E’ inutile nascondersi dietro le parole. Lo sciopero generale proclamato dalla segretera della Cgil si presenta come uno sciopero a metà. Da un lato, è evidente, esso raccoglie una domanda di mobilitazione che è partita dalla piazza del 16 ottobre scorso dove si sono incontrati Fiom e movimenti. Dall’altro, però, non solo per le sue dimensioni, le quattro ore, ma anche per gli obiettivi, si presenta come uno sciopero in assoluta continuità con le iniziative del passato. Il 26 giugno dell’anno scorso la Cgil proclamò uno sciopero generale di quattro ore contro la politica del governo Berlusconi. Un anno dopo, fa la stessa identica cosa, nello stesso identico modo. In mezzo a queste due date è cambiato il mondo.
L’attacco di Marchionne, quello della Gelmini, il propagarsi dal pubblico al privato, dai metalmeccanici agli insegnanti agli addetti al terziario, della devastazione contrattuale, ha messo in discussione tutto. Cisl e Uil sono state complici convinte di tutte le scelte del governo, della Confindustria, della Fiat. E’ avanzato un processo di distruzione dello stato sociale che in Italia viene presentato come Federalismo. Tutto questo si è accompagnato all’aggravarsi della crisi della democrazia, all’abolizione delle libere elezioni nella Fiat come nel lavoro pubblico, all’attacco alla Magistratura, all’aggressione alla Costituzione, all’impunità di Berlusconi rivendicata e proclamata come sistema di governo. Eppure dopo tutto questo, lo sciopero generale proclamato dalla segreteria della Cgil è lo stesso di un anno fa.
E’ evidente che questo errore di sensibilità e scelta politica nasce da un vizio di fondo che persiste nella linea della confederazione. Si continua a negare la realtà. Si continua a credere che oltre Marchionne, oltre Berlusconi e Sacconi, oltre gli accordi separati, ci sia ancora un mondo ove si possa ricostruire una politica unitaria con Cisl e Uil e un patto sociale con la Confindustria. Questo mondo in realtà non esiste più. C’è oramai un blocco di potere, una vera e propria concertazione che fa sì che tutte le principali decisioni di politica economica e sociale siano prese di comune accordo fra la Lega, Tremonti, Berlusconi, la Confindustria, Cisl e Uil. C’è un blocco di potere concertativo che governa l’Italia ed esclude la Cgil. Questo blocco di potere fa sì che Berlusconi continui, nonostante i suoi misfatti, a restare in sella, mentre appare inconcludente e inefficace l’opposizione politica. Il gruppo dirigente della Cgil continua a illudersi che prima o poi la signora Marcegaglia, la Cisl, la Uil, facciano un’altra politica.
E’ la stessa illusione che coltiva Bersani quando chiede alla Lega di dissorciarsi da Berlusconi. Ma negare la realtà può essere più facile che cambiare linea e comportamento. Per cui, specularmente, ad un’opposizione politica che ogni cinque minuti chiede la caduta di Berlusconi, ma non fa nulla di vero e serio perché ciò avvenga, così la Cgil chiede un cambiamento profondo nelle politiche economiche e sociali, ma poi non fa uno sciopero generale in grado di bloccare davvero il Paese.
E’ questa contraddizione che è stata immediatamente colta in tutti i luoghi di lavoro ove, dopo la prima cauta soddisfazione per la proclamazione dello sciopero generale, è emersa la rabbia per la data e soprattutto per le quattro ore. Sbaglia chi, come fa il nostro caro amico Loris Campetti su il manifesto, sottovaluta questo aspetto e si fa trascinare nella vecchia logica del bicchiere mezzo pieno. Questo sciopero generale così com’è non va, bisogna cambiarlo. Innanzitutto si deve mettere nella piattaforma che esso va proclamato non solo contro il governo, ma anche contro la Confindustria e contro il sistema delle imprese. Pensiamo alla Confcommercio, che sta estendendo ovunque, assieme al governo, il modello Marchionne. Bisogna smettere di illudersi che ci sia un altro padronato buono che è pronto a dissociarsi dall’amministratore delegato della Fiat. In secondo luogo bisogna fare uno sciopero generale di otto ore. Già diverse categorie: la scuola, la funzione pubblica, il commercio, i metalmeccanici, hanno deciso o paiono intenzionati a decidere, l’estensione dello sciopero. Bisogna provare a bloccare il Paese e non a fare uno sciopero di circostanza.
Nelle prossime settimane, ogni luogo di lavoro, ogni rappresentanza sindacale, ogni struttura, dovrà essere portata a discutere e a decidere sugli obiettivi e sull’estensione dello sciopero. Lo sciopero dovrà essere un appuntamento di tutto il Paese che lotta per i diritti e la democrazia. Per questo si dovranno incontrare i movimenti sociali e gli studenti. Essi devono essere soggetti attivi e partecipi dello sciopero e non semplicemente spettatori tollerati. Infine questo sciopero va costruito politicamente anche rispetto a Cisl e Uil. Il primo maggio unitario, che precede lo sciopero è una pura ipocrisia e rischia persino di danneggiare la giornata di lotta se quel giorno, nelle piazze, si dovrà diplomaticamente tacere di essa. Si faccia un primo maggio che prepari lo sciopero, che ne spieghi le motivazioni e gli obiettivi e si vada in piazza anche per questo. Pazienza se Cisl e Uil a questo punto ne saranno travolte o saranno costrette a non partecipare.
Bisogna fare sul serio. Ogni giorno le lavoratrici e i lavoratori, i giovani, i disoccupati e i precari sono di fronte a drammi che si abbattono sulla loro vita. Per questo mobilitazioni rituali non servono più a nessuno e possono persino diventare controproducenti. Abbiamo a questo punto due mesi per arrivare a uno sciopero generale vero. Facciamo sì che ogni appuntamento - lo sciopero dell’11 marzo dei sindacati di base, le altre lotte e mobilitazioni, le assemblee degli studenti e dei movimenti sociali, le manifestazioni della società civile, da quella del 12 marzo a quella sull’acqua - pur conservando naturalmente la propria autonomia, servano anche a far sì che lo sciopero del 6 maggio sia un appuntamento di tutti.
Impadroniamoci di quella data e facciamo dello sciopero generale proclamato senza convinzione dalla segreteria della Cgil una data che segni la vita sociale e politica Paese. Con la consapevolezza che oggi più che mai è necessaria la critica a quei gruppi dirigenti che non vogliono cogliere la dimensione dura e drammatica del conflitto in atto. La trasformazione dello sciopero del 6 maggio in uno sciopero generale vero, è la strada sulla quale dobbiamo muoverci.
Giorgio Cremaschi
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