Nella giornata del 23 dicembre 2010, abbiamo avuto contemporaneamente l'approvazione della legge Gelmini, il colpo di mano nelle mille proroghe che ha ridotto ulteriormente il finanziamento all'editoria e colpisce gli organi di informazione - come il manifesto - che non sono sostenuti finanziariamente da lobby economiche; e infine la Fiat che (dopo Pomigliano), ha imposto un regolamento aziendale a Mirafiori, sottoscritto da organizzazioni sindacali compiacenti che cancella non solo il contratto nazionale, ma la democrazia nei luoghi di lavoro con il pieno sostegno di Marcegaglia e Berlusconi.
Non ho mai condiviso l'accusa al governo di non fare nulla perché, viceversa, governo e Confindustria stanno facendo molto, stanno «semplicemente» ridisegnando l'assetto democratico e sociale del paese in senso autoritario, riducendo gli spazi di democrazia perché considerano il conflitto sociale un fatto eversivo. In questo modo si costruisce una Costituzione materiale che ne prefigura il cambiamento formale a partire dal primo articolo. Tagliare le radici, togliere cittadinanza alla possibilità di fare vivere un altro punto di vista, autonomo e democratico nei luoghi di lavoro, nel mondo della scuola, nell'informazione e nel territorio, rappresenta l'obiettivo che governo e Confindustria perseguono. Tutto è subordinato alla logica del liberismo, dalla condizione umana a quella ambientale, nell'interesse del capitale finanziario e industriale assunto come interesse generale. Non soltanto le istanze storiche proprie della sinistra, ma la stessa idea di società e di Stato di natura liberal-democratica viene negata, annullata dentro lo schema «assuefazione-rivolta» che il sistema ha da sempre contemplato e previsto.
Questo, anche simbolicamente, è avvenuto nella giornata del 23 dicembre. Dopo il «Collegato lavoro» che apre la strada alla distruzione del sistema dei diritti e delle tutele e, in attesa dello «Statuto dei lavori», la Fiat ha definito un accordo «di primo livello», cioè sostitutivo e peggiorativo del Ccnl (contratto nazionale di lavoro) che afferma un concetto molto semplice: le organizzazioni sindacali che firmano questo regolamento potranno «esistere» nello stabilimento, mentre quelle che dissentono non avranno più alcuna agibilità, dai permessi sindacali al diritto di assemblea, alla trattenuta per l'iscrizione al sindacato. Inoltre si aggiunge che se qualcuno «sgarra» e protesta, perché scoprirà nel 2012 che quell'organizzazione del lavoro non è sostenibile, che si tratti di una organizzazione sindacale o di un singolo lavoratore, sarà oggetto di provvedimenti punitivi. In sostanza il sindacato come soggetto negoziale non esiste più, la lavoratrice, il lavoratore non possono più eleggere democraticamente i loro delegati e il loro libero consenso. È paradossale che la Fiat promuova un referendum sull'esercizio della democrazia nello stabilimento con il ricatto occupazionale, come fosse zona franca dai diritti di cittadinanza definiti dalla Costituzione.
La Confindustria ha reagito sostenendo che la New-co (con relativa uscita dalla associazione) dev'essere transitoria e nel frattempo vanno costruite le condizioni per un suo futuro rientro attraverso un nuovo accordo sulle Rsu che superi quello del 1993 e con un accordo specifico per il settore auto (le soluzione tecniche possono essere diverse).
Di male in peggio. La Fiat detta le condizioni, in un percorso aperto con l'accordo separato confederale sulla struttura contrattuale che dimostra in questa fase il suo significato di carattere generale per le relazioni industriali. Non siamo di fronte a un altro accordo separato, ma a una scelta strategica, dove Fiat e alcune organizzazioni sindacali decidono di negare ad altre l'agibilità nello stabilimento, il diritto democratico delle lavoratrici e dei lavoratori di eleggere i loro rappresentanti, come dire «esistete soltanto se accettate le mie condizioni, se siete al mio servizio».
Sarebbe inverosimile che la Cgil accettasse questo terreno di confronto senza tirarne le dovute conseguenze per aprire una nuova fase di mobilitazione in tutto il paese, di cui lo sciopero generale è soltanto uno degli strumenti. In questo contesto si dovrebbe collocare la rivendicazione di un sistema di regole democratiche fondate sul diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di votare con referendum le piattaforme, gli accordi nazionali e categoriali e di eleggere su base proporzionale i propri rappresentanti sindacali. Vuole dire costruire una piattaforma sulla democrazia nei luoghi di lavoro. In caso contrario saremmo di fronte alla resa, «al cappello in mano di fronte all'agrario».
A fronte di questa situazione, con il disagio sociale destinato ad aumentare, è necessario unire sul terreno della democrazia, della libertà e del lavoro ciò che altri vogliono dividere, sapendo leggere il senso, il significato profondo di quel che sta avvenendo per costruire un'alternativa sociale. Una proposta alternativa di uscita dalla crisi. Questo è il senso che abbiamo dato alle prime iniziative di «Uniti contro la crisi» di questi mesi e che saranno oggetto di ricerca e approfondimento nel seminario previsto per il 22 e 23 gennaio 2011.
Ma torniamo al 23 dicembre, a quel che è stato deciso in quella giornata, e allora domandiamoci se non è il caso che il manifesto si faccia promotore di un'iniziativa, un incontro tra mondo dell'informazione, della scuola, del lavoro in modo particolare dei metalmeccanici, per individuare terreni e percorsi di iniziativa comune.
Gianni Rinaldini
coord. dell'area programmatica «La Cgil che vogliamo»
Non ho mai condiviso l'accusa al governo di non fare nulla perché, viceversa, governo e Confindustria stanno facendo molto, stanno «semplicemente» ridisegnando l'assetto democratico e sociale del paese in senso autoritario, riducendo gli spazi di democrazia perché considerano il conflitto sociale un fatto eversivo. In questo modo si costruisce una Costituzione materiale che ne prefigura il cambiamento formale a partire dal primo articolo. Tagliare le radici, togliere cittadinanza alla possibilità di fare vivere un altro punto di vista, autonomo e democratico nei luoghi di lavoro, nel mondo della scuola, nell'informazione e nel territorio, rappresenta l'obiettivo che governo e Confindustria perseguono. Tutto è subordinato alla logica del liberismo, dalla condizione umana a quella ambientale, nell'interesse del capitale finanziario e industriale assunto come interesse generale. Non soltanto le istanze storiche proprie della sinistra, ma la stessa idea di società e di Stato di natura liberal-democratica viene negata, annullata dentro lo schema «assuefazione-rivolta» che il sistema ha da sempre contemplato e previsto.
Questo, anche simbolicamente, è avvenuto nella giornata del 23 dicembre. Dopo il «Collegato lavoro» che apre la strada alla distruzione del sistema dei diritti e delle tutele e, in attesa dello «Statuto dei lavori», la Fiat ha definito un accordo «di primo livello», cioè sostitutivo e peggiorativo del Ccnl (contratto nazionale di lavoro) che afferma un concetto molto semplice: le organizzazioni sindacali che firmano questo regolamento potranno «esistere» nello stabilimento, mentre quelle che dissentono non avranno più alcuna agibilità, dai permessi sindacali al diritto di assemblea, alla trattenuta per l'iscrizione al sindacato. Inoltre si aggiunge che se qualcuno «sgarra» e protesta, perché scoprirà nel 2012 che quell'organizzazione del lavoro non è sostenibile, che si tratti di una organizzazione sindacale o di un singolo lavoratore, sarà oggetto di provvedimenti punitivi. In sostanza il sindacato come soggetto negoziale non esiste più, la lavoratrice, il lavoratore non possono più eleggere democraticamente i loro delegati e il loro libero consenso. È paradossale che la Fiat promuova un referendum sull'esercizio della democrazia nello stabilimento con il ricatto occupazionale, come fosse zona franca dai diritti di cittadinanza definiti dalla Costituzione.
La Confindustria ha reagito sostenendo che la New-co (con relativa uscita dalla associazione) dev'essere transitoria e nel frattempo vanno costruite le condizioni per un suo futuro rientro attraverso un nuovo accordo sulle Rsu che superi quello del 1993 e con un accordo specifico per il settore auto (le soluzione tecniche possono essere diverse).
Di male in peggio. La Fiat detta le condizioni, in un percorso aperto con l'accordo separato confederale sulla struttura contrattuale che dimostra in questa fase il suo significato di carattere generale per le relazioni industriali. Non siamo di fronte a un altro accordo separato, ma a una scelta strategica, dove Fiat e alcune organizzazioni sindacali decidono di negare ad altre l'agibilità nello stabilimento, il diritto democratico delle lavoratrici e dei lavoratori di eleggere i loro rappresentanti, come dire «esistete soltanto se accettate le mie condizioni, se siete al mio servizio».
Sarebbe inverosimile che la Cgil accettasse questo terreno di confronto senza tirarne le dovute conseguenze per aprire una nuova fase di mobilitazione in tutto il paese, di cui lo sciopero generale è soltanto uno degli strumenti. In questo contesto si dovrebbe collocare la rivendicazione di un sistema di regole democratiche fondate sul diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di votare con referendum le piattaforme, gli accordi nazionali e categoriali e di eleggere su base proporzionale i propri rappresentanti sindacali. Vuole dire costruire una piattaforma sulla democrazia nei luoghi di lavoro. In caso contrario saremmo di fronte alla resa, «al cappello in mano di fronte all'agrario».
A fronte di questa situazione, con il disagio sociale destinato ad aumentare, è necessario unire sul terreno della democrazia, della libertà e del lavoro ciò che altri vogliono dividere, sapendo leggere il senso, il significato profondo di quel che sta avvenendo per costruire un'alternativa sociale. Una proposta alternativa di uscita dalla crisi. Questo è il senso che abbiamo dato alle prime iniziative di «Uniti contro la crisi» di questi mesi e che saranno oggetto di ricerca e approfondimento nel seminario previsto per il 22 e 23 gennaio 2011.
Ma torniamo al 23 dicembre, a quel che è stato deciso in quella giornata, e allora domandiamoci se non è il caso che il manifesto si faccia promotore di un'iniziativa, un incontro tra mondo dell'informazione, della scuola, del lavoro in modo particolare dei metalmeccanici, per individuare terreni e percorsi di iniziativa comune.
Gianni Rinaldini
coord. dell'area programmatica «La Cgil che vogliamo»
Nessun commento:
Posta un commento