In questa situazione, non diversamente dagli altri paesi periferici dell’eurozona, l’Italia si trova secondo Munchau davanti tre possibilità:
“La prima è quella di rimanere 
nell’euro e farsi carico da sola dell’intero aggiustamento. Con questo 
intendo sia l’aggiustamento economico, in termini di costi unitari del 
lavoro e inflazione, che l’aggiustamento fiscale. La seconda è quella di
 rimanere nella zona euro, a condizione di un aggiustamento condiviso 
tra paesi debitori e paesi creditori. La terza è quella di lasciare 
l’euro. I governi italiani uno dopo l’altro hanno praticato una 
quarta opzione – rimanere nell’euro, concentrarsi solo sul risanamento 
dei conti pubblici a breve termine e attendere.“
La quarta opzione, la storia economica lo dimostra, alla lunga non 
conduce ad altro che a ritrovarsi di nuovo alle scelte evitate in 
passato.Per Munchau la scelta migliore sarebbe la seconda, ma Mario Monti non ha opposto resistenza ad Angela Merkel. Ci sta provando Mariano Rajoy, il primo ministro spagnolo, che ha richiesto un aggiustamento simmetrico – ma è tardi, la Germania sta già pianificando il suo bilancio di austerità per il 2014 e tutte le decisioni politiche sono già prese: la seconda opzione non c’è più, sta svanendo lentamente.
Ed ecco le previsioni del Financial Times sulle elezioni italiane:
“Dove andrà l’Italia con le elezioni 
del mese prossimo? Da primo ministro, Mr Monti ha promesso riforme e ha 
finito per aumentare le tasse. Il suo governo ha cercato di introdurre 
riforme strutturali modeste, di scarso significato macroeconomio. 
Partito come leader di un governo tecnico, si è poi mostrato essere un 
duro operatore politico. La sua narrazione è che ha salvato 
l’Italia dal baratro, o piuttosto da Silvio Berlusconi, il suo 
predecessore. Il calo dei rendimenti dei titoli ha giocato un ruolo in 
questa narrativa, ma la maggior parte degli italiani sa che deve questo a
 un altro Mario – Draghi, il presidente della Banca Centrale Europea.
A sinistra, Pier Luigi Bersani, 
segretario generale del Partito Democratico, ha sostenuto l’austerità, 
ma di recente ha cercato di prendere le distanze da tali politiche. E’ 
stato anche esitante sulle riforme strutturali. I temi principali della 
sua campagna elettorale sono una tassa sul patrimonio [recentemente 
abbandonata, ndr] , la lotta contro l’evasione fiscale e il riciclaggio 
di denaro e i diritti dei gay. Lui dice che vuole che l’Italia rimanga 
nella zona euro. Vi è una minima probabilità che abbia più successo nel 
battersi con la Merkel perché è in una posizione migliore per 
collaborare con François Hollande, il presidente francese e collega 
socialista.
A destra, l’alleanza tra Berlusconi e 
la Lega Nord è indietro nei sondaggi ma sta facendo progressi. Fino ad 
ora, l’ex primo ministro ha fatto una buona campagna. Ha consegnato un 
messaggio anti-austerità che ha fatto vibrare le corde di un elettorato 
disilluso. Continua anche a criticare la Germania per la sua riluttanza 
ad accettare un eurobond e consentire alla BCE di acquistare 
incondizionatamente obbligazioni italiane.
Si potrebbe interpretare questo 
atteggiamento come l’opzione due: insistere su un aggiustamento 
simmetrico o uscire. Tuttavia, conosciamo Berlusconi fin troppo bene. E’
 stato primo ministro abbastanza tempo per aver avuto la possibilità di 
fare simili proposte in precedenza. Per diventare credibile, dovrebbe 
presentare una strategia chiara che tracci le scelte in dettaglio. 
Sinora tutto quel che abbiamo sono solo slogan televisivi.
A giudicare dagli ultimi sondaggi, il 
risultato più probabile delle elezioni è la paralisi, forse sotto forma 
di una coalizione di centro-sinistra Bersani-Monti, possibilmente con 
una maggioranza di centro-destra nel senato, dove si applicano regole di
 voto diverse. Questo renderebbe tutti, più o meno, responsabili. 
Nessuno avrebbe il potere di attuare una politica. Ma ognuno avrebbe il 
diritto di porre il veto.
Se così fosse, l’Italia 
continuerebbe a tirare avanti, fingendo di aver scelto di rimanere 
nell’euro senza creare le condizioni per rendere l’adesione sostenibile.
 Nel frattempo, mi aspetterei che emerga un consenso politico anti-europeo che o otterrà una piena maggioranza alle elezioni successive o provocherà una crisi politica, con alla fine lo stesso effetto.
Quanto al signor Monti, la mia
 migliore ipotesi è che la storia gli assegnerà un ruolo simile a quello
 di Heinrich Brüning, cancelliere tedesco nel 1930-1932. Anche lui era 
parte di un consenso prevalente nell’establishment che non vi fosse 
alternativa all’austerità.
L’Italia ha ancora qualche strada aperta. Ma deve prenderla.”
fonte:
keynesblog.com - 21/01/2013
 
 
 
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