Una giovane compagna calabrese ha scritto al Segretario Generale della CGIL.
Caro compagno Epifani,
a metà tra una richiesta di attenzione ed uno sfogo personale, intriso di rabbia ed amarezza, disillusione e speranza, ho deciso di scriverle.
Potrà sembrare sfrontato ed un pò presuntuoso, certo: una giovane compagna, forse da troppo poco tempo nel sindacato per essere considerata una vera cgiellina, che si rivolge, apertamente, al Segretario generale del più grande sindacato italiano.
Lo faccio egualmente, confidando che possa trovare il tempo di leggermi, nel tentativo di arrestare questa guerra fratricida nella quale si sta consumando il XVI Congresso.
a metà tra una richiesta di attenzione ed uno sfogo personale, intriso di rabbia ed amarezza, disillusione e speranza, ho deciso di scriverle.
Potrà sembrare sfrontato ed un pò presuntuoso, certo: una giovane compagna, forse da troppo poco tempo nel sindacato per essere considerata una vera cgiellina, che si rivolge, apertamente, al Segretario generale del più grande sindacato italiano.
Lo faccio egualmente, confidando che possa trovare il tempo di leggermi, nel tentativo di arrestare questa guerra fratricida nella quale si sta consumando il XVI Congresso.
Con altrettanta, apparente, presunzione parto dalla mia storia.
Ho deciso di avvicinarmi alla Cgil e di farne parte attivamente in un impeto di idealità, nel tentativo di poter essere parte di un processo democratico di rivendicazione, vertenzialità, mobilitazione, analisi, proposizione, capace di scardinare le contraddizioni di un modello economico e sociale fondato sull’annullamento dei diritti e sulla svalorizzazione del lavoro e dei lavoratori, che dalle mie parti spesso è svalorizzazione delle persone. Ho pensato di utilizzare ed essere utilizzata dalla Cgil per tentare di restituire, attraverso una incisiva azione di rappresentanza, dignità e speranza alla mia città: Crotone.
Ambizioso? Può darsi.
La mia frequentazione sindacale ha iniziato a diventare più assidua in un periodo particolare: si stava svolgendo la Conferenza d’Organizzazione. Un bel momento, per me ancora estranea; un momento di fermento e confronto.
Ha iniziato a piacermi sempre di più questo sindacato.
Nonostante l’evidente ritualità di certi direttivi e la ripetitività di alcuni contenuti, quasi che le tematiche fossero imposte e non vissute, ho creduto che la Cgil potesse essere davvero uno spazio sociale di discussione e crescita individuale e collettiva.
Per scelta (ed esperienza) personale, condivisa ed appoggiata dai dirigenti sindacali, ho iniziato ad occuparmi di stranieri, gli ultimi, gli sfruttati, quelli che chiamiamo “invisibili” ed ahimè lo sono fuori, ma anche dentro l’organizzazione, almeno nella mia.
Ho iniziato ad addentrarmi e a conoscere l’organizzazione.
Mi è stata concessa anche una certa visibilità, d’altronde ero donna, giovane, laureata, non ancora contaminata dalle logiche e dalle dinamiche interne al sindacato. Insomma, una persona su cui investire, almeno formalisticamente.
Ben presto, però, ho iniziato ad avvertire un disagio, a capire che la mia immagine, le mie aspettative - non personali, s’intende, ma di vita, lavoro, lotta sindacale - si scontravano con una realtà fatta di pochi lavoratori, ma molti utenti, poca partecipazione attiva ed altrettanto scarsa confederalità.
Indomita e, forse, troppo critica per carattere, ho esternato il mio disagio e disappunto, lamentando la sensazione che l’organizzazione si stesse trasformando da sindacato a movimento di opinione, peraltro fragile, incapace, almeno a Crotone, di avere una presa sociale continuativa. Ho evidenziato serenamente e criticato la scollatura - per me evidente - tra enunciazioni programmatiche e realizzazione pratica delle stesse.
La Cgil che vivevo era ben lontana da quella che mi avevano fatto credere che fosse.
La Camera del Lavoro non era “il luogo di socializzazione e di creazione culturale” nel quale promuovere e far vivere “l’attività sindacale, l’impegno, le tante lotte territoriali, i percorsi di solidarietà e mutualismo”.
Tutto sembrava muoversi secondo una logica di adempimento auto-referenziale, distante dalla realtà e scarsamente costruttivo.
Il lavoro è continuato, tra sterili scambi poco dialettici ed ipocrisie di facciata.
Tra routine quotidiane ed azioni sempre più in solitaria, arrivo alla fase pre-congressuale; leggo su Il Manifesto “Mezza Cgil vuole un’altra Cgil”. Mi ci ritrovo subito in quei contenuti, senza pormi problemi di schieramento, cerco, immediatamente, un confronto all’interno della mia Camera del Lavoro. Trovo chiusura, indifferenza, assenza di confronto dialettico.
Arriviamo, così, alla fase definitiva della presentazione dei due documenti alternativi; alla necessità di fare una scelta. La mia? Una scelta di coerenza, libera dai condizionamenti: aderisco al documento “La Cgil che vogliamo”, considerandola un’opportunità per discutere realmente sul ruolo del sindacato, per recuperare un rapporto con la base, per conoscere - io stessa - i lavoratori nei luoghi di lavoro.
Ho letto e riletto il suo intervento al Comitato Direttivo del 2 febbraio, ma non mi ci ritrovo.
Il Congresso di cui parla, non è quello che sto vivendo, non è un “grande processo democratico”, non è un “momento di articolazione dialettica” è, semplicemente, una faida interna, un votificio.
Il confronto politico si è trasformato in uno scontro personalistico, fatto di offese e meschinità. Io stessa, quella stessa persona sulla quale il sindacato aveva deciso di investire, mi sono trasformata in un’intrusa, una nemica, una traditrice, da isolare, sol perché non si è “accodata” alla maggioranza.
Mi chiedo e le chiedo: qual è il senso di spostare l’attenzione dalla necessaria “discussione sul merito” alla “conta senza merito”? Mi chiedo e le chiedo: come può un sindacato esercitare un ruolo attivo di tutela dei lavoratori se si comporta come il peggiore tra i peggiori datori di lavoro? La scelta nell’adesione ai documenti non è stata libera e, credo che lei lo sappia bene; altrettanto, a Crotone, l’articolazione congressuale non mi sembra stia avvenendo per favorire la partecipazione degli iscritti, ma per ostacolare la presenza dei relatori della seconda mozione.
A cosa ed a chi serve tutto questo?
Perché non garantire, da subito, un confronto serio, accurato, approfondito, paritario, libero?
Credo che questo Congresso, per le modalità con cui si sta svolgendo è l’ulteriore dimostrazione della crisi che il sindacato, ed anche la Cgil sta vivendo. Si parla a nome dei lavoratori e dei pensionati, ma si è distanti da loro, si aggira la libera espressione e partecipazione degli iscritti.
Qui a Crotone, le assemblee si stanno risolvendo nell’esplicazione di un voto acritico ed il più delle volte già pilotato, fondato più su rapporti e legami amicali che non di confronto sui contenuti.
Il vero problema, anche in questo caso, è che mancano gli stessi interlocutori coi quali discutere dei contenuti e si fa finta di non vedere, come se il problema non esistesse.
Che senso ha ottenere voti che sono il frutto non di un esercizio critico di partecipazione, ma di una meccanicistica adesione, per lo più, priva di consapevolezza? Non crede si stia perdendo un’occasione importante?
Caro Segretario, le chiedo di intervenire concretamente presso tutte le strutture territoriali, per far sì che il confronto, almeno in questa fase finale delle assemblee di base - a mio avviso la più importante, per il senso di rappresentatività che porta con sé - possa avvenire realmente ed esclusivamente sui contenuti, nel rispetto delle regole, senza alterazioni e misere furbizie; per far decidere ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani come me, che sperano nella Cgil - e qui prendo in prestito le sue parole – “quale sarà l’identità, il programma, ed il lavoro della nostra organizzazione, per tutta la nostra organizzazione, negli anni che abbiamo di fronte”.
Cordialmente
Ho deciso di avvicinarmi alla Cgil e di farne parte attivamente in un impeto di idealità, nel tentativo di poter essere parte di un processo democratico di rivendicazione, vertenzialità, mobilitazione, analisi, proposizione, capace di scardinare le contraddizioni di un modello economico e sociale fondato sull’annullamento dei diritti e sulla svalorizzazione del lavoro e dei lavoratori, che dalle mie parti spesso è svalorizzazione delle persone. Ho pensato di utilizzare ed essere utilizzata dalla Cgil per tentare di restituire, attraverso una incisiva azione di rappresentanza, dignità e speranza alla mia città: Crotone.
Ambizioso? Può darsi.
La mia frequentazione sindacale ha iniziato a diventare più assidua in un periodo particolare: si stava svolgendo la Conferenza d’Organizzazione. Un bel momento, per me ancora estranea; un momento di fermento e confronto.
Ha iniziato a piacermi sempre di più questo sindacato.
Nonostante l’evidente ritualità di certi direttivi e la ripetitività di alcuni contenuti, quasi che le tematiche fossero imposte e non vissute, ho creduto che la Cgil potesse essere davvero uno spazio sociale di discussione e crescita individuale e collettiva.
Per scelta (ed esperienza) personale, condivisa ed appoggiata dai dirigenti sindacali, ho iniziato ad occuparmi di stranieri, gli ultimi, gli sfruttati, quelli che chiamiamo “invisibili” ed ahimè lo sono fuori, ma anche dentro l’organizzazione, almeno nella mia.
Ho iniziato ad addentrarmi e a conoscere l’organizzazione.
Mi è stata concessa anche una certa visibilità, d’altronde ero donna, giovane, laureata, non ancora contaminata dalle logiche e dalle dinamiche interne al sindacato. Insomma, una persona su cui investire, almeno formalisticamente.
Ben presto, però, ho iniziato ad avvertire un disagio, a capire che la mia immagine, le mie aspettative - non personali, s’intende, ma di vita, lavoro, lotta sindacale - si scontravano con una realtà fatta di pochi lavoratori, ma molti utenti, poca partecipazione attiva ed altrettanto scarsa confederalità.
Indomita e, forse, troppo critica per carattere, ho esternato il mio disagio e disappunto, lamentando la sensazione che l’organizzazione si stesse trasformando da sindacato a movimento di opinione, peraltro fragile, incapace, almeno a Crotone, di avere una presa sociale continuativa. Ho evidenziato serenamente e criticato la scollatura - per me evidente - tra enunciazioni programmatiche e realizzazione pratica delle stesse.
La Cgil che vivevo era ben lontana da quella che mi avevano fatto credere che fosse.
La Camera del Lavoro non era “il luogo di socializzazione e di creazione culturale” nel quale promuovere e far vivere “l’attività sindacale, l’impegno, le tante lotte territoriali, i percorsi di solidarietà e mutualismo”.
Tutto sembrava muoversi secondo una logica di adempimento auto-referenziale, distante dalla realtà e scarsamente costruttivo.
Il lavoro è continuato, tra sterili scambi poco dialettici ed ipocrisie di facciata.
Tra routine quotidiane ed azioni sempre più in solitaria, arrivo alla fase pre-congressuale; leggo su Il Manifesto “Mezza Cgil vuole un’altra Cgil”. Mi ci ritrovo subito in quei contenuti, senza pormi problemi di schieramento, cerco, immediatamente, un confronto all’interno della mia Camera del Lavoro. Trovo chiusura, indifferenza, assenza di confronto dialettico.
Arriviamo, così, alla fase definitiva della presentazione dei due documenti alternativi; alla necessità di fare una scelta. La mia? Una scelta di coerenza, libera dai condizionamenti: aderisco al documento “La Cgil che vogliamo”, considerandola un’opportunità per discutere realmente sul ruolo del sindacato, per recuperare un rapporto con la base, per conoscere - io stessa - i lavoratori nei luoghi di lavoro.
Ho letto e riletto il suo intervento al Comitato Direttivo del 2 febbraio, ma non mi ci ritrovo.
Il Congresso di cui parla, non è quello che sto vivendo, non è un “grande processo democratico”, non è un “momento di articolazione dialettica” è, semplicemente, una faida interna, un votificio.
Il confronto politico si è trasformato in uno scontro personalistico, fatto di offese e meschinità. Io stessa, quella stessa persona sulla quale il sindacato aveva deciso di investire, mi sono trasformata in un’intrusa, una nemica, una traditrice, da isolare, sol perché non si è “accodata” alla maggioranza.
Mi chiedo e le chiedo: qual è il senso di spostare l’attenzione dalla necessaria “discussione sul merito” alla “conta senza merito”? Mi chiedo e le chiedo: come può un sindacato esercitare un ruolo attivo di tutela dei lavoratori se si comporta come il peggiore tra i peggiori datori di lavoro? La scelta nell’adesione ai documenti non è stata libera e, credo che lei lo sappia bene; altrettanto, a Crotone, l’articolazione congressuale non mi sembra stia avvenendo per favorire la partecipazione degli iscritti, ma per ostacolare la presenza dei relatori della seconda mozione.
A cosa ed a chi serve tutto questo?
Perché non garantire, da subito, un confronto serio, accurato, approfondito, paritario, libero?
Credo che questo Congresso, per le modalità con cui si sta svolgendo è l’ulteriore dimostrazione della crisi che il sindacato, ed anche la Cgil sta vivendo. Si parla a nome dei lavoratori e dei pensionati, ma si è distanti da loro, si aggira la libera espressione e partecipazione degli iscritti.
Qui a Crotone, le assemblee si stanno risolvendo nell’esplicazione di un voto acritico ed il più delle volte già pilotato, fondato più su rapporti e legami amicali che non di confronto sui contenuti.
Il vero problema, anche in questo caso, è che mancano gli stessi interlocutori coi quali discutere dei contenuti e si fa finta di non vedere, come se il problema non esistesse.
Che senso ha ottenere voti che sono il frutto non di un esercizio critico di partecipazione, ma di una meccanicistica adesione, per lo più, priva di consapevolezza? Non crede si stia perdendo un’occasione importante?
Caro Segretario, le chiedo di intervenire concretamente presso tutte le strutture territoriali, per far sì che il confronto, almeno in questa fase finale delle assemblee di base - a mio avviso la più importante, per il senso di rappresentatività che porta con sé - possa avvenire realmente ed esclusivamente sui contenuti, nel rispetto delle regole, senza alterazioni e misere furbizie; per far decidere ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani come me, che sperano nella Cgil - e qui prendo in prestito le sue parole – “quale sarà l’identità, il programma, ed il lavoro della nostra organizzazione, per tutta la nostra organizzazione, negli anni che abbiamo di fronte”.
Cordialmente
Carmen Messinetti, della CGIL Crotone
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