mercoledì 25 marzo 2009

Il Nobel a Berlusconi

Prima di Berlusconi è stata la signora Melba Ruffo, in televisione a Domenica In, ad affermare che per uscire dalla crisi bisogna lavorare di più. La sua idea allora non riscosse un grande successo, non se ne colse la genialità. Non conosciamo le fonti che ispirano le acute intuizioni del Presidente del Consiglio, ma lui oggi ripete lo stesso concetto fornendogli quell’autorevolezza che prima mancava.
Lavorare di più per uscire dalla crisi, dunque. Bene, vediamo in concreto che significa, senza i soliti pregiudizi ideologici. (...)

Immaginiamo che prima di tutto si pensi di far lavorare di più chi ha perso o rischia di perdere il posto, o chi è da lungo tempo in Cassa integrazione. Quindi i lavoratori della Fiat di Pomigliano, i tessili di Prato, le lavoratrici della Indesit di Torino, i cassintegrati dell’Alitalia, i precari pubblici e privati che rischiano di scomparire dal ruolino dell’occupazione, e tante e tanti altri. Secondo dati che il Governo considera allarmistici, ma che tutte le fonti confermano, entro la fine dell’anno avremo oltre 500 mila cassaintegrati e altrettanti disoccupati in più. Far lavorare di più un milione di persone che non lavora affatto non dovrebbe essere difficile per il cavalier Berlusconi, visto che sulla promessa di un milione di posti di lavoro ha fondato la sua discesa nel campo della politica. Ma come, dove? Sono lavori pubblici, quelli che vengono offerti? E’ la costruzione del Ponte di Messina? E’ la stanza in più nell’appartamento che ogni famiglia, anche nei palazzi a venti piani, potrà costruire secondo un’altra promessa del Presidente del Consiglio? Una promessa che solo incalliti detrattori possono trovare in contrasto con le leggi urbanistiche e anche con quelle della fisica. E’ un impegno che otterrà dalla Confindustria della signora Marcegaglia, che ha chiesto e ottenuto recentemente “soldi veri” dal Governo? Non è chiaro.
A meno che il lavoro in più a cui potrebbe dedicarsi questo milione di persone non sia il lavoro nero, quello che secondo un altro acuto comunicatore, il ministro Brunetta, costituirebbe un vero e proprio ammortizzatore sociale. Ma forse stiamo equivocando. Berlusconi parlava di far lavorare di più quelli che ancora lavorano. Qui facciamo fatica a capire come e cosa ci guadagnano i disoccupati, a cui governo e imprese non offrono lavoro dignitoso, se gli occupati lavorano di più. Secondo noi così si aggrava la crisi, ma il nostro è probabilmente un vecchio schematismo ideologico e anche matematico, che non crede che in economia si possano moltiplicare i pani e i pesci. Come invece hanno creduto coloro che hanno comprato i derivati e i vari titoli spazzatura e che erano convinti che l’economia non fosse più sottoposta ad alcuna legge.
Comprendiamo che alla parola legge il Presidente Berlusconi abbia una reazione stizzita. Ma stia tranquillo, la violazione delle leggi dell’economia non è reato da nessuna parte e anche coloro che negli Stati Uniti hanno pensato di poter vendere e comprare all’infinito il Colosseo, la stanno facendo quasi tutti franca.
Secondo noi quando un’economia è depressa o in crisi, sarebbe necessario, prima di tutto, redistribuire il lavoro e i redditi, invece che accumulare disuguaglianza tra chi può lavorare e chi no e, ancor di più, tra chi è ricco e chi no. Però è difficile far intendere il concetto di redistribuzione a chi pensa che sia offensivo anche solo sospettare che i ricchi non siano tali per diritto divino.
Allora il cavalier Berlusconi provi a spiegarci in concreto come funziona il meccanismo per cui se io lavoro il doppio e tu lavori niente, abbiamo un lavoro per uno. Provi a superare il significato profondo del sonetto di Trilussa e magari potrà concorrere al Nobel per l’economia. In fondo nel passato quel premio l’hanno ottenuto persone che avevano idee più strambe e anche più dannose delle sue.

Giorgio Cremaschi, Liberazione, 25 marzo 2009

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