Precari, svelato l’inganno 
Non è una svolta. Per milioni di giovani precari è un inganno. Perché i piccoli passi in avanti, i timidi correttivi – depurati dalle proclamazioni buoniste su apprendistato e lavoro a tempo indeterminato – non riducono la piaga dei contratti atipici e lasciano ampi spazi allo sfruttamento creativo delle aziende.
Partiamo dai fatti. Per un ventennio le aziende hanno stravolto la flessibilità disegnata dalla legge Biagi. Spremendo milioni di giovani (e ormai non più giovani) in ruoli di pari lavoro e impari retribuzione rispetto ai dipendenti a tempo indeterminato “della scrivania accanto”: con peggiori compensi, peggiori tutele previdenziali, orari peggiori, zero diritti e spesso ampliamento non retribuito di mansioni. Quattro milioni di precari (dati 2011, Associazione Artigiani e Piccole Medie Imprese del Veneto) attendevano un immediato salto di qualità per compensi e tutele.
Succede invece che i precari delle finte partite Iva, ingaggiati in modo chiaramente subordinato, con una postazione in azienda, non sono immessi in organico, ma dovranno attendere 12 mesi per vedersi riconosciuti co.co.co.: il tempo utile alle aziende per “buttarli fuori”, secondo lo spirito di Emma Marcegaglia che all’idea di uno stop agli abusi minaccia minore occupazione.
Non è una svolta. Per milioni di giovani precari è un inganno. Perché i piccoli passi in avanti, i timidi correttivi – depurati dalle proclamazioni buoniste su apprendistato e lavoro a tempo indeterminato – non riducono la piaga dei contratti atipici e lasciano ampi spazi allo sfruttamento creativo delle aziende.
Partiamo dai fatti. Per un ventennio le aziende hanno stravolto la flessibilità disegnata dalla legge Biagi. Spremendo milioni di giovani (e ormai non più giovani) in ruoli di pari lavoro e impari retribuzione rispetto ai dipendenti a tempo indeterminato “della scrivania accanto”: con peggiori compensi, peggiori tutele previdenziali, orari peggiori, zero diritti e spesso ampliamento non retribuito di mansioni. Quattro milioni di precari (dati 2011, Associazione Artigiani e Piccole Medie Imprese del Veneto) attendevano un immediato salto di qualità per compensi e tutele.
Succede invece che i precari delle finte partite Iva, ingaggiati in modo chiaramente subordinato, con una postazione in azienda, non sono immessi in organico, ma dovranno attendere 12 mesi per vedersi riconosciuti co.co.co.: il tempo utile alle aziende per “buttarli fuori”, secondo lo spirito di Emma Marcegaglia che all’idea di uno stop agli abusi minaccia minore occupazione.
Autorizzare tre apprendisti per due  dipendenti a tempo indeterminato è  una presa in giro: un invito a  fabbricare altro lavoro precario. E  ancora, prevedere 36 mesi di  contratti successivi a tempo determinato  per un precario, che (dopo tre  anni meno un giorno!) potrà essere  tranquillamente sostituito da un  altro precario, è una  beffa. Dal progetto sembra sparito il tetto ai  licenziamenti  individuali per “motivi      oggettivi”. Così verranno aggirate le norme  sui licenziamenti collettivi.
 In tutta la vicenda il governo si è  comportato come se dovesse mediare  equidistante tra sindacati e  imprenditori, invece di agire perché la  sorte dei giovani in ingresso  lavoro venisse subito migliorata. Un esempio?  Sancire che dopo 36 mesi  ogni prestazione continuata (in quanto tale)  sia necessariamente coperta  da un contratto a tempo indeterminato.
 Intanto Monti dichiara ai quattro  venti che il reintegro per  licenziamenti economici ingiusti resterà  “improbabile”. Felice notizia  per i cinquantenni che saranno rottamati  con vista  sull’(irraggiungibile) pensione a sessantasette anni. Si era tanto  parlato del triste  divario tra protetti e non garantiti. Ora finalmente  è ristabilita  l’eguaglianza. Insicurezza spalmata per tutti.
M. Politi - 08/04/2012 
il Fatto Quotidiano
  
 
 
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