Art.18: ecco perchè il lavoratore non sarà mai più reintegrato
nel posto di lavoro
Non avrei mai pensato di rivolgere al presidente Monti e al ministro Fornero la stessa domanda (retorica) tante volte fatta a B&C: ma ci siete o ci fate?
E
invece… L’art. 14 comma 7 del ddl sulla riforma del lavoro (Tutele del
lavoratore in caso di licenziamento illegittimo) dice: “il giudice che
accerta la manifesta insussistenza del fatto posto a base del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo (sarebbe il
licenziamento per motivi economici) applica la medesima disciplina di
cui al quarto comma del medesimo articolo” (il reintegro ). E, poco più
avanti: “nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli
estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la
disciplina di cui al quinto comma”. Che consiste nel dichiarare “risolto
il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e
condannare il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria
onnicomprensiva” (l’indennizzo).
TUTTO
RUOTA intorno a due paroline: “manifesta insussistenza”. Cosa vogliono
dire? In linguaggio comune è semplice: il fatto posto alla base del
licenziamento non esiste; perciò il lavoratore va reintegrato nel posto
di lavoro, poche storie. Ma, per un giurista, insussistenza senza
aggettivi è cosa diversa dall’insussistenza “manifesta”. Il giurista si
chiede: ma perché questi hanno sentito il bisogno di scrivere che
l’insussistenza deve essere “manifesta”? Un fatto o sussiste o non
sussiste; quanto sia complicato accertare che esista non incide sulla
sua esistenza, solo sulla difficoltà della prova.
Per
capirci meglio, un assassino va condannato sia che lo si becchi con il
coltello sanguinante in mano, sia che la sua responsabilità emerga
dopo un complicato lavoro di indagine (movente, alibi, testimonianze
etc). Dunque, pensa il giurista, questi hanno scritto “manifesta
insussistenza” proprio per differenziare questi casi da quelli in cui
c’è l’insussistenza semplice; e per differenziare il trattamento
conseguente, reintegro nel primo caso, solo indennizzo nel secondo.
Come
tecnica legislativa non è una novità. Quando, in un processo, si
solleva un’eccezione di illegittimità costituzionale, il giudice la
accoglie solo quando la questione non è “manifestamente infondata”. Se è
sicuro che la legge è conforme alla Costituzione, respinge
l’eccezione. Insomma, solo quando il giudice ha qualche dubbio sulla
costituzionalità della legge (o, naturalmente, quando è sicuro che sia
incostituzionale), chiede alla Corte costituzionale di valutare. Ne
deriva che la Corte non riceve tutte le questioni di illegittimità
costituzionale ma solo quelle che i giudici ritengono “non
manifestamente” infondate. Può darsi che tra le altre, quelle che il
giudice ha respinto (sbagliando), ce ne fossero di fondate; ma la loro
fondatezza non era “manifesta”; e quindi…
Tornando
all’art. 18, siccome i criteri di interpretazione giuridica delle
leggi questi sono (art. 12 del codice civile), ne deriva che il giudice
potrà reintegrare il licenziato solo quando, da subito, senza
indagini, senza prove, “manifestamente ”appunto, è sicuro che il motivo
economico non sussiste. Se invece dubita, se per decidere deve
acquisire prove, allora niente reintegro. E cosa al suo posto? Ma è
chiaro, l’indennizzo. E infatti Monti-Fornero lo dicono espressamente:
“nelle altre ipotesi”, cioè quando l’insussistenza del motivo economico
va accertata con una normale istruttoria dibattimentale (prove,
testimonianze, perizie), quando dunque non è “manifesta”, di reintegro
non se ne parla. Magari alla fine salterà fuori che il motivo economico
non c’è; ma, siccome è stato necessario un vero e proprio processo per
rendersene conto, niente reintegro, solo un po’ di soldi.
DA QUI DERIVANO TRE CONSEGUENZE MICIDIALI:
LA PRIMA:
Il reintegro per motivi economici non ci sarà mai. Davvero si può pensare che un’azienda licenzi con motivazioni che da subito, senza alcun dubbio, “manifestamente”, si capisce che sono una palla? Se anche la motivazione economica è infondata, sarà certamente motivata bene; e quindi sarà necessario un normale processo, come si fa sempre. Solo che, a questo punto, l’insussistenza del motivo economico, anche se accertata, non è “manifesta”; e il lavoratore non potrà essere reintegrato.
Il reintegro per motivi economici non ci sarà mai. Davvero si può pensare che un’azienda licenzi con motivazioni che da subito, senza alcun dubbio, “manifestamente”, si capisce che sono una palla? Se anche la motivazione economica è infondata, sarà certamente motivata bene; e quindi sarà necessario un normale processo, come si fa sempre. Solo che, a questo punto, l’insussistenza del motivo economico, anche se accertata, non è “manifesta”; e il lavoratore non potrà essere reintegrato.
LA SECONDA:
I giudici saranno in un mare di guano. Perché, in alcuni casi, l’insussistenza del motivo economico ci sarà; ma, per essere sicuri, un po’ di istruttoria va fatta. Un giudice non può dire: “È così’”. Deve motivare perché è così; e per questo è necessaria l’istruttoria. Ma, se la fa, addio reintegro. Mica male come dilemma.
I giudici saranno in un mare di guano. Perché, in alcuni casi, l’insussistenza del motivo economico ci sarà; ma, per essere sicuri, un po’ di istruttoria va fatta. Un giudice non può dire: “È così’”. Deve motivare perché è così; e per questo è necessaria l’istruttoria. Ma, se la fa, addio reintegro. Mica male come dilemma.
LA TERZA:
A seconda dell’interpretazione che il giudice darà del concetto “manifesta insussistenza” gli diranno che è uno sporco comunista o uno sporco capitalista. Della serie: “Se la mente del giudice funziona, la legge è sempre buona” (Snoopy sul tetto della sua cuccia). “Certo che con questi giudici…; anche le leggi migliori, che il sindacato si è ammazzato per ottenerle (o che il governo si è dannato per scriverle), non funzioneranno mai. La responsabilità per gli errori dei magistrati, ecco quello che ci vuole”.
A seconda dell’interpretazione che il giudice darà del concetto “manifesta insussistenza” gli diranno che è uno sporco comunista o uno sporco capitalista. Della serie: “Se la mente del giudice funziona, la legge è sempre buona” (Snoopy sul tetto della sua cuccia). “Certo che con questi giudici…; anche le leggi migliori, che il sindacato si è ammazzato per ottenerle (o che il governo si è dannato per scriverle), non funzioneranno mai. La responsabilità per gli errori dei magistrati, ecco quello che ci vuole”.
Ma, a
questo punto: davvero Camusso & C, Bersani & C, a tutto questo
non ci hanno pensato? O si sono accontentati di una (finta)
dimostrazione di forza, del tipo: “Abbiamo costretto il governo etc etc;
guardate come siamo bravi”?
Bruno Tinti, Magistrato - 05/06/2012
http://italy.indymedia.org/
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