lunedì 29 ottobre 2012

c'est n'est pas qu'un debut...

Siamo tornati in Europa 

C'è l'abbiamo fatta. Nonostante il mal tempo che sappiamo aver ridotto la partecipazione, ma grazie anche ad un improvviso vento amico che ha fermato le nubi per tutto il pomeriggio, un corteo imponente ha percorso le vie di Roma e piazza S.Giovanni si è' riempita come nelle grandi manifestazioni sindacali. E' un successo che ci da' forza per ripartire e che ci fa tornare in Europa. Si' perché stavamo diventando il paese più passivo e sfiduciato del continente. Mentre tutti i popoli colpiti dalla politica di austerità della Troika ( Banca Europea, commissione europea, Fondo Monetario) si ribellano, finora Monti poteva vantare all'estero l'assenza di proteste nel nostro paese. E in un certo senso aveva ragione, perché in ogni parte dell'Italia si lotta per il lavoro la salute, i diritti, ma finora una mobilitazione di massa direttamente  rivolta  contro il governo non c'era. Ci avevamo provato il 31 marzo a Milano sotto la Borsa, ma ci eravamo fermati, ancora non era in campo un movimento generale contro Monti, la sua politica e chi li sostiene. Ora c'è. (...)

Lavoratrici e lavoratori del sindacalismo di base e che nella CGIL dicono basta alla complicità e alla subalternità al governo. Movimenti civili, in testa i disabili in sciopero della fame, ambientalisti, per la democrazia. Tutte le formazioni politiche che hanno detto no a Monti e al centro sinistra che lo appoggia. I protagonisti di lotte durissime, dai no tav a chi e' stato per mesi su una torre alla stazione di Milano. E poi un grande corteo di quegli studenti a cui bisogna riconoscere il merito di aver aperto oggi lo scontro con il governo, e con loro giovani precari della scuola e di ovunque. 

Quello del 27 ottobre a Roma  e' un popolo in via di formazione e organizzazione. Il popolo anti Monti.

Il palazzo in tutte le sue espressioni, comprese le finte alternative e le finte opposizioni, ha fatto il possibile per cancellare questo popolo. Una censura di regime ha colpito la stessa elementare informazione sul no monti day. Ma tutto questo non ha fermato le persone che sono scese in piazza con la voglia di rompere il gelo del silenzio e della passività. E il ghiaccio alla fine si è rotto. Siamo tornati nell'Europa dei popoli che lottano, e' solo l'inizio, sarà dura come non mai, ma siamo partiti e non ci fermeremo più.

Rete28Aprile - 27/10/2012


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Il “No Monti Day” senza scontri non piace ai giornali


Non saranno stati 150.000 come dichiarato dagli organizzatori, ma di certo è un fiume di decine di migliaia di persone quello che ieri da piazza della Repubblica a Roma è sfilato fino a San Giovanni per il No Monti Day. Un fiume rosso a colpo d’occhio che, tranne pochi momenti colorati dalla murga con i suoi tamburi e i vestiti da carnevale sociale, dai movimenti dell’acqua e dal book block studentesco, non ha soluzione di continuità tra le bandiere rosse delle più disparate sigle della galassia dei partiti, dei sindacati e delle associazioni di ispirazione “comunista”.
Rosso antico qualcuno potrebbe sostenere senza tema di furibonde smentite. Disciplinati, parole d’ordine chiare, slogan urlati in perfetta sincronia, servizio d’ordine efficientissimo e soprattutto parole d’ordine chiare e nette. Con alcune sfumature che vanno dal sobrio “cacciamo Monti” al più nostalgico “mandiamolo in Siberia” intonato da una cinquantina di ragazzini e ragazzine implotonati. Comunque, un successo ben superiore alle previsioni degli organizzatori e un drammatico flop per i giornalisti convenuti alla ricerca di scontri e di un nuovo 15 ottobre. Niente fuochi e insurrezione urbana. A meno che non si voglia vedere una violenza apocalittica in un paio di vetrine di banche “oltraggiate” dalle bombolette spray e da qualche uovo (dove “paio” non indica un numero genericamente basso, ma proprio “due”) .
Anzi, a stupire oltre al ritorno del “rosso antico” è proprio l’ordine con il quale sfila il corteo. Rimangono a bocca asciutta soprattutto i giornalisti, molti dei quali vengono mandati dalle redazioni in cerca dei selvaggi scontri annunciati nei giorni precedenti. Fanno capannello tra di loro in un angolo di piazza San Giovanni e telefonano sconfortati ai desk centrali: «Niente, non è successo niente, che faccio, torno?». Quando vengono lanciate due uova si precipitano tutti a raccogliere le stesse immagini sperando che si tratti solo di un primo accenno, che quelle uova possano inaugurare una piccola rivolta o perché no un po’ di guerriglia urbana come quel supermercato a fuoco lo scorso anno all’inizio di via Cavour.
Sono gli studenti a regalare qualche brivido ai reporter con il corteo selvaggio che blocca la tangenziale e l’imbocco con l’A24. Qualche tensione con la polizia (che durante tutto il corteo si tiene a distanza, dimostrando il teorema che più è “pesante” il controllo più è alta la possibilità di incidenti), ma alla fine tutto si risolve con qualche fumogeno e poco più. Così poco, insomma, che i quotidiani questa mattina quasi non riportano la notizia del corteo anti Monti. Oscurata dai titoli dal “No Monti Day” di Silvio Berlusconi (siamo ancora un Paese televisivo, dove migliaia di corpi in piazza non valgono le esternazioni dello Spettacolo avvolto nel cerone). Eppure la manifestazione di ieri ha dimostrato che c’è una fetta consistente di Paese nettamente contraria al governo tecnico e alle politiche di austerity. Che non vuole avere niente a che fare con il centrosinistra del Pd e neanche è attirato dalle ipotesi “nuoviste” alla Renzi o “vaffanculiste” alla Grillo. Che ha una dimensione europea nell’analisi e nei contenuti. E che nonostante il rosso antico che evoca sembra essere più nello spirito dei tempi di quanto lo sia la spesso vuota battaglia delle primarie. E che non teme le minacce del meteo e degli scontri evocati.

S Podda - 28/10/2012
Pubblico giornale


...continuons le combat !


mercoledì 24 ottobre 2012

Fornero Maria Antonietta e il silenzio di regime sul No Monti Day

Elsa Fornero, nostra Maria Antonietta

E’ facile, ormai, ironizzare sulle presunte gaffes del ministro Fornero. Piena di sé e della propria missione “civilizzatrice”, la responsabile del Welfare non perde occasione per esibire un atteggiamento professorale che sta logorando la sua immagine, oltre che il nostro futuro. Le sue esternazioni sfociano ormai nello psicodramma e diventano occasione di una reazione popolare fatta di rabbia e disorientamento. Ma nel caso dell’ultima, in ordine cronologico, brutta figura, quel “choosy” rivolto ai giovani che cercano lavoro, colpisce non tanto il disprezzo e l’altezzosità quanto la buona fede del ministro.
 

Perché a Fornero quelle espressioni vengono naturali e rappresentano l’effetto genuino della sua estraneità dalla vita reale. Quali giovani frequenta, infatti, il ministro per parlare così? Dove sono questi giovani così schizzinosi? Tra coloro che, nonostante siano laureati e con un dottorato alle spalle, si “accontentano” di fare i camerieri, di lavorare in un call center, di fare le supplenze nelle scuole private senza contratto? Oppure tra quelli che accettano contratti a tempo determinato che non si determinano mai e aprono partite Iva per svolgere un lavoro dipendente? Nelle aziende in cui si ripetono all’infinito gli stage di formazione che sono prestazioni lavorative a tutti gli effetti? O tra i giovani che fuggono dall’Italia e cercano di farsi una vita all’estero? 

I ministri tecnici, in realtà, sembrano guardare alla vita vera dall’alto di un Olimpo immaginario, con la lente dei grafici finanziari oppure con il ricordo delle stanze ovattate in cui hanno passato la propria, agiata, vita. Quella di qualche fondazione bancaria o di polverosi palazzi del centro di Roma, al riparo dalle intemperie, accucciati su un ricco conto corrente o accovacciati su una pensione d’oro. Tante nuove Maria Antonietta in cerca di moderne brioches da lanciare alla malcapitata folla di “schizzinosi”, esodati, precari e lavoratori a sbafo.

La classe dirigente italiana, quella della finanza, dell’alta burocrazia, della tekné, vive una propria vita parallela ma decide beatamente sulle vite degli altri, nascondendosi dietro a un simulacro di democrazia. Ed è forse questa l’anomalia italiana e non solo, il tasto dolente del tempo presente. In fondo, i movimenti come Occupy negli Usa o gli Indignados in Spagna, hanno parlato proprio di questo. “Democrazia reale, ora”, è stato uno slogan profetico perché intuitivo della distanza siderale che passa tra coloro che prendono le decisioni e coloro che le subiscono. Anche il successo plateale di Grillo si spiega così. La democrazia che non c’è è il vero nervo scoperto del nostro tempo e la rivoluzione democratica quello che ci manca. In fondo, bisogna dire grazie a frasi come quelle di Elsa Fornero, perché ci aiutano a vedere le cose come stanno. E magari a indignarci davvero.

S.Cannavò - 23/10/2012
Il Fatto Quotidiano

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Il silenzio di regime sul No Monti Day

L’adesione al No Monti Day si sta diffondendo ovunque. Assemblee, riunioni, messaggi per la rete, tutto fa pensare che sabato ci sarà un evento in un paese che finora è stato il più passivo d’Europa. Ma la notizia della manifestazione non esiste per l’informazione ufficiale. Un convegno di 30 persone di qualche organizzazione con agganci nel palazzo ha molto più spazio, per noi nulla perché?

La prima ragione sta nel sostegno pressoché unanime che i mass media danno al governo. Tutti i quotidiani eccetto tre e tutti i telegiornali eccetto nessuno sono portavoce di Monti e del suo doloroso ma inevitabile operare. Non c’è mai stata in Italia una tale informazione di regime, gli anni di Berlusconi al riguardo sembrano libertari.

Questo dimostra quanto sia logorata oggi la nostra democrazia, ove un governo privo di legittimazione popolare è al tempo stesso causa ed effetto di una riduzione delle libertà fondamentali. Il regime montiano, il pensiero unico nell’informazione è al tempo stesso espressione di una regressione cominciata con Craxi e proseguita con tutti i governi della seconda repubblica, ma anche manifestazione di una volontà di dominio dei poteri forti tutti schierati con il governo.

Si può anche constatare come l’efficacia di questa potenza di fuoco a favore di Monti sia relativa. Partito con un consenso del 71% quando fu nominato e acclamato salvatore della patria, il presidente del consiglio è precipitato al 37, anche se il regime dà buona prova di stupidità esaltando il fatto che comunque egli è davanti a qualsiasi politico. È che gara è? Dall’altra parte ci sono gli orrori e il disfacimento della casta, mentre il movimento 5 stelle raccogli consensi che non possono più essere nascosti.

Quello che in realtà si vuole testardamente affermare è ciò che Monti proclama tutte le volte che va all’estero. Ove ha più volte dichiarato che gli italiani ce l’hanno coi politici non con lui, e che accettano i sacrifici a differenza di tutti gli altri popoli europei.

E qui c’è il succo del pensiero unico che ci governa. Nel paese del gattopardo si può cambiare tutto, purché non cambi nulla di ciò che conta davvero. Le politiche di mercato e rigore non hanno alternative, come affermava anni fa la signora Thatcher. Chiunque governi dovrà continuarle. Per questo ogni tentativo di costruire una opposizione a Monti che lo contesti in quanto espressione della politica conservatrice europea, va censurato.

Ci possono essere le singole lotte, più o meno disperate, si può scendere in piazza per il lavoro, con ministri sfacciati che chiedono di partecipare. Ma non si può dire via il governo monti, basta con le politiche europee che stanno estendendo a tutto il continente il massacro greco. Da noi è questa opposizione che non ha cittadinanza, a differenza che in tutti gli altri paesi sottoposti alle ricette di Draghi, Merkel e Monti.

Qui emerge l’altra faccia del regime. Leggendo la carta d’intenti firmata dai candidati alle primarie del centrosinistra si resta sconcertati per la banalità e la retorica bolsa di un testo che pare fatto apposta per non discutere sul serio. Francamente non si capisce come una persona acuta come Tabacci possa lamentarsi. Quel testo è pura cultura democristiana, grandi valori e pochi impegni concreti da cui non si sgarra. Che, guarda caso, sono i brutali vincoli di bilancio messi nella Costituzione e negli accordi per il fiscal compact. Si dice che si vuol andare oltre Monti, accettandone però tutti i vincoli e gli impegni assunti. Quante ridicole chiacchiere.

Si capisce così la convergenza di interessi che porta a cancellarci. Da un lato coloro che vogliono affermare l’assenza di alternative alla politica dei tecnici. Dall’altro coloro che vogliono presentarsi come speranza e cambiamento, avendo già sottoscritto di non cambiare davvero niente.
Si capisce allora perché diamo fastidio e vogliono impedirci di esistere. Noi smascheriamo il trucco. Ma noi invece esistiamo e dal 27 ottobre cominceremo a riavvicinare l’Italia a quell’Europa che lotta contro Monti, Merkel e tutti coloro che li sostengono.

G. Cremaschi - 22/10/2012
blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it 

venerdì 19 ottobre 2012

I numeri del disastroso Governo Monti

Monti non ha ancora compiuto un anno di governo, essendo in carica dal 16 novembre, ma le cifre parlano chiaro: un assoluto disastro!
Il Supplemento al Bollettino Statistico "Finanza pubblica, fabbisogno e debito" n. 52 del 15/10/2012, pubblicato dalla Banca d’Italia, evidenzia chiaramente le cifre del disastro. Con la pubblicazione odierna, si rendono pubblici i dati aggiornati al 31 agosto.  Il debito pubblico continua a crescere, ma con l’avvento di Monti la crescita è stata superiore agli anteriori governi. Il debito pubblico italiano al 31 agosto 2012 era 1.975, 63 miliardi di Euro.

Il debito pubblico nel 2011 (fra il 31/12/2010 ed 31/12/2011) è cresciuto del 3,00%; se consideriamo gli ultimi dodici mesi del governo Berlusconi (31/10/2010-31/10/2011) il debito è cresciuto del 2,38%. Negli ultimi 12 mesi (31/08/2011-31/08/2012) la crescita del debito è stata del 3,51%; Se consideriamo solamente il periodo del Governo Monti (31/10/2011-31/08/2012) la crescita del debito è stata del 3,09% e se ci soffermiamo ad analizzare i dati dell’anno in corso (31/12/2011-31/08/2012) il debito cresce ancora di più: 3,61%. L’azione del Governo Monti sta, inequivocabilmente, facendo crescere il debito più che il suo predecessore.
Se poi consideriamo il debito in relazione al PIL, il disastro del governo Monti appare ancora più evidente. Nel 2008 il debito pubblico italiano era il 106,1% del PIL; nel 2009 sale al 116,4%; nel 2010 arriva al 119,2%, nel 2011 supera il 120%, arivando al 120,7%; nel 2012 sarà sicuramente superiore al 125%, massimo assoluto dal 1970. Secondo calcoli pessimistici potrebbe arrivare perfino al 130% o ad una cifra molto vicina: se il debito negli ultimi 4 mesi dell’anno dovesse crescere di altri 25 miliardi e quindi arrivare in prossimità dei 2.000 miliardi e se si dovesse confermare una riduzione del PIL del 2,6%; in questo caso l’Italia si rrtroverebbe un debito vicino al 130%.
Le cifre del Governo Monti sono ancora più disastrose, se si considera che il debito continua ad aumentare pur in presenza di un aumento delle entrate. Nel 2012, grazie all’aumento delle imposte e delle tasse, il Governo Monti per il 2012, stando agli ultimi dati pubblicati dal FMI lo scorso 9 ottobre, usufruirà di entrate non inferiori a 755 miliardi di Euro, il 48,3% del PIL a fronte di ingressi pari al 46,1% del 2011. Ovviamente l’aumento delle imposte e delle tasse continua ad essere un punto all’ordine del giorno del governo Monti, che contribuisce a deprimire la domanda, per cui è facile aspettarsi un peggioramento della situazione. La disoccupazione, ad esempio, sempre secondo i dati pubblicati dal FMI lo scorso 9 ottobre passa dall’ 8,4 del 2011 al 10,5 nel 2012 e constinuerà a crescere per il 2013.
Il disastro del Governo Monti va ben oltre queste cifre: l’aspetto peggiore è l’aumenta del debito a breve, quello da pagare a meno di un anno. Al 31 di ottobre 2011, ultimo bilancio disponibile per il Governo Berlusconi, il debito totale ammontava a 1.916,40 miliardi di Euro e di questo il 26,07%, ossia 499,58 miliardi erano debiti in scadenza nei successivi 12 mesi.
Oggi (dati al 31/08/2012), con il Governo Monti il debito è a 1.975,63 miliardi di Euro, ma la quota da pagare a breve, entro i successivi 12 è salita a 546,64 miliardi, il 27,67% di tutto il debito. In solo 8 mesi (dal 31/10/2011 al 31/08/2012) di Governo Monti, il debito da pagare a breve ha avuto un rialzo netto del 1,6%. Anche il debito a medio termine, quello in scadenza tra 12 e 60 mesi è in aumento, essendo passato da 554,85 miliardi del 31/10/2011, il 28,95% del totale, a 579,76 il 29,35% del totale; ovviamente diminuisce il debito in scadenza oltre i 60 mesi.
Perchè consideriamo che questo sia l’aspetto peggiore del Governo Monti? Aumentando il debito a breve, significa aver bisogno di maggiori entrate nel breve periodo per coprire le rate in scadenza ed ovviamente si contnuerà a spremere i contribuenti, il popolo Italiano e le imprese, con la conseguenza di deprimere ancora di più la domanda e quindi il panorama economico.
Certamente Monti, come previsto, continuerà a vendere, o per essere più esatti a svendere il patrimonio nazionale, con la conseguenza che nel breve periodo si ritroverà con un debito inferiore di qualche miliarduccio, ma nel lungo periodo aumenterà perchè da un lato continua a spendere (pur aumentando le entrate, se il debito aumenta è perchè aumentano le spese) e dall’altro veranno a mancare gli introiti derivanti dagli utili del patrimonio ormai venduto.
A quanto pare, Monti sta tagliando solo ed esclusivamente gli investimenti sociali, da lui considerati non una grande risorsa del paese, ma uno spreco. Fra qualche tempo, in virtù di questi tagli si ritroverà con un popolo affamato, malcurato ed ammalato, ignorante, con le inevitabili esplosioni sociali ed il ricorso alla repressione ed il conseguente incremento delle spese nel settore dell’ordine pubblico. Bella prospetiva per l’Italia!
L’aumento del debito a breve termine, rende sempre più evidente il ricorso al FMI ed anche se al momento tale ricorso viene negato, la realtà dei numeri indica il contrario. Come si pagano i debiti, se ormai gli italiani, popolo ed imprese, sono già spremuti al massimo?
Nella logica di Monti, si continuerà ad aumentare l’IVA, l’IMU/ICI, le altre imposte e tasse, a ridurre le pensioni, gli stipendi, ecc… ma tutto questo farà ulteriormente diminuire la domanda (i consumatori disporanno di sempre meno soldi da spendere) e per conseguenza le imprese reagiranno riducendo l’offerta, ossia licenciando e spostando all’estero i propri stabilimenti (almeno le grandi imprese; mentre le piccole chiuderanno).
Monti è stato chiamato a diminuire il debito pubblico e a far ripartire l’economia italiana, ma i dati ufficiali indicano esattamente il contrario.

A.Folliero - 15/10/2012
http://umbvrei.blogspot.it/

lunedì 15 ottobre 2012

Più produttività. E abbassare i salari (ce lo chiede l'Europa...)


Produttività. Un altro scalpo per Monti?


Il confronto sulla produttività tra governo e parti sociali, che entra nel vivo in questi giorni, è un imbroglio a partire dal suo nome. Non molto tempo fa il Cnel ha annunciato una ricerca che proprio per i suoi risultati sorprendenti è stata subito rimossa. Sulla base di essa il decennio più produttivo degli ultimi quaranta anni è stato quello tra il 1970 e il 79. Sì proprio il decennio delle conquiste sindacali, sociali, civili, della scala mobile, del posto fisso , degli orari e dei contratti rigidi, dello stato sociale e della grande industria pubblica, proprio quel decennio ha visto il nostro paese raggiungere il tasso di produttività più alto di tutto l'occidente industriale. Da allora quel tasso è progressivamente diminuito, con un andamento parallelo alla regressione delle condizioni del mondo del lavoro. Fino agli anni duemila, che con l'Euro e le privatizzazioni hanno visto un vero e proprio tracollo sia del salario sia della produttività. (...)
Onestà vorrebbe che un governo fatto di tecnici partisse dai dati raccolti nella realtà e non dalla ideologia e dagli interessi dominanti. Che ci si domandasse se questi risultati clamorosi non dimostrano che tutte le politiche economiche liberiste di questi decenni hanno sì fatto star peggio i lavoratori , ma hanno anche colpito la produttività.
Se non altro per pura onestà intellettuale il governo Monti dovrebbe esplorare altre strade e invece ripropone l'ennesimo patto sociale con al centro la riduzione dei salari e l'aumento degli orari. Che diventa una scelta con tratti di follia pura in piena crisi recessiva. Ogni ora di lavoro in più di chi resta occupato è uno spazio di lavoro in meno per chi non lavora, la riduzione dei salari deprime ancora di più il mercato interno, mentre la crisi mondiale chiude la via delle esportazioni; e allora?
Allora onestà vorrebbe che il sistema delle imprese riconoscesse che il problema principale del paese è l'assenza investimenti, di innovazione e ricerca , di politiche pubbliche per l'occupazione e soprattutto che bisogna invertire il processo di impoverimento del lavoro.
Invece il rappresentante del sistema bancario vuole la riduzione del costo del lavoro mentre le banche preparano migliaia di licenziamenti e negano il credito a tutta la piccola impresa. La Confindustria vuole più orario per fare come Marchionne, che ha ottenuto tutto quello che voleva dal supersfruttamento del lavoro e intanto chiude le fabbriche.
Onestà vorrebbe che governo e grande padronato riconoscessero che la loro ricetta trentennale è fallita e che purtroppo per loro devono metter mano ai loro portafogli, invece che ai nostri.
Ma naturalmente questa onestà non esiste nelle classi dirigenti dell'Italia di oggi. Esse vogliono solo conservare poteri e privilegi accumulati negli ultimi trenta anni. Così si imbandisce il tavolo sulla produttività, con il solo scopo di realizzare un altro dei punti programmatici della lettera che Draghi e Trichet scrissero a Berlusconi nell'agosto del 2001. Dopo la controriforma delle pensioni e quella del lavoro che ha cancellato l'articolo 18, ora si tratta di dare il colpo finale al contratto nazionale, rendendolo una inutile cornice entro la quale le aziende fanno tutto quello che vogliono.
Monti finora è riuscito a portare uno scalpo di diritti e conquiste del lavoro ad ogni vertice europeo e si è anche vantato di averlo ottenuto senza incorrere in quella protesta sociale che percorre l'Europa. Ora tenta di fare il colpo con il contratto nazionale.
Cgil Cisl e Uil, finora hanno condiviso o subìto le decisioni del governo , anche le più feroci. Ora hanno l'occasione di un parziale riscatto mandando a gambe all'aria il tavolo sulla produttività. Eviteranno così un nuovo danno per chi lavora e daranno un primo vero colpo alla politica d Monti . La Cgil, che convoca sabato in piazza chi ha perso o sta per perdere il lavoro, ha una possibilità concreta di mettere in discussione quell'agenda Monti che dichiara di voler cambiare. Lo faccia dicendo no sulla produttività.
Intanto, noi che combattiamo la disonestà sociale del governo e delle classi dirigenti rendiamo ancora più forte il No Monti Day il 27 ottobre.

G.Cremaschi - 13/10/2012
Rete 28 aprile 

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Allarme rosso. La Bce dice di abbassare i salari

La Banca Centrale Europea preme sui governi affinchè adottino nuove misure strutturali che favoriscano maggiore "flessibilità salariale".

Allarme! Un nuovo diktat è nell’aria. Un rapporto della Bce ritiene che l'adeguamento salariale nei paesi dell'Eurozona è stato relativamente limitato nonostante la gravità della recessione e l’aumento della disoccupazione. Tradotto in soldoni: i salari sono troppo alti e vanno abbassati.
In un tale contesto secondo la Bce "una risposta flessibile delle retribuzioni dovrebbe essere un'importante priorità". I tecnocrati di Francoforte argomentano il loro nuovo diktat ai governi con motivazioni che mettono i brividi.
Secondo l’analisi della Bce durante la crisi i salari reali sono aumentati nell'area euro, presumibilmente come riflesso di uno spostamento dell'occupazione verso lavori a salario più alto, i quali sarebbero maggiormente tutelati. In un altro riquadro viene messo a confronto l'andamento della disoccupazione nell’Eurozona con quello negli Usa: complessivamente l'aumento dei senza lavoro nei paesi europei è stato più contenuto: 4 punti percentuali contro i 4,8 punti degli Usa. Ma all’inizio del 2010 in entrambe le aree veniva registrato un tasso di disoccupazione attorno al 10 per cento, da allora gli andamenti si sono discostati: calo negli Usa mentre nell'area euro hanno continuato a salire. E così oggi nell'Eurozona i disoccupati superano l'11% mentre negli Stati Uniti sono attorno all'8%. Anche perché la stessa Bce rileva che l'area dell'euro ha perso 4 milioni di occupati tra 2008 e fine 2011, non solo ma "l'occupazione è diminuita ulteriormente nella prima metà del 2012 - si legge poi nel capitolo sulla situazione nel mercato del lavoro - mentre la disoccupazione ha continuato ad aumentare". 
Questa valutazione preliminare serve alla Bce per giungere alle considerazioni sui salari e sulle "rigidità" nel mercato del lavoro dell’Eurozona. Tenuto conto dell`intensità della crisi, “la risposta dei salari nell’area dell`euro sembra essere stata piuttosto contenuta - si legge - per effetto della generale rigidità salariale”. In questo quadro secondo la Bce serve più flessibilità sui salari anche per agevolare la necessaria riallocazione settoriale che prelude alla creazione di posti di lavoro e alla riduzione della disoccupazione. E chiaramente questo richiede ulteriori e significative “riforme del mercato del lavoro nei paesi dell`area”, riforme che i tecnocrati di Francoforte ritengono “un elemento fondamentale per una solida ripresa economica nelle economie”, che dovrebbe altresì facilitare ulteriori effetti di propagazione positivi relativi alla correzione e prevenzione degli squilibri macroeconomici, il riequilibrio dei conti e la stabilità finanziaria. La Bce poi cita come esempi positivi (sic!) i paesi europei in cui le “riforme” sono state già fatte, e tra questi figurano anche Italia e Spagna che "recentemente hanno adottato riforme del mercato del lavoro al fine di accrescere la flessibilità e l`occupazione". Ma i risultati ci dicono esattamente il contrario in entrambi i paesi.

S.Cararo - 11/10/2012
http://www.contropiano.org


mercoledì 10 ottobre 2012

Perché smantellano le Regioni

La mission di Monti è distruggere la sovranità nazionale (possibilmente anche quelle altrui) e farla confluire all'interno di una unica sovranità europea. La chiamano unione politica e fiscale. Qualcuno la chiama anche Stati Uniti d'Europa. Fin da quando lavorava alla Trilaterale, Monti aveva il compito di distruggere la frammentazione del vecchio continente e realizzare un'unica entità centrale: l'Eurasia, di orwelliana memoria. 

Lo smantellamento delle Regioni italiane rientra in questo quadro. Le Regioni sono idealmente piccoli quasi-staterelli autonomi cui la riforma della Costituzione ha conferito poteri sovrani. Poteri che derivano, certo, dallo Stato, ma che conferiscono autonomia decisionale e legislativa. Monti deve smantellare l'Italia come entità a se stante, e per farlo deve a maggior ragione distruggere le singole entità regionali.   

Tutti i Batman d'Italia, ovvero le spese complessive di tutti i gruppi regionali che sono nell'occhio del ciclone, ammontano a 65 milioni di euro.
La spesa locale è cresciuta viceversa in dieci anni di 70/80 miliardi ; 
il fiscal compact ci costringerà a 50 miliardi di nuovi tagli all'anno e 
il MES ci indebita di 125 miliardi in prima battuta, di cui 10 già pagati.
Una montagna di merda sulla quale tutti i Fiorito corrono come minuscole, invisibili formiche. 

Eppure tutte le Regioni vivono un accerchiamento politico-mediatico-giudiziario che non lascia scampo, che ha già prodotto un Decreto Legge cui nessuno, con la propaganda fiume che si è riversata nelle case degli italiani, ha potuto opporsi. In democrazia, se controlli i media, controlli tutto. 
   
   
C. Messora - 08/10/2012
www.byoblu.com


vedi anche :
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/09/regioni-stato-taglia-anche-competenze-pronta-legge-costituzionale/376741/

venerdì 5 ottobre 2012

Lavoro e dignità / Lo sciopero è un fatto inaccettabile


due articoli di Marco Cedolin dal suo blog  http://ilcorrosivo.blogspot.it

Lavoro e dignità 

 

Sul fatto che il lavoro possa rappresentare la dignità, così come si evince da uno striscione "lavoro é dignità" srotolato da un manipolo di operai dell'Ilva di Taranto, impegnati ad occupare a turno l'altoforno in odore di chiusura, continuiamo ad avere molti dubbi. Il lavoro molto spesso non é altro che un sacrificio necessario per vivere o sopravvivere e nel migliore dei casi può rivestire un ruolo importante nell'ambito della realizzazione personale, ma non rende liberi, nè tanto meno dignitosi.
La dignità é un qualcosa che alligna nel nostro animo e traspare dalle azioni che compiamo tutti i giorni, a prescindere dal fatto che noi si lavori o si sia disoccupati.
L'unico fattore che accomuna i due termini é l'evidenza del fatto che nell'Italia di oggi tanto il lavoro quanto la dignità latitano drammaticamente, senza che nessun segnale possa indurci a sperare che in tempi brevi il deficit venga colmato....


In quella guerra fra poveri nella quale si é ormai trasformato il moribondo mondo del lavoro italiano esistono una marea di lavoratorie che stanno per essere trascinati nell'inferno della precarietà e della disoccupazione dalle scelte di un sistema di potere che loro stessi, ostentando ben poca dignità ed ancor meno lungimiranza, hanno nel tempo avallato, per comodità, per "timidezza" e per paura di perdere quelli che consideravano privilegi acquisiti.

Non era certo impossibile comprendere il punto di arrivo della politica iper liberista applicata dai mentori della globalizzazione negli ultimi decenni, con il consenso di larga parte della popolazione. Con tutto il suo carico di delocalizzazioni, dumping sociale, scempi ambientali e ricatti occupazionali.
Per realizzare quale sarebbe stato il punto di arrivo di tutte le scelte scellerate (compiute scientemente con uno scopo preciso) che ci hanno portati allo stato in cui siamo oggi, sarebbe bastato applicarsi un poco e dedicare qualche ora ad informarsi, magari rubandola alla full immersion nel calcio di sky, nelle sitcom a lustrini, nei paradisi dello shoppimg o nelle immancabili corse ai weekend fuori porta.
Per contrastare attivamente l'incedere del treno costruito per trasportarci verso l'abisso sarebbe forse stato sufficiente recuperare un poco di dignità e molto coraggio, puntare i piedi e dire no a tutte quelle scelte velenose che la politica ed i media presentavano come imprescindibili, quasi fosse stato lo spirito santo ad imporle.

Mi dispiace, ma pur con l'ausilio di svariati quintali di buona volontà, non riesco a vedere alcun barlume di dignità allignare fra gli operai della Fiat che hanno accettato di buon grado ogni passo del gambero sia stato loro imposto dalla proprietà e dai sindacati collusi con la stessa. Non vedo dignità fra gli operai dell'Ilva che mai si sono preoccupati del fatto che il lavoro con il quale mantenevano le proprie famiglie riempisse le corsie dei reparti di oncologia di malati condannati ad una morte atroce, ma oggi ritengono di ostentarne una qualche forma, salendo su un altoforno per difendere il posto di lavoro e fare gli interessi della proprietà che da decenni costruisce profitti miliardari sulla pelle della popolazione.
Così come non vedo alcuna dignità fra gli operai della CMC che a Vicenza hanno costruito una base di guerra e in Val di Susa stanno sbancando la montagna contro il volere dei cittadini ai quali regaleranno tanti nuovi tumori e sotto la protezione della polizia.

Il lavoro, a maggior ragione quando si tratta di un lavoro "sporco" non é dignità. La dignità é saper dire di no, quando si rivela necessario, anche se per aver puntato i piedi occorrerà pagare dazio, mettersi in discussione e rendere più duro il presente dei nostri figli, consapevoli del fatto che si tratta di un sacrificio necessario perchè loro e gli altri abbiano un futuro.
26/09/2012


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Lo sciopero è un fatto inaccettabile 

 

La giornata di sciopero del trasporto pubblico loocale che ieri ha paralizzato le principali città italiane sembra avere provocato di tutto e di più. 

Orde di cittadini in preda al panico in fuga nelle gallerie del metrò milanese come fossero inseguiti dagli zombies di Resident Evil, ressa in ogni dove, malori, tensioni e perfino manipoli di "eroi" disposti ad immolare il proprio corpo strisciamdo sotto le saracinesche in chiusura, pur di riuscire a prendere l'ultimo treno prima dello stop alla circolazione. Orde di pennivendoli pronti a sbavare rabbia dichiarando che "uno sciopero così non è da paese civile" e addirittura il garante sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali Roberto Alesse che con un tempismo da orologio svizzero si è affrettato ad aprire un'inchiesta sull'astensione dal lavoro in oggetto.

Comprendiamo bene come nell'Italia governata dai banchieri lo sciopero somigli sempre più ad una creatura mitologica alla cui vista inorridire e darsi alla fuga pervasi dal panico....



E lo stesso pensiero che qualcuno possa scioperare, in un momento storico in cui qualsiasi lavoro da schiavo viene considerato alla stregua di un privilegio inarrivabile sembri ai più esercizio di pura follia.
Così come comprendiamo la frustrazione e la paura delle molte persone il cui imperativo è quello di arrivare al lavoro comunque con ogni mezzo, perché se non ci arrivano nessuno pagherà loro la giornata e malauguratamente il lavoro potrebbero anche perderlo, dal momento che i contratti da schiavo sdoganati dalla legge Biagi fra i plausi generali  non contemplano più alcuna tutela.

E ancora comprendiamo la ferocia degli scribacchini da guardia tenuti generalmente a catena, qualora in occasioni speciali come questa venga loro concessa dal padrone libertà di ringhiare, azzannare e sfogarsi come meglio credono, purchè naturalmente si tratti delle gambe giuste. Ed anche lo zelo con cui si è mobilitato il garante, dal momento che il suo mestiere consiste proprio nel far si che gli eventuali scioperi non arrechino danno a nessuno e possibilmente neppure si vedano.

Quello che invece fatichiamo a comprendere é la presunzione ostentata da tutto il carrozzone mainstream nel presentare uno sciopero generale alla stessa stregua di una calamità naturale, sfruttando per avvalorare la propria tesi l'isteria collettiva dei forzati da pendolarismo e la paranoia modello americano che ormai si è impadronita di molti italiani.
Dimenticando completamente di ragguagliare il lettore/ascoltatore sul motivo che ha indotto i lavoratori del trasporto pubblico locale a scioperare. Cioé il fatto che il loro contratto non viene rinnovato dal 2007, abominio realmente indegno di un paese civile e anche di quelli che nella nostra supponenza siamo usi considerare scarsamente ricchi di civiltà.

L'unico fatto realmente inaccettabile è proprio quello che l'informazione, primo gurdaspalle dei banchieri, anzichè rispondere alla domanda "ma perchè questi scioperano?"che ieri milioni di cittadini si saranno posti, preferisca focalizzare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla calca, i disagi, gli svenimenti.

Si trattava di uno sciopero, il cui scopo precipuo è proprio quello di creare disagi, per attirare l'attenzione su un problema, in questo caso anche di una certa gravità.
Non di un ciclone tropicale, anche se di questi tempi nel nostro paese è certo più alta la probabilità d'imbattersi nel secondo piuttosto che nel primo.
03/10/2012