Di fronte «al gioco di chi continua a dire cosa sarebbe se fosse un operaio della Fiat», il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, replica: «Andate prima nelle catene di montaggio e vediamo se poi ragionate ancora nello stesso modo». Rispondendo a chi gli chiede «della posizione assunta da autorevoli rappresentanti del Pd», con un riferimento a Piero Fassino e Sergio Chiamparino sull'accordo per Mirafiori, il leader dei metalmeccanici della Cgil aggiunge: «È legittimo che ognuno esprima il suo pensiero. Ma sarebbe utile che la politica prima di parlare di certe situazioni provasse a fare lo sforzo di mettersi nel punto di vista di chi deve lavorare, a mettersi nei panni di chi sta nelle catene di montaggio in certe condizioni, senza diritti e sotto ricatto per 1.300 euro al mese». Landini chiede alla politica «di capire che quello che Fiat sta facendo non è solo contro i lavoratori ma è contro il Paese». E del governo dice: «Quando va bene al massimo fa il tifo, e ovviamente per Marchionne. Di tutto questo la politica dovrebbe discutere».(ANSA)
mercoledì 29 dicembre 2010
Fiom: è sciopero!
Intervista a Landini e Cremaschi (FIOM) a pochi minuti dalla conferenza stampa.
Contro l'attacco antisindacale, antidemocratico e autoritario - SCIOPERO!
Il Comitato centrale della Fiom decide lo sciopero generale di 8 ore di tutta la categoria per il 28 gennaio contro l'attacco antisindacale, antidemocratico e autoritario senza precedenti nella storia delle relazioni sindacali del nostro paese.
Sciopero generale subito
Nella giornata del 23 dicembre 2010, abbiamo avuto contemporaneamente l'approvazione della legge Gelmini, il colpo di mano nelle mille proroghe che ha ridotto ulteriormente il finanziamento all'editoria e colpisce gli organi di informazione - come il manifesto - che non sono sostenuti finanziariamente da lobby economiche; e infine la Fiat che (dopo Pomigliano), ha imposto un regolamento aziendale a Mirafiori, sottoscritto da organizzazioni sindacali compiacenti che cancella non solo il contratto nazionale, ma la democrazia nei luoghi di lavoro con il pieno sostegno di Marcegaglia e Berlusconi.
Non ho mai condiviso l'accusa al governo di non fare nulla perché, viceversa, governo e Confindustria stanno facendo molto, stanno «semplicemente» ridisegnando l'assetto democratico e sociale del paese in senso autoritario, riducendo gli spazi di democrazia perché considerano il conflitto sociale un fatto eversivo. In questo modo si costruisce una Costituzione materiale che ne prefigura il cambiamento formale a partire dal primo articolo. Tagliare le radici, togliere cittadinanza alla possibilità di fare vivere un altro punto di vista, autonomo e democratico nei luoghi di lavoro, nel mondo della scuola, nell'informazione e nel territorio, rappresenta l'obiettivo che governo e Confindustria perseguono. Tutto è subordinato alla logica del liberismo, dalla condizione umana a quella ambientale, nell'interesse del capitale finanziario e industriale assunto come interesse generale. Non soltanto le istanze storiche proprie della sinistra, ma la stessa idea di società e di Stato di natura liberal-democratica viene negata, annullata dentro lo schema «assuefazione-rivolta» che il sistema ha da sempre contemplato e previsto.
Questo, anche simbolicamente, è avvenuto nella giornata del 23 dicembre. Dopo il «Collegato lavoro» che apre la strada alla distruzione del sistema dei diritti e delle tutele e, in attesa dello «Statuto dei lavori», la Fiat ha definito un accordo «di primo livello», cioè sostitutivo e peggiorativo del Ccnl (contratto nazionale di lavoro) che afferma un concetto molto semplice: le organizzazioni sindacali che firmano questo regolamento potranno «esistere» nello stabilimento, mentre quelle che dissentono non avranno più alcuna agibilità, dai permessi sindacali al diritto di assemblea, alla trattenuta per l'iscrizione al sindacato. Inoltre si aggiunge che se qualcuno «sgarra» e protesta, perché scoprirà nel 2012 che quell'organizzazione del lavoro non è sostenibile, che si tratti di una organizzazione sindacale o di un singolo lavoratore, sarà oggetto di provvedimenti punitivi. In sostanza il sindacato come soggetto negoziale non esiste più, la lavoratrice, il lavoratore non possono più eleggere democraticamente i loro delegati e il loro libero consenso. È paradossale che la Fiat promuova un referendum sull'esercizio della democrazia nello stabilimento con il ricatto occupazionale, come fosse zona franca dai diritti di cittadinanza definiti dalla Costituzione.
La Confindustria ha reagito sostenendo che la New-co (con relativa uscita dalla associazione) dev'essere transitoria e nel frattempo vanno costruite le condizioni per un suo futuro rientro attraverso un nuovo accordo sulle Rsu che superi quello del 1993 e con un accordo specifico per il settore auto (le soluzione tecniche possono essere diverse).
Di male in peggio. La Fiat detta le condizioni, in un percorso aperto con l'accordo separato confederale sulla struttura contrattuale che dimostra in questa fase il suo significato di carattere generale per le relazioni industriali. Non siamo di fronte a un altro accordo separato, ma a una scelta strategica, dove Fiat e alcune organizzazioni sindacali decidono di negare ad altre l'agibilità nello stabilimento, il diritto democratico delle lavoratrici e dei lavoratori di eleggere i loro rappresentanti, come dire «esistete soltanto se accettate le mie condizioni, se siete al mio servizio».
Sarebbe inverosimile che la Cgil accettasse questo terreno di confronto senza tirarne le dovute conseguenze per aprire una nuova fase di mobilitazione in tutto il paese, di cui lo sciopero generale è soltanto uno degli strumenti. In questo contesto si dovrebbe collocare la rivendicazione di un sistema di regole democratiche fondate sul diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di votare con referendum le piattaforme, gli accordi nazionali e categoriali e di eleggere su base proporzionale i propri rappresentanti sindacali. Vuole dire costruire una piattaforma sulla democrazia nei luoghi di lavoro. In caso contrario saremmo di fronte alla resa, «al cappello in mano di fronte all'agrario».
A fronte di questa situazione, con il disagio sociale destinato ad aumentare, è necessario unire sul terreno della democrazia, della libertà e del lavoro ciò che altri vogliono dividere, sapendo leggere il senso, il significato profondo di quel che sta avvenendo per costruire un'alternativa sociale. Una proposta alternativa di uscita dalla crisi. Questo è il senso che abbiamo dato alle prime iniziative di «Uniti contro la crisi» di questi mesi e che saranno oggetto di ricerca e approfondimento nel seminario previsto per il 22 e 23 gennaio 2011.
Ma torniamo al 23 dicembre, a quel che è stato deciso in quella giornata, e allora domandiamoci se non è il caso che il manifesto si faccia promotore di un'iniziativa, un incontro tra mondo dell'informazione, della scuola, del lavoro in modo particolare dei metalmeccanici, per individuare terreni e percorsi di iniziativa comune.
Gianni Rinaldini
coord. dell'area programmatica «La Cgil che vogliamo»
Non ho mai condiviso l'accusa al governo di non fare nulla perché, viceversa, governo e Confindustria stanno facendo molto, stanno «semplicemente» ridisegnando l'assetto democratico e sociale del paese in senso autoritario, riducendo gli spazi di democrazia perché considerano il conflitto sociale un fatto eversivo. In questo modo si costruisce una Costituzione materiale che ne prefigura il cambiamento formale a partire dal primo articolo. Tagliare le radici, togliere cittadinanza alla possibilità di fare vivere un altro punto di vista, autonomo e democratico nei luoghi di lavoro, nel mondo della scuola, nell'informazione e nel territorio, rappresenta l'obiettivo che governo e Confindustria perseguono. Tutto è subordinato alla logica del liberismo, dalla condizione umana a quella ambientale, nell'interesse del capitale finanziario e industriale assunto come interesse generale. Non soltanto le istanze storiche proprie della sinistra, ma la stessa idea di società e di Stato di natura liberal-democratica viene negata, annullata dentro lo schema «assuefazione-rivolta» che il sistema ha da sempre contemplato e previsto.
Questo, anche simbolicamente, è avvenuto nella giornata del 23 dicembre. Dopo il «Collegato lavoro» che apre la strada alla distruzione del sistema dei diritti e delle tutele e, in attesa dello «Statuto dei lavori», la Fiat ha definito un accordo «di primo livello», cioè sostitutivo e peggiorativo del Ccnl (contratto nazionale di lavoro) che afferma un concetto molto semplice: le organizzazioni sindacali che firmano questo regolamento potranno «esistere» nello stabilimento, mentre quelle che dissentono non avranno più alcuna agibilità, dai permessi sindacali al diritto di assemblea, alla trattenuta per l'iscrizione al sindacato. Inoltre si aggiunge che se qualcuno «sgarra» e protesta, perché scoprirà nel 2012 che quell'organizzazione del lavoro non è sostenibile, che si tratti di una organizzazione sindacale o di un singolo lavoratore, sarà oggetto di provvedimenti punitivi. In sostanza il sindacato come soggetto negoziale non esiste più, la lavoratrice, il lavoratore non possono più eleggere democraticamente i loro delegati e il loro libero consenso. È paradossale che la Fiat promuova un referendum sull'esercizio della democrazia nello stabilimento con il ricatto occupazionale, come fosse zona franca dai diritti di cittadinanza definiti dalla Costituzione.
La Confindustria ha reagito sostenendo che la New-co (con relativa uscita dalla associazione) dev'essere transitoria e nel frattempo vanno costruite le condizioni per un suo futuro rientro attraverso un nuovo accordo sulle Rsu che superi quello del 1993 e con un accordo specifico per il settore auto (le soluzione tecniche possono essere diverse).
Di male in peggio. La Fiat detta le condizioni, in un percorso aperto con l'accordo separato confederale sulla struttura contrattuale che dimostra in questa fase il suo significato di carattere generale per le relazioni industriali. Non siamo di fronte a un altro accordo separato, ma a una scelta strategica, dove Fiat e alcune organizzazioni sindacali decidono di negare ad altre l'agibilità nello stabilimento, il diritto democratico delle lavoratrici e dei lavoratori di eleggere i loro rappresentanti, come dire «esistete soltanto se accettate le mie condizioni, se siete al mio servizio».
Sarebbe inverosimile che la Cgil accettasse questo terreno di confronto senza tirarne le dovute conseguenze per aprire una nuova fase di mobilitazione in tutto il paese, di cui lo sciopero generale è soltanto uno degli strumenti. In questo contesto si dovrebbe collocare la rivendicazione di un sistema di regole democratiche fondate sul diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di votare con referendum le piattaforme, gli accordi nazionali e categoriali e di eleggere su base proporzionale i propri rappresentanti sindacali. Vuole dire costruire una piattaforma sulla democrazia nei luoghi di lavoro. In caso contrario saremmo di fronte alla resa, «al cappello in mano di fronte all'agrario».
A fronte di questa situazione, con il disagio sociale destinato ad aumentare, è necessario unire sul terreno della democrazia, della libertà e del lavoro ciò che altri vogliono dividere, sapendo leggere il senso, il significato profondo di quel che sta avvenendo per costruire un'alternativa sociale. Una proposta alternativa di uscita dalla crisi. Questo è il senso che abbiamo dato alle prime iniziative di «Uniti contro la crisi» di questi mesi e che saranno oggetto di ricerca e approfondimento nel seminario previsto per il 22 e 23 gennaio 2011.
Ma torniamo al 23 dicembre, a quel che è stato deciso in quella giornata, e allora domandiamoci se non è il caso che il manifesto si faccia promotore di un'iniziativa, un incontro tra mondo dell'informazione, della scuola, del lavoro in modo particolare dei metalmeccanici, per individuare terreni e percorsi di iniziativa comune.
Gianni Rinaldini
coord. dell'area programmatica «La Cgil che vogliamo»
martedì 28 dicembre 2010
L’accordo di Mirafiori? Un attacco ai lavoratori. Il più grave dai tempi del fascismo
Il presidente del Comitato centrale della Fiom Giorgio Cremaschi attacca l'accordo sottoscritto fra la Fiat e le altre sigle sindacali: “E' come se Berlusconi dicesse che per risanare il bilancio bisogna cancellare le elezioni”. Poi si rivolge a Susanna Camusso: "Un errore cercare l'accordo con Confindustria"
“E’ la prima volta dai tempi del fascismo che si prova a togliere il diritto dei lavoratori ad eleggere i propri rappresentanti”. E’ un fiume in piena Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della Fiom. Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil è l’unico a non aver sottoscritto l’accordo separato del 23 dicembre con il numero uno di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne sul destino dello stabilimento torinese di Mirafiori.
L’intesa, che ha ricevuto il via libera delle altre sigle (Fim, Uilm, Ugl e Fismic) prevede una serie di regole che vanno dall’orario di lavoro alle assenze per malattia (leggi l’articolo). Ma la novità più importante è che, con l’uscita da Confindustria, la NewCo che sorgerà dalle ceneri di Mirafiori non sarà più obbligata a riconoscere il contratto nazionale siglato con Federmeccanica. E così potrà anche abolire le relazioni sindacali stabilite dall’intesa tra industriali e sindacati confederali nel 1993, che prevede il diritto dei lavoratori di uno stabilimento di eleggere autonomamente i propri rappresentanti (che vanno a formare le Rappresentanze sindacali unitarie). Nella nuova azienda avranno voce in capitolo solo gli esponenti eletti da quei sindacati che hanno firmato l’intesa.
E qui, per la Fiom, casca l’asino. Secondo Cremaschi, il patto di Mirafiori è il segno tangibile dell’avanzata dell’autoritarismo. “E’ come se Berlusconi dicesse che per risanare il bilancio bisogna cancellare le elezioni”. E affida il suo pensiero a un paragone storico: “E’ come il 2 ottobre del 1925, quando l’allora presidente del Consiglio Benito Mussolini assieme a Confindustria e ai sindacati fascisti firmò un accordo per l’azzeramento delle commissioni interne alle fabbriche”.
Il patto di Mirafiori è stato però accolto in maniera positiva da molti ambienti politici e sindacali. A partire da Uilm e Fim-Cisl che, al contrario della Fiom, hanno firmato il documento, passando per il premier che ha parlato di accordo “innovativo, storico e positivo”, fino ad alcuni esponenti del Partito democratico.
Cremaschi ce l’ha soprattutto con le due sigle: “Sono sindacati gialli, alle complete dipendenze della Fiat. Non è mai successo – continua il sindacalista – che due organizzazioni firmino un accordo di quella portata escludendone un altro. Che per giunta è il sindacato principale e più rappresentativo”.
La tuta blu non risparmia colpi anche a quegli ambienti del centrosinistra, soprattutto piemontese, che hanno salutato positivamente l’accordo: “Non si può essere contro Berlusconi e a favore di Marchionne. Faccio un invito a tutti i politici del Pd che si sono detti favorevoli all’intesa di Mirafiori: vadano con Berlusconi. A partire dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino”.
In realtà le frizioni all’interno del sindacato riguardano anche la stessa Cgil. In un’intervista rilasciata oggi a Repubblica, il segretario generale Susanna Camusso ha detto che “la Fiom, possibilmente con la Cgil, dovrà aprire una discussione su questa sconfitta. Perché un sindacato non può limitarsi all’opposizione altrimenti rinuncia alla tutela concreta dei lavoratori”. Anche su questo punto Cremaschi non cede di un millimetro: “La Cgil doveva fare lo sciopero generale annunciato lo scorso 16 ottobre se è vero, come ha dichiarato la Camusso, che il disegno di Marchionne è autoritario e antidemocratico”. Un altro errore del neosegretario secondo il leader delle tute blu è quello di aver cercato un accordo con la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia per isolare il numero uno del Lingotto. “Il risultato è che mentre la Fiat usciva dall’associazione degli industriali, il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei entrava in Fiat Industrial”.
Mercoledì prossimo è in programma un’assemblea straordinaria del Comitato centrale del sindacato dei metalmeccanici. All’ordine del giorno “le risposte da dare all’accordo che è la più grave violazione delle libertà sindacali dal 1945”. In quella sede, assicura Cremaschi, la Fiom metterà in piedi una strategia di lotta anche in campo politico e giuridico. “Perché quell’intesa viola una serie di articoli della Costituzione a partire dal primo”.
Alla riunione del comitato si parlerà anche del referendum interno ai lavoratori dello stabilimento che sarà programmato dopo il 10 gennaio 2011. Una consultazione che ufficialmente la Fiom non riconosce anche se annuncia che organizzerà la tutela di quei lavoratori che intenderanno votare. “Più che un referendum è un plebiscito autoritario – conclude Cremaschi – La consultazione ha due obiettivi. Il primo sancisce la volontà dei lavoratori che, con la pistola puntata alla tempia, devono decidere di non avere più rappresentanze sindacali all’interno della fabbrica, il secondo è quello di fare fuori la Fiom che diventerà una sorta di organizzazione clandestina all’interno della Fiat”.
Clandestina o meno, quello che in questi mesi la Fiom non è riuscita a fare è di contraddire l’assunto che le tutele dei lavoratori, così come formulate in Italia, sono un freno per il processi produttivi e industriali delle aziende. E forse è anche per questo che è rimasta sola a dire no all’accordo di Mirafiori. Un’analisi che Cremaschi rimanda al mittente: “La mia organizzazione sarà pur isolata nel Palazzo. Ma è il Palazzo e non la Fiom che non è in sintonia con il Paese. E le rivolte sociali di questo periodo non fanno che confermarlo”.
Giorgio Cremaschi
fonte: www.ilfattoquotidiano.it
“E’ la prima volta dai tempi del fascismo che si prova a togliere il diritto dei lavoratori ad eleggere i propri rappresentanti”. E’ un fiume in piena Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della Fiom. Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil è l’unico a non aver sottoscritto l’accordo separato del 23 dicembre con il numero uno di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne sul destino dello stabilimento torinese di Mirafiori.
L’intesa, che ha ricevuto il via libera delle altre sigle (Fim, Uilm, Ugl e Fismic) prevede una serie di regole che vanno dall’orario di lavoro alle assenze per malattia (leggi l’articolo). Ma la novità più importante è che, con l’uscita da Confindustria, la NewCo che sorgerà dalle ceneri di Mirafiori non sarà più obbligata a riconoscere il contratto nazionale siglato con Federmeccanica. E così potrà anche abolire le relazioni sindacali stabilite dall’intesa tra industriali e sindacati confederali nel 1993, che prevede il diritto dei lavoratori di uno stabilimento di eleggere autonomamente i propri rappresentanti (che vanno a formare le Rappresentanze sindacali unitarie). Nella nuova azienda avranno voce in capitolo solo gli esponenti eletti da quei sindacati che hanno firmato l’intesa.
E qui, per la Fiom, casca l’asino. Secondo Cremaschi, il patto di Mirafiori è il segno tangibile dell’avanzata dell’autoritarismo. “E’ come se Berlusconi dicesse che per risanare il bilancio bisogna cancellare le elezioni”. E affida il suo pensiero a un paragone storico: “E’ come il 2 ottobre del 1925, quando l’allora presidente del Consiglio Benito Mussolini assieme a Confindustria e ai sindacati fascisti firmò un accordo per l’azzeramento delle commissioni interne alle fabbriche”.
Il patto di Mirafiori è stato però accolto in maniera positiva da molti ambienti politici e sindacali. A partire da Uilm e Fim-Cisl che, al contrario della Fiom, hanno firmato il documento, passando per il premier che ha parlato di accordo “innovativo, storico e positivo”, fino ad alcuni esponenti del Partito democratico.
Cremaschi ce l’ha soprattutto con le due sigle: “Sono sindacati gialli, alle complete dipendenze della Fiat. Non è mai successo – continua il sindacalista – che due organizzazioni firmino un accordo di quella portata escludendone un altro. Che per giunta è il sindacato principale e più rappresentativo”.
La tuta blu non risparmia colpi anche a quegli ambienti del centrosinistra, soprattutto piemontese, che hanno salutato positivamente l’accordo: “Non si può essere contro Berlusconi e a favore di Marchionne. Faccio un invito a tutti i politici del Pd che si sono detti favorevoli all’intesa di Mirafiori: vadano con Berlusconi. A partire dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino”.
In realtà le frizioni all’interno del sindacato riguardano anche la stessa Cgil. In un’intervista rilasciata oggi a Repubblica, il segretario generale Susanna Camusso ha detto che “la Fiom, possibilmente con la Cgil, dovrà aprire una discussione su questa sconfitta. Perché un sindacato non può limitarsi all’opposizione altrimenti rinuncia alla tutela concreta dei lavoratori”. Anche su questo punto Cremaschi non cede di un millimetro: “La Cgil doveva fare lo sciopero generale annunciato lo scorso 16 ottobre se è vero, come ha dichiarato la Camusso, che il disegno di Marchionne è autoritario e antidemocratico”. Un altro errore del neosegretario secondo il leader delle tute blu è quello di aver cercato un accordo con la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia per isolare il numero uno del Lingotto. “Il risultato è che mentre la Fiat usciva dall’associazione degli industriali, il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei entrava in Fiat Industrial”.
Mercoledì prossimo è in programma un’assemblea straordinaria del Comitato centrale del sindacato dei metalmeccanici. All’ordine del giorno “le risposte da dare all’accordo che è la più grave violazione delle libertà sindacali dal 1945”. In quella sede, assicura Cremaschi, la Fiom metterà in piedi una strategia di lotta anche in campo politico e giuridico. “Perché quell’intesa viola una serie di articoli della Costituzione a partire dal primo”.
Alla riunione del comitato si parlerà anche del referendum interno ai lavoratori dello stabilimento che sarà programmato dopo il 10 gennaio 2011. Una consultazione che ufficialmente la Fiom non riconosce anche se annuncia che organizzerà la tutela di quei lavoratori che intenderanno votare. “Più che un referendum è un plebiscito autoritario – conclude Cremaschi – La consultazione ha due obiettivi. Il primo sancisce la volontà dei lavoratori che, con la pistola puntata alla tempia, devono decidere di non avere più rappresentanze sindacali all’interno della fabbrica, il secondo è quello di fare fuori la Fiom che diventerà una sorta di organizzazione clandestina all’interno della Fiat”.
Clandestina o meno, quello che in questi mesi la Fiom non è riuscita a fare è di contraddire l’assunto che le tutele dei lavoratori, così come formulate in Italia, sono un freno per il processi produttivi e industriali delle aziende. E forse è anche per questo che è rimasta sola a dire no all’accordo di Mirafiori. Un’analisi che Cremaschi rimanda al mittente: “La mia organizzazione sarà pur isolata nel Palazzo. Ma è il Palazzo e non la Fiom che non è in sintonia con il Paese. E le rivolte sociali di questo periodo non fanno che confermarlo”.
Giorgio Cremaschi
fonte: www.ilfattoquotidiano.it
lunedì 27 dicembre 2010
L'intervista a Camusso su La Repubblica
Cara compagna Camusso così non va! La Fiom non ha sbagliato a dire NO a Marchionne. La Cgil ha sbagliato a non fare lo sciopero generale nell'illusione, che continua, che la Confindustria si dissoci dalla Fiat. Red. sito R28A. Segue il testo dell'intervista (...)
Camusso all´attacco di Marchionne "Antidemocratico e autoritario"
"Ritorno al passato con quell´intesa"
Noi non avremmo mai firmato un accordo concordando l´esclusione di un sindacato dall'azienda. O fa sentire la sua autorevolezza nel sistema delle imprese o prevarranno le regole della giungla. Un sindacato non può limitarsi all'opposizione, altrimenti rinuncia alla tutela concreta dei lavoratori.
ROMA - «Sergio Marchionne? Un antidemocratico, illiberale e autoritario», risponde Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che per la prima volta parla dell´accordo separato alla Fiat-Chrysler raggiunto alla vigilia di Natale. Un´intesa - dice - che la Cgil non avrebbe mai firmato perché «non si può concordare l´esclusione di un sindacato». Camusso attacca Cisl e Uil: «Si sono trasformate in sindacati aziendalisti che propagano la posizione della Fiat». Poi la Confindustria: «O fa sentire la sua autorevolezza nel sistema delle imprese oppure prevarranno le regole della giungla. Non può limitarsi a guardare perché è in atto un´offensiva pure nei suoi confronti». Ma ci sono anche errori della Fiom, sostiene il leader della Cgil: «Dovremo discuterne al nostro interno». Nessuno sciopero in vista (a parte quello della Fiom) ma una grande campagna sul tema della libertà sindacale. E il Pd? «Bene Bersani - risponde Camusso -, ma troppo spesso a sinistra si sviluppa uno stucchevole dibattito sull'innovazione senza accorgersi che può rappresentare anche un profondo arretramento».
Cosa significa l´esclusione della Fiom da Mirafiori, fabbrica simbolo nella storia industriale italiana?
«Significa il ritorno agli anni Cinquanta. Allora c´erano i reparti confino, oggi c´è l´esclusione della rappresentanza sindacale. L´idea, tuttavia, è esattamente la stessa. E cioè quella di costruire un sindacato non aziendale bensì aziendalista il cui unico scopo è quello di propagare le posizioni dell´impresa».
Non le pare un po´ offensivo nei confronti della Cisl e della Uil?
«Guardi, nel suo libro "Il tempo della semina", Bonanni racconta con orgoglio come, proprio negli anni Cinquanta, la Cisl rifiutò la richiesta della Fiat di inserire nelle liste cisline per l'elezione delle Commissioni interne alcuni nomi graditi all´azienda. È Bonanni che illustra bene come il sindacato aziendale sia la negazione di quello confederale. Ora dovrebbe spiegarci lui come considera un accordo che contiene al suo interno le regole per escludere un altro sindacato confederale».
Si sta prefigurando un sistema di relazioni industriali senza la Cgil?
«Secondo me la Fiat ha deliberatamente costruito una successione di eventi per negare la libertà sindacale».
Marchionne ha sempre detto che tesi di questo genere non stanno né in cielo né in terra.
«E allora, perché non applica l´accordo interconfederale del ´93 sulla libertà sindacale? Vorrei poi ricordare a Confindustria che non può restare immobile se vuole evitare che salti, come ha riconosciuto, il sistema della rappresentanza sindacale. Se non si vuole rischiare che il conflitto sociale diventi ingovernabile bisogna al più presto trovare un accordo sulla rappresentanza e la democrazia sindacali che completi il protocollo del ‘93».
Spetta alla Confindustria aprire il negoziato?
«È irrilevante chi lo fa. Io credo che Cisl e Uil abbiano sottovalutato l´effetto dell´intesa per Mirafiori. Perché quando si permette a una grande impresa di escludere un sindacato, si sa con chi si comincia ma non si sa con chi si finisce».
Considera Marchionne un innovatore o, come si diceva un tempo, un reazionario?
«Penso che il tratto distintivo di quell´accordo sia il suo essere anti-democratico. Direi che Marchionne è un anti-democratico e illiberale. Il tema vero è questo. Aggiungo che non può esserci un modello partecipativo che si fondi sull´impedimento della libertà sindacale».
Ma la Fiom non poteva firmare "turandosi il naso", rimanendo però all´interno della fabbrica?
«È difficile applicare il principio del voto con il naso turato nelle trattative sindacali. La Fiom, possibilmente con la Cgil, dovrà aprire una discussione su questa sconfitta. Perché, l´ho già detto, un sindacato non può limitarsi all´opposizione altrimenti rinuncia alla tutela concreta dei lavoratori».
Sta criticando la Fiom. Le colpe, allora, sono anche a casa sua?
«Quando c´è una sconfitta non possono non essere stati commessi degli errori. Nessuna grande sconfitta è solo figlia della controparte. Ce l´ha insegnato Di Vittorio: se anche ci fosse una responsabilità in percentuale minima, su quella ci si deve interrogare».
Perché condivide il no all´accordo per Mirafiori?
«Perché quella proposta è poco rispettosa della fatica del lavoro. Non si può applicare ai lavoratori la cosiddetta "clausola di responsabilità", secondo la quale non è possibile opporsi all´intesa e scioperare anche se le condizioni di lavoro diventano insopportabili. Una clausola di quel tipo possono sceglierla sindacati e imprese ma non possono subirla i lavoratori».
Dunque, questo è il motivo del no?
«Questo è il motivo . Comunque la Cgil non firmerebbe mai un accordo che escludesse un altro sindacato».
Ammetterà almeno che Cisl e Uil hanno reso possibile l´investimento della Fiat e così il futuro produttivo di Mirafiori?
«Capisco questo ragionamento e lo considero un tema importante. Tuttavia mi piacerebbe sapere qual è il progetto "Fabbrica Italia" e come la Fiat pensi di colmare il ritardo che ha accumulato rispetto ai suoi concorrenti sul versante dei modelli. Ma anche per questo continuo a non comprendere quale necessità ci fosse di ricorrere a un modello autoritario che ci riporta agli anni Cinquanta».
Intervista a Susanna Camusso di Roberto Mania, La Repubblica, 27 dicembre 2010.
fonte: http://www.rete28aprile.it/
Fiat. Airaudo (Fiom): “A Mirafiori un accordo vergognoso che cancella il Contratto nazionale e impone un modello sindacale aziendalista e neocorporativo”
Giorgio Airaudo, segretario nazionale della Fiom-Cgil, ha rilasciato oggi la seguente dichiarazione.
“Quello firmato a Mirafiori da Fiat, Fim, Uilm, Fismic, Ugl e l’Associazione quadri è un accordo vergognoso. La Fiat impone in fabbrica e nel sistema delle relazioni industriali italiane un modello aziendalista e neocorporativo, semplificando il pluralismo sindacale riducendolo ad un unico sindacato per un’unica compagnia: la Crysler-Fiat”
“Si costituisce un contratto unico nazionale per le aziende del settore auto della Fiat alternativo ai contratti nazionali di lavoro, che peggiora le condizioni di lavoro, a partire dall’introduzione del modello Pomigliano anche a Mirafiori.”
“In questo scenario, non c’è spazio per sindacati dissenzienti e quelli senzienti sono imbrigliati in un sistema di sanzioni.”
“Si tratta, inoltre, di uno strappo costituzionale gravissimo perché si limita la libera scelta di associazione sindacale. Inoltre, la cancellazione delle Rsu e della possibilità delle lavoratrici e dei lavoratori di scegliere i propri rappresentanti avviene nel silenzio totale degli altri sindacati confederali.”
“Il referendum, che dovrebbe avere luogo a gennaio, per la Fiom è illegittimo perché riguarda materie indisponibili.”
“La Fiom rimarrà al fianco dei lavoratori e delle lavoratrici comunque voteranno per riconquistare il Contratto nazionale, la libertà di adesione al sindacato e tenere il sistema delle relazioni industriali all’interno dell’Europa sociale. Tutta la Fiom risponderà all’attacco in corso al contratto, alle leggi e alla libertà, in una battaglia che non riguarda solo il sindacato dei metalmeccanici, ma tutta la Confederazione.”
Marchionne è un criminale in buona compagnia. di Eugenio Orso
A questo punto le mezze parole, le ipocrisie, le parafrasi e tutto l’impianto letterario-sintattico-lessicale del “voglio ma non posso” dirlo con chiarezza non regge più.
Marchionne non è altro che un bieco sfruttatore globalista, uno spietato contractor ad alto livello e uno schiavista lasciato libero di agire, in questo paese e in altri, da governicchi asserviti agli agenti storici di quel capitalismo marcio che ci tiene in pugno, e che sembra destinato a dominare l’inizio del terzo millennio.
Marchionne è simile ai macellai che dirigevano i campi di concentramento novecenteschi o ai “lanisti” di età romana che trafficavano in schiavi, sempre proni dinanzi all’aristocrazia del tempo, ma forse è ancor peggiore di questi, poiché rappresenta un’ulteriore diminuzione dell’uomo che prelude ad un’altra “specie”, più feroce ed insensibile della nostra. Marchionne è ben pagato per ristabilire l’equazione lavoro-schiavitù portandola alle estreme conseguenze, ed è incaricato della Creazione del Valore in nome e per conto degli agenti strategici di questo capitalismo, delle élite globaliste per le quali questo individuo abbietto sta pregiudicando il futuro e la dignità di migliaia di famiglie italiane.
Marchionne è disposto a tentare qualsiasi ricatto, come quello che prevede lo scambio dei diritti contro un salario che in realtà è sempre più misero, e per lui l’etica significa esclusivamente “creare valore per l’azionista”.
Se poi posiamo lo sguardo sul testo dell’accordo dello scorso 23 di dicembre, per il rilancio produttivo dello stabilimento di Mirafiori Plant, scopriamo che si tratta di una serie di clausole-capestro imposte ai lavoratori, poiché: Ai fini operativi la Joint Venture, che non aderirà al sistema confindustriale, applicherà un contratto collettivo specifico di primo livello che includerà quanto convenuto con la presente intesa.
Si specifica di seguito, essendo questo “accordo” un’imposizione, una sorta di diktat mascherato, che tutte le sue clausole sono correlate ed inscindibili tra loro, e che il mancato rispetto degli impegni da parte dei sindacati gialli firmatari e delle loro rappresentanze avrà l’effetto di liberare l’Azienda dagli obblighi derivanti dal presente accordo nonché da quelli contrattuali, lasciandola magari libera di chiudere Mirafiori e di andarsene dall’Italia.
Due sono gli elementi che balzano all’occhio, leggendo il testo di questo accordo-diktat dalle cosiddette clausole di responsabilità agli allegati, e cioè che ciò avviene al di fuori di quelli che ancora dovrebbero essere i canali ordinari – il citato sistema confindustriale, ossia il Ccnl per intenderci meglio – e la piena libertà che la Fiat di Marchionne si concede nel caso qualcuno osi “alzare la testa” non rispettando le clausole imposte.
Fatta salva la mezz’ora retribuita per la refezione collocata all’interno dei turni, iniziano le grottesche imposizioni, in una generale limitazione dei diritti non certo “compensata” da robusti elementi retributivi.
Particolarmente feroce sarà la lotta all’”assenteismo”, ad eccezione dei casi conclamati di malattie gravi, gravissime o terminali, i quali saranno valutati [forse] con benevolo dall’azienda, e le indennità concesse ai lavoratori sono particolarmente ridicole, come ad esempio le seguenti: indennità di disagio linea, euro/ora 0,0177 lordi pari a euro/mese 3,0621 lordi, oppure premio mansione euro/ora 0,0248 lordi pari a euro/mese 4,2900 lordi.
Dato che l’utilizzo degli impianti, a discrezione dell’azienda, è giudicato molto più importante della dignità delle persone e del riconoscimento dei diritti, si impongono due schemi di orario, che in sintesi sono i seguenti: 1° schema orario – 15 turni (8 ore x 3 turni x 5 giorni alla settimana) e 2° schema orario – 18 turni (8 ore x 3 turni x 6 giorni alla settimana).
Però non si rinuncia a scaricare la crisi capitalistica che investe il settore dell’auto su lavoratori e risorse pubbliche, in quanto durante il periodo che precederà l’avvio produttivo della Joint Venture le Parti convengono sulla necessità di ricorrere […] alla cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale per evento improvviso e imprevisto, per tutto il personale a partire dal 14 febbraio 2011 per la durata di un anno.
Quelle che si fanno passare per esigenze produttive determinate dal mercato domineranno incontrastate, a Mirafiori, poiché l’azienda gestita da Marchionne per conto dei globalisti potrà imporre ai lavoratori fino a 200 ore annue pro-capite di lavoro straordinario, di cui 120 ore senza preventivo accordo sindacale.
Non solo, ma per i lavoratori addetti alle linee che saranno così “fortunati” da operare sul turno sperimentale di 10 ore, vi sarà un'indennità di prestazione collegata alla presenza di ben 0,2346 euro [neanche a dirlo] lordi orari.
Seguono poi i recuperi produttivi, i fabbisogni organici, per i quali vi sarà ampio ricorso in primo luogo al lavoro precario somministrato, al termine e all’apprendistato, le disposizioni in merito all’assenteismo, per malattia anzitutto, ma è chiaro che questo orribile accordo-diktat fra le “Parti” è stato possibile perché ci sono i sindacati gialli firmatari, disposti a vendere il vendibile, ed un governo nazionale cialtrone, socialmente criminale, il cui capo è interessato in primo luogo alla sua sopravvivenza politica per evitare le manette, fregandosene sia delle sorti del paese sia della questione sociale.
Le “Parti”, per quando riguarda l’abominevole sindacalismo giallo che oggi trionfa, sono per l’esattezza Fim, Uilm, Fismic e UGL Metalmeccanici, e queste sigle, gli stessi nomi e cognomi dei firmatari, sarà bene ricordarseli, quando e se verrà il momento del riscatto, perché sappiamo bene che d’ora in avanti si cercherà di estendere simili accordi alla generalità dei settori produttivi.
L’accordo-capestro, volto a sottomettere interamente i lavoratori e ad espellere dalla fabbrica l’unico sindacato che ancora li rappresenta – quella Fiom che è l’unica ad aver respinto l’esca avvelenata – è stato ottimamente accolto da Berlusconi, il quale lo ha definito un accordo storico e positivo …
Marchionne è quindi in buona compagnia, una compagnia degna di lui e di ciò che nella realtà rappresenta.
Per la verità, questo individuo tanto giustamente vituperato da chi ha ancora un po’ di senso di giustizia e qualche considerazione per la dignità dell’uomo, è niente altro che un prodotto antropologico spregevole della dominazione capitalistica incontrastata, la quale agisce sempre più in profondità attraverso manipolazioni culturali e simboliche, attraverso la flessibilizzazione del lavoro e la precarizzazione degli stessi percorsi esistenziali.
Il Dopo Cristo in cui questo individuo dichiara di vivere, è il tempo della riproduzione capitalistica che non incontra più ostacoli, è il tempo discontinuo della precarietà, è il tempo della speculazione su tutto, dai prodotti energetici all’acqua, è il tempo di una nuova barbarie che lo stesso Marchionne e i suoi simili diffondono.
Per quanto riguarda l’Italia, notiamo che l’accordo separato per Mirafiori, estensibile in futuro in tutte le direzioni, ad altri settori e in molti comparti, non è altro che la riproposizione per nuove vie e in nuove forme, questa volta in piena Europa, di quelle “zone franche d’esportazione” diffuse nei paesi in sviluppo, in cui si possono violare tranquillamente i diritti dei lavoratori, sottopagarli ed aumentare rapidamente il valore creato.
Per poter istituire queste zone in cui il dominio del capitale tende a diventare assoluto, sono necessarie alcune sponde, come quelle rappresentate, in Italia, dai sindacati gialli, da un governo screditato, corrotto, cialtrone e compiacente, e da un’opposizione vile e inconsistente, a sua volta sottomessa al peggior capitalismo.
Ed è grazie a queste sponde che il Marchionne di turno può realizzare anche in Italia, partendo da Mirafiori e dagli stabilimenti Fiat ancora attivi, il suo allucinante Dopo Cristo, che altro non è se non il tempo dell’illimitatezza capitalistica, della ri-schiavizzazione del lavoro, delle grandi ineguaglianze, dei rischi ambientali diffusi e del degrado etico.
Marchionne qui in Italia è purtroppo in buona compagnia.
Marchionne non è altro che un bieco sfruttatore globalista, uno spietato contractor ad alto livello e uno schiavista lasciato libero di agire, in questo paese e in altri, da governicchi asserviti agli agenti storici di quel capitalismo marcio che ci tiene in pugno, e che sembra destinato a dominare l’inizio del terzo millennio.
Marchionne è simile ai macellai che dirigevano i campi di concentramento novecenteschi o ai “lanisti” di età romana che trafficavano in schiavi, sempre proni dinanzi all’aristocrazia del tempo, ma forse è ancor peggiore di questi, poiché rappresenta un’ulteriore diminuzione dell’uomo che prelude ad un’altra “specie”, più feroce ed insensibile della nostra. Marchionne è ben pagato per ristabilire l’equazione lavoro-schiavitù portandola alle estreme conseguenze, ed è incaricato della Creazione del Valore in nome e per conto degli agenti strategici di questo capitalismo, delle élite globaliste per le quali questo individuo abbietto sta pregiudicando il futuro e la dignità di migliaia di famiglie italiane.
Marchionne è disposto a tentare qualsiasi ricatto, come quello che prevede lo scambio dei diritti contro un salario che in realtà è sempre più misero, e per lui l’etica significa esclusivamente “creare valore per l’azionista”.
Se poi posiamo lo sguardo sul testo dell’accordo dello scorso 23 di dicembre, per il rilancio produttivo dello stabilimento di Mirafiori Plant, scopriamo che si tratta di una serie di clausole-capestro imposte ai lavoratori, poiché: Ai fini operativi la Joint Venture, che non aderirà al sistema confindustriale, applicherà un contratto collettivo specifico di primo livello che includerà quanto convenuto con la presente intesa.
Si specifica di seguito, essendo questo “accordo” un’imposizione, una sorta di diktat mascherato, che tutte le sue clausole sono correlate ed inscindibili tra loro, e che il mancato rispetto degli impegni da parte dei sindacati gialli firmatari e delle loro rappresentanze avrà l’effetto di liberare l’Azienda dagli obblighi derivanti dal presente accordo nonché da quelli contrattuali, lasciandola magari libera di chiudere Mirafiori e di andarsene dall’Italia.
Due sono gli elementi che balzano all’occhio, leggendo il testo di questo accordo-diktat dalle cosiddette clausole di responsabilità agli allegati, e cioè che ciò avviene al di fuori di quelli che ancora dovrebbero essere i canali ordinari – il citato sistema confindustriale, ossia il Ccnl per intenderci meglio – e la piena libertà che la Fiat di Marchionne si concede nel caso qualcuno osi “alzare la testa” non rispettando le clausole imposte.
Fatta salva la mezz’ora retribuita per la refezione collocata all’interno dei turni, iniziano le grottesche imposizioni, in una generale limitazione dei diritti non certo “compensata” da robusti elementi retributivi.
Particolarmente feroce sarà la lotta all’”assenteismo”, ad eccezione dei casi conclamati di malattie gravi, gravissime o terminali, i quali saranno valutati [forse] con benevolo dall’azienda, e le indennità concesse ai lavoratori sono particolarmente ridicole, come ad esempio le seguenti: indennità di disagio linea, euro/ora 0,0177 lordi pari a euro/mese 3,0621 lordi, oppure premio mansione euro/ora 0,0248 lordi pari a euro/mese 4,2900 lordi.
Dato che l’utilizzo degli impianti, a discrezione dell’azienda, è giudicato molto più importante della dignità delle persone e del riconoscimento dei diritti, si impongono due schemi di orario, che in sintesi sono i seguenti: 1° schema orario – 15 turni (8 ore x 3 turni x 5 giorni alla settimana) e 2° schema orario – 18 turni (8 ore x 3 turni x 6 giorni alla settimana).
Però non si rinuncia a scaricare la crisi capitalistica che investe il settore dell’auto su lavoratori e risorse pubbliche, in quanto durante il periodo che precederà l’avvio produttivo della Joint Venture le Parti convengono sulla necessità di ricorrere […] alla cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale per evento improvviso e imprevisto, per tutto il personale a partire dal 14 febbraio 2011 per la durata di un anno.
Quelle che si fanno passare per esigenze produttive determinate dal mercato domineranno incontrastate, a Mirafiori, poiché l’azienda gestita da Marchionne per conto dei globalisti potrà imporre ai lavoratori fino a 200 ore annue pro-capite di lavoro straordinario, di cui 120 ore senza preventivo accordo sindacale.
Non solo, ma per i lavoratori addetti alle linee che saranno così “fortunati” da operare sul turno sperimentale di 10 ore, vi sarà un'indennità di prestazione collegata alla presenza di ben 0,2346 euro [neanche a dirlo] lordi orari.
Seguono poi i recuperi produttivi, i fabbisogni organici, per i quali vi sarà ampio ricorso in primo luogo al lavoro precario somministrato, al termine e all’apprendistato, le disposizioni in merito all’assenteismo, per malattia anzitutto, ma è chiaro che questo orribile accordo-diktat fra le “Parti” è stato possibile perché ci sono i sindacati gialli firmatari, disposti a vendere il vendibile, ed un governo nazionale cialtrone, socialmente criminale, il cui capo è interessato in primo luogo alla sua sopravvivenza politica per evitare le manette, fregandosene sia delle sorti del paese sia della questione sociale.
Le “Parti”, per quando riguarda l’abominevole sindacalismo giallo che oggi trionfa, sono per l’esattezza Fim, Uilm, Fismic e UGL Metalmeccanici, e queste sigle, gli stessi nomi e cognomi dei firmatari, sarà bene ricordarseli, quando e se verrà il momento del riscatto, perché sappiamo bene che d’ora in avanti si cercherà di estendere simili accordi alla generalità dei settori produttivi.
L’accordo-capestro, volto a sottomettere interamente i lavoratori e ad espellere dalla fabbrica l’unico sindacato che ancora li rappresenta – quella Fiom che è l’unica ad aver respinto l’esca avvelenata – è stato ottimamente accolto da Berlusconi, il quale lo ha definito un accordo storico e positivo …
Marchionne è quindi in buona compagnia, una compagnia degna di lui e di ciò che nella realtà rappresenta.
Per la verità, questo individuo tanto giustamente vituperato da chi ha ancora un po’ di senso di giustizia e qualche considerazione per la dignità dell’uomo, è niente altro che un prodotto antropologico spregevole della dominazione capitalistica incontrastata, la quale agisce sempre più in profondità attraverso manipolazioni culturali e simboliche, attraverso la flessibilizzazione del lavoro e la precarizzazione degli stessi percorsi esistenziali.
Il Dopo Cristo in cui questo individuo dichiara di vivere, è il tempo della riproduzione capitalistica che non incontra più ostacoli, è il tempo discontinuo della precarietà, è il tempo della speculazione su tutto, dai prodotti energetici all’acqua, è il tempo di una nuova barbarie che lo stesso Marchionne e i suoi simili diffondono.
Per quanto riguarda l’Italia, notiamo che l’accordo separato per Mirafiori, estensibile in futuro in tutte le direzioni, ad altri settori e in molti comparti, non è altro che la riproposizione per nuove vie e in nuove forme, questa volta in piena Europa, di quelle “zone franche d’esportazione” diffuse nei paesi in sviluppo, in cui si possono violare tranquillamente i diritti dei lavoratori, sottopagarli ed aumentare rapidamente il valore creato.
Per poter istituire queste zone in cui il dominio del capitale tende a diventare assoluto, sono necessarie alcune sponde, come quelle rappresentate, in Italia, dai sindacati gialli, da un governo screditato, corrotto, cialtrone e compiacente, e da un’opposizione vile e inconsistente, a sua volta sottomessa al peggior capitalismo.
Ed è grazie a queste sponde che il Marchionne di turno può realizzare anche in Italia, partendo da Mirafiori e dagli stabilimenti Fiat ancora attivi, il suo allucinante Dopo Cristo, che altro non è se non il tempo dell’illimitatezza capitalistica, della ri-schiavizzazione del lavoro, delle grandi ineguaglianze, dei rischi ambientali diffusi e del degrado etico.
Marchionne qui in Italia è purtroppo in buona compagnia.
Diritti o stipendio: il lavoro nel 2010 secondo Marchionne
Fuori dal lavoro chi osa protestare: o si accettano senza discutere le nuove regole imposte, o la fabbrica chiude i battenti – perché fallisce, schiacciata dal peso del proprio clamoroso insuccesso industriale, o ritenta la fortuna in paesi in cui la prestazione d’opera costa molto meno, anche perché nessuno tutela i lavoratori. Questo il senso dell’amara vicenda maturata alla Fiat per il rilancio (finora solo e sempre ventilato) dello storico stabilimento torinese di Mirafiori. Archiviare il contratto nazionale dei metalmeccanci nella fabbrica simbolo dell’industria italiana equivale al crollo di una diga: da Mirafiori in giù, qualsiasi azienda ora potrebbe imporre nuove regole, cancellando decenni di tutele sindacali.
Questo spiega la rabbiosa reazione della Fiom all’indomani dell’inedito accordo che la Fiat ha siglato con Fim e Uilm: se davvero l’azienda darà vita Maurizio Landinialla “new company” con la Chrysler per avviare a Torino la produzione di Suv dalla seconda metà del 2012, i metalmeccanici della Cgil non saranno più rappresentati in fabbrica e non potranno più partecipare a trattative; qualsiasi vertenza sarà appannaggio delle sole sigle sindacali che hanno accettato le condizioni di Sergio Marchionne, ovvero Cisl e Uil, non più attraverso delegati eletti dagli operai, ma nominati direttamente dai vertici sindacali. La fabbrica viene in pratica commissariata: è stata l’azienda stessa a indire per metà gennaio il referendum che chiama le maestranze a convalidare l’accordo; sottinteso che – se venisse bocciato – sfumerebbero i diecimila posti di lavoro previsti.
«Si tratta di un imbarbarimento sociale: non è accettabile che per fare automobili si arrivi a questo», reagisce il segretario nazionale dei metalmeccanici Cgil, Maurizio Landini. «Si vuole impedire a un sindacato, la Fiom, di rappresentare i lavoratori che la votano». Messaggio chiaro: «Chi dissente non esiste. E’ evidente che la Fiat vuole un sindacato corporativo e aziendale che sia parte integrante delle gerarchie di fabbrica». A Mirafiori, la Fiat rappresenta il 22% dei lavoratori. Che dire degli altri sindacati, quelli Giorgio Airaudoche hanno accettato le condizioni imposte da Marchionne? «Dico che questo è un attacco a tutti: o si dice sempre di sì all’azienda, o si è fuori. Ci pensino».
L’accordo prefigura «120 ore di straordinario obbligatorio, come a Pomigliano», spiega Giorgio Airaudo, già leader della Fiom piemontese e ora responsabile del settore auto per i metalmeccanici della Cgil. L’azienda impone un sistema di turnazioni che può portare il dipendente a fare sei giorni di lavoro con 10 ore per turno. «C’è poi la riduzione di giorni di malattia pagati dall’azienda, che sono tre negli altri contratti di lavoro: a Pomigliano non ne viene pagato più neanche uno, a Torino solo uno». Non solo: «C’è la cancellazione di dieci minuti di pausa: erano 40 minuti per 8 ore di lavoro, adesso sono 30». I lavoratori, continua Airaudo, «firmeranno un contratto individuale con delle clausole con le quali di fatto vengono di fatto dissuasi a scioperare, altrimenti sono sanzionabili».
Secondo Airaudo, l’accordo di Mirafiori è fuori dalle regole dell’accordo interconfederale del luglio 1993, che consente a tutti i sindacati di presentare liste e avere rappresentanti nelle Rsu se ha il 5% dei lavoratori: «Così rendono impossibile la presenza dei metalmeccanici della Cgil. Siamo di fronte al tentativo di un’azione della Fiat per semplificare il pluralismo sindacale italiano, espellendo la Cgil e riducendo all’impotenza anche i sindacati consenzienti. E’ una lesione alla quale pensiamo debba rispondere l’insieme della Cgil». Tutto questo, dopo un mese di contatti nei quali operai Fioml’azienda si è soltanto limitata a illustrare i suoi piani, senza alcuna possibile flessibilità.
«Si deve sapere che non c’è mai stata trattativa», insiste Maurizio Landini. «Noi abbiamo fatto proposte per garantire l’investimento dicendo che nel contratto collettivo già sono disponibili flessibilità come i 15, 16, 17 turni e lo straordinario. Ma non si è voluto discutere. La “pagina bianca” di cui parlava Marchionne non c’è mai stata». Landini non crede che dal tavolo tra Federmeccanica e Fim, Uilm, Fismic possa uscire uno schema contrattuale in cui anche la Fiom possa rientrare: «La Fiat ha detto chiaro che considera quel tavolo inutile». E dire che una contro-proposta la Fiom l’avrebbe anche avanzata: «Propongo un contratto collettivo nazionale per l’industria con un secondo livello aziendale o di sito o di filiera che tenga conto delle specificità», dice Landini. «E’ una proposta o no? Ma qualcuno l’ha mai voluta discutere?».
Durissimo il leader della sinistra Fiom, Giorgio Cremaschi: abolire le rappresentanze sindacali unitarie elette dagli operai ed espellere la Fiom dalla fabbrica? «Questo si chiama fascismo aziendale». Si crea una nuova sigla industriale, sostiene Cremaschi, solo per azzerare i diritti sindacali: «È come se si accettasse che la Val d’Aosta uscisse dall’Italia. Nemmeno alla Lega viene in mente che il federalismo si decide regione per regione». Oggi, invece, con la Fiat abbiamo un sistema di deroghe che non è mai stato fatto Giorgio Cremaschivotare dai lavoratori italiani «e la ragione è molto semplice: se lo potessero votare tutti sarebbe chiaramente respinto».
A livello italiano, il contratto nazionale dei metalmeccanici è considerato una barriera a salvaguardia dei diritti: e così, a cominciare dalla Fiat, lo si neutralizzerà «azienda per azienda», continua Cremaschi: «Dove c’è la pressione degli imprenditori si vota per rinunciare al contratto nazionale: è una mostruosità giuridica». Conferma lo stesso Landini:
«Questa scelta della Fiat riguarda tutti, e non solo la Fiom o Mirafiori. E’ ovvio che le aziende dell’indotto vorranno applicare lo stesso schema. E poi che sarà emulato da altre categorie. E’ un problema che riguarda la Cgil».
E la consultazione aziendale prevista per gennaio? Per Landini, «il referendum è illegittimo perché è su materie indisponibili come il diritto all’associazione sindacale garantito dalla Costituzione». Più che un vero referendum, si annuncia come «un puro plebiscito autoritario e secessionista», lo liquida Cremaschi. Ma non s’erano aperti spazi per una trattativa? «Illusioni: non c’è mai stata una trattativa. La Fiat non ha mai trattato con nessuno, neanche con Bonanni e Angeletti, è tutto finto. La trattativa è solo con chi si piega ai diktat dell’azienda. È come quando Berlusconi dice che è disposto al dialogo, la stessa cosa».
Secondo Cremaschi, la “newco” a Mirafiori la Fiat «la fa solo per una ragione di autentico e puro fascismo aziendale: vogliono semplicemente impedire alla Fiom di presentarsi alle prossime elezioni delle Rsu. È fatto solo per questo. La rappresentanza sindacale andrà solo a chi firmerà accordo. E questo si chiama fascismo. Dire che una forza di opposizione viene eliminata è fascismo: quello di Marchionne è autentico fascismo. E chi firma cose di questo genere e non difende il diritto poter presentarsi alle elezioni, collabora al fascismo aziendale». Per Cremaschi, Cisl e Uil «si assumono responsabilità storiche gravissime: quello che fa Bonanni è una macchia di Marchionne e Chiamparinovergogna nella storia della Cisl. Neanche negli anni più bui si impedì alla Fiom di presentarsi alle elezioni».
E se poi l’accordo salta? «Non è possibile. È il frutto del servilismo», conclude Cremaschi. «Marchionne lo sa, perché dialoga con chi affonda nel servilismo politico e sindacale. Marchionne vuole evitare che la Fiom si presenti al voto per le Rsu. Tutti quelli che hanno firmato l’accordo si dovrebbero vergognare». E mentre il sindaco torinese del Pd, Sergio Chiamparino, plaude all’accordo – in sintonia con Marchionne, col premier Berlusconi e col ministro del lavoro Maurizio Sacconi – la Fiom-Cgil resta praticamente da sola in trincea: «Tra tutte le iniziative che metteremo in campo – dice Landini – chiedo esplicitamente che non si escluda lo sciopero generale. E aggiungo: chiedo a tutti di non lasciare soli i lavoratori di Mirafiori. Lo chiedo a Torino, alle forze politiche».
Questo spiega la rabbiosa reazione della Fiom all’indomani dell’inedito accordo che la Fiat ha siglato con Fim e Uilm: se davvero l’azienda darà vita Maurizio Landinialla “new company” con la Chrysler per avviare a Torino la produzione di Suv dalla seconda metà del 2012, i metalmeccanici della Cgil non saranno più rappresentati in fabbrica e non potranno più partecipare a trattative; qualsiasi vertenza sarà appannaggio delle sole sigle sindacali che hanno accettato le condizioni di Sergio Marchionne, ovvero Cisl e Uil, non più attraverso delegati eletti dagli operai, ma nominati direttamente dai vertici sindacali. La fabbrica viene in pratica commissariata: è stata l’azienda stessa a indire per metà gennaio il referendum che chiama le maestranze a convalidare l’accordo; sottinteso che – se venisse bocciato – sfumerebbero i diecimila posti di lavoro previsti.
«Si tratta di un imbarbarimento sociale: non è accettabile che per fare automobili si arrivi a questo», reagisce il segretario nazionale dei metalmeccanici Cgil, Maurizio Landini. «Si vuole impedire a un sindacato, la Fiom, di rappresentare i lavoratori che la votano». Messaggio chiaro: «Chi dissente non esiste. E’ evidente che la Fiat vuole un sindacato corporativo e aziendale che sia parte integrante delle gerarchie di fabbrica». A Mirafiori, la Fiat rappresenta il 22% dei lavoratori. Che dire degli altri sindacati, quelli Giorgio Airaudoche hanno accettato le condizioni imposte da Marchionne? «Dico che questo è un attacco a tutti: o si dice sempre di sì all’azienda, o si è fuori. Ci pensino».
L’accordo prefigura «120 ore di straordinario obbligatorio, come a Pomigliano», spiega Giorgio Airaudo, già leader della Fiom piemontese e ora responsabile del settore auto per i metalmeccanici della Cgil. L’azienda impone un sistema di turnazioni che può portare il dipendente a fare sei giorni di lavoro con 10 ore per turno. «C’è poi la riduzione di giorni di malattia pagati dall’azienda, che sono tre negli altri contratti di lavoro: a Pomigliano non ne viene pagato più neanche uno, a Torino solo uno». Non solo: «C’è la cancellazione di dieci minuti di pausa: erano 40 minuti per 8 ore di lavoro, adesso sono 30». I lavoratori, continua Airaudo, «firmeranno un contratto individuale con delle clausole con le quali di fatto vengono di fatto dissuasi a scioperare, altrimenti sono sanzionabili».
Secondo Airaudo, l’accordo di Mirafiori è fuori dalle regole dell’accordo interconfederale del luglio 1993, che consente a tutti i sindacati di presentare liste e avere rappresentanti nelle Rsu se ha il 5% dei lavoratori: «Così rendono impossibile la presenza dei metalmeccanici della Cgil. Siamo di fronte al tentativo di un’azione della Fiat per semplificare il pluralismo sindacale italiano, espellendo la Cgil e riducendo all’impotenza anche i sindacati consenzienti. E’ una lesione alla quale pensiamo debba rispondere l’insieme della Cgil». Tutto questo, dopo un mese di contatti nei quali operai Fioml’azienda si è soltanto limitata a illustrare i suoi piani, senza alcuna possibile flessibilità.
«Si deve sapere che non c’è mai stata trattativa», insiste Maurizio Landini. «Noi abbiamo fatto proposte per garantire l’investimento dicendo che nel contratto collettivo già sono disponibili flessibilità come i 15, 16, 17 turni e lo straordinario. Ma non si è voluto discutere. La “pagina bianca” di cui parlava Marchionne non c’è mai stata». Landini non crede che dal tavolo tra Federmeccanica e Fim, Uilm, Fismic possa uscire uno schema contrattuale in cui anche la Fiom possa rientrare: «La Fiat ha detto chiaro che considera quel tavolo inutile». E dire che una contro-proposta la Fiom l’avrebbe anche avanzata: «Propongo un contratto collettivo nazionale per l’industria con un secondo livello aziendale o di sito o di filiera che tenga conto delle specificità», dice Landini. «E’ una proposta o no? Ma qualcuno l’ha mai voluta discutere?».
Durissimo il leader della sinistra Fiom, Giorgio Cremaschi: abolire le rappresentanze sindacali unitarie elette dagli operai ed espellere la Fiom dalla fabbrica? «Questo si chiama fascismo aziendale». Si crea una nuova sigla industriale, sostiene Cremaschi, solo per azzerare i diritti sindacali: «È come se si accettasse che la Val d’Aosta uscisse dall’Italia. Nemmeno alla Lega viene in mente che il federalismo si decide regione per regione». Oggi, invece, con la Fiat abbiamo un sistema di deroghe che non è mai stato fatto Giorgio Cremaschivotare dai lavoratori italiani «e la ragione è molto semplice: se lo potessero votare tutti sarebbe chiaramente respinto».
A livello italiano, il contratto nazionale dei metalmeccanici è considerato una barriera a salvaguardia dei diritti: e così, a cominciare dalla Fiat, lo si neutralizzerà «azienda per azienda», continua Cremaschi: «Dove c’è la pressione degli imprenditori si vota per rinunciare al contratto nazionale: è una mostruosità giuridica». Conferma lo stesso Landini:
«Questa scelta della Fiat riguarda tutti, e non solo la Fiom o Mirafiori. E’ ovvio che le aziende dell’indotto vorranno applicare lo stesso schema. E poi che sarà emulato da altre categorie. E’ un problema che riguarda la Cgil».
E la consultazione aziendale prevista per gennaio? Per Landini, «il referendum è illegittimo perché è su materie indisponibili come il diritto all’associazione sindacale garantito dalla Costituzione». Più che un vero referendum, si annuncia come «un puro plebiscito autoritario e secessionista», lo liquida Cremaschi. Ma non s’erano aperti spazi per una trattativa? «Illusioni: non c’è mai stata una trattativa. La Fiat non ha mai trattato con nessuno, neanche con Bonanni e Angeletti, è tutto finto. La trattativa è solo con chi si piega ai diktat dell’azienda. È come quando Berlusconi dice che è disposto al dialogo, la stessa cosa».
Secondo Cremaschi, la “newco” a Mirafiori la Fiat «la fa solo per una ragione di autentico e puro fascismo aziendale: vogliono semplicemente impedire alla Fiom di presentarsi alle prossime elezioni delle Rsu. È fatto solo per questo. La rappresentanza sindacale andrà solo a chi firmerà accordo. E questo si chiama fascismo. Dire che una forza di opposizione viene eliminata è fascismo: quello di Marchionne è autentico fascismo. E chi firma cose di questo genere e non difende il diritto poter presentarsi alle elezioni, collabora al fascismo aziendale». Per Cremaschi, Cisl e Uil «si assumono responsabilità storiche gravissime: quello che fa Bonanni è una macchia di Marchionne e Chiamparinovergogna nella storia della Cisl. Neanche negli anni più bui si impedì alla Fiom di presentarsi alle elezioni».
E se poi l’accordo salta? «Non è possibile. È il frutto del servilismo», conclude Cremaschi. «Marchionne lo sa, perché dialoga con chi affonda nel servilismo politico e sindacale. Marchionne vuole evitare che la Fiom si presenti al voto per le Rsu. Tutti quelli che hanno firmato l’accordo si dovrebbero vergognare». E mentre il sindaco torinese del Pd, Sergio Chiamparino, plaude all’accordo – in sintonia con Marchionne, col premier Berlusconi e col ministro del lavoro Maurizio Sacconi – la Fiom-Cgil resta praticamente da sola in trincea: «Tra tutte le iniziative che metteremo in campo – dice Landini – chiedo esplicitamente che non si escluda lo sciopero generale. E aggiungo: chiedo a tutti di non lasciare soli i lavoratori di Mirafiori. Lo chiedo a Torino, alle forze politiche».
venerdì 24 dicembre 2010
Intervista a Giorgio Cremaschi - "Il vero obiettivo è escluderci dalle elezioni"
«Questo si chiama fascismo aziendale, avallato da Uil e Cisl. La trattativa? Non è mai esistita».
Mirafiori come Pomigliano d'Arco: accordo separato senza la Fiom. Una brutta pagina per il sindacato italiano. Il nuovo accordo per lo stabilimento torinese della Fiat prevederà quindici rappresentanti (non eletti) per ognuna delle sigle sindacali firmataria dell'intesa, verranno abolite le Rsu e non ci sarà alcuna rappresentanza diretta per gli operai Fiom.
Naturalmente, questo sarà il quadro se l'intesa sulla newco di Mirafiori passerà secondo la proposta Fiat. Comunque, si terrà un referendum sindacale tra i lavoratori della fabbrica. Un referendum, dice al Riformista Giorgio Cremaschi - esponenente della sinistra della Fiom - «illegittimo come quello di Pomigliano: solo da noi accadono queste cose».
Ci spieghi meglio.
È come se si accettasse che la Val d'Aosta uscisse dall'Italia. lo sono molto critico nei confronti del federalismo, ma nemmeno alla Lega viene in mente che il federalismo si decide regione per regione. Oggi, con la Fiat, abbiamo un sistema di deroghe che non è mai stato fatto votare dai lavoratori italiani e la ragione è molto semplice: perché se lo potessero votare tutti sarebbe chiaramente respinto. In questa situazione di crisi il contratto nazionale è la cosa più vera e difesa che i lavoratori hanno. Così. azienda oer azienda e solo dove c'è la pressione degli imprenditori si vota di rinunciare al contratto nazionale: è una mostruosità giuridica. E quello che verrà fatto non sarà un referendum, ma un puro plebiscito autoritario e secessionista. Per noi non avrà nessun valore.
Eppure l'ala riformista della Fiom aveva aperto al dialogo, alla trattativa con Fiat...
Sono solo illusioni non c'è mai stata una trattativa.
Gli altri sindacati già sapevano che si sarebbe arrivato a questo?
La Fiat non ha mai trattato con nessuno, neanche con Bonanni e Angeletti, è tutto finto. La trattativa è solo con chi si piega ai diktat dell'azienda. È come quando Berlusconi dice che è disposto al dialogo, la stessa cosa.
Cosa accadrà a Mirafiori?
Quello che sta nascendo a Mirafiori, se verrà confermato, crea un muro senza precedenti, un vallo di vergogna tra noi e gli altri sindacati. Perché la newco a Mirafiori la Fiat la fa solo per una ragione: una ragione di autentico e puro fascismo aziendale. Vogliono semplicemente impedire alla Fiom di presentarsi alle prossime elezioni delle Rsu. È fatto solo per questo. La rappresentanza sindacale andrà solo a chi firmerà accordo... E questo si chiama fascismo. Dire che una forza di opposizione viene eliminata è fascismo: quello di Marchionne è autentico fascismo. E chi firma cose di questo genere e non difende il diritto poter presentarsi alle elezioni, collabora al fascismo aziendale.
Si riferisce alla Cisl e alla Uil?
Questi signori si assumono responsabilità storiche gravissime. Quello che fa Bonanni è una macchia di vergogna nella storia della Cisl. Neanche negli anni più bui si impedì alla Fiom di presentarsi alle elezioni. Anche negli anni più duri della guerra fredda nessuno disse che la Fiom non si poteva presentare alle elezioni. Questa è una cosa di una gravità inaudita: tutti quelli che hanno firmato l'accordo si dovrebbero vergognare.
E se poi l'accordo salta?
Non è possibile. È il frutto del servilismo. Marchionne lo sa, perché dialoga con chi affonda nel servilismo politico e sindacale. Marchionne vuole evitare che la Fiom si presenti al voto per le Rsu. Tutti quelli che hanno firmato l'accordo si dovrebbero vergognare.
fonte: Il Riformista
FIAT: il no della FIOM CGIL al piano per Mirafiori
Per la CGIL, quello che ha portato all'accordo separato per lo stabilimento torinese, è un “sistema autoritario” che esclude il confronto con l'azienda. FIOM CGIL, per la prima volta si cancella l'esistenza del contratto nazionale e si ledono i diritti dei lavoratori, impedendo ad un'organizzazione di avere rappresentanze
Un accordo “indifendibile e vergognoso”, quello che vede, dopo Pomigliano, il no della FIOM CGIL al piano per lo stabilimento FIAT di Mirafiori. E' stato firmato ieri (23 dicembre) a Torino l'ennesimo accordo separato tra azienda e sindacati, senza il consenso della categoria dei metalmeccanici della CGIL. Il piano presentato dall'azienda automobilistica prevedeva modifiche su turni, assenze, pause e straordinari. Inoltre, non solo le due newco che nascono a Mirafiori e Pomigliano saranno fuori da Confindustria, e quindi dagli accordi sottoscritti per i metalmeccanici tra le rappresentanze sindacali e quelle degli industriali, ma di fatto vi sarà una totale esclusione, al loro interno, delle rappresentanze aziendali (RSA) della FIOM in quanto non firmataria del contratto collettivo.
“Per la prima volta si cancella l'esistenza del contratto nazionale e si ledono i diritti dei lavoratori, impendendo ad un'organizzazione, tra l'altro la più rappresentativa del comparto e non solo della FIAT, di avere uomini e rappresentanze”, questo è il duro commento del Segretario Generale FIOM CGIL, Maurizio Landini.
I contenuti dell'accordo peggiorano quanto fatto a Pomigliano, spiega il leader dela FIOM “si riducono le garanzie per i lavoratori e si conferma che non si vogliono pagare i primi giorni di malattia, con sanzioni che possono arrivare fino al licenziamento per i lavoratori che dovessero decidere di scioperare”. Ma “gravi” modifiche sono state apportate anche per quanto riguarda i turni, le pause e gli straordinari, “come FIOM – prosegue il dirigente sindacale - abbiamo sempre detto che siamo disposti a discutere prima di scioperare, ma abbiamo sempre avuto a che fare con una controparte che vuole solo un sindacato corporativo e aziendalista, superando l'idea del sindacato confederale”.
Il leader della FIOM sottolinea come “così facendo, si lede la libertà di ogni singolo lavoratore di aderire all'organizzazione sindacale che meglio lo può rappresentare”. Insomma, avverte Landini, “siamo al ricatto” poiché, conclude “un referendum in queste condizioni è illegittimo perchè si chiede ai lavoratori di rinunciare ai propri diritti”. Infatti, a gennaio, l'accordo sarà sottoposto al voto dei lavoratori.
“Un sistema autoritario che punta a escludere chiunque voglia discutere, contrattare e confrontarsi sulle posizioni dell'azienda”, quello che secondo il Segretario Confederale, Vincenzo Scudiere della CGIL ha portato all'accordo separato per Mirafiori, che costituisce spiega, “uno dei più gravi attacchi alle relazioni sindacali italiane”.
Certamente, per la CGIL, si tratta di un accordo “complicato e difficile” che si è innestato in un permanente equivoco determinato dall'amministratore delegato della FIAT che, sottolinea Scudiere, “invece di spiegare il piano industriale, ha voluto determinare una rottura, prima con Pomigliano e ora con Mirafiori, decidendo di agire in modo unilaterale”. Il dirigente sindacale conclude reclamando “scelte chiare” ed esprimendo la necessità di un nuovo confronto “per capire quali scelte intende fare la stessa Confindustria e le imprese nel loro complesso”. Capire cioè, dice Scudiere, “se si intende proseguire il confronto avviato con il tavolo sulla crescita o sposare la linea dell'amministratore delegato FIAT”.
Quadri e capi Fiat attaccano la Fiom e invitano i lavoratori a votare SI all'accordo
L'accordo per Mirafiori «è stato firmato da quelle organizzazioni sindacali che hanno veramente a cuore gli interesse dei lavoratori, mentre chi non l'ha fatto (la Fiom, ndr) ha evidenziato per l'ennesima volta una visione puramente ideologica». Questo il commento dell'associazione Quadri e Capi Fiat, che invita tutti i lavoratori a sostenere l'intesa attraverso il voto positivo al referendum. «Il referendum - dice l'associazione dei Quadri e Capi - è un appuntamento decisivo per dare operatività all'accordo e dovrà coinvolgere tutti gli insediamenti Fiat di Mirafiori. Invitiamo pertanto tutti i lavoratori a contribuire a un risultato positivo che vada oltre al raggiungimento della maggioranza numerica e dimostri la loro piena disponibilità a partecipare attivamente al rilancio dell'azienda a garanzia del proprio futuro».
Mirafiori, firme vergognose
«È la firma della vergogna». Non si trattiene il segretario generale della Fiom,Maurizio Landini, a pochi minuti dalla chiusura dell’accordo a Mirafiori. Un altro senza i metalmeccanici della Cgil. «Non potevamo firmare – spiega – perché si cancella in una volta sola il contratto nazionale, lo Statuto dei lavoratori, le leggi che tutelano il lavoro. E vengono peggiorate le condizioni degli operai alle linee. È come Pomigliano, ma per alcuni versi un’intesa peggiore».
Cosa c’è di nuovo rispetto a Pomigliano? Perché parlate di attacco allo Statuto?
C’è un allegato all’accordo, il cui contenuto noi riteniamo gravissimo. Dice che solo chi è firmatario di questo accordo ha diritto alla rappresentanza sindacale. Cancellano il diritto dei lavoratori a eleggere liberamente le proprie Rsu, si torna indietro quasi alle Rsa nominate dall’alto, se non peggio. E qui sta l’attacco alla legge 300, lo Statuto dei lavoratori, che garantisce, come la Costituzione, il diritto e la possibilità di esercitare pienamente i diritti sindacali.
Praticamente è una norma scritta per far fuori voi, che non avete firmato. È un danno anche per le altre sigle?
Certo, oggi è scritta contro di noi, ma vorrei far riflettere tutti sulla portata storica di questa norma, soprattutto se passa nella fabbrica simbolo della Fiat. Praticamente si sta cambiando la natura delle organizzazioni confederali e delle relazioni industriali italiane, passando da un sindacato che rappresenta i lavoratori, a uno corporativo e aziendale, che fa da gendarme.
Peggiorano anche le condizioni di lavoro? Come?
Su quel piano siamo a una riedizione di Pomigliano, con qualche modifica. Pause ridotte, 120 ore di straordinario invece delle 40 da contratto, la possibilità per l’azienda di ordinare quando vuole le 10 ore sulla linea di montaggio, o di non retribuire le prime due giornate di malattia. Poi ci sono clausole e sanzioni contro i lavoratori che scioperano.
Gli altri sindacati dicono che le nuove condizioni vengono compensate da 3700 euro in più in busta ogni anno, che in tempi di crisi sono indubbiamente soldi.
Ma portare quei soldi a giustificazione, come se fossero una novità di questo accordo, è un assurdo. Sono esattamente i soldi acquisiti in tutti gli ultimi anni di contrattazione aziendale, come maggiorazioni del lavoro notturno, del sabato o della domenica. Dunque è chiaro se se aumentano i turni vengono fuori: su quello non c’è nulla di nuovo.
Con l’intesa la Fiat è uscita dal contratto nazionale?
Questo accordo diventerebbe l’unico contratto collettivo per Mirafiori, dunque sì. È il primo livello, non si fa riferimento ad altro. Vorrei capire come la vede Confindustria, con la Fiat che sta uscendo via via dall’associazione: Emma Marcegaglia non mi pareva convintissima della cosa fino solo a pochi giorni fa. Ma soprattutto, così saltano tutte le regole: è come se nella città di Torino si decidesse d’improvviso di non applicare più la Costituzione italiana.
A vostro parere si andrà nella stessa direzione a Melfi? E magari poi a Cassino?
A questo punto non escludo nulla. Voglio solo ricordare che qualcuno parlava di Pomigliano come «caso unico». E ora vediamo dove siamo.
Ma adesso voi cosa farete? Parteciperete al voto annunciato da Cisl e Uil, e che piace anche a Marchionne? Quello in cui chiede il consenso di almeno il 51%?
Qualsiasi referendum in queste condizioni, con il ricatto tra lavoro, investimenti e diritti, è illegittimo: lo diciamo ora, come lo abbiamo detto a Pomigliano. E anche se otterrà la maggioranza, non basterà a farci cambiare idea sull’accordo: tornando all’esempio di Torino, è come se si tenesse solo lì un referendum per farla uscire dall’Italia.
La Fiom chiede alla Cgil di indire lo sciopero generale. Ora immagino che la richiesta si farà più pressante.
Sicuramente si aggiunge un elemento non di poco conto: l’addio al contratto nazionale e allo Statuto dei lavoratori nel maggiore gruppo italiano. C’è la protesta degli studenti, il Collegato lavoro. Sulla Fiat, comunque, la Fiom aveva già deciso una giornata di mobilitazione per gennaio: dopo quest’accordo, è necessario fare di nuovo il punto.
Anno I d. C. Trionfa la libertà d'impresa
Un altro mondo è possibile, anzi inevitabile nella nuova era. L'anno I d.C. (dopo Cristo) nasce dal cervello di Marchionne per sottrazione rispetto all'era precedente, quando il lavoratore era qualcosa di più di un'appendice della macchina, aveva una sua autonomia, i suoi diritti. La globalizzazione ha cambiato tutto, la competizione detta le nuove regole in una corsa forsennata al ribasso. Il sindacato deve trasformarsi in cane da guardia dell'azienda: prima sottoscrive i diktat del sovrano e poi li impone alla «manovalanza» e punisce chi trasgredisce, lasciando così libero il sovrano di saltabeccare da un oceano all'altro alla ricerca dello stato più prodigo, del sindacato più complice, della classe operaia più debole e ricattabile. «Oggi qui domani dove sarò»..., cantava Patty Pravo. L'unica libertà riconosciuta nell'anno I d.C. sarà quella dell'impresa.Il piatto è servito agli operai di Mirafiori. Ci teneva che fosse la pietanza di Pomigliano riscaldata e invece è ancora più piccante, amara e indigesta. Nel nuovo accordo separato siglato ieri da Fim, Uilm, Fismic-Sida e Ugl si sancisce il diritto del padrone a definire quali diritti sul lavoro possano essere conservati e quali no e a decidere quali sindacati abbiano diritto di vita nelle sue aziende. Se la Fiom non firma la sua condanna a morte non avrà più diritti sindacali, non potrà presentare candidati alle Rsu, anche se rappresenta la maggioranza dei dipendenti. Si va oltre la sospensione del diritto di sciopero, si sospendono i diritti democratici. Con la vergognosa firma di ieri la Fiat si colloca fuori dall'industria, fuori dal contratto nazionale di lavoro. Insomma, si colloca fuori dalla democrazia e dalla Costituzione repubblicana. Ogni fabbrica avrà il suo contratto, i suoi sindacati gialli, le sue regole. E siccome la Fiat ha 111 anni fa scuola in Italia, partirà una gara imitativa da parte di molte imprese.Sono matti se pensano di ridurre i lavoratori a schiavi, matti e autolesionisti. Sono degli illusi se pensano di poter mettere la Fiom fuorilegge perché la Fiom è il sindacato più rappresentativo dei metalmeccanici. Adesso Marchionne in versione John Wayne pretende anche che i lavoratori di Mirafiori vadano a votare sì, vuole vederli piegati mentre mettono la croce sopra i loro diritti e cancellano la possibilità di eleggere i propri rappresentanti consegnando alla Fiat il potere di decidere qual è il sindacato più servile. Marchionne dice che si accontenta del 51 per cento di sì per non scappare con macchine e investimenti in Serbia, Polonia, Usa, Messico o dove la globalizzazione lo porterà.Che altro serve alla Cgil per decidere che è arrivata l'ora di proclamare lo sciopero generale? Che altro serve all'opposizione per rendersi finalmente conto che in Italia non c'è solo un nemico della democrazia ma ce ne sono almeno due?
Loris Campetti - il manifesto
giovedì 23 dicembre 2010
Mirafiori, accordo separato Fiat Fiom: "È una vergogna"
Azienda e sindacati, senza la Cgil, firmano l'intesa per lo stabilimento torinese, che produrrà Suv Chrysler e Alfa Romeo. Marchionne: ora il nuovo contratto dell'auto. Chi non firma è fuori dalla rappresentanza sindacale
Accordo separato anche a Mirafiori. Fiat e sindacati firmano l’intesa per lo stabilimento senza la Fiom, che parla di “accordo della vergogna” (così Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom). Ora l’accordo sarà sottoposto al voto dei lavoratori. Anche se per il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, "un referendum in queste condizioni è illegittimo, perché si chiede ai lavoratori di rinunciare ai diritti, siamo oltre il ricatto".
Fismic, Fim Cisl, Uil e Ugl accettano la richiesta di Sergio Marchionne, ad Fiat, di un contratto su misura per la newco di Mirafiori. Fuori da Confindustria, nessun riferimento al contratto nazionale, dice com’è noto il manager italo-canadese. Un progetto che, oltre al governo unilaterale dell’organizzazione del lavoro, consentirà l’emarginazione di chi non si adegua ai desiderata aziendali, ovvero la Fiom. Puntando a ridefinirne, in peggio, la rappresentanza in fabbrica dopo averne ridotto il peso nei tavoli di contrattazione. Vengono infatti a cadere anche gli accordi sulle Rsu, sulle rappresentanze sindacali appunto. Per andare dove, si vedrà; ma intanto l’eclisse dell’attuale sistema di rappresentanza, con i vincoli che ne derivano, è assicurata.
Ed è rimasto inascoltato l’ultimo appello fatto dalla Cgil nazionale perché si tenesse conto delle proposte della Fiom. Che, quando nel 2012 nascerà la newco di Mirafiori, resterà fuori dalla rappresentanza sindacale, permessa solo alle sigle che hanno firmato l'accordo.
In cambio delle nuove condizioni lavorative e contrattuali, a Torino arrivano gli investimenti della joint venture Fiat-Chrysler: oltre un miliardo di euro per produrre 280 mila Suv Chrysler e Alfa Romeo l’anno.
L’intesa – secondo le informazioni date dai sindacalisti della Fismic dopo la firma - prevede “il pieno utilizzo degli impianti su sei giorni lavorativi; il lavoro a turni avvicendati che mantiene l’orario individuale a 40 ore settimanali; una crescita del reddito annuo individuale di circa 3.700 euro per la maggiore incidenza delle maggiorazioni di turno; il mantenimento della pausa per la mensa nel turno fino a che la joint venture non andrà a regime (quindi solo fino al 2012); interventi volti a colpire gli assenteisti; la compensazione di oltre 32 euro mensili per l’abolizione della pausa di 10 minuti".
L'azienda, quando la newco andrà a regime nel 2012, chiederà 18 turni di lavoro nell’impianto (da 17, a fronte di una maggiorazione salariale). L’accordo prevede inoltre 120 ore di straordinario all’anno obbligatorie, cancella le pause previste sulle linee di montaggio, porta a fine turno la pausa mensa, per utilizzare così la mezz’ora di mensa anche con straordinari per recuperi produttivi ogni qual volta l’azienda ne avrà bisogno.
La Fiat punta inoltre a portare le assenze dal lavoro dall'8% attuale al 3%.
‘‘La firma nella delegazione ristretta è una firma con vergogna di un accordo senza precedenti che limita la libertà di associazione sindacale. Serve una risposta di tutto il mondo del lavoro’’. Lo dice Giorgio Airaudo. “Ciò che viene proposto per Mirafiori è peggio di ciò che è stato imposto a Pomigliano”. Così il responsabile dell’auto della Fiom, Giorgio Airaudo che aggiunge: “la Fiat vuole semplificare la presenza sindacale nei suoi stabilimenti, una ‘one company’ e una ‘one trade union’ ma visto che non lo può fare rende impotenti e innocui alcuni sindacati e cerca di ‘espellere’ chi dissente”. “Si vuole usare la newco - prosegue - per uscire dal contratto nazionale e dal sistema di regole e rappresentanze confederali. Viene messa sotto esame la Confindustria e gli accordi interconfederali, altra cosa, dunque - conclude - alle limitazioni e alle mediazioni presuntamente imposte alla Fiat”.
“Per quanto ci riguarda, faremo partire gli investimenti previsti nel minor tempo possibile”: è quanto afferma Marchionne in una nota. “Mirafiori - aggiunge – inizia oggi una nuova fase della sua vita”. “Adesso bisogna lavorare per realizzare il contratto collettivo specifico per la joint venture che consentirà il passaggio dei lavoratori alla nuova società Fiat-Chrysler”.
Accordo separato anche a Mirafiori. Fiat e sindacati firmano l’intesa per lo stabilimento senza la Fiom, che parla di “accordo della vergogna” (così Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom). Ora l’accordo sarà sottoposto al voto dei lavoratori. Anche se per il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, "un referendum in queste condizioni è illegittimo, perché si chiede ai lavoratori di rinunciare ai diritti, siamo oltre il ricatto".
Fismic, Fim Cisl, Uil e Ugl accettano la richiesta di Sergio Marchionne, ad Fiat, di un contratto su misura per la newco di Mirafiori. Fuori da Confindustria, nessun riferimento al contratto nazionale, dice com’è noto il manager italo-canadese. Un progetto che, oltre al governo unilaterale dell’organizzazione del lavoro, consentirà l’emarginazione di chi non si adegua ai desiderata aziendali, ovvero la Fiom. Puntando a ridefinirne, in peggio, la rappresentanza in fabbrica dopo averne ridotto il peso nei tavoli di contrattazione. Vengono infatti a cadere anche gli accordi sulle Rsu, sulle rappresentanze sindacali appunto. Per andare dove, si vedrà; ma intanto l’eclisse dell’attuale sistema di rappresentanza, con i vincoli che ne derivano, è assicurata.
Ed è rimasto inascoltato l’ultimo appello fatto dalla Cgil nazionale perché si tenesse conto delle proposte della Fiom. Che, quando nel 2012 nascerà la newco di Mirafiori, resterà fuori dalla rappresentanza sindacale, permessa solo alle sigle che hanno firmato l'accordo.
In cambio delle nuove condizioni lavorative e contrattuali, a Torino arrivano gli investimenti della joint venture Fiat-Chrysler: oltre un miliardo di euro per produrre 280 mila Suv Chrysler e Alfa Romeo l’anno.
L’intesa – secondo le informazioni date dai sindacalisti della Fismic dopo la firma - prevede “il pieno utilizzo degli impianti su sei giorni lavorativi; il lavoro a turni avvicendati che mantiene l’orario individuale a 40 ore settimanali; una crescita del reddito annuo individuale di circa 3.700 euro per la maggiore incidenza delle maggiorazioni di turno; il mantenimento della pausa per la mensa nel turno fino a che la joint venture non andrà a regime (quindi solo fino al 2012); interventi volti a colpire gli assenteisti; la compensazione di oltre 32 euro mensili per l’abolizione della pausa di 10 minuti".
L'azienda, quando la newco andrà a regime nel 2012, chiederà 18 turni di lavoro nell’impianto (da 17, a fronte di una maggiorazione salariale). L’accordo prevede inoltre 120 ore di straordinario all’anno obbligatorie, cancella le pause previste sulle linee di montaggio, porta a fine turno la pausa mensa, per utilizzare così la mezz’ora di mensa anche con straordinari per recuperi produttivi ogni qual volta l’azienda ne avrà bisogno.
La Fiat punta inoltre a portare le assenze dal lavoro dall'8% attuale al 3%.
‘‘La firma nella delegazione ristretta è una firma con vergogna di un accordo senza precedenti che limita la libertà di associazione sindacale. Serve una risposta di tutto il mondo del lavoro’’. Lo dice Giorgio Airaudo. “Ciò che viene proposto per Mirafiori è peggio di ciò che è stato imposto a Pomigliano”. Così il responsabile dell’auto della Fiom, Giorgio Airaudo che aggiunge: “la Fiat vuole semplificare la presenza sindacale nei suoi stabilimenti, una ‘one company’ e una ‘one trade union’ ma visto che non lo può fare rende impotenti e innocui alcuni sindacati e cerca di ‘espellere’ chi dissente”. “Si vuole usare la newco - prosegue - per uscire dal contratto nazionale e dal sistema di regole e rappresentanze confederali. Viene messa sotto esame la Confindustria e gli accordi interconfederali, altra cosa, dunque - conclude - alle limitazioni e alle mediazioni presuntamente imposte alla Fiat”.
“Per quanto ci riguarda, faremo partire gli investimenti previsti nel minor tempo possibile”: è quanto afferma Marchionne in una nota. “Mirafiori - aggiunge – inizia oggi una nuova fase della sua vita”. “Adesso bisogna lavorare per realizzare il contratto collettivo specifico per la joint venture che consentirà il passaggio dei lavoratori alla nuova società Fiat-Chrysler”.
martedì 21 dicembre 2010
Grave e sbagliata la scelta di Susanna Camusso di cancellare lo sciopero generale
E’ assolutamente deludente e non all’altezza della gravità della situazione l’impianto della relazione al Direttivo della Cgil di Susanna Camusso. Considerare inutile la discussione sullo sciopero generale e sostanzialmente toglierlo dall’agenda dell’organizzazione, concentrare la critica solo sul Governo e continuare così il confronto su un patto sociale con la Confindustria che lo stesso Berlusconi ha messo tra i punti del suo programma, esprimere giudizi assolutamente riduttivi della portata e sul valore della lotta degli studenti, sono tutte scelte sbagliate e minimaliste, totalmente inadeguate rispetto alla gravità della situazione sociale del Paese e ai compiti che spetterebbero alla Cgil.
Se a questo minimalismo verso l’esterno si aggiunge inoltre la stretta che c’è nella vita democratica interna dell’organizzazione e che ha portato la minoranza a non partecipare al voto sulle modifiche dello Statuto, si ha un quadro completo di una direzione politica della Cgil che non sta assolutamente andando nella direzione che sarebbe giusta e necessaria.
Se a questo minimalismo verso l’esterno si aggiunge inoltre la stretta che c’è nella vita democratica interna dell’organizzazione e che ha portato la minoranza a non partecipare al voto sulle modifiche dello Statuto, si ha un quadro completo di una direzione politica della Cgil che non sta assolutamente andando nella direzione che sarebbe giusta e necessaria.
Giorgio Cremaschi
lunedì 20 dicembre 2010
Lettera Aperta A Marchionne Di Un'operaia Della Fiat Di Termoli
Pubblichiamo la lettera inviata a Sergio Marchionne da un´operaia della Fiat di Termoli All´amministratore delegato del Gruppo Fiat, Sergio Marchionne,
Ho cercato un lavoro per potermi occupare dei miei figli e, ad oggi, quello stesso lavoro mi impedisce di farlo. In un momento di crisi occupazionale come quello che stiamo vivendo, in cui avere un impiego è la fortunata prerogativa di pochi, non deve apparire né irriverente né pretenzioso rivendicare i nostri diritti. Ognuno di questi rappresenta una garanzia in più per il futuro. Biunivoca ed imprescindibile è la relazione tra diritti e lavoro: casi come il mio ne sono esempio. Ho letto decine di volte la Sua lettera del 9 luglio 2010 (la porto in borsa da allora) e in ognuna di queste, ho pensato di volerLe rispondere; puntualmente la sensazione d´inadeguatezza me l´ha impedito. Ma la maniera più efficace per disperare una persona è impossibilitarla a potersi prendere cura dei propri figli. Nella disperazione, oggi, ho trovato il coraggio di parlare apertamente, così come Lei fece con me.
Sono madre di tre bambini rispettivamente di quindici, sei e tre anni, che gestisco quasi in maniera esclusiva, e lavoro come operaia nello stabilimento Fiat di Termoli dal ´97. Mio marito, i miei suoceri e i miei genitori vivono a centinaia di chilometri. Mi trovo quindi in difficoltà nell´esercizio delle mie funzioni genitoriali, in quanto l´officina (che già dal ´94 è organizzata sui diciotto turni di Pomigliano) prevede un regime lavorativo di tre turnazioni alternate settimanalmente (dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22 e dalle 22 alle 6). Nell´ultimo anno la direzione aziendale ha assunto posizioni molto rigide riguardo all´organizzazione del lavoro ed alla flessibilità dell´orario, particolarmente nei confronti di noi mamme. Le somme che dovrei pagare per gestire i bambini attraverso l´utilizzo di una babysitter sarebbero maggiori dello stipendio che percepisco.
Ho cercato una soluzione con l´azienda, facendo richiesta prima, di un trasferimento in una Vostra sede prossima a quella lavorativa di mio marito, poi di un part-time di sette ore, non avendo nessun tipo di risposta. Questo significa mettermi in condizioni di licenziarmi.
"Fpt" Termoli conta un organico di quasi 2.700 dipendenti, di cui circa il 10 per cento rappresentato da donne e soltanto una trentina di queste con situazioni analoghe alla mia. Se applicasse "particolari forme di flessibilità dell´orario, per la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro" potrebbe avere accesso a importanti sgravi fiscali permettendo alle dipendenti di vivere con serenità la condizione di madre, migliorerebbe la qualità del loro lavoro, lo incrementerebbe e, quindi, aumenterebbe la competitività della Nostra Azienda. Nella piena consapevolezza del momento che stiamo attraversando, e della necessità di risultare competitivi, Le scrivo perché non ho alternative; perché non ho altro da perdere oltre il lavoro; perché quest´ultimo è sicuramente l´unico strumento che ho per permettere un futuro dignitoso per i miei figli; perché come Lei sono italiana e abruzzese… ma le parole, soprattutto in fabbrica, non riempiono le tasche né migliorano la situazione. Come Lei fece con me, la ringrazio per aver letto la mia riflessione.
Ho cercato un lavoro per potermi occupare dei miei figli e, ad oggi, quello stesso lavoro mi impedisce di farlo. In un momento di crisi occupazionale come quello che stiamo vivendo, in cui avere un impiego è la fortunata prerogativa di pochi, non deve apparire né irriverente né pretenzioso rivendicare i nostri diritti. Ognuno di questi rappresenta una garanzia in più per il futuro. Biunivoca ed imprescindibile è la relazione tra diritti e lavoro: casi come il mio ne sono esempio. Ho letto decine di volte la Sua lettera del 9 luglio 2010 (la porto in borsa da allora) e in ognuna di queste, ho pensato di volerLe rispondere; puntualmente la sensazione d´inadeguatezza me l´ha impedito. Ma la maniera più efficace per disperare una persona è impossibilitarla a potersi prendere cura dei propri figli. Nella disperazione, oggi, ho trovato il coraggio di parlare apertamente, così come Lei fece con me.
Sono madre di tre bambini rispettivamente di quindici, sei e tre anni, che gestisco quasi in maniera esclusiva, e lavoro come operaia nello stabilimento Fiat di Termoli dal ´97. Mio marito, i miei suoceri e i miei genitori vivono a centinaia di chilometri. Mi trovo quindi in difficoltà nell´esercizio delle mie funzioni genitoriali, in quanto l´officina (che già dal ´94 è organizzata sui diciotto turni di Pomigliano) prevede un regime lavorativo di tre turnazioni alternate settimanalmente (dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22 e dalle 22 alle 6). Nell´ultimo anno la direzione aziendale ha assunto posizioni molto rigide riguardo all´organizzazione del lavoro ed alla flessibilità dell´orario, particolarmente nei confronti di noi mamme. Le somme che dovrei pagare per gestire i bambini attraverso l´utilizzo di una babysitter sarebbero maggiori dello stipendio che percepisco.
Ho cercato una soluzione con l´azienda, facendo richiesta prima, di un trasferimento in una Vostra sede prossima a quella lavorativa di mio marito, poi di un part-time di sette ore, non avendo nessun tipo di risposta. Questo significa mettermi in condizioni di licenziarmi.
"Fpt" Termoli conta un organico di quasi 2.700 dipendenti, di cui circa il 10 per cento rappresentato da donne e soltanto una trentina di queste con situazioni analoghe alla mia. Se applicasse "particolari forme di flessibilità dell´orario, per la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro" potrebbe avere accesso a importanti sgravi fiscali permettendo alle dipendenti di vivere con serenità la condizione di madre, migliorerebbe la qualità del loro lavoro, lo incrementerebbe e, quindi, aumenterebbe la competitività della Nostra Azienda. Nella piena consapevolezza del momento che stiamo attraversando, e della necessità di risultare competitivi, Le scrivo perché non ho alternative; perché non ho altro da perdere oltre il lavoro; perché quest´ultimo è sicuramente l´unico strumento che ho per permettere un futuro dignitoso per i miei figli; perché come Lei sono italiana e abruzzese… ma le parole, soprattutto in fabbrica, non riempiono le tasche né migliorano la situazione. Come Lei fece con me, la ringrazio per aver letto la mia riflessione.
martedì 14 dicembre 2010
lunedì 13 dicembre 2010
Lettera di Cremaschi al gruppo dirigente de "La Cgil che vogliamo"
Care compagne e cari compagni, nell’ultimo direttivo la confederazione ha accelerato in senso negativo le scelte che già avevamo non condiviso. Lo sciopero generale è stato sostanzialmente tolto dall’agenda e rinviato ad un'altra stagione politica. Ma ancor più grave è la scelta di andare avanti nel confronto sulla produttività con indirizzi tanto vaghi quanto pericolosi. Su tutto questo le posizioni assunte al direttivo dai compagni dell’area e la dichiarazione di voto di Gianni Rinaldini sono stati precisi, rigorosi ed efficaci.
Purtroppo a queste prese di posizione non ha corrisposto una rappresentazione adeguata del nostro dissenso, perché solo 12 compagne e compagni hanno votato contro il documento finale. Questo per l’incredibile numero di assenze della nostra area ai lavori del direttivo. Tolte anche alcune più che giustificate assenze per malattia, resta comunque il vuoto di partecipazione che non è giustificabile, visto anche quanto si discute nei congressi per definire le presenze nel direttivo nazionale.
D’altra parte ritengo che questo vuoto di presenza corrisponda a problemi politici più vasti della nostra area. Abbiamo verificato, infatti, che se dalle assemblee nazionali e territoriali vengono continui impulsi positivi all’iniziativa dell’area, poi questa si ferma quando deve essere guidata dai gruppi dirigenti ai vari livelli. La sensazione che si ricava è che la Cgil che vogliamo, invece che un’area senza perimetro, divenga sempre di più un perimetro senza area, cioè una struttura incapace di pesare nella Cgil, nonostante le tante domande e la voglia di partecipazione che ha suscitato e che continua a suscitare.
Credo perciò che sia giusto discutere di questo con una verifica nel gruppo dirigente nazionale dell’area. Chiedo quindi che la riunione del 20, già prevista per le compagne e i compagni del comitato direttivo, venga allargata ai gruppi dirigenti regionali e nazionali di categoria e che affronti il problema non risolto della continuità politica e organizzativa dell’area tra una grande assemblea e l’altra.
Cordiali saluti.
Giorgio Cremaschi
sabato 11 dicembre 2010
Fiat, Mirafiori fuori da Confindustria
La presidente Marcegaglia annuncia che la newco voluta da Marchionne uscirà dall'associazione per rientrarvi quando sarà pronto un contratto ad hoc per il settore. Per la Fiom è la fine del ccnl. Intanto nuovi incentivi per il Lingotto, in Brasile.
"Lavoriamo per fare un contratto specifico per l'auto". Lo ha dichiarato oggi dagli Stati Uniti dopo l'incontro con l'ad del Lingotto, Sergio Marchionne, la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. "Tecnicamente facciamo un contratto dell'auto come vuole Fiat, non ci sembra difficile", ha detto Marcegaglia, precisando però che finché questo contratto su misura non ci sarà "la Newco di Mirafiori tra Fiat e Chrysler sarà fuori da Confindustria". Prima Marchionne aveva ribadito il suo diktat: "Senza un accordo sullo stabilimento di Mirafiori l'investimento non si fa. Ci sono tantissimi siti produttivi, la Fiat è un grande gruppo con 240mila dipendenti di cui meno di un terzo in Italia". E aveva aggiunto che la mancata intesa con i sindacati "sarebbe un grandissimo dispiacere".Ma da Torino dove si sono svolte le assemblee dei lavoratori sembrano arrivare segnali negativi: "Dopo due giorni di assemblee, che purtroppo non sono state congiunte non per nostra volontà - ha dichiarato Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom nazionale - è chiaro che i lavoratori non vogliono che si ripeta l'accordo di Pomigliano e che la nuova società esca dal contratto nazionale". "La Fiat detta le condizioni a Confindustria e vuole definitivamente smantellare il contratto nazionale", ha dichiarato all'Agi Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, dopo l'incontro tra Marchionne e Marcegaglia a New York."Dagli Stati Uniti - dice Landini - si apprende che si vuole definitivamente smantellare il contratto nazionale di lavoro. Le capriole del presidente della Confindustria servono nei fatti a coprire la volonta' della Fiat di far diventare gli stabilimenti del gruppo in Italia quelli in cui si delocalizzano produzioni e si cancellano diritti. In nessun altro paese d'Europa - rincara la dose - sta avvenendo che una singola impresa detta le condizioni al governo e alle associazioni industriali senza il consenso delle organizzazioni sindacali e delle lavoratrici e dei lavoratori interessati".Ancora più dura la presa di posizione di Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale della Fiom: "Quello della signora Marcegaglia è un atto di sudditanza tale che dovrebbe fare indignare non solo i sindacati e i lavoratori, ma anche gli industriali. Ha deciso di sciogliere la Confindustria. In ogni caso - aggiunge Cremaschi - per noi comincia la guerra totale a Marchionne".Diversa la posizione espressa dalla Fim Cisl, con il segretario nazionale Bruno Vitali. "Siamo pronti a gestire una fase che preveda l'uscita temporanea da Confindustria - spiega Vitali - purché poi ci sia un rientro nel sistema. L'importante - aggiunge - è esserci, non stare fuori e non contare niente".Intanto, un'altra notizia che vede Fiat protagonista arriva dal Brasile dove l'azienda torinese ha aquisito la nuova fabbrica che sorgerà in Pernambuco e produrrà auto popolari. Per questo l'azienda riceverà incentivi fiscali previsti per la regione Nordest dal governo di Luiz Inacio Lula da Silva. Lo ha annunciato un portavoce della Fiat Automoveis smentendo la notizia data dal quotidiano economico Valor secondo cui il nuovo impianto sarebbe della Chrysler.
"Lavoriamo per fare un contratto specifico per l'auto". Lo ha dichiarato oggi dagli Stati Uniti dopo l'incontro con l'ad del Lingotto, Sergio Marchionne, la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. "Tecnicamente facciamo un contratto dell'auto come vuole Fiat, non ci sembra difficile", ha detto Marcegaglia, precisando però che finché questo contratto su misura non ci sarà "la Newco di Mirafiori tra Fiat e Chrysler sarà fuori da Confindustria". Prima Marchionne aveva ribadito il suo diktat: "Senza un accordo sullo stabilimento di Mirafiori l'investimento non si fa. Ci sono tantissimi siti produttivi, la Fiat è un grande gruppo con 240mila dipendenti di cui meno di un terzo in Italia". E aveva aggiunto che la mancata intesa con i sindacati "sarebbe un grandissimo dispiacere".Ma da Torino dove si sono svolte le assemblee dei lavoratori sembrano arrivare segnali negativi: "Dopo due giorni di assemblee, che purtroppo non sono state congiunte non per nostra volontà - ha dichiarato Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom nazionale - è chiaro che i lavoratori non vogliono che si ripeta l'accordo di Pomigliano e che la nuova società esca dal contratto nazionale". "La Fiat detta le condizioni a Confindustria e vuole definitivamente smantellare il contratto nazionale", ha dichiarato all'Agi Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, dopo l'incontro tra Marchionne e Marcegaglia a New York."Dagli Stati Uniti - dice Landini - si apprende che si vuole definitivamente smantellare il contratto nazionale di lavoro. Le capriole del presidente della Confindustria servono nei fatti a coprire la volonta' della Fiat di far diventare gli stabilimenti del gruppo in Italia quelli in cui si delocalizzano produzioni e si cancellano diritti. In nessun altro paese d'Europa - rincara la dose - sta avvenendo che una singola impresa detta le condizioni al governo e alle associazioni industriali senza il consenso delle organizzazioni sindacali e delle lavoratrici e dei lavoratori interessati".Ancora più dura la presa di posizione di Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale della Fiom: "Quello della signora Marcegaglia è un atto di sudditanza tale che dovrebbe fare indignare non solo i sindacati e i lavoratori, ma anche gli industriali. Ha deciso di sciogliere la Confindustria. In ogni caso - aggiunge Cremaschi - per noi comincia la guerra totale a Marchionne".Diversa la posizione espressa dalla Fim Cisl, con il segretario nazionale Bruno Vitali. "Siamo pronti a gestire una fase che preveda l'uscita temporanea da Confindustria - spiega Vitali - purché poi ci sia un rientro nel sistema. L'importante - aggiunge - è esserci, non stare fuori e non contare niente".Intanto, un'altra notizia che vede Fiat protagonista arriva dal Brasile dove l'azienda torinese ha aquisito la nuova fabbrica che sorgerà in Pernambuco e produrrà auto popolari. Per questo l'azienda riceverà incentivi fiscali previsti per la regione Nordest dal governo di Luiz Inacio Lula da Silva. Lo ha annunciato un portavoce della Fiat Automoveis smentendo la notizia data dal quotidiano economico Valor secondo cui il nuovo impianto sarebbe della Chrysler.
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venerdì 10 dicembre 2010
L’infaticabile Bonanni a difesa di Berlusconi
Continua l’instancabile opera del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni. E’ diventato uno dei tanti politicanti del palazzo che si stanno adoperando per risolvere la crisi di governo. Secondo i giornali ha da poco incontrato Silvio Berlusconi, insieme alla signora Marcegaglia, che in certi eventi non manca mai, e ha annunciato che il Presidente del consiglio è in forma e pronto a combattere.
Una sola domanda ci facciamo. Quando gli iscritti della Cisl si ribelleranno a questo loro segretario, che ha portato la loro organizzazione ad essere una succursale dei più ridicoli e dannosi giochi della politica? Quando si ricorderanno che una volta la Cisl rivendicava l’autonomia dalla politica e quando rinfacceranno a Bonanni di essere semplicemente un sottosegretario aggiunto del governo Berlusconi, che non vuole perdere il posto?Prima accadrà e meglio sarà, innanzitutto per la decenza del confronto sindacale, e poi anche per la dignità della Cisl, che non merita di essere ridotta a uno stato così penoso.
Giorgio Cremaschi
Una sola domanda ci facciamo. Quando gli iscritti della Cisl si ribelleranno a questo loro segretario, che ha portato la loro organizzazione ad essere una succursale dei più ridicoli e dannosi giochi della politica? Quando si ricorderanno che una volta la Cisl rivendicava l’autonomia dalla politica e quando rinfacceranno a Bonanni di essere semplicemente un sottosegretario aggiunto del governo Berlusconi, che non vuole perdere il posto?Prima accadrà e meglio sarà, innanzitutto per la decenza del confronto sindacale, e poi anche per la dignità della Cisl, che non merita di essere ridotta a uno stato così penoso.
Giorgio Cremaschi
Marcegaglia e Bonanni a soccorso di Marchionne e Berlusconi
E’ proprio un gran darsi da fare. La signora Marcegaglia vola a New York per scongiurare l’amministratore delegato della Fiat di non abbandonare la Confindustria. Raffaele Bonanni, quello stesso segretario della Cisl che accusa la Fiom di fare politica quando fa sindacato, incontra Silvio Berlusconi e ne esalta la capacità di tenuta e la voglia di combattere. Eccoli qui i due principali rappresentanti delle parti sociali nel regime aziendalistico e padronale che si è costruito in Italia. Eccoli qui a darsi da fare nella perfetta imitazione degli uomini di palazzo, come due Gianni Letta qualunque.
Marchionne ha ottenuto tantissimo dalla Cisl e dalla Confindustria. Usando un linguaggio che è quello del Marchese del Grillo del compianto Monicelli: «Io sono io e voi non siete un c...» ha costretto i sindacati complici e la Confindustria a un percorso di guerra nell’asservimento. Prima ha imposto a Cisl e Uil un testo vergognoso per Pomigliano. Poi ha chiesto alla Confindustria di farlo diventare la base del nuovo contratto nazionale e, conseguentemente, ha costretto Fim Uilm e Federmeccanica a estendere l’accordo di Pomigliano a tutti i metalmeccanici. Non contento di questo ha deciso che bisogna comunque fare una nuova società, la Newco, che serve solo a cancellare il contratto nazionale e a sottoporre i lavoratori che ne faranno parte ad un regime produttivo da terzo mondo. E per ottenere questo risultato ha preteso l’extraterritorialità delle sue imprese industriali in Italia, esigendo di non applicare in esse neppure quel contratto che aveva appena imposto.
A sua volta Berlusconi, nonostante tutti i consigli sotterranei a trattare, pretende la fedeltà assoluta e la resa da parte di chi l’ha contestato. Anche se Fini, sul collegato lavoro assieme a Casini, ha finora votato tutte le sue leggi più importanti e nefaste. Così, come Marchione fa con Cisl e Confindustria, anche Berlusconi con il Terzo polo non si accontenta che siano d’accordo con le sue scelte di fondo. Vuole il diritto all’arbitrio e vuole che tutti costoro glielo riconoscano. Il percorso parallelo e convergente di Berlusconi e Marchionne, che mascherano con l’autoritarismo e la prepotenza la crisi economica e l’assenza di scelte valide per affrontarla, sta anche rivelando il vuoto del cosiddetto “centro riformista”.
Sia che si presenti nella veste dei leaders politici, sia che si manifesti come rappresentanti delle parti sociali, il polo della responsabilità e del patto sociale si rivela un concentrato di vecchia aria fritta della quale sia Marchionne che Berlusconi possono assolutamente farsi beffe.
In questi giorni le piazze d’Italia sono piene di studenti, di lavoratori, di migranti. C’è un paese che si è rimesso in moto e che vuole contrastare non l’immagine, ma la politica reale di Berlusconi, Marchionne, Tremonti. Questo Paese è perfino offeso dalla gestione ridicola della crisi che sta avvenendo nelle istituzioni della politica ed è per questo che il 14 si farà sentire con tutta la sua forza e tutta la sua indignazione. La sinistra, se vuole davvero farsi capire da chi lotta, dovrà scegliere di essere totalmente alternativa, sia al regime padronale di Berlusconi e Marchionne, sia ai penosi tentativi centristi di conservare quel regime senza i suoi attuali titolari.
Marchionne ha ottenuto tantissimo dalla Cisl e dalla Confindustria. Usando un linguaggio che è quello del Marchese del Grillo del compianto Monicelli: «Io sono io e voi non siete un c...» ha costretto i sindacati complici e la Confindustria a un percorso di guerra nell’asservimento. Prima ha imposto a Cisl e Uil un testo vergognoso per Pomigliano. Poi ha chiesto alla Confindustria di farlo diventare la base del nuovo contratto nazionale e, conseguentemente, ha costretto Fim Uilm e Federmeccanica a estendere l’accordo di Pomigliano a tutti i metalmeccanici. Non contento di questo ha deciso che bisogna comunque fare una nuova società, la Newco, che serve solo a cancellare il contratto nazionale e a sottoporre i lavoratori che ne faranno parte ad un regime produttivo da terzo mondo. E per ottenere questo risultato ha preteso l’extraterritorialità delle sue imprese industriali in Italia, esigendo di non applicare in esse neppure quel contratto che aveva appena imposto.
A sua volta Berlusconi, nonostante tutti i consigli sotterranei a trattare, pretende la fedeltà assoluta e la resa da parte di chi l’ha contestato. Anche se Fini, sul collegato lavoro assieme a Casini, ha finora votato tutte le sue leggi più importanti e nefaste. Così, come Marchione fa con Cisl e Confindustria, anche Berlusconi con il Terzo polo non si accontenta che siano d’accordo con le sue scelte di fondo. Vuole il diritto all’arbitrio e vuole che tutti costoro glielo riconoscano. Il percorso parallelo e convergente di Berlusconi e Marchionne, che mascherano con l’autoritarismo e la prepotenza la crisi economica e l’assenza di scelte valide per affrontarla, sta anche rivelando il vuoto del cosiddetto “centro riformista”.
Sia che si presenti nella veste dei leaders politici, sia che si manifesti come rappresentanti delle parti sociali, il polo della responsabilità e del patto sociale si rivela un concentrato di vecchia aria fritta della quale sia Marchionne che Berlusconi possono assolutamente farsi beffe.
In questi giorni le piazze d’Italia sono piene di studenti, di lavoratori, di migranti. C’è un paese che si è rimesso in moto e che vuole contrastare non l’immagine, ma la politica reale di Berlusconi, Marchionne, Tremonti. Questo Paese è perfino offeso dalla gestione ridicola della crisi che sta avvenendo nelle istituzioni della politica ed è per questo che il 14 si farà sentire con tutta la sua forza e tutta la sua indignazione. La sinistra, se vuole davvero farsi capire da chi lotta, dovrà scegliere di essere totalmente alternativa, sia al regime padronale di Berlusconi e Marchionne, sia ai penosi tentativi centristi di conservare quel regime senza i suoi attuali titolari.
Giorgio Cremaschi
articolo pubblicato su "Liberazione" il 10/12/2010
mercoledì 8 dicembre 2010
venerdì 3 dicembre 2010
Camusso, azienda non riconosce più contratto, urgente definire assemblee lavoratori
Per mettere l’Italia al riparo dalla speculazione finanziaria è “necessario che il Governo vari subito una manovra economica che consolidi la tenuta del paese attraverso l’istituzione di una patrimoniale 'alla francese' sulle grandi ricchezze” a dichiararlo Susanna Camusso, Segretario Generale della CGIL, nella sua relazione conclusiva del Comitato Direttivo, iniziato ieri, 2 dicembre e terminato questo pomeriggio.
“Il paese è a rischio” ha dichiarato preoccupata la leader del sindacato di Corso d’Italia, “il Governo - ha proseguito - non racconta la verità e non fa nulla per metterlo al riparo” e riferendosi al patto di stabilità, ha aggiunto “in un paese democratico, sulla definizione delle regole del nuovo patto di stabilità europeo, il governo dovrebbe aprire subito anche una discussione in parlamento e tra le parti sociali, da tenersi prima del Consiglio Europeo del 16 e 17 dicembre”.
In merito allo stato della trattativa tra i sindacati e la FIAT sullo stabilimento di Mirafiori, terminata questa mattina senza la definizione di un accordo, la Camusso ha spiegato “aspettiamo di vedere come evolve la situazione, ma credo che a questo punto il tema vada rovesciato: non è più la FIOM che non firma gli accordi ma è la FIAT che non riconosce più il contratto nazionale e vuole uscire da Confindustria”.
Nel rivolgersi all'associazione degli imprenditori e a Federmeccanica, che secondo la dirigente sindacale “hanno inseguito le volontà della FIAT, con le deroghe al contratto" si è domandata "fin dove sono disposte ad arrivare in ragione del fatto che ogni volta la FIAT sposta l’asticella sempre più in alto? " e ha proseguito "vorremo, inoltre, conoscere le opinioni di CISL e UIL, sul rapporto che intercorre tra un grande gruppo industriale e il contratto nazionale”.
“Vedremo nelle prossime ore l’evolversi della situazione, se quello della FIAT è solo tatticismo o c’è dell’altro, per adesso - ha concluso Camusso - l’urgenza è quella di definire le assemblee dei lavoratori perché siano informati e possano decidere”.
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