domenica 23 ottobre 2011
venerdì 21 ottobre 2011
giovedì 20 ottobre 2011
G.Cremaschi - No a Giavazzi e no a Marcegaglia
Su “Il Corriere della Sera”, l’economista Francesco Giavazzi ha esaltato il dannunzianesimo padronale di Marchionne e ha dichiarato la Confindustria ente inutile. Gli ha risposto ovviamente la Presidente dell’organizzazione, elencando tutti i suoi meriti. E’ interessante seguire questo scontro tra destra ed estrema destra nel capitalismo italiano, perché si chiariscono molte cose che il solito teatrino della politica nasconde. Per Giavazzi, che ha ricevuto gli elogi pubblici di Giuliano Ferrara, la scelta della Fiat porta finalmente da noi il modello americano e segna la fine della concertazione e della contrattazione. La Confindustria va sciolta perché così si mettono anche in discussione i sindacati nazionali e con essi i contratti nazionali. Tutto questo nel nome della lotta contro i monopoli.
Alla fine dell’Ottocento molti giudici negli Stati Uniti si opposero alla nascita dei sindacati, utilizzando le prime leggi antitrust. Il sindacato, per essi, esercitava il monopolio della forza lavoro impedendo la concorrenza tra i lavoratori - trova un posto chi accetta di lavorare di più al prezzo più basso - e per questo veniva condannato e sciolto per legge.
Francesco Giavazzi pensa a questo e, nel nome della modernità, auspica il ritorno all’Ottocento americano.
La signora Marcegaglia, spaventata dal fatto che la critica le venga dalla prima pagina del giornale della borghesia italiana, risponde che con gli accordi sindacali ha ottenuto proprio quello che Giavazzi auspica. Secondo la Presidente della Confindustria l’accordo del 2009, quello separato che dava il via alla piena derogabilità dei contratti nazionali, dopo due anni di guerra è stato infine imposto anche alla Cgil. Dopo l’accordo del 28 giugno, “ogni impresa italiana è oggi libera di scegliere a seconda delle proprie esigenze, settori e dimensioni tra tre strade diverse: contratto nazionale, modifiche contrattate all’intesa nazionale e intese aziendali”.
Si chiarisce così che per la Confindustria, ma anche per la Cisl e la Uil che hanno confermato gli accordi Fiat dopo che l’azienda è uscita dall’organizzazione padronale, l’accordo del 28 giugno firmato dalla Cgil il 21 settembre è la pura prosecuzione e legittimazione degli accordi di Pomigliano e Mirafiori.
Nella sostanza la polemica tra il partito confindustriale e quello di Marchionne non è sugli obiettivi, che sono gli stessi cioè la distruzione di ogni tutela contrattuale dei lavoratori e la totale flessibilità del lavoro, ma sui mezzi. Si discute cioè se questi obiettivi siano più realizzabili attraverso la Confindustria e i suoi accordi, o azienda per azienda facendo saltare le grandi organizzazioni.
Viene da chiedersi: la Cgil, il centrosinistra, l’opposizione a Berlusconi sempre più confusa sul piano economico e sociale, hanno capito cosa sta succedendo? Hanno capito che nel padronato italiano c’è uno scontro tra due destre, una multinazionale e sovversiva, una più burocratica e centralizzata, che stanno solo litigando tra loro su come si distrugge meglio il sindacato? E, soprattutto, la sua funzione contrattuale?
Secondo la Confindustria non c’è alcuna incompatibilità tra gli accordi del 28 giugno e del 21 settembre e il famigerato articolo 8 della manovra del Governo, che, come chiedeva la lettera della Bce, dà via libera ai licenziamenti. Per questo chiediamo al gruppo dirigente della Cgil di rendersi conto che quella che ha firmato il 21 settembre è una resa persino inutile, perché il padronato italiano continua a comportarsi e a dividersi come se quella firma nemmeno esistesse.
I lavoratori della Fiat come quelli di Fincantieri, che scendono in piazza a Roma venerdì nonostante i divieti vergognosi di Alemanno e della Questura, e tutti gli altri che oggi devono lottare per difendere lavoro e diritti, hanno di fronte oggi un doppio ricatto. Se vuoi lavorare devi accettare la ricetta di Marchionne, dicono alcuni. Oppure, dicono altri, se vuoi evitare la ricetta Marchionne devi concedere le stesse cose, ma in modalità concertate secondo gli accordi esaltati dalla signora Marcegaglia.
Bisogna dire di no agli uni e agli altri. No alla linea americana di Giavazzi, ma no anche a quella europea, nel senso della Bce, della signora Marcegaglia. Entrambe queste linee del padronato rappresentano la regressione economica e sociale. Esse rappresentano quel sistema finanziario e produttivo in crisi che vuol farci pagare tutti i suoi costi e tutti i suoi debiti. Per questo ogni cedimento a una di queste due linee va contrastato con tutte le forze. Solo un’alternativa radicale, un altro modello sociale contrapposto ad entrambe le linee del padronato italiano, ci può far uscire dalla crisi con giustizia e democrazia.
Giorgio Cremaschi
mercoledì 19 ottobre 2011
martedì 18 ottobre 2011
sabato 8 ottobre 2011
venerdì 7 ottobre 2011
Risultati questionario mensa
Pubblichiamo il risultato del questionario sulla mensa aziendale, molto interessanti i commenti liberi.
mercoledì 5 ottobre 2011
Questionario Mensa terminato
Il questionario sulla mensa aziendale è terminato oggi alle ore 10.00, ringraziamo tutti gli innumerevoli colleghi che hanno partecipato.
Nei prossimi giorni elaboreremo i risultati e li forniremo ai lavoratori.
lunedì 3 ottobre 2011
Cremaschi: “La Fiat fa la secessione”
Quella della Fiat è una secessione vera e propria, che in fondo realizza i sogni della Lega Nord.
La multinazionale americana con sede a Torino decide di uscire dal sistema unitario di diritti e regole del nostro paese. Per Marchionne l’Italia non è nient’altro che un’espressione geografica, un territorio da ricattare e da sfruttare finché si può.
Si chiarisce così il disegno radicalmente antidemocratico della Fiat e vengono smentiti tutte e tutti coloro che, in nome della modernità, l’hanno sostenuta. La Fiat vuole semplicemente la libertà di licenziare e far quel che vuole, che le è concessa dall’articolo 8 della manovra del governo.
Il prossimo capo del personale della Fiat sarà Roberto Cota.
Giorgio Cremaschi
domenica 2 ottobre 2011
In mille all'assemblea del 1 ottobre. NO al debito! Ora in piazza il 15 ottobre
Quello che segue è il documento approvato all'unanimità (meno 2 astenuti e 2 contrari) dai circa 1000 partecipanti all'assemblea nazionale delle/dei firmatari/e dell'appello "Dobbiamo fermarli. Noi il debito non lo paghiamo" svoltasi il 1° ottobre al teatro Ambra Jovinelli di Roma. Ora in piazza il 15 ottobre!
Documento finale
Noi partecipanti all’assemblea del 1° ottobre a Roma: “Noi il debito non lo paghiamo. Dobbiamo fermarli” ci assumiamo l’impegno di costruire un percorso comune.
Tale percorso ha lo scopo di affermare nel nostro paese uno spazio politico pubblico, che oggi viene negato dalla sostanziale convergenza, sia del governo sia delle principali forze di opposizione, nell’accettare i diktat della Banca Europea, del Fondo Monetario Internazionale, della Confindustria e della speculazione finanziaria. Vogliamo costruire uno spazio politico pubblico, che rifiuti le politiche e gli accordi di concertazione e patto sociale, che distruggono i diritti sociali e del lavoro. Vogliamo costruire uno spazio politico pubblico nel quale si riconoscono tutte e tutti coloro che non vogliono più pagare i costi di una crisi provocata e gestita dai ricchi e dal grande capitale finanziario e vogliono invece rivendicare sicurezza, futuro, diritti, reddito, lavoro, uguaglianza e democrazia.
Vogliamo partire dai cinque punti attorno ai quali è stata convocata questa assemblea
1.Non pagare il debito, far pagare i ricchi e gli evasori fiscali, nazionalizzare le banche
2.No alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra, no alla corruzione e ai privilegi di casta
3.Giustizia per il mondo del lavoro. Basta con la precarietà. Siamo contro l'accordo del 28 giugno e l'articolo 8 della manovra finanziaria.
4.Per l’ambiente, i beni comuni, lo stato sociale. Per il diritto allo studio nella scuola pubblica.
5.Una rivoluzione per la democrazia. Uguale libertà per le donne. Parità di diritti per i migranti. Nessun limite alla libertà della rete. Il vincolo europeo deve essere sottoposto al nostro voto.
Ci impegniamo a portare i temi affrontati in questa assemblea diffusamente in tutto il territorio nazionale, costruendo un movimento radicato e partecipato. Così pure vogliamo approfondire i singoli punti della piattaforma con apposite iniziative e con la costruzione di comitati locali aperti alle firmatarie e ai firmatari e a chi condivide il nostro appello. Intendiamo organizzare una petizione di massa sul diritto a votare sul vincolo europeo.
Nel mese di dicembre, a conclusione di questo percorso a cui siamo tutti impegnati a dare il massimo di diffusione e partecipazione, verrà convocata una nuova assemblea nazionale, che raccoglierà tutti i risultati e le proposte del percorso e che definirà la piattaforma, le modalità di continuità dell’iniziativa, le mobilitazioni e anche eventuali proposte di mobilitazione e di lotta.
Intendiamo costruire un fronte comune di tutte e tutti coloro che oggi rifiutano sia le politiche del governo Berlusconi, sia i diktat del governo unico delle banche. Diciamo no al vincolo europeo che uccide la nostra democrazia. Chi non è disposto a rinviare al mittente la lettera della Banca Europea non sta con noi. Questo fronte comune non ha scopo elettorale, ma vuole intervenire in maniera indipendente nella vita sociale e politica del paese, per rivendicare una reale alternativa alle politiche del liberismo e del capitalismo finanziario. Questo fronte comune vuole favorire tutte le iniziative di mobilitazione, di lotta, di autorganizzazione che contrastano le politiche economiche liberiste. Questo percorso si inserisce nel contesto dei movimenti che, in diversi paesi europei e con differenti modalità e percorsi, contestano le politiche di austerità e la legittimità del pagamento debito a banche e imprese.
Su queste basi i partecipanti all’assemblea saranno presenti attivamente anche alla grande manifestazione del 15 ottobre a Roma sotto lo striscione “Noi il debito non lo paghiamo”.
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