Destra e sinistra? Sono concetti politici superati, appartengono al 
passato.
Il mio – ha detto Mario Monti – è “un movimento civico popolare
 e responsabile”, non intende collocarsi “al centro” tra una destra e 
una sinistra ormai superate, bensì costituirsi “come elemento di spinta 
per la trasformazione dell’Italia, in contrapposizione alle forze 
conservatrici, prone a interessi particolari, a protezioni corporative o
 addirittura dichiaratamente anti-europeiste. Questa nuova forza 
politica sarà certamente moderata nei toni, ma non nel programma 
perseguito, che si caratterizza invece per l’incisività delle riforme 
che intende realizzare”. 
Definendo gli altri come 
‘conservatori’, ovviamente Monti si auto-celebra come ‘progressista’; 
nega la distinzione (per lui superata) tra destra e sinistra ma 
ripropone quella tra conservatori e progressisti. O tra conservatori 
(soprattutto a sinistra: la Fiom, la Cgil, Fassina e Vendola) e veri 
riformisti, auto-definendosi come vero riformatore, “anche estremo”.
Senza apparentemente rendersi conto che così introduce per sé quel 
concetto di ‘estremismo’ che poi usa invece per denigrare le ‘ali 
estreme’ degli altri invitando Bersani a tagliarle (sempre la Fiom, la 
Cgil, Fassina e Vendola).
Ma soprattutto Monti non comprende che tra 
‘estremismo’ e ‘radicalismo’ c’è un abisso di significati: Beveridge e 
Roosevelt (e in Italia Gobetti, Di Vittorio, Brodolini, 
Fortuna&Baslini e molti altri ancora) erano ‘radicali’ nel loro 
riformismo volto a ricostruire società, redditi, solidarietà e ad 
ampliare i diritti, ma non erano certo ‘estremisti’; mentre il 
neoliberismo è ‘estremista’, dogmatico e ideologico in sé e per sé e 
nella sua volontà nichilistica di distruggere società, redditi, 
solidarietà e diritti sociali e quindi anche politici e civili. Ma poi, 
come credere che Montezemolo, Casini, Ichino e lo stesso Monti siano 
riformisti e progressisti? O che il futuro/progresso radioso, felice e 
quasi mistico sia realizzato e compiuto nella stessa narcisistica e 
solipsistica persona di Monti, per cui deve essere reale e vero solo ciò
 che Monti definisce come reale e vero – e non altro? E poi: cosa 
significa essere riformisti? Tutto dipende ovviamente dagli effetti che 
le riforme vogliono produrre.
Di più: anche le controriforme (come 
quelle del lavoro e delle pensioni) sono comunque riforme, peccato che 
siano appunto delle controriforme e invece di fare ‘progresso’ 
determinino ‘regresso’ in termini di benessere, diritti, sapere 
e 
conoscenza.
Ma soprattutto, nelle parole di Monti vi è lo 
stravolgimento della realtà (un altro dei vizi del berlusconismo 
trapassato nel montismo): definire infatti come ‘progressista’ l’azione 
del governo Monti (o la sua Agenda) è quanto di più surreale ci possa 
essere. Fare una riforma delle pensioni inutile; modificare il mercato 
del lavoro riducendo i diritti sociali delle persone e non riducendo la 
precarizzazione (che i diritti li nega); impoverire milioni di italiani 
abbassando salari e pensioni, per riposizionare più in basso rispetto a 
prima il sistema produttivo italiano, svalutando il lavoro non potendo 
più svalutare la vecchia lira per recuperare competitività; tagliare gli
 investimenti per scuola e università portandole al collasso (ma 
aumentando i finanziamenti per le scuole private), negando nei fatti 
ogni possibilità di vero progresso; 
tirare per le lunghe le trattative 
per l’accordo fiscale con la Svizzera; fare poco o niente per 
l’ambiente; rinviare l’introduzione della Tobin tax, pure decisa a 
livello europeo, lasciandola in eredità al prossimo governo (a proposito
 di europeismo…) - fare tutto questo e molto altro ancora è 
‘progressismo’?
Nella logica dei mercati, sicuramente sì. Nella logica 
neoliberista, altrettanto sicuramente – quel neoliberismo che è (forse) 
morto nell’America di Obama, ma che in Europa è più vivo che mai. 
La Costituzione, allora, che dice (a meno di considerarla conservatrice,
 vecchia, cosa del passato, anch’essa ‘frangia estrema’ da tagliare): 
che il lavoro è un diritto che deve essere reso effettivo (e non ridotto
 e limitato, come accaduto invece con le politiche di austerità e di 
deliberata recessione/disoccupazione del governo Monti o con le nuove 
relazioni sindacali di Marchionne&Monti, più Cisl e Uil); che la 
Repubblica garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (e anche i diritti
 sociali, quelli che Monti vuole smantellare in nome della sua 
personalissima idea di ‘progresso’, sono inviolabili); che è compito 
della Repubblica rimuovere (e non crearli o aumentarli, come fatto dal 
governo, con il sostegno dell’ex-migliorista Napolitano) gli ostacoli di
 ordine economico e sociale che “limitando di fatto 
la libertà e 
l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
 umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori 
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”; che la 
Repubblica promuove (e non riduce o cancella) lo sviluppo della cultura e
 della ricerca scientifica, tutela il paesaggio e il patrimonio storico e
 artistico; che la salute è un fondamentale diritto del cittadino; che 
la retribuzione – oltre ad essere un diritto – deve essere proporzionata
 alla quantità e alla qualità del lavoro e “in ogni caso sufficiente ad 
assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e 
dignitosa”; e che l’iniziativa economica privata (e lo stesso dovrebbe 
valere anche per la finanza), “non può svolgersi in contrasto con 
l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà
 alla dignità umana” e che ogni attività economica deve essere sempre e 
comunque indirizzata “a fini sociali”. E non solo. 
Ma tutto 
quanto è scritto a chiare lettere nella Costituzione, impegnando la 
Repubblica nella sua azione politica è stato negato (anche) dall’azione 
del governo Monti. Non si poteva fare altrimenti, dicono Monti con 
Draghi e Merkel. Falso. Monti ha fatto ciò che voleva l’ideologia 
neoliberista e ciò che volevano i mercati, replicando in forma nuova, ma
 non nella sostanza, quella vecchia differenziazione di potere messa in 
luce già cento e più anni fa da Gaetano Mosca, cioè tra ‘governanti’ e 
‘governati’, tra oligarchie/èlite e popolo, con i mercati oggi come 
nuova oligarchia, come nuova èlite, come ‘classe’ dei governanti contro i
 governati. Tutto questo è progressista?
Solo uno sciocco può crederlo. 
Si poteva fare diversamente? Certo (e Obama sta cercando di farlo, pur 
con tutte le sue timidezze), ma occorrevano dei veri ‘progressisti’, 
consapevoli di ciò che è ‘progresso’ (una volta scritto con la 
maiuscola) e soprattutto occorreva che la sinistra (italiana ed europea)
 fosse davvero sinistra e non cedesse anch’essa alle tentazioni 
nichilistiche neoliberiste e facesse quindi politiche progressiste (e 
quindi di sinistra, o almeno da New Deal rooseveltiano). Perché è ‘di 
sinistra’ e ‘progressista’ aumentare il benessere della gente, dare 
quella sicurezza sociale che permette poi agli individui di scegliere la
 loro vita; perché è ‘progressista’ 
e ‘di sinistra’ accrescere 
conoscenza e cultura, diritti individuali e diritti sociali, tutelare 
l’ambiente e accrescere la democrazia. 
‘Regressista’ e 
‘controriformista’ è invece ridurre tutto questo – e questo è stato il 
governo Monti/Napolitano, con Pd e Pdl. Perché tra destra e sinistra (e 
si potrebbe andare a rileggere il Bobbio di Destra e sinistra, il Giddens di Oltre la destra e la sinistra e in particolare il Revelli di Sinistra destra)
 non è solo un problema di uguaglianza e disuguaglianza, ma di diritti 
da accrescere, 
di autonomia da valorizzare uscendo da ogni forma di 
eteronomia specie se economica e tecnica.
Sì perché Monti è e 
resta un ‘tecnico’ anche se oggi cerca di declinarsi in ‘politico’, 
messosi per di più a capo di una autentica ‘armata brancaleone’, 
impresentabile, oligarchica e in profondo conflitto di interessi. Un 
Monti che usa il neoliberismo in economia e in politica come grimaldello
 per modificare – in termini biopolitici – la società e l’economia. 
Sulla base della biopolitica – diventata tanato-politica, visti gli 
effetti sociali che ha prodotto – del neoliberismo. Una biopolitica poi 
tanatopolitica fatta di: egoismo, edonismo e godimento (quando è 
possibile, altrimenti penitenza e recessione), solipsismo, fare da sé, 
essere imprenditori di se stessi e soprattutto vivere la vita come una 
perenne competizione. Sempre più al lavoro, in una sorta di totalitaria 
‘mobilitazione totale’ al lavoro (o alla ricerca del lavoro).
Perché gli
 apparati tecnici funzionano in sé e per sé e il loro scopo è togliere 
ogni ‘intralcio’ politico e sociale al loro funzionamento, apparato che 
infatti deve essere a produttività, a flessibilizzazione, a 
individualizzazione e 
a velocizzazione crescente, tutto però 
accompagnato da un’altrettanto crescente integrazione/connessione di 
tutti nell’apparato, oggi grazie alla rete. 
Il tecno-capitalismo
 – la grande biopolitica/tanatopolitica che governa le nostre vite – non
 ama distinguere tra destra e sinistra ma chiede che destra 
e sinistra 
assecondino le sue esigenze di funzionamento (oggi grazie al 
neoliberismo). Se questo è ‘progresso’ e ‘riformismo’, Dio o la Ragione 
ci liberino da questa manipolazione del dizionario e della logica. Ma 
soprattutto, la sinistra torni ad essere sinistra, ma ‘radicale’, marchi
 la sua differenza (eccome se esistono) con la destra e soprattutto con 
le tecnocrazie. 
Oggi serve il massimo di conflitto ‘politico’ rispetto 
al neoliberismo e al tecno-capitalismo. In nome di una Europa diversa. 
Un’Europa che è invece ancora ferma al ‘conservatore’ Hoover, presidente
 degli Stati Uniti ai tempi della crisi del 1929 e che invocava 
politiche ‘riformiste’ fatte di salvataggio della banche e di obbligo di
 pareggio di bilancio. Insomma, la sinistra rovesci l’Agenda Monti, 
migliori la propria e soprattutto inventi un nuovo New Deal.
Lelio Demichelis* - 04/01/2013
da MicroMega
* Insegna Sociologia al Dipartimento di Economia dell'Università degli Studi dell'Insubria. 
Tra i suoi scritti: Società o comunità (Carocci, 2011), Bio-tecnica (Liguori, 2008). Ha curato (con G. Leghissa), Biopolitiche del lavoro (Mimesis, 2008). Collabora ad Alfabeta2, 
a MicroMega online e a Tuttolibri. 
  
 
 
 
1 commento:
Monti si crede il re filosofo della Repubblica di Platone, o vuole lasciarlo credere?
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