Venerdì notte, andando  verso Roma da Trieste e dal Friuli, sul treno speciale della Fiom in cui si  concentrava la vera opposizione politica e sociale del nord est.
Un viaggio di almeno  otto ore, fra discussioni, canti, musica e qualcuno che cercava a tutti i costi  di dormire.
Si sapeva che i  partecipanti alla manifestazione di sabato 16 ottobre sarebbero stati tanti, e  si intuiva che non poteva trattarsi di un’ordinaria adunata  sindacale.
Ed infatti, è stato  molto di più.
Tempo fa, quando  dicevo o scrivevo che soltanto la Fiom, nel desolante panorama italiano, avrebbe  potuto rappresentare il nucleo di aggregazione di una nuova opposizione  integrale a questo capitalismo, ai suoi modelli, alla sua spietata  organizzazione del lavoro, ai suoi miti fuorvianti che generano soltanto  ostilità fra le persone e i gruppi ed imbarbarimento nella società, molti  aggrottavano le ciglia, alcuni mostravano sorpresa, altri scuotevano la testa,  come se si trattasse di una bizzarria.
Il sindacato – questa  era la motivazione addotta per blandirmi – non può sostituire il partito, non si  presenta alle elezioni, non elegge deputati …
Motivazione ingenua,  perché una crisi complessiva come quella che stiamo vivendo, che oltre ad essere  economica è anche crisi di civiltà, può far nascere “sul campo di battaglia”  soluzioni nuove, e così, andando oltre la separazione gramsciana fra partito e  sindacato che poteva avere un senso politico e sociale nel Novecento, una forza  come la Fiom, coesa e non disposta a capitolare davanti al “nuovo” che avanza  travolgendoci [leggi, davanti al rullo compressore della “globalizzazione senza  veli”], può favorire con la sua resistenza propositiva il coagularsi di  un'inedita opposizione, fuori della trappola mortale rappresentata dalla  liberldemocrazia e dai suoi riti.
Non si tratterà, per  come la vedo io, di un vago aggregato, vistosamente eterogeneo, sottilmente  moltitudinario e figlio di una situazione politico-sociale molto frammentata,  sulle soglie del caos.
Al contrario, sarà un  fronte del Lavoro materiale e intellettuale esterno a quella “sinistra di  sistema” che ha archiviato definitivamente la questione sociale, e non si  costituirà come un “blocco granitico” guidato da un capo carismatico, ma come un  movimento-partito-sindacato nato dal basso, da un vero consenso di massa, che  dovrà strutturarsi rapidamente, prima che gli eventi precipitino del  tutto.
Ritorna, lo possiamo  già affermare mettendo da parte un’eccessiva prudenza, la lotta di classe pur in  forme diverse da quelle del passato, per ora timidamente ma in futuro con  prepotenza, frapponendosi fra il capitalismo transgenico finanziario e il  controllo huxleyano/ orwelliano dell’intera società
Venerdì notte, sul  treno non c’era il cosiddetto “paese reale”, che è soltanto un’espressione  ipocrita usata dalla politica minore italiota, ma il paese vero, fatto di carne  e di sangue, quello che non accetta la rassegnazione che gli è imposta giorno  dopo giorno, quello che respinge il ricatto di un nuovo capitalismo che vive di  ricatti, quello che si indigna ascoltando le piccole tacche dell’epoca asservite  totalmente a questo capitalismo, come i Bonanni, gli Ichino, i Brunetta, i  Sacconi.
I corpi e le anime  compongono il paese vero, ne costituiscono l’essenza, e nel contempo  rappresentano una forza in grado di rimettere la storia in movimento.
Credere in ciò non  significa essere fuori della storia, confinati irrimediabilmente in un passato  che non può tornare, come vorrebbero far credere gli interessati predicatori e  cantori della globalizzazione neoliberista, ma significa, al contrario, cercare  di dirigere le correnti storiche verso un’altra società possibile.
La manifestazione di  sabato è stata vigliaccamente e preventivamente criminalizzata dagli organi di  informazione di regime, dal governo, dai sindacati gialli, dalla stampa  addomesticata, perché costoro temono come la peste la partecipazione e il  giudizio dei lavoratori.
Tutta la parte  peggiore di questo paese, quella più spregevole e senza scrupoli – da Maroni a  Bonanni – si è prodigata per paventare rischi di disordini, di scontri, di atti  teppistici, di vandalismi, nel contempo annunciando una partecipazione ridotta,  di poche decine di migliaia di unità e riconducibile a non meglio identificate  minoranze di “estremisti”.
Lo spettro delle uova  [neppure marce] lanciate contro i covi dei sindacati gialli – i nuovi mercanti  di schiavi che fiancheggiano questo capitalismo – è diventato il simbolo di uno  squadrismo inesistente, inventato dai media di sistema per delegittimare la  sacrosanta protesta sociale.
Si comprende bene, a  tal punto, dove sta la vera e l’unica opposizione in questo paese.
Ma non serve arrivare  ai centri di potere politico o confindustriale per constatare l’ostilità nei  confronti della Fiom, di ciò che rappresenta e degli stessi manifestanti, visto  che in certi blog finti alternativi, ma in realtà filo-berlusconiani e  filo-leghisti non dichiarati, come ad esempio in uno dei peggiori della serie,  Conflitti e Strategie, sono comparsi a cura del “guru” di turno [tale glg]  commenti del seguente tenore:
«Attorno alla Fiom non  si coagula nulla di buono, le manifestazioni saranno una sempre più brutta copia  delle altre che abbiamo visto fin qui. Portano solo caos a favore  dell'ammucchiata di sinistra (con centro e spezzoni di destra) che è quella del  "più alto tradimento", che ha colorazione tendenzialmente "viola" (e non  m'interessa se non verrà inalberato tale colore, sto dicendo il significato  reale di queste manifestazioni nel contesto in cui si muovono, quello di tanti  tori che vedono rosso appena sentono "Berlusconi"). Non m'interessa se ci  saranno anche 10 milioni di persone. Chi non lo capisce, per quanto mi riguarda  è pericolosissimo, anche se sapessi che è buonissimo e morale e pieno di  "socialità". Non capisce un cazzo di chi sta favorendo con le sue lotte  destinate a rimanere solo caotici fermenti, [...] Perciò spero che la manifestazione, se supererà i livelli  di una pacifica dimostrazione, venga brutalmente repressa e dispersa. E’  scandalosa un’affermazione del genere? [...]»
Parole  ancor più dure e inaccettabili di quelle di Libero e de Il Giornale contro  coloro che lottano per il lavoro e il futuro dei figli, come dire che al peggio  non c’è limite, che l’ipocrisia non conosce confini, e che contaminazione e  idiotismo arrivano fin nei più remoti angoli della rete.
Parole  indubbiamente peggiori di quelle dette dal ministro degli interni Maroni, alla  vigilia della manifestazione di Roma, il quale evocava il rischio rappresentato  da fantomatici «gruppetti che  staccandosi dal corteo vanno a spaccare le vetrine. Gli stessi servizi dicono  che è una occasione troppo grossa quella di infiltrarsi al corteo della  Fiom.»
Ebbene,  non si sono visti i gruppetti dediti al vandalismo e non c’è stata occasione per  bastonare a sangue – in una catarsi di violenza filo-capitalistica – i  civilissimi manifestanti e militanti della Fiom.
Ma  questo clima oppressivo e soffocante che avvertiamo intorno a noi, era ed è il  clima dell’epoca, il filo neppure troppo sottile che unisce i berluscones a  Confindustria, i leghisti agli evasori fiscali, i pidiini alla Cisl.
Sappiamo che in questo  inizio di millennio i nemici sono molti e potenti, arroganti e baldanzosi, ben  foraggiati dal capitale finanziario, disposti alla menzogna ed al silenziamento  della protesta con ogni mezzo.
Costoro si prostrano  senza riserve davanti ai dogmi del capitalismo del terzo millennio e ne  accettano l’assolutismo.
Convergono da ogni  recesso del sistema nel portare l’attacco alla Fiom, nel tentativo di separarla  dal paese vero, dalle persone reali e dal lavoro vivo, impedendo una saldatura  che potrebbe rivelarsi per loro letale.
Sono tutti dalla  stessa parte, dai sindacalisti gialli ai leghisti delle gabbie salariali, dagli  impresari locali, avidi di profitto e privi di un orizzonte di sviluppo, ai  manager globalisti come Marchionne che giocano con le esistenze degli operai,  serbi, polacchi e italiani, dai liberalsocialisti che applaudono le  “modernizzazioni” e la flessibilizzazione del lavoro ai finti alternativi, che  ci insultano cinicamente e si augurano che ci bastonino [vedi Conflitti e  Strategie].
Ma non tutto è perduto  e non tutto è “normalizzato”, omologato, idiotizzato, se c’è chi non si rassegna  al dopo Cristo di Marchionne, popolato dagli incubi della de-emancipazione di  massa e dalla guerra fra i gruppi finanziario-globalisti, e c’è ancora, in  questa società prostrata, chi è disposto a rischiare le “cariche di  alleggerimento” della polizia sopportando tutte le conseguenze del  caso.
Il treno speciale  della Fiom partito da Trieste era pieno, quella notte, ma non di “squadristi” da  operetta armati di uova della Conad in una surreale marcia su Roma, bensì di  militanti che avevano la consapevolezza di vivere un momento storico importante,  di essere ad un bivio dal quale si dipartono due strade, l’una che porta alla  vittoria per tutto il secolo del capitalismo finanziarizzato a dimensione  globale ed alla costruzione del suo allucinante dopo Cristo, fatto di lavoratori  poveri e di ineguaglianze sociali enormi, e l’altra che porta alla resistenza  dell’intero corpo sociale, alla Rivoluzione ed alla possibilità della  liberazione.
In assenza di  reazioni, accettando queste dinamiche sistemiche come inevitabili, deponendo le  armi davanti alla piccola politica, all’aggressività di Confindustria, agli  inganni del sindacalismo giallo, non resterà che percorre a testa bassa la prima  strada, ed allora sì che dovremo vergognarci, davanti a noi stessi e davanti  alle future generazioni.
Venerdì notte, sul  treno che andava verso Roma, eravamo coscienti che non era e non sarà una mera  battaglia sindacale – contro il famigerato “contratto leggero” come surrogato  del contratto nazionale di categoria, contro l’infamia dell’arbitrato che mette  la parte più debole alla completa mercé della parte più forte, contro il nuovo  regime disciplinare capitalistico di “Fabbrica Italia” –, ma di un’autentica  battaglia culturale e politica, ben oltre i confini del ruolo storico del  sindacato.
Certo, bisogna saper  cogliere il momento storico favorevole, organizzarsi e lavorare duramente senza  aspettare l’evento esterno risolutivo come se fosse la manna dal cielo, ma tutti  noi speravamo – essendo uomini e non macchine da lavoro come auspicato da  Marchionne e dai suoi sodali – almeno per una volta in un pizzico di fortuna, di  buona sorte, ben sapendo, però, che «la fortuna è come vetro: come può  splendere così può frangersi» [«Fortuna vitrea est; tum cum splendet,  frangitur», Sentetiae, Publilio  Siro].
E la  fortuna, una volta tanto ci ha sorriso, con un’enorme partecipazione di singoli,  di gruppi e di movimenti, ben oltre l’avanguardia dei militanti Fiom, e ci ha  regalato una giornata senza incidenti, senza lacrimogeni, senza “cariche di  alleggerimento” e vetrine infrante.
Lo  stesso Guglielmo Epifani, così attendista, possibilista e prudente ha dovuto  prendere atto della situazione ed ha promesso lo sciopero generale per il 27  novembre.
Poi il  balletto dei numeri, da quelli falsi e addirittura ridicoli – ottantamila  dichiarati dalla questura per star sotto ai centomila fatidici assegnati alla  precedente manifestazione dei gialli – a quelli più realistici, che approssimano  il milione.
Con  rabbia e abituale vigliaccheria, il nemico ci ha accusati di aver fatto una  manifestazione politica.
Lo  stesso refrain e accuse simili da Sacconi, il macellaio sociale incaricato del  welfare [ironia della sorte], a Bonanni, che vedremo esclusivamente “indoor” per  evitare il rischio del contatto diretto con i lavoratori …
Ebbene  sì, si può ed anzi si deve ammettere con un certo orgoglio: c’era la politica a  Roma, sabato 16 ottobre, ma la politica autentica, partecipata, che nasce dalle  istanze del paese vero, quella che finalmente ci ha restituito non un paese  rassegnato, idiotizzato e attraversato dalla paura, come lo vorrebbero sia il  governo sia la Confindustria, ma un’Italia che vuole risorgere e che si fa  sentire.
Quello  che mancava, in Piazza San Giovanni, era la piccola politica dei circoli  parlamentari, fatta di clientele, di familismo immorale e di favori, quella dei  salotti equivoci in cui si mescola con gli “affari” o addirittura con gli  interessi della criminalità organizzata, e quella posticcia dei cartelli  elettorali [Pd e PdL, tipicamente] progressivamente svuotati di contenuti e  rappresentanza, se mai li hanno avuti.
Certi  di aver vinto una battaglia – quella della partecipazione – al punto tale da  poter controbattere alle menzogne del nemico con un secco e sprezzante  “contateci!”, come nella canzone diciamo Grazie Roma, rivolgendoci a quella Roma  che ci ha ospitati, ai romani che hanno seguito i cortei e applaudito, a quella  Città troppo spesso insolentita da gentaglia della fatta di Umberto  Bossi.
Ritorneremo  a percorrere le sue storiche strade, come la Via dei Fori Imperiali, ad occupare  pacificamente le sue piazze per i comizi, a invadere le sue stazioni, da Termini  a Ostiense, ancor più numerosi e motivati di quel che eravamo sabato 16  ottobre.
Ritorneremo,  perché in fondo l’esito della lotta dipende da  noi.
 
 
 
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