Su “Il Corriere della Sera”, l’economista Francesco Giavazzi ha esaltato il dannunzianesimo padronale di Marchionne e ha dichiarato la Confindustria ente inutile. Gli ha risposto ovviamente la Presidente dell’organizzazione, elencando tutti i suoi meriti. E’ interessante seguire questo scontro tra destra ed estrema destra nel capitalismo italiano, perché si chiariscono molte cose che il solito teatrino della politica nasconde. Per Giavazzi, che ha ricevuto gli elogi pubblici di Giuliano Ferrara, la scelta della Fiat porta finalmente da noi il modello americano e segna la fine della concertazione e della contrattazione. La Confindustria va sciolta perché così si mettono anche in discussione i sindacati nazionali e con essi i contratti nazionali. Tutto questo nel nome della lotta contro i monopoli.
Alla fine dell’Ottocento molti giudici negli Stati Uniti si opposero alla nascita dei sindacati, utilizzando le prime leggi antitrust. Il sindacato, per essi, esercitava il monopolio della forza lavoro impedendo la concorrenza tra i lavoratori - trova un posto chi accetta di lavorare di più al prezzo più basso - e per questo veniva condannato e sciolto per legge.
Francesco Giavazzi pensa a questo e, nel nome della modernità, auspica il ritorno all’Ottocento americano.
La signora Marcegaglia, spaventata dal fatto che la critica le venga dalla prima pagina del giornale della borghesia italiana, risponde che con gli accordi sindacali ha ottenuto proprio quello che Giavazzi auspica. Secondo la Presidente della Confindustria l’accordo del 2009, quello separato che dava il via alla piena derogabilità dei contratti nazionali, dopo due anni di guerra è stato infine imposto anche alla Cgil. Dopo l’accordo del 28 giugno, “ogni impresa italiana è oggi libera di scegliere a seconda delle proprie esigenze, settori e dimensioni tra tre strade diverse: contratto nazionale, modifiche contrattate all’intesa nazionale e intese aziendali”.
Si chiarisce così che per la Confindustria, ma anche per la Cisl e la Uil che hanno confermato gli accordi Fiat dopo che l’azienda è uscita dall’organizzazione padronale, l’accordo del 28 giugno firmato dalla Cgil il 21 settembre è la pura prosecuzione e legittimazione degli accordi di Pomigliano e Mirafiori.
Nella sostanza la polemica tra il partito confindustriale e quello di Marchionne non è sugli obiettivi, che sono gli stessi cioè la distruzione di ogni tutela contrattuale dei lavoratori e la totale flessibilità del lavoro, ma sui mezzi. Si discute cioè se questi obiettivi siano più realizzabili attraverso la Confindustria e i suoi accordi, o azienda per azienda facendo saltare le grandi organizzazioni.
Viene da chiedersi: la Cgil, il centrosinistra, l’opposizione a Berlusconi sempre più confusa sul piano economico e sociale, hanno capito cosa sta succedendo? Hanno capito che nel padronato italiano c’è uno scontro tra due destre, una multinazionale e sovversiva, una più burocratica e centralizzata, che stanno solo litigando tra loro su come si distrugge meglio il sindacato? E, soprattutto, la sua funzione contrattuale?
Secondo la Confindustria non c’è alcuna incompatibilità tra gli accordi del 28 giugno e del 21 settembre e il famigerato articolo 8 della manovra del Governo, che, come chiedeva la lettera della Bce, dà via libera ai licenziamenti. Per questo chiediamo al gruppo dirigente della Cgil di rendersi conto che quella che ha firmato il 21 settembre è una resa persino inutile, perché il padronato italiano continua a comportarsi e a dividersi come se quella firma nemmeno esistesse.
I lavoratori della Fiat come quelli di Fincantieri, che scendono in piazza a Roma venerdì nonostante i divieti vergognosi di Alemanno e della Questura, e tutti gli altri che oggi devono lottare per difendere lavoro e diritti, hanno di fronte oggi un doppio ricatto. Se vuoi lavorare devi accettare la ricetta di Marchionne, dicono alcuni. Oppure, dicono altri, se vuoi evitare la ricetta Marchionne devi concedere le stesse cose, ma in modalità concertate secondo gli accordi esaltati dalla signora Marcegaglia.
Bisogna dire di no agli uni e agli altri. No alla linea americana di Giavazzi, ma no anche a quella europea, nel senso della Bce, della signora Marcegaglia. Entrambe queste linee del padronato rappresentano la regressione economica e sociale. Esse rappresentano quel sistema finanziario e produttivo in crisi che vuol farci pagare tutti i suoi costi e tutti i suoi debiti. Per questo ogni cedimento a una di queste due linee va contrastato con tutte le forze. Solo un’alternativa radicale, un altro modello sociale contrapposto ad entrambe le linee del padronato italiano, ci può far uscire dalla crisi con giustizia e democrazia.
Giorgio Cremaschi
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