Viviamo in un paese in cui il capo del governo viene scelto dalla troika  europea, incoronato dal presidente della repubblica e sostenuto da un  arco di forze che occupano l'85% del parlamento. Alla prima verifica  popolare, le elezioni in molte città italiane, i partiti governativi  prendono una sberla senza precedenti e persino chi «vince» perde voti.  Soprattutto, va a votare soltanto la metà dell'elettorato, addirittura  il 39% a Genova, mentre Grillo sbanca a Parma e conquista più sindaci  della Lega.
Non si vede nel paese un'alternativa credibile allo stato  di cose esistente e dunque la si cerca altrove dai luoghi e dai  soggetti canonici, o si smette di cercarla. Contemporaneamente, il  consenso di Monti accolto solo pochi mesi fa come il salvatore della  patria si è dimezzato.
C'entreranno qualcosa le sue politiche liberiste,  la ghigliottina sulle pensioni, l'abbandono a se stessi dei giovani  senza futuro, l'assalto ai diritti dei lavoratori dipendenti pubblici e  privati? E avrà qualcosa a che fare l'abbandono delle urne con la  debacle di una politica sempre più distante dai ceti sociali che finge  di rappresentare?
In molti dovrebbero porsi queste domande, ma è  sicuro che c'è almeno un luogo in cui esse sono al centro della  riflessione collettiva: questo luogo è la Fiom, impegnata nella difesa  della rappresentanza sociale minata da accordi separati e modifiche  legislative che stanno riportando i rapporti tra capitale e lavoro agli  anni Cinquanta.
È ovvio che la Fiom si interroghi anche e di conseguenza  sulla crisi della rappresentanza politica che ha espulso il lavoro  dalla sua agenda, contribuendo ad approfondire il fossato che la separa  dai ceti sociali devastati dalla crisi e dalle risposte classiste del  governo, sostenute da Pdl, Udc e Pd e non osteggiate con la necessaria  forza dai sindacati confederali.
La mancata inversione di tendenza sulla  precarizzazione del lavoro, l'attacco all'articolo 18, allo Statuto dei  lavoratori e all'intero impianto delle relazioni sociali costruite in  decenni di lotte operaie e sindacali, la svalorizzazione dei salari e  delle pensioni, i tagli al welfare e quelli minacciati agli  ammortizzatori sociali, fanno da pendant a una politica basata sui tagli  e sull'ideologia del pareggio di bilancio. Nessun intervento serio di  politica economica, nessuna scelta anticrisi, nessun invesimento per  rilanciare uno sviluppo e un lavoro socialmente e ambientalmente  compatibili.
Di questo si parla in Fiom, nei gruppi dirigenti come  tra i delegati e gli iscritti dove cresce l'idea che questo modello di  sviluppo e le ricette liberiste siano incompatibili con la stessa  democrazia. Ma siccome i metalmeccanici della Cgil non sono abituarsi  alle lamentele sterili, non si limitano a interrogarsi e condannare, al  contrario mettono in campo tutta la loro forza e si aprono ai soggetti  più deboli della società italiana, giovani, precari, disoccupati,  movimenti sociali e territoriali con cui stanno intessendo rapporti  positivi per rimandare al mittente il tentativo di dividere per colpire  meglio, una alla volta, le vittime designate di una politica nemica.
Resta  però il nodo della politica. Quando si parla di politica e di partiti,  in casa Fiom si pensa innanzitutto alle sinistre. Non esistono, e da  tempo immemorabile, partiti di riferimento e tanto meno governi amici  per i metalmeccanici «rossi», che però rossi (e anche esperti) sono e  restano. E si chiedono come dei partiti che traggono la loro sia pur  lontana origine dalla storia del movimento operaio non ritengano giunto  il tempo di fermarsi e guardare al presente, con un occhio al passato e  l'altro a un futuro oggi coperto da nuvoloni neri. O c'è ancora chi  pensa, nonostante l'evidenza, che il voto dei lavoratori dipendenti, dei  giovani, dei pensionati sia conservato in un silos immarcescibile,  perché tanto alla fine la truppa segue? Che ruolo hanno il lavoro e i  diritti di chi lavora nella formazione della volontà politica di chi  dice di proporsi come alternativa alle destre e alla disaffezione?
Oggi,  a un anno dalle elezioni politiche, al centro del dibattito  parlamentare c'è la riforma del marcato del lavoro, per la Fiom una  controriforma. Per questo, per evitare nuove mattanze e nuove  disaffezioni, il sindacato guidato da Maurizio Landini ha invitato  Bersani, Di Pietro, Vendola e Ferrero a un confronto pubblico con il  gruppo dirigente della Fiom e una platea di delegati metalmeccanici.  Tutti hanno risposto positivamente ed è probabile che altre figure  importanti della società italiana partecipino portando il punto di vista  di studenti, precari, associazioni come il gruppo Abele, lo stesso  Grillo se vorrà, la neonata Alba attraverso qualche suo promotore. A  tutti gli ospiti saranno poste domande impegnative: sul lavoro, sulla  rappresentanza (a proposito, quanti sono gli operai in parlamento?),  sulla democrazia, sul modello sociale, economico e politico che si vuole  costruire.
La domanda è scontata: la Fiom si mette a fare politica?  La Fiom non cerca posti in parlamento e vuole continuare a fare quello  che ha sempre fatto: il sindacato. Sarebbe straordinario se la sinistra  facesse politica, e dicesse chiaramente con quali programmi, quali  alleanze sociali prima ancora che politiche, vuol farla. L'appuntamento  promosso dalla Fiom, e deciso all'assemblea nazionale dei delegati che  si è tenuta questo mese a Montesilvano, è per sabato 9 giugno a Roma. In  tempo per lanciare qualche segnale e fare delle scelte prima che sia  troppo tardi.
L.Campetti - 29/05/2012
il Manifesto
 
 
 
Nessun commento:
Posta un commento