arrivare una 
seconda ondata depressiva. Questa volta però la responsabilità è chiara:
 il patto fiscale europeo che vuole costringere tutti i paesi 
all'equilibrio di bilancio è formalmente inapplicabile.
Una seconda ondata depressiva è ormai in 
vista ad occhio nudo. I prezzi delle materie prime, greggio compreso, 
hanno smesso di oscillare e stanno subendo un drastico calo 
trascinandosi dietro sia i valori azionari delle società minerarie che 
le monete dei paesi produttori in fase di svalutazione rispetto al 
dollaro. Le 'commodities' sono un'ottima spia della situazione 
economica. Nell'autunno del 2008 furono i loro prezzi e i tassi di 
cambio delle relative monete, a segnalare il passaggio della crisi da 
finanziaria a «reale» quando molti esperti ancora ne negavano 
l'esistenza. In questo contesto la crisi europea ed il rallentamento 
cinese si sommano. 
La dinamica di Pechino, anche per effetto 
della situazione europea, sta scendendo sotto la soglia dell'8% di 
crescita annua che, dati i ritmi di produttività, è considerata come il 
livello minimo per impedire un'impennata della disoccupazione e 
l'aggravarsi delle già alte tensioni sociali rendendo così più 
problematica la traiettoria della già complessa transizione politica in 
atto. Ma il fulcro principale della nuova ondata depressiva è pursempre 
l'Europa dell' euro. 
Dalla firma del patto fiscale agli inizi 
dell'anno siamo stati testimoni dell'aggravamento della posizione 
debitoria della Grecia malgrado i drastici tagli alla spesa pubblica ed 
il miglioramento del deficit di bilancio. Il Fondo Monetario 
Internazionale stima che per il 2013 il rapporto debito pil raggiungerà 
il 160%. Anche in Spagna la percentuale del debito pubblico sul pil, 
tuttora inferiore a quello della Germania, è aumentato dopo le drastiche
 decurtazioni alla spesa pubblica. 
E' proprio la Spagna ad evidenziare la 
dimensione usuraia dell'attuale modello europeo. L'insolvenza delle 
banche spagnole è stata alleggerita dai prestiti concessi dalla Bce ad 
un saggio dell'1%. Parte di questi soldi viene poi prestata allo Stato, 
ad un tasso molto superiore. E malgrado l'usura le banche continuano a 
fallire per via delle cartacce tossiche in loro possesso e della crisi 
reale che attanaglia il paese. Infine abbiamo visto la Francia 
aggiungersi ai paesi 'meridionali'. 
Ancora recentemente i banchieri centrali più 
intelligenti, come Ignazio Visco, riconoscevano che l'austerità avrebbe 
portato alla recessione. Veniva però mantenuta la fiducia che i 
sacrifici fossero necessari per sanare i conti pubblici. Ora, grazie al
 Financial Times, emerge la validità di ciò che ho scritto sin dal 2010.
 L'austerità non solo produce recessione ma aggrava l'indebitamento ed 
aumenta la probabilità di un default selvaggio con effetti a catena. 
Nessuno dei paesi summenzionati può mantenere il regime di austerità. 
Dovranno, come ha appena fatto Madrid con Bankia, effettuare gigantesche
 operazioni di salvataggio per tamponare le crisi aggravate dalle 
politiche in atto. 
A rendere la situazione completamente 
ingovernabile è il patto fiscale europeo la cui insostenibilità non 
viene resa pubblica. Il patto obbliga i paesi contraenti all'equilibrio 
di bilancio. Ma ciò è possibile solo se la differenza tra risparmi ed 
investimenti è uguale alla differenza tra esportazioni ed importazioni. 
E' formalmente impossibile che tutti i paesi europei possano realizzare 
quest'obiettivo. Imporne l'impossibile raggiungimento significa 
condannare la Francia ed il resto dell'Europa meridionale all'implosione
 economica che si trasformerà in depressione europea e in un'ulteriore 
crisi mondiale.
J. Halevi - 21/05/2012
il Manifesto
 
 
 
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