La drastica riduzione del numero degli iscritti ai sindacati negli
Stati Uniti è il prodotto di una prolungata, sistematica persecuzione
di coloro che osano organizzarsi per tutelare i propri interessi:
persecuzione da parte delle imprese, ma anche di una serie di leggi
federali e statali che limitano in vari modi il diritto di coalizione.
Sono pochi i sociologi e gli economisti che non riconoscano che
questa guerra contro i sindacati è stata una delle cause fondamentali
del peggioramento dei livelli di reddito e delle condizioni di vita e di
lavoro delle classi subordinate americane.
In particolare, la perdita dello scudo sindacale ha fatto sì che le
imprese abbiano potuto “alleggerirsi” di una cospicua quota di
dipendenti assunti a tempo pieno – i soli che possano godere di
copertura sanitaria e pensionistica in un Paese tradizionalmente avaro
nel concedere diritti sociali – mentre le esigenze di organico venivano
sempre più risolte attraverso contratti a tempo determinato, generando
un esercito di oltre venti milioni di freelance.
Non stupisce quindi che, come racconta un lungo servizio del “New York Times”,
l’unica organizzazione sindacale che possa oggi vantare un rapido
aumento degli associati (200.000, metà dei quali nello Stato di New
York) sia la Freelancers Union, la cui fondatrice nonché leader
indiscussa si chiama Sara Horowitz.
Come è riuscita questa impavida eroina della riscossa sindacale a
fronteggiare l’arroganza padronale, riconquistando il diritto dei
lavoratori a contrattare salari e altri diritti? La risposta è che, in
realtà, non c’è affatto riuscita, nel senso che come spiega lei stessa
rispondendo alle domande dell’autore dell’articolo, la Freelancers Union
non è un sindacato nel senso classico del termine, bensì qualcosa di
simile alle vecchie gilde professionali, un organismo che non ha – né
rivendica – alcun potere di contrattazione con i padroni, ma serve
esclusivamente a raccogliere fondi per finanziare l’erogazione di
servizi – primo fra tutti l’assistenza sanitaria – che resterebbero
altrimenti fuori portata per i lavoratori “autonomi” (le virgolette sono
d’obbligo, visto che stiamo parlando di rapporti di lavoro dipendente
mascherati: basti ricordare che il 58% degli associati alla Freelancers
Union guadagna meno di 50.000 dollari l’anno, mentre il 29% resta sotto i
25.000).
Ovviamente non c’è nulla di male nel richiamare in vita quelle forme
di mutuo soccorso che, nella vecchia Europa, furono i primi embrioni di
organizzazione della nascente classe operaia. Non ci si può che
rallegrare che, in questo modo, sia possibile allentare la morsa della
crisi sulle fasce di lavoratori più esposte agli effetti devastanti
della “flessibilizzazione” imposta dal capitale.
Rallegra meno il fatto che la Horowitz, assieme all’autore
dell’articolo e ad altri commentatori, concepiscano questa impresa non
come il primo passo verso una restaurazione del diritto di
contrattazione, bensì come un’alternativa esplicitamente “mercatista”
all’idea stessa di organizzazione sindacale: la Freelancers Union si
concepisce a tutti gli effetti come un’azienda (sia pure non profit,
anche se il reddito annuale dichiarato dalla Horowitz è decisamente meno
magro di quello dei suoi associati) nata per erogare servizi non ai
membri di una classe sociale bensì a soggetti individuali che vengono
rappresentati come “imprenditori di sé stessi”.
Finché questo equivoco non verrà spazzato via (non solo in America,
ma in tutti i Paesi dove simili pratiche di camuffamento del rapporto
sociale di sfruttamento sono in continua espansione) non ci saranno
speranze di una vera ripresa del potere dei lavoratori che, per
definizione, non può essere che collettivo.
Carlo Formenti - 25/03/2012
fonte : Micromega
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