mercoledì 20 ottobre 2010

Verso Roma di Eugenio Orso

Venerdì notte, andando verso Roma da Trieste e dal Friuli, sul treno speciale della Fiom in cui si concentrava la vera opposizione politica e sociale del nord est.
Un viaggio di almeno otto ore, fra discussioni, canti, musica e qualcuno che cercava a tutti i costi di dormire.
Si sapeva che i partecipanti alla manifestazione di sabato 16 ottobre sarebbero stati tanti, e si intuiva che non poteva trattarsi di un’ordinaria adunata sindacale.
Ed infatti, è stato molto di più.
Tempo fa, quando dicevo o scrivevo che soltanto la Fiom, nel desolante panorama italiano, avrebbe potuto rappresentare il nucleo di aggregazione di una nuova opposizione integrale a questo capitalismo, ai suoi modelli, alla sua spietata organizzazione del lavoro, ai suoi miti fuorvianti che generano soltanto ostilità fra le persone e i gruppi ed imbarbarimento nella società, molti aggrottavano le ciglia, alcuni mostravano sorpresa, altri scuotevano la testa, come se si trattasse di una bizzarria.
Il sindacato – questa era la motivazione addotta per blandirmi – non può sostituire il partito, non si presenta alle elezioni, non elegge deputati …
Motivazione ingenua, perché una crisi complessiva come quella che stiamo vivendo, che oltre ad essere economica è anche crisi di civiltà, può far nascere “sul campo di battaglia” soluzioni nuove, e così, andando oltre la separazione gramsciana fra partito e sindacato che poteva avere un senso politico e sociale nel Novecento, una forza come la Fiom, coesa e non disposta a capitolare davanti al “nuovo” che avanza travolgendoci [leggi, davanti al rullo compressore della “globalizzazione senza veli”], può favorire con la sua resistenza propositiva il coagularsi di un'inedita opposizione, fuori della trappola mortale rappresentata dalla liberldemocrazia e dai suoi riti.
Non si tratterà, per come la vedo io, di un vago aggregato, vistosamente eterogeneo, sottilmente moltitudinario e figlio di una situazione politico-sociale molto frammentata, sulle soglie del caos.
Al contrario, sarà un fronte del Lavoro materiale e intellettuale esterno a quella “sinistra di sistema” che ha archiviato definitivamente la questione sociale, e non si costituirà come un “blocco granitico” guidato da un capo carismatico, ma come un movimento-partito-sindacato nato dal basso, da un vero consenso di massa, che dovrà strutturarsi rapidamente, prima che gli eventi precipitino del tutto.
Ritorna, lo possiamo già affermare mettendo da parte un’eccessiva prudenza, la lotta di classe pur in forme diverse da quelle del passato, per ora timidamente ma in futuro con prepotenza, frapponendosi fra il capitalismo transgenico finanziario e il controllo huxleyano/ orwelliano dell’intera società
Venerdì notte, sul treno non c’era il cosiddetto “paese reale”, che è soltanto un’espressione ipocrita usata dalla politica minore italiota, ma il paese vero, fatto di carne e di sangue, quello che non accetta la rassegnazione che gli è imposta giorno dopo giorno, quello che respinge il ricatto di un nuovo capitalismo che vive di ricatti, quello che si indigna ascoltando le piccole tacche dell’epoca asservite totalmente a questo capitalismo, come i Bonanni, gli Ichino, i Brunetta, i Sacconi.
I corpi e le anime compongono il paese vero, ne costituiscono l’essenza, e nel contempo rappresentano una forza in grado di rimettere la storia in movimento.
Credere in ciò non significa essere fuori della storia, confinati irrimediabilmente in un passato che non può tornare, come vorrebbero far credere gli interessati predicatori e cantori della globalizzazione neoliberista, ma significa, al contrario, cercare di dirigere le correnti storiche verso un’altra società possibile.
La manifestazione di sabato è stata vigliaccamente e preventivamente criminalizzata dagli organi di informazione di regime, dal governo, dai sindacati gialli, dalla stampa addomesticata, perché costoro temono come la peste la partecipazione e il giudizio dei lavoratori.
Tutta la parte peggiore di questo paese, quella più spregevole e senza scrupoli – da Maroni a Bonanni – si è prodigata per paventare rischi di disordini, di scontri, di atti teppistici, di vandalismi, nel contempo annunciando una partecipazione ridotta, di poche decine di migliaia di unità e riconducibile a non meglio identificate minoranze di “estremisti”.
Lo spettro delle uova [neppure marce] lanciate contro i covi dei sindacati gialli – i nuovi mercanti di schiavi che fiancheggiano questo capitalismo – è diventato il simbolo di uno squadrismo inesistente, inventato dai media di sistema per delegittimare la sacrosanta protesta sociale.
Si comprende bene, a tal punto, dove sta la vera e l’unica opposizione in questo paese.
Ma non serve arrivare ai centri di potere politico o confindustriale per constatare l’ostilità nei confronti della Fiom, di ciò che rappresenta e degli stessi manifestanti, visto che in certi blog finti alternativi, ma in realtà filo-berlusconiani e filo-leghisti non dichiarati, come ad esempio in uno dei peggiori della serie, Conflitti e Strategie, sono comparsi a cura del “guru” di turno [tale glg] commenti del seguente tenore:
«Attorno alla Fiom non si coagula nulla di buono, le manifestazioni saranno una sempre più brutta copia delle altre che abbiamo visto fin qui. Portano solo caos a favore dell'ammucchiata di sinistra (con centro e spezzoni di destra) che è quella del "più alto tradimento", che ha colorazione tendenzialmente "viola" (e non m'interessa se non verrà inalberato tale colore, sto dicendo il significato reale di queste manifestazioni nel contesto in cui si muovono, quello di tanti tori che vedono rosso appena sentono "Berlusconi"). Non m'interessa se ci saranno anche 10 milioni di persone. Chi non lo capisce, per quanto mi riguarda è pericolosissimo, anche se sapessi che è buonissimo e morale e pieno di "socialità". Non capisce un cazzo di chi sta favorendo con le sue lotte destinate a rimanere solo caotici fermenti, [...] Perciò spero che la manifestazione, se supererà i livelli di una pacifica dimostrazione, venga brutalmente repressa e dispersa. E’ scandalosa un’affermazione del genere? [...]»
Parole ancor più dure e inaccettabili di quelle di Libero e de Il Giornale contro coloro che lottano per il lavoro e il futuro dei figli, come dire che al peggio non c’è limite, che l’ipocrisia non conosce confini, e che contaminazione e idiotismo arrivano fin nei più remoti angoli della rete.
Parole indubbiamente peggiori di quelle dette dal ministro degli interni Maroni, alla vigilia della manifestazione di Roma, il quale evocava il rischio rappresentato da fantomatici «gruppetti che staccandosi dal corteo vanno a spaccare le vetrine. Gli stessi servizi dicono che è una occasione troppo grossa quella di infiltrarsi al corteo della Fiom.»
Ebbene, non si sono visti i gruppetti dediti al vandalismo e non c’è stata occasione per bastonare a sangue – in una catarsi di violenza filo-capitalistica – i civilissimi manifestanti e militanti della Fiom.
Ma questo clima oppressivo e soffocante che avvertiamo intorno a noi, era ed è il clima dell’epoca, il filo neppure troppo sottile che unisce i berluscones a Confindustria, i leghisti agli evasori fiscali, i pidiini alla Cisl.
Sappiamo che in questo inizio di millennio i nemici sono molti e potenti, arroganti e baldanzosi, ben foraggiati dal capitale finanziario, disposti alla menzogna ed al silenziamento della protesta con ogni mezzo.
Costoro si prostrano senza riserve davanti ai dogmi del capitalismo del terzo millennio e ne accettano l’assolutismo.
Convergono da ogni recesso del sistema nel portare l’attacco alla Fiom, nel tentativo di separarla dal paese vero, dalle persone reali e dal lavoro vivo, impedendo una saldatura che potrebbe rivelarsi per loro letale.
Sono tutti dalla stessa parte, dai sindacalisti gialli ai leghisti delle gabbie salariali, dagli impresari locali, avidi di profitto e privi di un orizzonte di sviluppo, ai manager globalisti come Marchionne che giocano con le esistenze degli operai, serbi, polacchi e italiani, dai liberalsocialisti che applaudono le “modernizzazioni” e la flessibilizzazione del lavoro ai finti alternativi, che ci insultano cinicamente e si augurano che ci bastonino [vedi Conflitti e Strategie].
Ma non tutto è perduto e non tutto è “normalizzato”, omologato, idiotizzato, se c’è chi non si rassegna al dopo Cristo di Marchionne, popolato dagli incubi della de-emancipazione di massa e dalla guerra fra i gruppi finanziario-globalisti, e c’è ancora, in questa società prostrata, chi è disposto a rischiare le “cariche di alleggerimento” della polizia sopportando tutte le conseguenze del caso.
Il treno speciale della Fiom partito da Trieste era pieno, quella notte, ma non di “squadristi” da operetta armati di uova della Conad in una surreale marcia su Roma, bensì di militanti che avevano la consapevolezza di vivere un momento storico importante, di essere ad un bivio dal quale si dipartono due strade, l’una che porta alla vittoria per tutto il secolo del capitalismo finanziarizzato a dimensione globale ed alla costruzione del suo allucinante dopo Cristo, fatto di lavoratori poveri e di ineguaglianze sociali enormi, e l’altra che porta alla resistenza dell’intero corpo sociale, alla Rivoluzione ed alla possibilità della liberazione.
In assenza di reazioni, accettando queste dinamiche sistemiche come inevitabili, deponendo le armi davanti alla piccola politica, all’aggressività di Confindustria, agli inganni del sindacalismo giallo, non resterà che percorre a testa bassa la prima strada, ed allora sì che dovremo vergognarci, davanti a noi stessi e davanti alle future generazioni.
Venerdì notte, sul treno che andava verso Roma, eravamo coscienti che non era e non sarà una mera battaglia sindacale – contro il famigerato “contratto leggero” come surrogato del contratto nazionale di categoria, contro l’infamia dell’arbitrato che mette la parte più debole alla completa mercé della parte più forte, contro il nuovo regime disciplinare capitalistico di “Fabbrica Italia” –, ma di un’autentica battaglia culturale e politica, ben oltre i confini del ruolo storico del sindacato.
Certo, bisogna saper cogliere il momento storico favorevole, organizzarsi e lavorare duramente senza aspettare l’evento esterno risolutivo come se fosse la manna dal cielo, ma tutti noi speravamo – essendo uomini e non macchine da lavoro come auspicato da Marchionne e dai suoi sodali – almeno per una volta in un pizzico di fortuna, di buona sorte, ben sapendo, però, che «la fortuna è come vetro: come può splendere così può frangersi» [«Fortuna vitrea est; tum cum splendet, frangitur», Sentetiae, Publilio Siro].
E la fortuna, una volta tanto ci ha sorriso, con un’enorme partecipazione di singoli, di gruppi e di movimenti, ben oltre l’avanguardia dei militanti Fiom, e ci ha regalato una giornata senza incidenti, senza lacrimogeni, senza “cariche di alleggerimento” e vetrine infrante.
Lo stesso Guglielmo Epifani, così attendista, possibilista e prudente ha dovuto prendere atto della situazione ed ha promesso lo sciopero generale per il 27 novembre.
Poi il balletto dei numeri, da quelli falsi e addirittura ridicoli – ottantamila dichiarati dalla questura per star sotto ai centomila fatidici assegnati alla precedente manifestazione dei gialli – a quelli più realistici, che approssimano il milione.
Con rabbia e abituale vigliaccheria, il nemico ci ha accusati di aver fatto una manifestazione politica.
Lo stesso refrain e accuse simili da Sacconi, il macellaio sociale incaricato del welfare [ironia della sorte], a Bonanni, che vedremo esclusivamente “indoor” per evitare il rischio del contatto diretto con i lavoratori …
Ebbene sì, si può ed anzi si deve ammettere con un certo orgoglio: c’era la politica a Roma, sabato 16 ottobre, ma la politica autentica, partecipata, che nasce dalle istanze del paese vero, quella che finalmente ci ha restituito non un paese rassegnato, idiotizzato e attraversato dalla paura, come lo vorrebbero sia il governo sia la Confindustria, ma un’Italia che vuole risorgere e che si fa sentire.
Quello che mancava, in Piazza San Giovanni, era la piccola politica dei circoli parlamentari, fatta di clientele, di familismo immorale e di favori, quella dei salotti equivoci in cui si mescola con gli “affari” o addirittura con gli interessi della criminalità organizzata, e quella posticcia dei cartelli elettorali [Pd e PdL, tipicamente] progressivamente svuotati di contenuti e rappresentanza, se mai li hanno avuti.
Certi di aver vinto una battaglia – quella della partecipazione – al punto tale da poter controbattere alle menzogne del nemico con un secco e sprezzante “contateci!”, come nella canzone diciamo Grazie Roma, rivolgendoci a quella Roma che ci ha ospitati, ai romani che hanno seguito i cortei e applaudito, a quella Città troppo spesso insolentita da gentaglia della fatta di Umberto Bossi.
Ritorneremo a percorrere le sue storiche strade, come la Via dei Fori Imperiali, ad occupare pacificamente le sue piazze per i comizi, a invadere le sue stazioni, da Termini a Ostiense, ancor più numerosi e motivati di quel che eravamo sabato 16 ottobre.
Ritorneremo, perché in fondo l’esito della lotta dipende da noi.

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