Ve la ricordate quella fortunata campagna dell’ex monopolista italiano di telefonia fissa, quella che affermava senza timore di smentita che “una telefonata allunga la vita”?
 I tempi passano e anche gli strumenti tecnologici si adeguano, e con 
loro l’uso (improprio) che se ne fa. Oggi quella telefonata non allunga 
più la vita, ma il lavoro con orari mostruosi che sfiorano le dodici ore e oltre. Perché ormai chi ha un dispositivo mobile più evoluto come smartphone, tablet, blackberry è perennemente connesso.
A
 fotografare questa situazione è stata una ricerca promossa da Mozy, 
azienda britannica che fornisce servizi tecnologici ad altre imprese. Come riporta “Il Mattino” di Napoli, la compagnia ha intervistato mille dirigenti e mille impiegati
 britannici, più 800 di entrambe le categorie in Stati Uniti, Irlanda, 
Francia e Germania. Dalla ricerca emerge come la giornata di lavoro 
abbia inizio sin da casa alle ore 7.42 del mattino e si allunghi fino 
alle ore 19.19. Anche se in fondo, si legge nella ricerca, non si stacca mai del tutto.
Così oggi per chi è in ufficio
 si arriva anche a lavorare dodici ore al giorno e forse di più, perché 
un’occhiata allo smartphone la si dà sempre, fino allo spegnimento 
notturno. È una notizia che va considerata con il giusto 
allarmismo perché implica un abbattimento di quei confini tra vita 
personale e vita professionale, con una demarcazione che appare sempre più sfumata tra lavoro e vita privata.
 Il campanello d’allarme era suonato già anni addietro, dapprima nelle 
multinazionali poi anche nelle piccole e medie imprese. Quelle più 
illuminate hanno iniziato ad adottare da tempo flessibilità in entrata e
 uscita dal posto di lavoro. Ma ora con gli strumenti digitali tutto si 
sconquassa e questa tendenza alla connettività sempre e
 ovunque la si riscontra anche tra i liberi professionisti armati di 
cellulari di ultima generazione: questi nuovi micro-computer portatili 
ci hanno portato in una dimensione sconosciuta fino a pochi anni fa, 
quella della connessione perenne.
Per alcuni analisti siamo di fronte ad una anticamera di ciò che in America viene definito “workaholism“, ovvero “sindrome da ubriacatura da lavoro”: si esplicita con una dipendenza dal lavoro
 intesa come un disturbo ossessivo-compulsivo, un comportamento 
patologico di una persona troppo dedita alla professione e che pone in 
secondo piano la sua vita sociale e familiare.
Tra i wwworkers, i nuovi lavoratori della Rete,
 in diversi mi scrivono evidenziando come di fatto non si stacchi mai 
veramente dal lavoro e come un controllo della posta elettronica anche 
via cellulare nel fine settimana sia assolutamente prassi consolidata. 
Ecco, fermiamoci e limitiamoci finchè siamo in tempo. 
G.Colletti - 16/07/2012
il Fatto Quotidiano
 
 
 
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