La decisione del Direttivo della Cgil di indire lo sciopero generale è sicuramente un passo avanti, che nasce dalla spinta profonda dei movimenti di lotta di questi mesi. Tuttavia lo sciopero generale ancora non è in campo perché la data di esso non è stata fissata, e in questa decisione contraddittoria sta tutto il passaggio politico che vive oggi la Cgil.
Il dibattito nel Comitato direttivo ha visto per la prima volta una scomposizione degli schieramenti congressuali. Non solo la Fiom, non solo la minoranza congressuale, seppure con diversi accenti, ma anche i pensionati, la Cgil emiliana, la Flc hanno chiesto lo sciopero generale in tempi ravvicinati.
Sull’altro versante alcune strutture del Nord, in particolare Milano e la Liguria, hanno considerato sbagliata la scelta dello sciopero ora. In mezzo un vasto schieramento di gruppi dirigenti che da un lato sente la necessità dello sciopero generale ma dall’altro non può non cogliere la contraddizione di esso con quanto sinora affermato dal gruppo dirigente.
All’assemblea nazionale della Fiom, tenutasi ai primi di febbraio, il responsabile dell’industria della confederazione aveva detto con franca brutalità che lo sciopero generale non era all’ordine del giorno perché la Cgil tentava, da un lato, di ricostruire un dialogo sulla rappresentanza con Cisl e Uil, dall’altro, un patto per la crescita con Confindustria. Proprio in quei giorni, però, il Governo, Cisl e Uil hanno firmato l’ennesimo accordo separato per il pubblico impiego, mentre la Confindustria e la Federmeccanica hanno mostrato un sempre più convinto allineamento con le posizioni di Marchionne. Ora la trattativa per il rinnovo del contratto del commercio sta riproponendo lo stesso drammatico scenario. Le imprese, in accordo con Cisl e Uil, pretendono una revisione totale al ribasso dei contratti, la liquidazione dei due livelli di contrattazione, lo smantellamento dei diritti personali dei lavoratori, dai riposi alla malattia, la piena acquisizione dentro i testi contrattuali di tutte le più barbare norme sulla flessibilità volute dal Governo. Un progetto distruttivo, per una categoria già massacrata dalla flessibilità e dalla precarietà, che la Cgil, anche nelle sue posizioni più moderate, non può sottoscrivere. Se quindi si arrivasse a un altro accordo separato, la maggioranza dei lavoratori italiani sarebbe sottoposta a un regime contrattuale che esclude la Cgil e che devasta il contratto nazionale e le libertà personali e sindacali.
Di fronte a tutto questo era difficile continuare a negare la realtà. Ed infatti già nella relazione e nel dibattito, per la prima volta da molto tempo, è emersa la consapevolezza di quanto sia difficile la ricostruzione a breve dell’unità con Cisl e Uil, mentre si è diffusa l’accusa a queste due organizzazioni di essere complici di Governo e Confindustria. Tuttavia questa presa d’atto della realtà non ha prodotto una riflessione di fondo su quale linea alternativa costruire. La realtà cambia, ma si cerca di affrontarla cercando continuando sulla strada sin qui seguita. Per questo di fronte alla pressione di categorie e strutture, si è deciso lo sciopero generale, ma senza fissarne la data. Sono queste una riserva politica e anche una contraddizione, che possono indebolire la funzione e la stessa efficacia dello sciopero. In questa contraddittorietà delle decisioni sta evidentemente la difficoltà strategica della Cgil. Una difficoltà che riflette quella dell’opposizione politica a Berlusconi. Quest’ultimo nonostante il criminale sostegno a Gheddafi, i processi, l’impresentabilità politica e morale, continua a stare al suo posto, mentre l’opposizione continua a non mordere sul serio. C’è una ragione di fondo in tutto questo, la stessa che rende difficile il cammino della Cgil. Berlusconi, per quanto impresentabile, è riuscito a costruire un blocco di potere stabile con la Confindustria, la Cisl, la Uil. Questo blocco di potere è stato rafforzato ed è sostenuto dall’offensiva autoritaria e anticostituzionale di Marchionne che, con il consenso diffuso che raccoglie nei palazzi della politica del potere, ha finito per puntellare il dominio scricchiolante del padrone di Mediaset. La evidente asimmetria tra scontro politico e scontro sociale rafforza totalmente il Presidente del Consiglio.
Il Parlamento è diviso a metà, la grande stampa e l’opinione pubblica è contro Berlusconi, ma il consenso verso Marchionne sfonda a sinistra e conquista le imprese e i sindacati complici. Così le offensive contro Berlusconi finisce per perdere materialità sociale ed è proprio l’opposizione che si indebolisce. Solo la grande opposizione sociale e civile, quella che ha visto come sua ultima espressione l’eccezionale mobilitazione delle donne del 13 febbraio, può cambiare le carte in tavola. Ma questa opposizione ha bisogno di decisioni e lotte che vedano come avversari non solo Berlusconi, ma anche Marchionne e il blocco di potere economico e sindacale che lo sostiene. Questa è la dura realtà dello sciopero generale che la Cgil ora deve fare. Uno sciopero generale che, per non essere un puro atto di testimonianza, deve collocarsi appieno nella radicalità dei movimenti che scuotono il paese.
La Cgil ha deciso lo sciopero ma non ne ha fissato la data. E’ quindi compito di tutte e tutti coloro che sinora si sono battuti per esso, di far precipitare la scadenza in tempi politici necessari ad incidere sulla realtà attuale. Già domani si svolgerà a Roma un’assemblea di delegati autoconvocati, che potrebbe rilanciare la mobilitazione per lo sciopero generale. A giorni è prevista l’assemblea della minoranza congressuale della Cgil. Tutti i movimenti oggi hanno interesse a mobilitarsi perché questa benedetta data dello sciopero finalmente arrivi, e arrivi in tempo utile per incidere sullo scontro politico in atto oggi. Lo sciopero generale non dovrà essere un ennesimo appuntamento rituale, come gli ultimi che si sono svolti. Dovrà essere un’incontro e un atto di forza di tutti i movimenti assieme al mondo del lavoro. Dovrà provare a bloccare davvero il paese. Dovrà vedere assieme il mondo del lavoro, che si vede cancellare i contratti nazionali, con quel mondo precario, che a un contratto nazionale non è mai arrivato. Dovrà vedere la lotta sociale unirsi con la protesta civile e morale contro Berlusconi e il suo governo. Dovrà essere uno sciopero sociale e politico al tempo stesso. Tutto questo ancora non c’è. C’è solo in campo una decisione formale e incompleta del Direttivo Cgil. Sta a tutti noi adesso agire perché in Italia ci sia finalmente un vero sciopero generale. Quando l’otterremo dovremo far sì che esso sia un momento di avvio della lotta contro il sistema di potere che, da Berlusconi a Marchionne, ci sta facendo pagare tutti i costi della crisi.
Articolo di Giorgio Cremaschi pubblicato oggi su "Liberazione"
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