lunedì 28 febbraio 2011

Lo sciopero va proclamato ora. Basta con gli indugi

L’accordo separato per le lavoratrici e i lavoratori del commercio è un ennesimo colpo durissimo ai diritti, al contratto nazionale, alle libertà delle persone. Con questo accordo, dopo i metalmeccanici e tutti i lavoratori pubblici, anche i milioni dei lavoratori del commercio entrano in un regime di devastazione contrattuale che esclude la Cgil.
Oramai la maggioranza dei lavoratori italiani sono senza un contratto nazionale firmato da tutti. A questo punto i contatti unitari non sono la regola, ma l’eccezione minoritaria e la sostanza è quella, invece di un sistema delle imprese che, in pieno accordo con il Governo, punta alla rottura sindacale e alla distruzione del contratto nazionale.
La Cgil deve prendere atto della realtà e non bisogna più perdere tempo. Occorre definire subito la data per lo sciopero generale e questa deve essere ravvicinata, anche unificando e accorpando tutte le decisioni di lotta già prese. La Segreteria nazionale deve dunque dare conseguenza al voto del Direttivo e fissare la data per uno sciopero generale che dovrà provare a fermare sul serio tutto il paese.
Il deterioramento del quadro democratico, per l’azione sconsiderata del Presidente del Consiglio, reclama anch’esso una risposta immediata. A questo punto ogni ulteriore rinvio sarebbe tanto incomprensibile quanto colpevole. Lo sciopero generale va proclamato ora.

R28A

venerdì 25 febbraio 2011

Sciopero generale: siano i movimenti a mettere la data

La decisione del Direttivo della Cgil di indire lo sciopero generale è  sicuramente un passo avanti, che nasce dalla spinta profonda dei movimenti di lotta di questi mesi. Tuttavia lo sciopero generale ancora non è in campo perché la data di esso non è stata fissata, e in questa decisione contraddittoria sta tutto il passaggio politico che vive oggi la Cgil.
Il dibattito nel Comitato direttivo ha visto per la prima volta una scomposizione degli schieramenti congressuali. Non solo la Fiom, non solo la minoranza congressuale, seppure con diversi accenti, ma anche i pensionati, la Cgil emiliana, la Flc hanno chiesto lo sciopero generale in tempi ravvicinati.
Sull’altro versante alcune strutture del Nord, in particolare Milano e la Liguria, hanno considerato sbagliata la scelta dello sciopero ora. In mezzo un vasto schieramento di gruppi dirigenti che da un lato sente la necessità dello sciopero generale ma dall’altro non può non cogliere la contraddizione di esso con quanto sinora affermato dal gruppo dirigente.
All’assemblea nazionale della Fiom, tenutasi ai primi di febbraio, il responsabile dell’industria della confederazione aveva detto con franca brutalità che lo sciopero generale non era all’ordine del giorno perché la Cgil tentava, da un lato, di ricostruire un dialogo sulla rappresentanza con Cisl e Uil, dall’altro, un patto per la crescita con Confindustria. Proprio in quei giorni, però, il Governo, Cisl e Uil hanno firmato l’ennesimo accordo separato per il pubblico impiego, mentre la Confindustria e la Federmeccanica hanno mostrato un sempre più convinto allineamento con le posizioni di Marchionne. Ora  la trattativa per il rinnovo del contratto del commercio sta riproponendo lo stesso drammatico scenario. Le imprese, in accordo con Cisl e Uil, pretendono una revisione totale al ribasso dei contratti, la liquidazione dei due livelli di contrattazione, lo smantellamento dei diritti personali dei lavoratori, dai riposi alla malattia, la piena acquisizione dentro i testi contrattuali di tutte le più barbare norme sulla flessibilità volute dal Governo. Un progetto distruttivo, per una categoria già massacrata dalla flessibilità e dalla precarietà, che la Cgil, anche nelle sue posizioni più moderate, non può sottoscrivere. Se quindi si arrivasse a un altro accordo separato, la maggioranza dei lavoratori italiani sarebbe sottoposta a un regime contrattuale che esclude la Cgil e che devasta il contratto nazionale e le libertà personali e sindacali. 
Di fronte a tutto questo era difficile continuare a negare la realtà. Ed infatti già nella relazione e nel dibattito, per la prima volta da molto tempo, è emersa la consapevolezza di quanto sia difficile la ricostruzione a breve dell’unità  con Cisl e Uil, mentre si è diffusa l’accusa a queste due organizzazioni di essere complici di Governo e Confindustria. Tuttavia questa presa d’atto della realtà non ha prodotto una riflessione di fondo su quale linea alternativa costruire. La realtà cambia, ma si cerca di affrontarla cercando continuando sulla strada sin qui seguita. Per questo di fronte alla pressione di categorie e strutture, si è deciso lo sciopero generale, ma senza fissarne la data. Sono queste una riserva politica e anche una contraddizione, che possono indebolire la funzione e la stessa efficacia dello sciopero. In questa contraddittorietà delle decisioni sta evidentemente la difficoltà strategica della Cgil. Una difficoltà che riflette quella dell’opposizione politica a Berlusconi. Quest’ultimo nonostante il criminale sostegno a Gheddafi, i processi, l’impresentabilità politica e morale, continua a stare al suo posto, mentre l’opposizione continua a non mordere sul serio. C’è una ragione di fondo in tutto questo, la stessa che rende difficile il cammino della Cgil. Berlusconi, per quanto impresentabile, è riuscito a costruire un blocco di potere stabile con la Confindustria, la Cisl, la Uil. Questo blocco di potere è stato rafforzato ed è sostenuto dall’offensiva autoritaria e anticostituzionale di Marchionne che, con il consenso diffuso che raccoglie nei palazzi della politica del potere, ha finito per puntellare il dominio  scricchiolante del padrone di Mediaset. La evidente asimmetria tra scontro politico e scontro sociale rafforza totalmente il Presidente del  Consiglio. 
Il Parlamento è diviso a metà, la grande stampa e l’opinione pubblica è contro Berlusconi, ma il consenso verso Marchionne sfonda a sinistra e conquista le imprese e i sindacati complici. Così le offensive contro Berlusconi finisce per perdere materialità sociale ed è proprio l’opposizione che si  indebolisce. Solo la grande opposizione sociale e civile, quella che ha visto come sua ultima espressione l’eccezionale mobilitazione delle donne del 13 febbraio, può cambiare le carte in tavola. Ma questa opposizione ha bisogno di decisioni e lotte che vedano come avversari non solo Berlusconi, ma anche Marchionne e il blocco di potere economico e sindacale che lo sostiene. Questa è la dura realtà dello sciopero generale che la Cgil ora deve fare. Uno sciopero generale che, per non essere un puro atto di testimonianza, deve collocarsi appieno nella radicalità dei movimenti che scuotono il paese.
La Cgil ha deciso lo sciopero ma non ne ha fissato la data. E’ quindi compito di tutte e tutti coloro che sinora si sono battuti per esso, di far precipitare la scadenza in tempi politici necessari ad incidere sulla realtà attuale. Già domani si svolgerà a Roma un’assemblea di delegati autoconvocati, che potrebbe rilanciare la mobilitazione per lo sciopero generale. A giorni è prevista l’assemblea della minoranza congressuale della Cgil. Tutti i movimenti oggi hanno interesse a mobilitarsi perché questa benedetta data dello sciopero finalmente arrivi, e arrivi in tempo utile per incidere sullo scontro politico in atto oggi.  Lo sciopero generale non dovrà essere un ennesimo appuntamento rituale, come gli ultimi che si sono svolti. Dovrà essere un’incontro e un atto di forza di tutti i movimenti assieme al mondo del lavoro. Dovrà provare a bloccare davvero il paese. Dovrà vedere assieme il mondo del lavoro, che si vede cancellare i contratti nazionali, con quel mondo precario, che a un contratto nazionale non è mai arrivato. Dovrà vedere la lotta sociale unirsi con la protesta civile e morale contro Berlusconi e il suo governo. Dovrà essere uno sciopero sociale e politico al tempo stesso. Tutto questo ancora non c’è. C’è solo in campo una decisione formale e incompleta del Direttivo Cgil.  Sta a tutti noi adesso agire perché in Italia ci sia finalmente un vero sciopero generale. Quando l’otterremo dovremo far sì che esso sia un momento di avvio della lotta contro il sistema di potere che, da Berlusconi a Marchionne, ci sta facendo pagare tutti i costi della crisi. 
Articolo di Giorgio Cremaschi pubblicato oggi su "Liberazione"

lunedì 21 febbraio 2011

Settimana decisiva per lo sciopero generale

E’ questa una settimana decisiva per lo sciopero generale. Il 22 e il 23 si riunisce il Direttivo nazionale della Cgil, per la prima volta da molti anni a porte chiuse. Questa decisione è il segno della difficoltà del dibattito interno. Dopo la Fiom e la minoranza congressuale anche diverse strutture, tra queste pare la Cgil Emilia, si sono espresse a favore dello sciopero generale. La Federazione della conoscenza ha convocato il suo sciopero per il 21 marzo e la Funzione pubblica per il 25.
E’ chiaro che dopo l’accordo separato nei pubblici, mentre continua l’attacco della Fiat, della Confindustria e del Governo ai diritti e al contratto nazionale, la Cgil è a un bivio. Non sarebbe difficile, in fondo, prendere la decisione sullo sciopero generale. Sarebbe una decisione popolare anche sul piano dell’opinione pubblica, vista l’arroganza crescente di Berlusconi e il disgusto collettivo che essa sta suscitando. Tuttavia lo sciopero generale impone alla Cgil di dare una risposta alle affermazioni che un suo segretario, Vincenzo Scudiere, ha fatto a una recente assemblea della Fiom. Qui si è detto che la Cgil non aveva all’ordine del giorno lo sciopero generale perché si tentava una ripresa di dialogo unitario e sulla rappresentanza, mentre non si rinunciava a costruire con la Confindustria un “Patto per la crescita”. Se questa è stata la motivazione per il no allo sciopero, è evidente che la proclamazione della mobilitazione generale porterebbe a dover considerare fallita questa prospettiva. Questa è l’impasse della maggioranza del gruppo dirigente, da un lato tentata dallo sciopero, per le spinte oggettive che ci sono nel sindacato e nel paese, dall’altro spaventata a dover concludere che la rottura con Cisl, Uil e Confindustria è destinata a durare e ad accentuarsi. Anche le incertezze del Partito Democratico coinvolgono il gruppo dirigente della Cgil. Tutto questo sfocia così nella discussione nel Direttivo, che non potrà più produrre ulteriori rinvii.
Tutti sono chiamati a scelte chiare, tocca alla Cgil, ma anche alla sua minoranza. Quest’ultima finora ha vivacchiato all’ombra della Fiom. E’ chiaro che se la Cgil deciderà lo sciopero generale si aprirà una fase nuova dentro l’organizzazione. Se invece questo non dovesse avvenire la minoranza dovrà uscire dalle sue incertezze e trasformarsi in una posizione pubblica e di massa. In ogni caso l’assemblea di delegati autoconvocata a Roma per il 26 febbraio assume un ruolo  sempre più importante, alla luce delle decisioni che pochi giorni prima saranno prese dal Direttivo della Cgil.
di Giorgio Cremaschi

La nuova tragedia al cantiere navale di Monfalcone ripropone il dramma del degrado del lavoro

La terribile morte del lavoratore dipendente da una ditta attiva in appalto presso il cantiere navale di Monfalcone, ripropone in tutto il suo dramma la questione dell’organizzazione del lavoro e dell’attacco continuo alla salute e alla sicurezza dei lavoratori.
Esprimiamo tutto il nostro dolore, tutta la nostra rabbia e tutta la nostra solidarietà ai familiari e ai colleghi della vittima. Prima di tutto, dobbiamo però sottolineare che si sta cercando di recuperare produttività mettendo a rischio la sicurezza dei lavoratori, in una ricerca insensata di risultati a breve che spesso si trasforma in tragedie.
La risposta forte dei lavoratori di Monfalcone è il segnale che nei luoghi di lavoro non si può più andare avanti così. Ci saranno adesso tutte le iniziative sindacali e legali volte a individuare e colpire le evidenti responsabilità aziendali.
Quanto accaduto a Monfalcone ci dice, una volta di più, che occorre rilanciare la lotta per la salute e la sicurezza dei lavoratori di fronte alla ricerca di una competitività fondata sul degrado del lavoro, sul sistema degli appalti e dei subappalti, sull’intensificazione dei ritmi e dello sfruttamento.
Giorgio Cremaschi
Presidente del Comitato centrale della Fiom-Cgil

giovedì 17 febbraio 2011

Gravi ed inaccettabili le dichiarazioni del ministro Romani sul ridimensionamento produttivo e occupazionale. Si convochi urgentemente il tavolo di confronto

“È grave ed inaccettabile che il ministro Romani dichiari in Parlamento dell’esistenza di un progetto di razionalizzazione dell’assetto industriale dei cantieri navali in Liguria citando l’attivazione di un tavolo sulla cantieristica in realtà mai convocato.”“Alla richiesta ufficiale avanzata da almeno un mese dai Segretari generali di Fim, Fiom e Uilm di attivare un confronto sulle scelte di politiche industriali e produttive della Fincantieri e della cantieristica con la presenza di tutte le parti sociali, il Ministro non ha mai risposto né convocato l’incontro su cui si era impegnato.”“Il ministro Romani con chi sta discutendo di ridimensionare le attività e l’occupazione dei cantieri liguri della Fincantieri?”“Non siamo disponibili ad accettare alcun ridimensionamento né produttivo né occupazionale di Fincantieri né in Liguria né in altre regioni e chiediamo un immediato coinvolgimento da parte del Governo, di tutte le parti sociali per definire un vero piano di rilancio e di qualificazione produttiva delle attività della cantieristica nel nostro Paese.”

Maurizio Landini
segretario generale della Fiom-Cgil

Sciopero Generale: lettera aperta a Susanna Camusso Segretario Generale della Cgil

Siamo delegate e delegati, lavoratrici e lavoratori, dirigenti sindacali, studentesse e studenti pensionate e pensionati, cittadine e cittadini.Come massimo dirigente della più grande organizzazione sindacale di questo Paese, hai una grande responsabilità. Senza la mobilitazione della Cgil non vi è alcuna speranza di fermare l’ormai dilagante arroganza di una destra politica e sociale, che vuole imporre un modello di società senza valori e nel contempo autoritaria.Se le leggi sembrano non avere più valore per il presidente del Consiglio, non meno arrogante e ricattatorio appare l’azione dei padroni nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori.Non crediamo che serva elencare a te soprusi e vessazioni che si subisce quando si entra in un luogo di lavoro.In poco più di due anni Berlusconi con Montezemolo ieri e Marcegaglia oggi hanno cancellato un pezzo importante delle conquiste del movimento dei lavoratori.E’ venuto il momento di mettere in campo tutte le forze di cui siamo capaci. Non è più tempo dell’attesa o dei tatticismi.Dopo l'accordo separato sul modello contrattuale, dopo la privatizzazione dell’acqua, dopo il contratto separato dei metalmeccanici, dopo il diritto negato al rinnovo delle RSU nella Pubblica Amministrazione, dopo gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, dopo l’aumento dell’età pensionabile, dopo il collegato lavoro, dopo la decisione di Federmeccanica di cancellare il contratto nazionale, dopo il taglio dei servizi pubblici, dopo la controriforma Gelmini della scuola, dopo l'accordo separato per i lavoratori pubblici, dopo la costante perdita del potere d'acquisto, dopo l'aumento della disoccupazione con il 30% dei giovani senza lavoro, dopo che nel 2010 i lavoratori hanno subito 1,2 miliardi di ore di cassa integrazione, dopo che gli studenti hanno chiesto di estendere le lotte, ti chiediamo di operare per l’unificazione delle mobilitazioni, di organizzare un ampio movimento di lotta sino a giungere alla proclamazione dello sciopero generale contro Governo e Padroni, per dimostrare che nonostante tutto NON ABBIAMO PERSO LA VOLONTA' E LA SPERANZA DI CAMBIARE QUESTO PAESE.

SE NON ORA QUANDO?

mercoledì 16 febbraio 2011

Tychy, sabotaggio nella fabbrica-gioiello del Lingotto

FIAT polacca. Vetture danneggiate, i sindacati si dissociano ma i bassi salari fanno crescere la tensione

Bocche cucite allo stabilimento Fiat di Tychy. È da poco finito il primo turno, dai cancelli escono gli operai ma hanno poca voglia di parlare e appena salta all'orecchio la parola «sabotaggio» fuggono con un laconico nie wiem, non lo so. Il sabotaggio però c'è stato, durante la notte tra giovedì e venerdì della scorsa settimana. Secondo una nota ufficiosa di Fiat Auto Poland, sarebbero 60 le auto distrutte ma i dati del personale di sorveglianza parlano di 200-300 vetture danneggiate con graffi e ammaccature sulla carrozzeria. Boguslaw Cieslar, portavoce della Fiat in Polonia, nega che ci siano stati sabotaggi. L'ufficio stampa di Torino conferma le parole di Cieslar.A prescindere dalla versione più o meno ufficiale dei fatti, l'intera faccenda ha messo in allarme la dirigenza e soprattutto i lavoratori, che adesso temono possibili ritorsioni aziendali. «In 35 anni di lavoro non ho mai visto una cosa simile», si sfoga un operaio che ci chiede l'anonimato. «Quello che è successo non mi piace affatto - continua - perché a pagarne le conseguenze siamo sempre noi operai, ma c'è un grande malessere in fabbrica e questi sono i risultati. Ci spremono come i limoni, sempre sotto il ricatto del licenziamento. Dove sta la nostra dignità? Chiunque sia stato doveva essere alla disperazione e lo capisco». Da tempo i 6300 operai di Tychy chiedono un aumento in busta paga. Lo stipendio lordo negli stabilimenti di Tychy e Biesko Biala (dove vengono assemblati i motori) varia da un minimo di 530 euro per i neoassunti fino a un massimo di 920 euro. Gente che lavora anche 48 ore a settimana nella catena di montaggio, su 3 turni, senza fiatare e con la speranza di veder mantenute le promesse fatte dalla Fiat sugli aumenti salariali. Ad oggi quelle promesse sono rimaste tali, anzi, il gruppo torinese ha tagliato pure i bonus di produttività negli ultimi due mesi di produzione. «È una situazione insostenibile - conferma Wanda Skrosic, sindacalista di Solidarnosc - noi come sindacato ci dissociamo dagli atti di sabotaggio, non è così che si risolvono i problemi, ma dico anche che la Fiat non può far finta di niente ed è ora che venga incontro alle nostre richieste». I sindacati chiedono un aumento in busta paga di 216 euro e sono pronti anche allo sciopero per ottenerlo. Dunque, il gioiellino produttivo del Lingotto osannato da Marchionne e preso ad esempio per la ristrutturazione di Pomigliano e Mirafiori fa i «capricci». Tychy non ci sta alla politica dei bassi salari e si è messa di traverso. Con il sabotaggio di venerdì gli operai polacchi hanno voluto inviare un messaggio a Torino.In fabbrica è iniziata la caccia ai sabotatori. La dirigenza sta visionando i video delle telecamere di sicurezza per scovare i colpevoli. Un'altra patata bollente per l'a.d. della Fiat col cuore a Torino, la testa a Detroit e da oggi anche con le orecchie alla Polonia.

Mauro Caterina - il manifesto

martedì 15 febbraio 2011

Sciopero generale politico: in piazza finché Berlusconi non se ne va

Dobbiamo scendere in piazza come in Tunisia e in Egitto e non venir più via sino a che Berlusconi non si è dimesso. Dopo il rinvio a giudizio per reati così gravi e infamanti, il Presidente del Consiglio non può restare in carica un minuto di più. Ne va della dignità democratica dell’Italia. Non è una questione di maggioranze o minoranze, di politica economica o istituzionale, è una questione costituzionale. 
Non possiamo accettare che il posto di Presidenza del consiglio sia così indegnamente occupato. Per questo bisogna che la Cgil, richiamando i momenti più importanti della sua storia, proclami uno sciopero generale politico che, tra l’altro, abbia come obiettivo le dimissioni di Berlusconi. E’ una decisione simile a quella che portò, nel 1960 la Cgil a scioperare e far cadere il governo Tambroni. Oggi la democrazia si difende con la mobilitazione democratica e bisogna mobilitarsi fino a che Berlusconi non se ne va.

Giorgio Cremaschi

domenica 6 febbraio 2011

Tre uomini e una Fiom

Massimalisti e riformisti, radicali e moderati, indipendentisti e autonomi, minoranza e maggioranza, quelli della mozione uno (Riccardo Nencini, Fausto Durante) e quelli della mozione due (Gianni Rinaldini, Maurizio Landini), o semplicemente quelli della Fiom (Federazione impiegati operai metallurgici). Chiamateli come volete, ma i sindacalisti metalmeccanici della Cgil sono sempre gli stessi.

DUE ANIME E UN SINDACATO. Le loro anime sono due e in 110 anni di vita operaia, nonostante i cambiamenti politici e sociali, sono riuscite a rigenerarsi mantenendo una dualità definita. A contraddistinguerle, una dialettica interna che sin dal primo accordo firmato nel 1906 con la fabbrica di auto Itala Torino portò allo scontro tra socialisti massimalisti e socialisti riformisti sull’intesa che prevedeva la rinuncia al diritto di sciopero in cambio della rappresentanza.
Da allora sono trascorsi anni di lotte operaie, cambi di segreteria, dall'organizzazione per correnti politiche si è passati a quella per aree programmatiche congressuali. La 'i' della sigla sta ora per 'impiegati' e non più per 'italiani', ma la Fiom, che oggi conta circa 360 mila iscritti su tutto il territorio nazionale, ancora si contraddistingue per avere due linee di pensiero e di azione. A rappresentarle, Landini, segretario generale, e Durante, ex segretario nazionale, sostenuto dal 27% del comitato centrale.

La maggioranza in Cgil è minoranza in Fiom
Landini fa capo all'ala dura, radicale e indipendentista, di cui fu promotore Claudio Sabattini, segretario storico dal 1994 al 2002, che riuscì a espellere dal sindacato i cosiddetti 'ragazzi di corso Trieste', i riformisti a cui si rifà oggi Durante, ovvero Gaetano Sateriale, Susanna Camusso, Cesare Damiano e Giampietro Castano.
Ed è proprio Camusso, neo segretario nazionale della Cgil, ad appoggiare oggi la minoranza Fiom guidata da Durante, segnando così con la segreteria dei metalmeccanici una rottura ancora più netta rispetto a quella che nel 1993 ci fu tra Bruno Trentin e Sabattini, quando fu firmato il protocollo tra i sindacati Cgil, Cisl e Uil, la Confindustria e il governo Ciampi sulla politica dei redditi e dell'occupazione e sugli assetti contrattuali.
Allora Sabattini seppur in contrasto con la scelta del leader della Cgil, seguì la casa madre.
Oggi la rottura tra Landini e Camusso è molto più netta. Il terreno di scontro sono gli accordi Fiat di Pomigliano e Mirafiori, e il referendum al quale i dipendenti di Torino saranno chiamati il 13 e 14 gennaio gennaio 2011 per esprimere il loro giudizio sull'intesa tra la Fiat e i sindacati. Quello che Fiom non ha firmato e che non firmerà, sostiene Landini, anche se al referendum dovesse vincere il sì.

Il Comitato centrale di Cremaschi
Ad accentuare ancora di più la distanza tra le due segreterie è Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della Fiom, più radicale di Landini, che ha definito Camusso «peggio di Epifani, ce l'avremo sempre contro». Cremaschi, allievo di Sabattini, è il leader dell'area programmatica interna alla Cgil, denominata 'Rete 28 aprile': è stato promotore a livello congressuale della mozione 2 ('La Cgil che vogliamo', firmata da Rinaldini) e continua a rimarcare la linea di confine con la Cgil.
Sebbene la sua corrente sia ormai sciolta, la sua esperienza ultratrentennale nelle segreterie provinciali di Brescia e di Torino ha dato un imprinting alle due aree più importanti per il settore metallurgico, che ancora oggi sono fortemente ispirate alla linea radicale. A partire dalla capitale del tondino, dove a sostenere la maggioranza Fiom c’è il segretario provinciale Michela Spera.

Brescia, Milano, Torino e Napoli con Landini
È a Brescia, infatti, che Camera del lavoro e Fiom sono in mano all'ala dura del sindacato. Un'affinità tra confederazione e associazione di categoria che mai è stata così forte.
La Camera del lavoro bresciana è sempre stata su posizioni di sinistra più radicali rispetto ad altre, condizionata dalla connotazione fortemente operaista della Fiom locale, che conta il più alto numero di iscritti tra le categorie industriali.
Un radicalismo accentuato almeno sino al 2007 con la segreteria di Dino Greco (ora direttore di Liberazione) che si è poi affievolito con il successore Marco Fenaroli e l'attuale, Damiano Galletti (entrambi del sindacato dei pensionati Spi-Cgil), ma rimanendo comunque fuori dalla galassia riformista. 
MILANO RADICALE MA CONCRETA. Una linea, che sino al 2004 è appartenuta alla Cgil di Milano, che pur nella sua parte radicale è sempre stata più concreta e incline alla contrattazione. Il capoluogo lombardo ha avuto infatti una Camera del lavoro riformista e una Fiom indipendentista ma più moderata, almeno sino all'arrivo di Maurizio Zipponi, che fu alla guida di Fiom di Brescia sino al 1988 e che, eletto segretario generale della Fiom di Milano nel 2002, rafforzò quella maggioranza oggi landiniana.
LANDINI SOTTO LA MOLE. Radicali come a Torino, dove però la Fiom più oltranzista, oltre alla battaglia per ottenere i diritti, ha sempre lottato per quella gestione del potere all'interno della fabbrica, che le permettesse di incidere a livello quotidiano sulle proprie condizioni di lavoro. Oggi a capo dei metalmeccanici c’è Federico Bellono, e prima di lui Giorgio Airaudo, storico segretario provinciale torinese, poi coordinatore regionale e oggi responsabile nazionale auto di Fiom.
Ma i due leader torinesi, stesso percorso di educazione politica e sindacale, pur sostenendo la maggioranza landiniana, tendono a distinguersi dalla posizione di Cremaschi che dice no per definizione alla newco Fiat Chrysler ed è più politicizzata. Ad Airaudo, per esempio, sta stretta la definizione di una Fiom massimalista: «La definirei radicale, ma sono gradazioni di colore di un sindacato che è e rimane unito e non ha bandiere. Landini, per esempio, è iscritto a Sel, ma io personalmente non ho nessuna tessera», dice.
LE REALTÀ EMILIANE. A sostenere sul territorio la maggioranza della Fiom sono non solo le province interessate al caso newco Fiat, e quindi Torino e Napoli (Pomigliano D’Arco), ma anche le realtà emiliane, Reggio Emilia (città dell'attuale leader Landini), Bologna e Modena.
Le zone rosse in cui secondo Durante «il conflitto è sempre stato visto come arma di risoluzione, legata a una visione battagliera della Fiom».

Con Durante Terni, Firenze e La Spezia
Per Durante, la minoranza può contare sul pieno sostegno di Valle D’Aosta, Liguria, Umbria e Sardegna, ma anche su sezioni provinciali importanti quali Treviso, Firenze, Terni, Varese, Pavia, Bari, Savona, La Spezia, «la linea radicale Fiom ha prodotto il paradosso per cui solo nell’industria metalmeccanica ci sono accordi separati».
L’area riformista da lui rappresentata ha iniziato a formarsi nel 2004, quando al congresso anticipato indetto da Rinaldini, allora segretario generale Fiom, Durante presentò il documento 'Le ragioni del sindacato', firmato insieme con Nencini, in sintonia con le posizioni maggioritarie della Cgil. Una linea che insiste più sulla contrattazione, sull'efficacia dell'azione sindacale e della mediazione anche politica.
NO ALLA SEGRETERIA. «Siamo meno preoccupati di sporcarci le mani e più di risolvere i problemi», dice Durante, che dopo aver rifiutato un posto nelle segreteria di Landini ha cercato di comunicare la sua linea attraverso incontri, documenti e convegni, come quello organizzato a Firenze con il sostegno del segretario provinciale Marcello Corti.
A condividerne la linea anche i rappresentanti provinciali di Terni, Attilio Romanelli della Thyssenkrupp, di Varese Maurizio Canepari, di Cagliari Marino Carboni. Ma se la presenza sul territorio e il confronto delle diverse posizioni è comunque la caratteristica predominante del sindacato dei metalmeccanici, è il potere politico a condizionare ancora la Fiom....

venerdì 4 febbraio 2011

ORA BASTA! SCIOPERO GENERALE!

"Dopo l'accordo separato nel pubblico impiego, mentre Confindustria con tutti i più brutali attacchi ai diritti del lavoro, lo sciopero generale va fatto e caratterizzato anche in difesa della Costituzione. Ogni ulteriore rinvio da parte della segreteria della Cgil sarebbe imperdonabile. Per questo va convocato il prima possibile il Direttivo Nazionale. Basta con le parole inutili!"
Giorgio Cremaschi

Assemblea nazionale. Cervia, 3-4 febbraio 2011


La Fiom, la Cgil, il contratto e lo sciopero

Avviato il percorso che porterà alla piattaforma per rinnovare il ccnl del 2008. Discussione vivace sui compiti del sindacato. Landini, Durante, Scudiere e Airaudo a confronto sulla questione dello sciopero generale chiesto dalla Fiom: il no della Cgil
di Giovanni Rispoli

CERVIA - Il contratto dei metalmeccanici del 2008, l’accordo interconfederale separato del gennaio 2009 che ha dato vita al sistema delle deroghe contrattuali e l’accordo successivo di Fim e Uilm con Federmeccanica; poi la Fiat, il modello Marchionne e la fuoruscita dal contratto nazionale; quindi la proposta Federmeccanica di scegliere tra contratto nazionale e contratto aziendale e sostituire di fatto il primo con il secondo. 
"Riconquistare il contratto", la formula che Maurizio Landini e con lui tutta la Fiom adoperano nell’assemblea dei delegati organizzata a Cervia il 3-4 febbraio – il contratto del 2008 scade a fine 2011 – non è un’esagerazione, risponde a una realtà concreta. Ed è la formula da cui il percorso che porterà alla definizione della nuova piattaforma – alle spalle lo straordinario risultato del referendum di Mirafiori e lo sciopero generale del 27-28 gennaio – sarà caratterizzato. Di questo percorso – prima una discussione libera dentro la griglia di idee proposta dalla segreteria Fiom, poi una nuova assemblea sulla piattaforma, quindi il referendum –, di questo percorso, si diceva, la democrazia, la partecipazione dei lavoratori alla elaborazione degli obiettivi rivendicativi sarà il filo conduttore. Sarebbe insensato scrivere che le parole di Landini riportano al clima in cui venne elaborata la piattaforma contrattuale del ’69. Un contesto del tutto diverso, quello che precedette l’autunno caldo: per una serie infinita di ragioni, una delle quali, decisiva, l’unità all’epoca realizzata tra Fiom, Fim e Uilm. E tuttavia, se c’è una cosa che colpisce nelle parole del leader della Fiom – applauditissimo come sempre anche ieri –, è la sua insistenza su un’idea del fare sindacato – da sempre patrimonio della Fiom e della Cgil, del resto – che proprio in quella stagione visse uno dei suoi momenti più alti: sulla democrazia, ripetiamo, sul coinvolgimento pieno dei lavoratori intorno alla definizione delle scelte riguardanti la loro vita in azienda.
Senza questa condizione preliminare, fra l’altro, non sarebbe possibile affrontare gli obiettivi che intanto, da qui alla stesura della piattaforma, la Fiom dovrà provare a raggiungere; primo fra tutti la coerenza di comportamenti – nel segno della solidarietà e della tutela della condizione lavorativa – che deve ispirare le scelte contrattuali che intanto si realizzeranno nelle singole imprese. Una coerenza che deve servire a confermare il no alle deroghe, e a dire che la contrattazione di secondo livello deve avere carattere davvero integrativo: che serve per migliorare, non per andare verso il peggio. Le innovazioni sono possibili, la contrattazione aziendale, di sito, di filiera e quella territoriale ne saranno lo strumento, afferma Landini, ma queste hanno un senso solo dentro una cornice di diritti che non sia revocabile. Pensando in prospettiva, aggiunge il leader Fiom, a un più generale contratto dell’industria, e al respiro europeo che questo dovrà avere.
Un profilo nuovo della contrattazione nazionale e di quella di secondo livello, dunque, e insieme un’attenzione diversa alla contrattazione sociale. Salute, sanità, casa, più in generale i temi della cittadinanza devono vedere in campo, accanto allo Spi, alla Funzione pubblica, alla Cgil, anche la Fiom. Due, in tal senso, possono essere le questioni su cui avviare una battaglia: gli immigrati e il diritto di voto alle amministrative – lavorano e pagano le tasse, perché dovrebbero essere esclusi? –, il reddito di cittadinanza. Una discussione ampia su questi temi, dunque, a cui accompagnare quella sulla griglia della piattaforma in senso stretto. Sotto questo profilo le proposte della segreteria Fiom guardano a poche ma decisive questioni.
Primo, un contratto nazionale che fissi diritti e tutele validi per tutti: che quindi, giova ripetere, non contempli deroghe di sorta. Secondo, un contratto che disegni un moderno sistema di democrazia industriale. Formula, questa, che deve andare oltre l’idea della partecipazione ai risultati – inutile parlare dell’idea, strumentale, della partecipazione agli utili – per investire temi come i diritti d’informazione, la contrattazione dei modelli organizzativi, la formazione e via elencando; ovvero una serie di questioni su cui le imprese oggi scelgono da sole e che, volendo affrontarle, comportano un rafforzamento delle Rsu.
C’è poi, cosa che non è di poco conto in paese sempre più povero, il problema delle retribuzioni. Il contratto nazionale deve difendere e migliorare il reddito dei lavoratori. Ciò che significa, anche, meccanismi certi di recupero salariale. Dentro questa impostazione, com’è ovvio, voci quali l’inquadramento e la formazione sono essenziali. Ultimo ma non ultimo, il nodo dell’approvazione degli accordi: dire in sostanza come evitare gli accordi separati è cosa che non può essere lasciata fuori dal contratto nazionale. Fissati i temi generali da discutere, la durata temporale del contratto non è questione di cui discutere ponendo pregiudiziali, ha aggiunto il segretario generale della Fiom. Il problema è come riconquistarlo, il contratto, non la sua durata.
Un ragionamento a tutto tondo, quello di Landini, che non ha trascurato nessuna delle questioni in campo – affermando nuovamente la necessità dello sciopero generale – e però problematico, aperto. La minoranza interna ha mostrato per questo di apprezzarlo, mettendo a fuoco questioni su cui, come dire?, un supplemento di discussione sarebbe necessario. Così, Fausto Durante, che della minoranza è il leader, ha voluto sottolineare subito la necessità di riprendere il filo del dialogo con le altre organizzazioni. La Fiom ha messo in campo una straordinaria resistenza, ha osservato il dirigente sindacle, "ma da soli non ce la si fa". L’unità è non solo auspicabile (Landini) ma necessaria. Non può passare inosservato, fra l’altro, che anche le altre organizzazioni sono in difficoltà. Il rischio reale che oggi si corre è che l’idea stessa del contratto nazionale non sia più praticabile, un rischio rispetto al quale Fim e Uilm non sono indifferenti. Insieme, va ricordato che l’esperienza realizzata dalle altre categorie della Cgil dimostra che una strategia capace di rovesciare un modello pensato per escludere la Fiom (e la confederazione) è possibile. Ciò detto, è evidente che una strategia puramente difensiva non serve, che il contratto nazionale lo si salva solo attraverso significative innovazioni. Quali? Tenendo fermi i due livelli di contrattazione, il rafforzamento del secondo: temi come l’utilizzo degli impianti, la turnistica, la valorizzazione dei percorsi professionali dei lavoratori possono rappresentare da questo punto di vista terreni di sperimentazione. Un contratto che diventi uno strumento vivo, ha concluso Durante, e firmato da tutti. C’è bisogno per questo di cimentarsi sul terreno della democrazia e della rappresentanza, interagire in maniera produttiva, quindi, con la proposta della Cgil (ne ha parlato stamani, 4 febbraio, il segretario confederale Fulvio Fammoni).
Interagire con la Cgil. L’intervento del segretario confederale Vincenzo Scudiere, da questo punto di vista, è stato un momento di confronto vivace – con la sala a manifestare il suo dissenso su alcuni passaggi – ma sicuramente utile. Pane al pane e vino al vino: l’ex segretario generale della Cgil Piemonte ha voluto subito chiarire un punto su cui il dissenso con i metalmeccanici è netto: lo sciopero generale. "Non è all’ordine del giorno", ha detto nelle battute iniziali del suo intervento. Ci auguriamo tutti che il governo cada domani; ma quando il governo cadrà la Cgil dovrà essere presente con una proposta positiva: quella che si sta provando a costruire con le altre forze sociali al tavolo sulla crescita, quella avanzata Corso d’Italia, nel suo direttivo di metà gennaio, su democrazia e rappresentanza. Due imprese difficili, in cui "le difficoltà sono maggiori delle opportunità", ma in cui si deve provare a raggiungere un accordo. Il lavoro svolto non può essere messo in discussione, in sostanza, da una proposta che le altre confederazioni non condividono. Ancora. Tutto quel che c’è di positivo va valorizzato; volendo riconquistare il contratto nazionale, dunque, non si può rimuovere l’esperienza delle altre categorie. La Fiom deve guardare al meglio dei contratti da queste firmati, trarne spunto per un contratto che anche nel suo caso sia unitario. Più in generale bisogna costruire le condizioni per un nuovo modello contrattuale. Le deroghe sono, nel sistema italiano, un modo per cancellare il contratto nazionale. È questo ciò che le imprese, tutta la miriade di imprese che non portano il nome della Fiat, vogliono davvero? Sarebbe la giungla, ha proseguito Scudiere, un danno non solo per i lavoratori ma per le aziende. Smantellare il sistema delle deroghe, dunque: con proposte credibili e in un clima di condivisione con gli altri sindacati.
Un’analisi chiarissima, quella proposta da Scudiere, che però in casa Fiom – un altro punto su cui sicuramente la discussione andrà avanti – viene considerata per alcuni aspetti superata dagli ultimi avvenimenti. Esemplare in tal senso l’intervento di Giorgio Airaudo. La novità vera degli ultimi mesi, a giudizio del segretario nazionale Fiom, una novità che all’inizio non era del tutto evidente, è il salto di qualità – in peggio – che una parte decisiva degli imprenditori sta compiendo: l’idea che la difesa dei nostri stili di vita debba significare – per i lavoratori, beninteso – meno libertà. Quando Giorgio Usai, dirigente di Federmeccanica, afferma che nel settore privato la libertà di sciopero va limitata, non canta fuori del coro, non esprime una convinzione isolata – e il no di Mirafiori, un no ragionato, non un momento di rabbia, è stato proprio questo: un no a quel che la Fiat, che Marchionne ritiene sia la libertà oggi possibile –. Lo scenario è cambiato. I contratti realizzati in passato rischiano di essere divorati già nei prossimi mesi dalle pretese padronali, il modello di sindacato che si va affermando è un modello aziendalista e autoritario: l’esatto contrario del sindacalismo confederale. Allora, nella proposta per il rinnovo, occorre qualche novità in più. Novità che può essere anche, come la Fiom prova a fare, selezionare poche materie essenziali, dando però al contratto nazionale di lavoro una linfa diversa. Insieme, anche per Airaudo, non può essere eluso il nodo dello sciopero generale: un passaggio decisivo per la stessa coesione sociale del paese. Scudiere, così come la Cgil, dicevamo, non ne vede l’opportunità. Non solo per le prove di dialogo in corso ma anche per un giudizio sulla situazione attuale, "sulla fase", per dirla con il linguaggio di un’altra epoca, che non è identico a quello dei metalmeccanici. È assai importante, intanto, che ci si parli con franchezza.

giovedì 3 febbraio 2011

Uomini e cani

Il massacro di 100 cani husky in Canada è una rappresentazione del capitalismo selvaggio di oggi. Anche il Corriere della Sera titola in prima pagina "Il massacro dei cani disoccupati", dando così una dimensione sociale collocata nell'attuale sistema economico. Il bell'articolo dell'etologo Danilo Mainardi coglie soprattutto l'aspetto della ferocia dell'uomo verso il suo migliore amico animale, ma tralascia la dimensione umana che pure è nel titolo.La storia è questa. Una delle attività collaterali, l'indotto, delle Olimpiadi canadesi era costituita dal portare in giro i turisti in slitta. I cani husky erano il motore. Finito il successo dell'iniziativa, l'imprenditore, un giovane rampante di 29 anni, si è trovato con 100 bocche canine improduttive da sfamare. Allora ha deciso di liquidare l'investimento e ha affidato al suo dipendente, che era anche l'allevatore a cui i cani erano affezionati, il compito di ucciderli tutti. Puntando al massimo risparmio, visto che una puntura per una morte dolce costa 100 dollari a cane, e usando tutta la sua autorità imprenditoriale sul suo dipendente, ha quindi imposto un barbaro massacro. Gli husky sono stati così uccisi a coltellate e la notizia si è saputa perché il loro carnefice non ha retto agli incubi successivi e ha chiesto i danni per lo stress psicologico.Sono sicuro che adesso ci diranno che riflettere su questo terribile episodio significa abbandonarsi alle solite generalizzazioni dei comunisti, che vedono profitto e mercato dappertutto. Il problema è che profitto e mercato sono davvero dappertutto e hanno trasformato tutto in merce, anzi, in merce usa e getta. I cani sono stati soppressi perché improduttivi, nel civilissimo Canada, uno degli otto paesi più ricchi al mondo. Naturalmente adesso si dirà che quello è un caso estremo, ma la misura della produttività della natura, degli animali, delle persone, non è forse il criterio guida di ogni scelta economica e sociale oggi? Non vorrete mica paragonare i cani alle persone, immagino ci si dica. Eppure, se le persone, come alla Fiat e in tante altre aziende, vengono costrette a uno sfruttamento che le rende rapidamente improduttive, perché non domandarsi che fine faranno? Certo, per gli esseri umani ci sono lo stato sociale, la cassa integrazione e l'indennità di disoccupazione, ma non sentiamo dire che tutto questo costa troppo? Cosa succederà il giorno in cui ci diranno che il debito pubblico e il profitto privato non possono più permettersi di mantenere assenteisti, improduttivi, persone che comunque non fanno guadagnare il dovuto?Ebbene sì, abbiamo associato il massacro dei cani all'omelia terribile del vescovo di Munster, raccontata da Paolini in un suo bellissimo spettacolo. Quel vescovo, durante il nazismo, ebbe il coraggio di alzare una voce contro il massacro dei disabili che il nazismo praticava nel nome della selezione della specie. Quel vescovo disse che non si può uccidere un essere umano solo perché improduttivo. Quanto è avvenuto in Canada, ha avuto tanto scalpore non solo per la crudeltà del fatto in sé, ma perché ha smosso una paura riposta nella nostra coscienza profonda. I cani uccisi sono stati in fondo umanizzati, tanto quanto è stato bestiale l'atto umano che li sopprimeva. E' la rottamazione di esseri viventi nel nome della produttività di mercato che ci colpisce e ci fa sentire quel massacro come un monito alla nostra umanità.E' questo che mette i dubbi anche al Corriere della Sera. Fin dove si spingerà questa logica? Nel medioevo i guerrieri venivano abituati alla crudeltà sugli esseri umani, partendo da quella con gli animali. Chi doveva combattere, fin da piccolo, era educato ad essere feroce senza ragione verso gli animali perché poi lo fosse anche verso i nemici, le loro famiglie, i loro figli. Noi oggi viviamo in una società dell'informazione nella quale però la fisicità del male viene celata. Siamo in guerra, lo vediamo sui telegiornali, ma gli unici morti che vediamo sono quelli celati nelle cerimonie ufficiali. Il sangue, il male, il dolore, non si vedono, tanto è vero che quando riescono ad emergere ne siamo tutti sconvolti. Non sarà allora che ci si vuole riabituare, come nel medioevo, alla inevitabilità della crudeltà per sopravvivere? Non sarà che nel nome della produttività e della selezione sociale e dell'autorità imprenditoriale, un po' alla volta, ciò che è rimosso dall'informazione riemerge nei nostri comportamenti come ferocia assoluta? La rieducazione alla ferocia oggi non si fa più nel nome di una razza o di un regno, ma semplicemente nel nome del profitto e della produttività. Per questo il massacro degli husky non solo ci indigna, ma ci inquieta, ci spaventa. Ci fa riflettere su questa società mostruosa e sulla mega macchina dello sfruttamento che la muove. Se non proviamo a fermarla essa ci divorerà.

Giorgio Cremaschi

www.liberazione.it

mercoledì 2 febbraio 2011

I dipendenti Insiel: GAME OVER!


Notizie ANSA:

tlc: fvg; insiel, per rsu si sta svuotando la societa'  
(ANSA) - TRIESTE, 2 FEB - ''Stiamo assistendo ad uno 'svuotamento' della societa''': lo hanno detto oggi i dipendenti di Insiel ricevuti da una delegazione del Pd del Friuli Venezia Giulia. Le Rsu di Insiel hanno dovuto ribadire la preoccupante situazione dell'azienda alla luce della mancanza di dialogo con la proprieta' Regione e dell'insabbiamento della legge regionale sulla societa'. Le Rsu hanno anche denunciato l'assenza di un nuovo Piano Industriale e l'assenza di relazioni sindacali con la direzione Insiel. Le organizzazioni sindacali di Insiel, in assenza di convocazioni, ''si riservano di intraprendere qualsiasi iniziativa di protesta (finanche lo sciopero) adeguata al disinteresse che stanno dimostrando i vertici regionali ed aziendali''. (ANSA). COM-GRT/SM


tlc:fvg; garlatti, presto piani conduzione e sviluppo insiel 
(ANSA) - TRIESTE, 2 FEB - Il nuovo piano di conduzione e di sviluppo di Insiel, la societa' informatica della Regione Friuli Venezia Giulia, verranno adottati prossimamente dalla Giunta regionale. A renderlo noto e' stato oggi l'assessore regionale all'Organizzazione, rispondendo in Consiglio regionale ad un'interrogazione immediata del consigliere Stefano Alunni Barbarossa (Cittadini). Garlatti ha specificato che, ''anche a fronte degli staziamenti previsti, il nuovo piano di sviluppo mantiene, comunque analogamente agli esercizi finanziari trascorsi, le medesime prospettive di impegno per Insiel''. (ANSA) Y1T-GRT/
 
Comunicato del Gruppo Consiliare Regionale del PD

martedì 1 febbraio 2011

Marcegaglia e Bonanni ultimi sostegni per Berlusconi

Chi, nonostante tutto, oggi continua a sostenere il presidente del consiglio Berlusconi? Non ci sono dubbi, i migliori appoggi esterni al governo sono venuti ancora una volta dalla presidente della Confindustria e dal segretario della Cisl. 
Solo Emma Marcegaglia e Raffaele Bonanni hanno prontamente condiviso l'intervento sul Corriere della Sera con il quale Silvio Berlusconi chiedeva all'opposizione un patto sociale. Non solo Bersani, ma neppure Casini, neppure Bocchino, in fondo neppure la Lega, l'hanno preso sul serio. Solo la rappresentante degli industriali e il segretario della Cisl hanno sostenuto quella goffa proposta. 
Che è piaciuta alla rappresentante dei padroni perché si basa sul rigetto di quella tassa patrimoniale che è stata lanciata da quei noti sovversivi che rispondono ai nomi di Giuliano Amato e Pellegrino Capaldo. La Confindustria vede rosso appena sente parlare di tasse sulla ricchezza e solo pochi anni fa il suo vicepresidente Alberto Bombassei accusò la Cgil di voler tornare alla lotta di classe, solo perché era stata avanzata la richiesta di tasse sui redditi più alti. 
Quanto a Bonanni, il solo accenno alla parola patto provoca, nel firmatario dei diktat di Marchionne, un'eccitazione incontrollabile. Il segretario della Cisl sente dire “Patto” e subito scatta come un pugile suonato al rumore del gong: “sono d'accordo, son qua io”. 
Ma forse non abbiamo colto un aspetto più di fondo. Marcegaglia e Bonanni provano per Berlusconi un vero disinteressato affetto. Ed è per questa ragione sentimentale che continuano a sostenerlo e ad appoggiarlo, a dispetto della realtà e, a volte, degli stessi interessi che rappresentano.
Quando finirà il regime di Berlusconi, e oramai quella data è vicina, bisognerà stare bene attenti a tutte e tutti coloro che sono stati presi da inguaribile attrazione nei suoi confronti. Costruire un'alternativa a quel regime alleandosi con chi fino all'ultimo lo ha sostenuto, sarebbe la cosa più stupida che potrebbe fare chi vuole davvero il cambiamento.
Giorgio Cremaschi