La legge del padrone
Ci sarà pure la magistratura, farà le sue ordinanze, ma
da che mondo è mondo il padrone resta il padrone e sul destino dei suoi
dipendenti vuole decidere lui. Se poi il padrone, o armatore che dir si
voglia, non vuole sporcarsi le mani, a decidere sarà il «manager», o
comandante della nave che dir si voglia. Se poi il comandante si chiama
Sergio Marchionne e quella che guida è una nave da guerra, non ci si può
meravigliare per i suoi ordini.
L'ordine di
ieri è terrorizzante: visto che mi si costringe ad assumere 19 soggetti
sgraditi targati Fiom, mi trovo costretto a buttarne fuori altrettanti
perché l'organico attuale nella fabbrica di Pomigliano è più che
sufficiente. E adesso, che ci pensino i 2146 dipendenti della newco nata
su un ricatto sulle ceneri della «vecchia» Pomigliano (che di
dipendenti ne aveva 4.500 e tutti avrebbero dovuto essere riportati al
lavoro) a sputare addosso ai 19 sgraditi, a Maurizio Landini, all'intera
Fiom e, visto che ci sono, ai giudici che continuano a condannare la
Fiat per le sue discriminazioni. Meglio che i rematori si scannino tra
di loro. La caccia alla Fiom, del resto, era già iniziata
anticipatamente e a combatterla erano stati alcuni militanti dei
sindacati benedetti o peggio fondati da Marchionne, sulla base della
parola d'ordine: mors tua vita mea, e lunga vita al padrone.
Per
quanto attesa, almeno da chi ha imparato a conoscere Marchionne, la
decisione di mettere in mobilità 19 dipendenti buttando la colpa su chi
chiede giustizia e su chi glie la dà, resta pur sempre una decisione
vergognosa. Scatenare la guerra tra poveri, mettere operai contro operai
è l'ultima arma sfoderata dall'amministratore delegato Fiat. È uno
sberleffo, per non dire un insulto, alla legalità, una rivendicazione di
onnipotenza di chi ritiene di poter liberamente licenziare per
rappresaglia (come a Melfi, o come sempre la
Fiat, anche ai tempi di Valletta) o non assumere sempre per rappresaglia, come a Pomigliano.
E
se un'autorità superiore, a cui deve attenersi perché ha il compito di
far rispettare le leggi, getta sul tavolo un'ordinanza per il ripristino
della legalità, allora Marchionne rovescia il tavolo addosso agli
operai, non potendo sparare al giudice. Non sarà semplice mettere in
pratica la ritorsione annunciata ieri dall'uomo nero del Lingotto,
perché renderebbe necessario far convivere la cassa integrazione
ordinaria legata alla crisi con la mobilità per rappresaglia. In ogni
caso, oltre ad attizzare lo scontro tra lavoratori l'urlo rabbioso di
Marchionne serve a distrarre l'opinione pubblica dai problemi reali
della Fiat: l'esplosione dell'indebitamento, la distruzione di liquidità
avvenuta negli ultimi tre mesi, la decisione di cancellare il marchio
Lancia e di ridurre quello Fiat alle vetturette, l'ennesimo rinvio degli
investimenti a un fumoso futuro, mercato permettendo, il trasferimento
negli Stati Uniti di ricerca, investimenti, comando. E domani magari
anche Piazzaffari sarà abbandonata per far approdare il titolo a Wall
Street.
Chissà se Monti continuerà a dire che
un imprenditore ha il diritto di fare quel che vuole e dove vuole per
raggiungere i suoi scopi. Cioè il profitto. La politica, come le stelle,
sta a guardare.
L.Campetti - 01/11/2012
il Manifesto
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