lunedì 15 ottobre 2012

Più produttività. E abbassare i salari (ce lo chiede l'Europa...)


Produttività. Un altro scalpo per Monti?


Il confronto sulla produttività tra governo e parti sociali, che entra nel vivo in questi giorni, è un imbroglio a partire dal suo nome. Non molto tempo fa il Cnel ha annunciato una ricerca che proprio per i suoi risultati sorprendenti è stata subito rimossa. Sulla base di essa il decennio più produttivo degli ultimi quaranta anni è stato quello tra il 1970 e il 79. Sì proprio il decennio delle conquiste sindacali, sociali, civili, della scala mobile, del posto fisso , degli orari e dei contratti rigidi, dello stato sociale e della grande industria pubblica, proprio quel decennio ha visto il nostro paese raggiungere il tasso di produttività più alto di tutto l'occidente industriale. Da allora quel tasso è progressivamente diminuito, con un andamento parallelo alla regressione delle condizioni del mondo del lavoro. Fino agli anni duemila, che con l'Euro e le privatizzazioni hanno visto un vero e proprio tracollo sia del salario sia della produttività. (...)
Onestà vorrebbe che un governo fatto di tecnici partisse dai dati raccolti nella realtà e non dalla ideologia e dagli interessi dominanti. Che ci si domandasse se questi risultati clamorosi non dimostrano che tutte le politiche economiche liberiste di questi decenni hanno sì fatto star peggio i lavoratori , ma hanno anche colpito la produttività.
Se non altro per pura onestà intellettuale il governo Monti dovrebbe esplorare altre strade e invece ripropone l'ennesimo patto sociale con al centro la riduzione dei salari e l'aumento degli orari. Che diventa una scelta con tratti di follia pura in piena crisi recessiva. Ogni ora di lavoro in più di chi resta occupato è uno spazio di lavoro in meno per chi non lavora, la riduzione dei salari deprime ancora di più il mercato interno, mentre la crisi mondiale chiude la via delle esportazioni; e allora?
Allora onestà vorrebbe che il sistema delle imprese riconoscesse che il problema principale del paese è l'assenza investimenti, di innovazione e ricerca , di politiche pubbliche per l'occupazione e soprattutto che bisogna invertire il processo di impoverimento del lavoro.
Invece il rappresentante del sistema bancario vuole la riduzione del costo del lavoro mentre le banche preparano migliaia di licenziamenti e negano il credito a tutta la piccola impresa. La Confindustria vuole più orario per fare come Marchionne, che ha ottenuto tutto quello che voleva dal supersfruttamento del lavoro e intanto chiude le fabbriche.
Onestà vorrebbe che governo e grande padronato riconoscessero che la loro ricetta trentennale è fallita e che purtroppo per loro devono metter mano ai loro portafogli, invece che ai nostri.
Ma naturalmente questa onestà non esiste nelle classi dirigenti dell'Italia di oggi. Esse vogliono solo conservare poteri e privilegi accumulati negli ultimi trenta anni. Così si imbandisce il tavolo sulla produttività, con il solo scopo di realizzare un altro dei punti programmatici della lettera che Draghi e Trichet scrissero a Berlusconi nell'agosto del 2001. Dopo la controriforma delle pensioni e quella del lavoro che ha cancellato l'articolo 18, ora si tratta di dare il colpo finale al contratto nazionale, rendendolo una inutile cornice entro la quale le aziende fanno tutto quello che vogliono.
Monti finora è riuscito a portare uno scalpo di diritti e conquiste del lavoro ad ogni vertice europeo e si è anche vantato di averlo ottenuto senza incorrere in quella protesta sociale che percorre l'Europa. Ora tenta di fare il colpo con il contratto nazionale.
Cgil Cisl e Uil, finora hanno condiviso o subìto le decisioni del governo , anche le più feroci. Ora hanno l'occasione di un parziale riscatto mandando a gambe all'aria il tavolo sulla produttività. Eviteranno così un nuovo danno per chi lavora e daranno un primo vero colpo alla politica d Monti . La Cgil, che convoca sabato in piazza chi ha perso o sta per perdere il lavoro, ha una possibilità concreta di mettere in discussione quell'agenda Monti che dichiara di voler cambiare. Lo faccia dicendo no sulla produttività.
Intanto, noi che combattiamo la disonestà sociale del governo e delle classi dirigenti rendiamo ancora più forte il No Monti Day il 27 ottobre.

G.Cremaschi - 13/10/2012
Rete 28 aprile 

*

Allarme rosso. La Bce dice di abbassare i salari

La Banca Centrale Europea preme sui governi affinchè adottino nuove misure strutturali che favoriscano maggiore "flessibilità salariale".

Allarme! Un nuovo diktat è nell’aria. Un rapporto della Bce ritiene che l'adeguamento salariale nei paesi dell'Eurozona è stato relativamente limitato nonostante la gravità della recessione e l’aumento della disoccupazione. Tradotto in soldoni: i salari sono troppo alti e vanno abbassati.
In un tale contesto secondo la Bce "una risposta flessibile delle retribuzioni dovrebbe essere un'importante priorità". I tecnocrati di Francoforte argomentano il loro nuovo diktat ai governi con motivazioni che mettono i brividi.
Secondo l’analisi della Bce durante la crisi i salari reali sono aumentati nell'area euro, presumibilmente come riflesso di uno spostamento dell'occupazione verso lavori a salario più alto, i quali sarebbero maggiormente tutelati. In un altro riquadro viene messo a confronto l'andamento della disoccupazione nell’Eurozona con quello negli Usa: complessivamente l'aumento dei senza lavoro nei paesi europei è stato più contenuto: 4 punti percentuali contro i 4,8 punti degli Usa. Ma all’inizio del 2010 in entrambe le aree veniva registrato un tasso di disoccupazione attorno al 10 per cento, da allora gli andamenti si sono discostati: calo negli Usa mentre nell'area euro hanno continuato a salire. E così oggi nell'Eurozona i disoccupati superano l'11% mentre negli Stati Uniti sono attorno all'8%. Anche perché la stessa Bce rileva che l'area dell'euro ha perso 4 milioni di occupati tra 2008 e fine 2011, non solo ma "l'occupazione è diminuita ulteriormente nella prima metà del 2012 - si legge poi nel capitolo sulla situazione nel mercato del lavoro - mentre la disoccupazione ha continuato ad aumentare". 
Questa valutazione preliminare serve alla Bce per giungere alle considerazioni sui salari e sulle "rigidità" nel mercato del lavoro dell’Eurozona. Tenuto conto dell`intensità della crisi, “la risposta dei salari nell’area dell`euro sembra essere stata piuttosto contenuta - si legge - per effetto della generale rigidità salariale”. In questo quadro secondo la Bce serve più flessibilità sui salari anche per agevolare la necessaria riallocazione settoriale che prelude alla creazione di posti di lavoro e alla riduzione della disoccupazione. E chiaramente questo richiede ulteriori e significative “riforme del mercato del lavoro nei paesi dell`area”, riforme che i tecnocrati di Francoforte ritengono “un elemento fondamentale per una solida ripresa economica nelle economie”, che dovrebbe altresì facilitare ulteriori effetti di propagazione positivi relativi alla correzione e prevenzione degli squilibri macroeconomici, il riequilibrio dei conti e la stabilità finanziaria. La Bce poi cita come esempi positivi (sic!) i paesi europei in cui le “riforme” sono state già fatte, e tra questi figurano anche Italia e Spagna che "recentemente hanno adottato riforme del mercato del lavoro al fine di accrescere la flessibilità e l`occupazione". Ma i risultati ci dicono esattamente il contrario in entrambi i paesi.

S.Cararo - 11/10/2012
http://www.contropiano.org


Nessun commento: