mercoledì 28 agosto 2013

kvelli 'fighi'...

Germania, continua a fare scandalo la sorte dei “lavoratori schiavi”

Il caso non è nuovo ma continua a suscitare indignazione. Lo scorso giugno, un reportage del canale tedesco ARD documentava le condizioni, al limite dello sfruttamento, imposte a lavoratori stranieri in un paese come la Germania, locomotiva economica d’Europa: dormitori promiscui, orari flessibili e stipendi da fame.
Il governo regionale della Bassa Sassonia sollecita misure federali per combattere gli abusi.
Stephan Weil, primo ministro della Bassa Sassonia: “E’ ora di finirla. Stiamo parlando di persone che lavorano per aziende tedesche: devono quindi essere trattate umanamente e avere diritto a una rappresentanza sindacale”.
In Germania, dove non è previsto il salario minimo, un lavoratore può guadagnare anche soltanto 3 o sei euro all’ora, per una busta paga da 300 o 500 euro al mese. Trattamenti diffusi nel settore agroalimentare, che consentono al paese di praticare prezzi concorrenziali.
In Germania, i cosidetti “lavoratori poveri” sarebbero circa due milioni. Nel contesto europeo, i meno tutelati sono quelli stranieri, inviati dal loro datore di lavoro in un altro paese dell’Unione. Secondo la Commissione di Bruxelles, questi lavoratori low cost sono un milione e mezzo.
Queste forme moderne di schiavitù minacciano di destabilizzare l’economia dell’Unione. Le istituzioni europee faticano ad armonizzare le norme in vigore nei diversi paesi membri. Quanto agli imprenditori, il commento del rappresentate degli industriali della Bassa Sassonia la dice lunga:
Ernst Michael Andritzky, Associazione delle aziende del settore alimentare della Bassa Sassonia: “Se un imprenditore fabbrica in casa i suoi prodotti o se compra determinati beni o servizi, questo rientra nella sfera della sua libertà imprenditoriale, che è sancita dalla costituzione. Il parlamento può fare poco per cambiare questo stato di cose. Tutto questo attivismo è dovuto solo alla febbre pre-elettorale”.
A confermare che in Germania il problema è reale, ci ha pensato Amazon. Alcuni mesi fa, un’inchiesta giornalistica rivelò che il colosso delle vendite online sfruttava i lavoratori precari nel suo centro di Hesse. Un caso che fece scandalo, ma a cui non seguirono azioni concrete.

Copyright © euronews - 27/08/2013


 

senza vergogna

Fabbrica all’estero, Unindustria: “Giusto andare quando si vuole, giorno o notte”

L'azienda Dometic di Forlì, in vista della delocalizzazione in Cina, tra venerdì e sabato ha cominciato a svuotare i magazzini. A fermarli sono intervenuti i lavoratori e i sindacati. I dirigenti si difendono: "Sono stati scorretti gli operai"


Si surriscalda la vertenza Dometic a Forlì. La multinazionale svedese, che nella notte tra venerdì e sabato scorsi ha iniziato a svuotare i propri magazzini in vista della delocalizzazione in Cina, oggi attacca lavoratori e sindacati. I quali reagiscono associandola alla Firem, l’azienda di Formigine che a sua volta ha iniziato la ‘fuga’ in Polonia.
E, mentre il licenziamento di 40 dipendenti su 58 presenti nei tre siti di Forlì si fa sempre più concreto, le parole del presidente di Unindustria Forlì-Cesena, Giovanni Torri, hanno avuto l’effetto della benzina sul fuoco: “Nel libero mercato”, ha dichiarato, “un’azienda può andare dove le pare e quando le pare, di giorno o di notte”.
La stranezza di tutta questa vicenda è che, in realtà, Dometic Italy è una società sana, che fattura. Lo sanno bene gli enti locali di Forlì i quali, confermando in queste ore il nuovo incontro tra le parti del 5 settembre richiesto dai sindacati, parlano di “vertenza per certi aspetti incomprensibile, dato che la Dometic non è una azienda in crisi e nonostante ciò ha comunicato che intende trasferire in Cina le produzioni attualmente rimaste in Italia lasciando nel nostro Paese solo la progettazione dei prodotti”, scrivono in una nota congiunta Comune e Provincia.
Da parte sua, Dometic se la prende con tutti o quasi. Con riferimento al trasloco notturno, il gruppo precisa che si è trattato di un trasferimento di prodotti finiti, e non di macchinari o linee produttive, “per poterli consegnare a clienti che li avevano ordinati e che ne attendevano la consegna. Purtroppo- accusa l’azienda- i dipendenti già in precedenza non avevano prestato la loro collaborazione alla spedizione di prodotti ed anche in quest’ultima occasione hanno fisicamente impedito il loro prelievo”. Come dire, gli operai dovevano aiutarci nella delocalizzazione. La multinazionale esprime poi disappunto sul fatto “che alcuni dipendenti siano venuti meno alle proprie obbligazioni lavorative e che le organizzazioni sindacali sembrino aver sostenuto e forse anche incoraggiato tali azioni scorrette, ivi compresi il blocco dei trasporti verso l’azienda e dall’azienda e le spedizioni di prodotti”.
Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil rispondono annunciando di voler mantenere un presidio permanente davanti ai cancelli, “per evitare che si ripetano blitz come quello della notte tra venerdì 23 e sabato 24 agosto”, e proclamare uno sciopero delle prime quattro ore di lavoro, venerdì, per tutti i lavoratori della Dometic occupati nei siti forlivesi. Sarà l’occasione per tenere “due presidi davanti ad entrambe le sedi di Unindustria di Forlì in corso Garibaldi e in via Punta di Ferro”, chiariscono le tre sigle che hanno a dir poco mal digerito le parole di Torri.
Ma al leader industriale arriva in tempo reale pure una bordata dalla segreteria della Cgil Emilia-Romagna, a conferma di come il caso abbia già raggiunto i confini regionali e stia andando oltre: “Lei ignora i contenuti del ‘Patto per attraversare la crisi e del ‘Patto per la crescita’, sottoscritti da tutte le associazioni (compresa la sua) e da tutte le istituzioni di questa regione, con i quali si bandivano e si osteggiavano comportamenti come quelli della Dometic: e chi ignora lo si può definire in un solo modo”, scrive in una lettera aperta al presidente di Unindustria Antonio Mattioli, responsabile Politiche contrattuali della Camera del lavoro emiliano-romagnola. “Per quanto mi riguarda quel comportamento è una vigliaccata” e Unindustria Forli “non solo si adegua come spesso succede in regione, ma sostiene la vigliaccata”, rincara la dose il segretario regionale della Fiom-Cgil, Bruno Papignani.


dal Fatto Quotidiano
27/08/2013
 

lunedì 26 agosto 2013

L'infezione hayekiana

Una nota di commento al lavoro di Wolfgang Streeck

la democrazia funziona solo se non la sovraccarichiamo e se le maggioranze evitano di abusare del proprio potere interferendo con la libertà individuale
(Friederich von Hayek, The economic conditions of Interstate Federalism, 1939)

fatta eccezione per la questione della sicurezza nazionale poco importa chi sia il prossimo presidente. Il mondo è governato dalle forze del mercato
(Alan Greenspan, President of the US Federal Reserve, 2007)

Wolfgang Streeck è il direttore del Max- Planck Institut per la ricerca sociale di Colonia, ha diversi incarichi di ricerca e docenza in molteplici istituti tedeschi, europei ed americani; è un sociologo, che all'inizio della sua carriera fu dalle parti di Francoforte dove frequentò il sapere della Scuola di Adorno, Marcuse ed Habermas.
E' a tutti gli effetti un sapiente della knowledge factory che ha dato alle stampe un testo che ha innescato un dibattito forte e potente in Germania ed è stato appena pubblicato in Italia per i tipi di Feltrinelli (Wolfang Streeck, Tempo guadagnato, Campi del sapere, Feltrinelli, Luglio 2013).

Streeck fornisce una rilettura genealogica degli ultimi trent'anni in Europa, abbracciando nell'analisi l'economia e le coniugate riforme di politica economica, istituzionali e politiche.
Un sociologo, ovvero non un tecnico dell'economia -dio ce ne scampi!-, si assume il compito di riunire ciò che nell'economia classica era un connubio indissolubile per costruzione, due parole che se lasciate separate seducono ed inducono alle peggiori catastrofi tanto nell'analisi quanto nelle scelte: economia e politica ovvero economia politica.
Le tesi dell'autore sono corroborate da dati pubblici (si trovano tutti su web) forniti dalle agenzie di statistica nazionale e comunitaria ed arrivano a conclusioni forti e che hanno tagliato come una lama nel burro il dibattito tedesco; ad esse ha fatto da contraltare l'Habermas di oggi che si è preso la briga di scrivere contro Streeck e difendere euro&europa.

Il cuore del lavoro sta nella sua conclusione ovvero la constatazione che il capitalismo democratico non ha mantenuto la sua promessa, che la colpa di questa mancanza non è della democrazia bensì del capitalismo, che la (sua) ri/democratizzazione passa per creazione di istituzioni in grado di sottoporre i mercati al controllo sociale. Queste istituzioni dialettiche al potere del mercato sono costruibili, per l'autore, tramite un utilizzo tattico di ciò che rimane degli stati nazionali e debbono rallentare la rapida avanzata della colonizzazione capitalista, contrapponendosi all'Unione Europea, alla sua governance, esercitata da una diplomazia governativa e finanziaria transnazionale separata e contrapposta alla partecipazione democratica.
All'interno dei singoli paesi, viene osservato, la forma storicamente determinata più efficace è quella del governo tecnico, vero e proprio dispositivo anestetico mentre viene somministrata la “medicina riformatrice” al paziente.

Nelle conclusioni del testo viene evocata una Bretton Woods europea -secondo quanto scritto da Keynes, con cambi fissi ma aggiustamenti flessibili- che ci porti ad avere l'euro non più come moneta unica e che ridia leve di sovranità intra-nazionale alle economie locali.
La sovranità è slittata sovvertendo il postwar settlment europeo ed è diventata baricentrica sul bondholer value, ovvero i mercati proprietari dei titoli di debito pubblico nazionale.
Streeck chiama questa nuova forma del comando stato consolidato europeo, specificando che esso non è una struttura nazionale, ma “una struttura sovranazionale, o, più precisamente un regime sovranazionale destinato a regolare il funzionamento degli stati nazionali affiliati in assenza di un governo nazionale responsabile in senso democratico”, ma in presenza di regole precise e vincolanti per quegli stessi stati. Vi è il sostrato di una nuova costituzione materiale la cui cifra è la “la de-politicizzazione dell'economia e insieme la de-democratizzazione della politica; esse convergono verso un'egemonia istituzionale della giustizia del mercato rispetto alla giustizia sociale ed hayekizzano il capitalismo europeo”.

E' la nota tesi di Hayek per la quale una federazione è possibile esclusivamente alla condizione che vi sia meno government perchè le diversità di interessi in una federazione sarebbe maggiore di quanto avviene all'interno di un singolo stato ed il sentiment di appartenenza è più debole1 (“è verosimile che il contadino francese sia disposto a pagare di più il fertilizzante per aiutare l'industria britannica della chimica? L'operaio svedese sarà pronto a pagare di più le arance per sostenere il coltivatore californiano? Il minatore sudafricano sarà disposto a pagare di più le sardine per aiutare i pescatori norvegesi?”).

Un altro capitolo di “Tempo guadagnato” attiene la ricostruzione genealogica di tipo economico-politico del come si è arrivato a questo stato consolidato europeo.
L'autore evidenzia tre gradini progressivi, frutto di un'iniziativa senza soluzione di continuità degli Stati e che, diremmo noi, è la mediazione poltico-economica dopo i “trenta gloriosi” della lotta di classe del proletariato e la risposta di parte capitalistica: inflazione, debito pubblico e debito privato (una sorta di keynesismo privatizzato) sono espedienti successivi cronologicamente tramite i quali la politica è riuscita a garantire la tenuta di sistema.
Ora, tutto ciò che il capitalismo vuole è la restituzione al mercato dei diritti sociali che i cittadini hanno conquistato; all'inizio del XXI secolo, e con enorme accelerazione con l'avvio dello shock della crisi del 2008, il capitalista collettivo ha ritenuto di potersi organizzare da sé, in quanto industria finanziaria deregolamentata.

A questa nuovo rapporto di forza deriva la conseguenza “ordinativa” che il migliore stato debitore è uno stato retto da una Grande Coalizione che espelle le posizioni divergenti dal perimetro della democrazia del mercato -quanti nei Parlamenti nazionali si sono opposti ai packs ed alla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio? quanti di questi sono rappresentati nei Governi?
Il libro è interessante e dimostra che il fronte dei critici si ampia e le fratture sono molteplici, è questo è davvero un bene, e, per quanto mi riguarda, più si riuscirà a costruire piani di relazione tra essi a questo livello di discorso meglio sarà.

Con un punto di partenza che va anticipato. Non vi sono risposte nazionali possibili, non se ne esce.
I nuovi Teseo debbono tagliare la testa al Minotauro tessendo collettivamente la trama, forgiando la spada inventandone il metallo più efficace -nessun rimpianto per l'età del bronzo!-e distruggere il labirinto fin dall'inizio tutt* insieme.

Questo è agire per e nei movimenti costituenti; il rischio è di rimanere imbrigliati in tanti labirinti nazionali all'interno dei quali l'efficacia dell'agire politico è dubbia, ma la pericolosità certa.
Sollen wir sprechen zusammen früher oder später!


Vale la pena di ricordare che per Karl Polanyi assoggettare la vita sociale alle oscillazioni di mercati che si autoregolano era niente di più che un frivolo esperimento che era obbligato a fallire perché avrebbe inevitabilmente dato vita a un “contro movimento” di ricostruzione sociale. Infatti, laddove il capitalismo avrebbe sovvertito l’ordine sociale, la società in sé avrebbe potuto contare sul conflitto per proteggere se stessa e tutti gli aspetti della vita sociale non strettamente interni alla logica che si vuole isolata in una economia (non politica of course)

20/8/2013
http://www.globalproject.info

martedì 20 agosto 2013

Firem : seconda puntata

Modena, Firem scappata in Polonia diserta il vertice coi sindacati

L'azienda, dopo avere chiuso i battenti senza dire nulla ai dipendenti, non si presenta al confronto coi lavoratori che aspettano ancora lo stipendio di luglio. “Mancano le condizioni per risolvere i problemi del nostro personale”, hanno scritto in un fax

articolo completo :  qui



venerdì 16 agosto 2013

Nuove vette della classe imprenditoriale italiota

quasi in tempo reale dal sito del Fatto Quotidiano :

Modena, l’azienda manda i lavoratori in ferie e intanto si trasferisce in Polonia

Succede alla Firem di Formigine. Il 2 agosto è iniziata la pausa estiva, il giorno dopo ha preso il via il trasferimento delle attrezzature. I 40 dipendenti in presidio per impedire la partenza dell'ultimo macchinario. I sindacati: "Ci hanno detto che chi vuole avrà il suo posto di lavoro nel paese dell'Est Europa". I proprietari non rispondono più al telefono, nemmeno al sindaco che chiede spiegazioni

  

articolo completo qui 

 

mercoledì 14 agosto 2013

Lo faranno di nascosto

Lo faranno di nascosto.
E sarà ancora più miseria, tagli, fallimenti, disoccupazione.


Paolo Barnard - 12-13/08/2013
http://www.paolobarnard.info

Lo faranno di nascosto, tu non saprai nulla, e per noi italiani, oltre che per molti altri, saranno ancor più miserie sociali, tagli a tutti i servizi, fallimenti di aziende come piovesse, disoccupazioni record, con i coglioni mediatici che in prima serata si chiederanno… “perché questa crisi non passa?”
Ecco cosa sta per accadere: il 70% del debito pubblico italiano di più di 2 mila miliardi di euro sarà trasferito a un fondo europeo comune, chiamato Redemption Fund (di seguitoRF), dove saranno convogliate anche tutte le eccedenze di debito pubblico degli altri Stati dell’Eurozona. Cioè: siccome il Trattato di Maastricht stabilisce che il debito pubblico degli Stati non deve essere superiore al 60% del PIL, tutto ciò che eccede questo limite nei debiti pubblici dei 17 Paesi dell’euro sarà trasferito in questo Redemption Fund. Ok? Saranno quindi cifre immense di trilioni e trilioni di euro, che diverranno a quel punto di proprietà del RF.
Stop un attimo: l’idea di questo RF è tedesca, e precisamente del Consiglio Tedesco di Esperti Economici, e già qui la cosa puzza. Infatti vedremo sotto dove sta il marcio. Il documento che ne parla è della Commissione Europea *.
Torniamo a questo RF. Dunque gli Stati dell’euro trasferiranno tutte le eccedenze di debito pubblico sopra al limite del 60% sul PIL al RF, ma saranno comunque tenuti a onorare quella parte del debito trasferita (cioè a ripagare interessi e scadenze). Ma il RF farà una cosa nuova che dovrebbe aiutare tutti gli Stati, e soprattutto quelli più indebitati come Italia, Grecia, Portogallo. Il RF venderà dei suoi titoli agli investitori per racimolare soldi, e con quei soldi i governi dell’Eurozona potranno
a) finanziarsi
b) onorare il proprio debito pubblico che fu trasferito nel RF
Il vantaggio è che siccome i titoli del RF saranno garantiti da tutti i 17 Paesi euro, essi saranno, agli occhi dei compratori, super sicuri, quindi gli interessi che il RF pagherà su di essi saranno molto bassi. Certamente più bassi degli interessi che Italia, Spagna, Grecia, Francia, Portogallo pagano oggi per finanziarsi coi propri titoli di Stato. E qui sta la parte vantaggiosa, cioè i 17 dell’euro si potranno finanziare e potranno finanziare i ri-pagamenti sul loro debito pubblico a tassi molto più bassi grazie a questi titoli RF. Ok, quindi uno direbbe che sto meccanismo del RF è a fin di bene, no? NO!
No, perché il documento della Commissione Europea che descrive questo meccanismo specifica in toni PERENTORI che l’adesione al progetto RF da parte degli Stati comporta condizioni severissime, ultra severe, e indovinate un po’ di cosa si sta parlando? Ma sì! Ma CERTO! Dei soliti programmi di tagli feroci alla spesa pubblica, agli stipendi, alle pensioni, all’occupazione, a tutti i servizi pubblici. Ecco cosa bolle in pentola con sto RF! Altro che vantaggi per lei signor Ugo e signora Claudia. La Commissione infatti parla di “super potere d’intervento nei programmi di spesa dei governi”, come se non bastassero quelli che già ha grazie al Fiscal Compact. Ma c’è di peggio.
I tedeschi hanno proposto che al fine di garantire il ri-pagamento da parte degli Stati del loro debito
a) una quota del già micidiale prelievo fiscale di oggi sia trattenuta, oppure che si introducano nuove tasse, specialmente aumenti IVA, quindi… ancor più tasse.
b) gli Stati partecipanti promettano in pegno, attenzione!, le loro riserve di moneta straniera e le loro riserve d’oro come garanzia sui ri-pagamenti, appunto.
Vi rendete conto? La partecipazione in questo programma Redemption Fund comporta una nuova ventata killer di Austerità e addirittura la perdita totale di sovranità degli Stati persino sulle loro riserve monetarie e d’oro.
Come ogni altro progetto di stampo sociopatico e di stampo Economicidio (cioè killer delle garanzie sociali di noi cittadini e della nostra economia per viviere) della Commissione Europea, anche questo diventerà realtà. Non si dica che non vi avevo avvisati.

* Il doc della Commissione è questo 

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2012:0777:FIN:EN:PDF

** Un grazie al Corporate Europe Observatory


E questo è il loro devastante corollario. (FONDAMENTALE DA LEGGERE)


Dato per assodato che:
a) il governo dell’Italia intera risiede a Bruxelles presso la Commissione Europea e a Francoforte presso la Banca Centrale Europea, e NON più a Roma, in virtù dei Trattati europei ratificati dall’Italia (Maastricht, Lisbona, Fiscal Compact, MES, Europact et al.) che hanno privato il nostro governo di ogni reale potere (esecutivo, monetario e parlamentare) trasferendoli appunto a Bruxelles e a Francoforte.
b) di conseguenza il governo di Roma e il Parlamento italiano sono oggi istituzioni di facciata con poteri risibili e nessun potere sovrano di sostanza…
… vi mostro quale è il vero devastante corollario di tutto l’odierno funzionamento della UE e soprattutto dell’Eurozona, in particolare dei principali Trattati di cui sopra.
Dovete sapere che i primari Trattati di Maastricht, il Fiscal Compact, il MES, l’Europact, cui si aggiungono le concessioni di spesa pubblica offerte il 3 luglio all’Italia dalla Commissione Europea e il futuro Trattato per la nascita del Redemption Fund per i debiti pubblici dell’Eurozona, dovete sapere che tutti questi contengono la seguente clausola:

A PATTO CHE IL PAESE ADERENTE ADOTTI STRINGENTI MISURE DI AGGIUSTAMENTO DELLA SPESA PUBBLICA

Cioè, la nazione che ha ratificato o che ratificherà quegli accordi, come l’Italia, dovrà impegnarsi obbligatoriamente a

a) TAGLIARE LA SPESA PUBBLICA IN SERVIZI, SANITA’, ISTRUZIONE E INFRASTRUTTURE

b) TAGLIARE I SALARI PUBBLICI E LE PENSIONI

c) PRIVATIZZARE TUTTO CIO’ CHE E’ RIMASTO PUBBLICO, INCLUSA L’ACQUA E LE INFRASTRUTTURE VITALI DEL PAESE

d) LICENZIARE FETTE D’IMPIEGO PUBBLICO, ANCHE FRA GLI IMPIEGHI VITALI COME INSEGNANTI, VIGILI DEL FUOCO, POLIZIA E SANITARI

e) LIBERALIZZZARE OGNI SETTORE DELL’ECONOMIA, ANCHE QUELLI STRATEGICI PER L’INTERESSE PUBBLICO

f) RIDURRE AL MINIMO IL WELFARE E GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI

Ripeto che tutti i primari Trattati europei e quelli costituenti l’Eurozona contengono queste imposizioni, TUTTI.
Ora, la cosa da capire è che esse sono il dogma, la Bibbia, la spina dorsale dell’ideologia Neoliberista e Neoclassica delle elite del Vero Potere, cioè degli speculatori finanziari, dei tecnocrati bancari e dei mega industriali. Esse sono la loro linfa vitale, la loro mira primaria, il loro tutto. Sono in realtà questi dogmi, Bibbia, spina dorsale, raccolti in quella clausola, che devono essere imposti a milioni di cittadini e ai loro governi, e i Trattati assieme alla UE stessa e all’Eurozona sono solo IL VEICOLO per imporli. Capite? Non il contrario. 
Cioè:
A noi hanno raccontato che i Trattati, la UE e l’Eurozona sono il cuore di tutto, sono il goal finale di un grande lavoro, che sono le istituzioni cardine del futuro europeo. Ma non è vero. Il cuore di tutto, il goal ultimo, l'istituzione cardine del futuro europeo è quella clausola Neoliberista e Neoclassica socialmente distruttiva, che deve devastare intere società ed esautorare gli Stati per il profitto di pochi, mentre il resto, cioè i Trattati, la UE stessa e l’Eurozona sono solo uno scivolo ben oliato con cui imporre quella distruzione del bene pubblico. Oltre a questo scopo, i Trattati, la UE e la zona euro sono cose irrilevanti.
Ed ecco che oggi quell’impotente pupazzetto anemico di Letta deve in realtà obbedire all'ADOZIONE DI STRINGENTI MISURE DI AGGIUSTAMENTO DELLA SPESA PUBBLICA perché l'Italia le ha ratificate, quindi continuerà senza scampo a

a) TAGLIARE LA SPESA PUBBLICA IN SERVIZI, SANITA’, ISTRUZIONE E INFRASTRUTTURE

b) TAGLIARE I SALARI PUBBLICI E LE PENSIONI

c) PRIVATIZZARE TUTTO CIO’ CHE E’ RIMASTO PUBBLICO, INCLUSA L’ACQUA 
E LE INFRASTRUTTURE VITALI DEL PAESE

d) LICENZIARE FETTE D’IMPIEGO PUBBLICO, ANCHE FRA GLI IMPIEGHI VITALI COME INSEGNANTI, VIGILI DEL FUOCO, POLIZIA E SANITARI

e) LIBERALIZZZARE OGNI SETTORE DELL’ECONOMIA, ANCHE QUELLI STRATEGICI PER L’INTERESSE PUBBLICO

f) RIDURRE AL MINIMO IL WELFARE E GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI…
… per l’esclusivo profitto di un nugolo di grandi speculatori del Vero Potere, e portando ulteriore distruzione all’economia vitale per noi cittadini, e noi siamo milioni. Sta accadendo.
Tutto il resto sono fole, bugie, specchietti per le allodole, illusioni ottiche. Io vi ho avvisati.


martedì 13 agosto 2013

La 'Perottina' e le miserie del capitalismo italiano


Giorni fa Stefano Feltri segnalava il safari in corso di storici marchi simbolo di italianità (leggi qui), finiti nel mirino delle doppiette straniere: da Loro Piana all'Alfa Romeo; contendibili proprio in quanto ridotte a marchi, dunque loghi e labels che mantengono pregio incorporando antiche suggestioni, da manifatture che erano; quando quelle suggestioni traevano origine da prodotti reali.
Il fatto è che nell'Italia della desertificazione produttiva le aziende leader in grado di trainare l'export - i cosiddetti "campioni nazionali" - sono diventate personaggi da romanzo di Italo Calvino: inesistenti o al massimo dimezzati. Visconti e cavalieri che operano in nicchie come l'occhialeria o la calzatura. Questi i campioni con i nostri colori nel torneo mondiale. Dove si vince o si perde a seconda che si sia o meno in grado di mettere in campo beni appetibili.
Come al tempo del miracolo economico erano tali la Seicento Fiat, la Vespa Piaggio, il Moplen Montedison e la Divisumma Olivetti. Proprio al nome della celebre casa di Ivrea, forse la più innovativa industria della nostra storia, è legata la vicenda di un prodotto che avrebbe potuto esserci e non c'è stato. Qualcosa che comunque presentava tutte le caratteristiche per andare alla conquista del mondo: la fantomatica "Perottina"; il ricordo rimosso di una incommensurabile prova di imbecillità da parte dei presunti "grandi" dell'economia nazionale (battistrada emeriti di tante successive prove di inettitudine).


 Cos'era la Perottina? 

Tecnicamente si trattava del "Progetto Olivetti Programma 101", cui era stato dato quel nomignolo affettuoso in quanto il capo del gruppo di ricerca preposto a tale iniziativa era l'ingegner Pier Giorgio Perotto (Torino 1930 - Genova 2002). Dalla cui viva voce raccolsi la testimonianza che segue: era nientemeno che il primo prototipo mai realizzato di personal computer; presentato alla fiera di New York del 1965 e venduto nello stesso anno in 44mila esemplari. Visto l'impatto oltremodo positivo di tale prodotto,  
Roberto Olivetti, che aveva assunto la guida dell'azienda dopo il decesso del padre Adriano avvenuto cinque anni prima, si rese conto che la famiglia non aveva risorse sufficienti per accompagnare da sola un business di tale portata. 

Per questa ragione invitò a consulto i tre massimi santoni della finanza laica dell'epoca: Vittorio Valletta, presidente di Fiat, Enrico Cuccia, supremo gnomo di Mediobanca, e Bruno Visentini, a quel tempo raccordo tra le imprese e la politica.

Il Gotha dei padroni del vapore esaminò l'oggetto in questione e poi si chiuse in una sorta di conclave, confabulò a lungo e alla fine emise la sua sentenza: quello strano mix di macchina da scrivere e calcolatore da tavolo non avrebbe potuto diventare un prodotto di successo, né ora né mai; per cui era auspicabile che la Olivetti si concentrasse sul suo core business (l'arredo metallico d'ufficio) lasciando perdere le stranezze. Valletta rincarò la dose dichiarando che "la società è strutturalmente solida, ma sul suo futuro pende la minaccia di essersi inserita nel settore elettronico".

Ora sappiamo come sono andate effettivamente le cose. Ma intanto, frustrata nelle sue aspirazioni innovative da giudizi così perentori, l'azienda eporediese cedette alla General Eletric l'intera divisione grandi elaboratori, prototipi compresi. L'unico vantaggio che le derivò dalla vicenda "Perottina" fu il milione di dollari versatole dalla Hewlett Packard come royalties per poter realizzare il proprio computer HP 9100.  
E al buon Perotto fu riconosciuto parte del premio: un dollaro!
Me lo raccontava con un sorriso amarissimo. Perché quella non fu soltanto una grande occasione mancata. 

Fu il calcio d'inizio al generale arretramento del sistema produttivo nazionale dai settori avanzati e ad alta intensità di capitale. 
Se ora nobili imprese si sono ridotte a marchi virtuali lo si deve al disinvestimento d'allora
Anticamera della deindustrializzazione di un grande Paese manifatturiero.


Pierfranco Pellizzetti
Tratto da il Fatto Quotidiano, 9 Agosto 2013
http://megachip.globalist.it


lunedì 12 agosto 2013

Fiom : viaggio nella base dei metalmeccanici



FIOM. Viaggio nella base dei metalmeccanici
di Giuliano Bugani e Daniele Marzeddu

Il film nasce da un progetto di Giuliano Bugani in seguito all'Accordo sulle Rappresentanze Sindacali firmato da CGIL, CISL, UIL e dalla Confindustria il 28 giugno 2011, e, contro il quale, la base FIOM sciopera per la prima volta nella sua storia contro il Segretario Generale della CGIL, Susanna Camusso. Il documentario attraversa città di tutta Italia nelle voci e nelle immagini di lavoratrici e lavoratori FIOM e RSU di fabbrica, portando alla luce il disagio e la rabbia degli iscritti sulle conseguenze dell'Accordo del 28 giugno 2011. Simbolica la figura di Giorgio Cremaschi, storico sindacalista e leader della FIOM, che fa da filo conduttore tra le tematiche delle lavoratrici e dei lavoratori intervistati.

CREDITS
Soggetto e sceneggiatura GIULIANO BUGANI.
Fotografia e montaggio DANIELE MARZEDDU.
Interviste in manifestazione GIOVANNA ALBANO.
Supervisione al montaggio MARCO SORRENTINO.
Suono CORRADINO "DINDO" CORRADO.
Musiche ASSALTI FRONTALI / GIANNI PACI e DARIO BALDINI.
Fotografo di scena ETTORE SALVIATO.
Autoprodotto da GIULIANO BUGANI e DANIELE MARZEDDU



http://www.youtube.com/watch?v=cVPWXquOVUM
Pubblicato in data 15/lug/2013



 

lunedì 5 agosto 2013

Autumn incoming

Tutti a casa
G. Cremaschi - 03/08/2013
Rete28aprile


Negli ultimi due anni PD e PDL hanno governato assieme, prima attraverso Monti poi direttamente. La politica di austerità, la disoccupazione di massa, il massacro sociale li hanno amministrati assieme.Pochi giorni fa Enrico Letta è andato in Grecia per ribadire la comunanza delle scelte politiche con il governo di quel paese e annunciando per l'autunno una nuova ondata di privatizzazioni. Quasi contemporaneamente una insegnante greca moriva di infarto allorché leggeva il proprio nome nella lista dei 25000 dipendenti pubblici licenziati su ordine di quella Troika, cui obbediscono Atene e Roma.
Assieme PD e PDL hanno deciso di procedere alla controriforma della Costituzione, cercando addirittura di cancellare le procedure previste per la sua modifica, una sorta di golpe bianco.(...)


Assieme PD, PDL e il loro nume tutelare Giorgio Napolitano hanno sperato che la Corte di Cassazione cancellasse la condanna, non la prima e non l'ultima, di Silvio Berlusconi. Per poter continuare a stare assieme.

Purtroppo per loro non è andata così e ora, di fronte alla paura e alla rabbia del pregiudicato Berlusconi, il Palazzo trema e si confonde.Tra  PD e PDL comincia ora  il gioco del cerino acceso su chi brucerà il governo, che comunque non è più credibilmente in grado di operare. Il Presidente Napolitano raccoglie quello che ha seminato. Se imponi un governo con Berlusconi, lo ricevi al Quirinale dopo una condanna, lo accrediti come statista, non puoi stupirti se poi ti chiede la grazia quando ne ha bisogno.

Ma questo è proprio ciò che più colpisce della crisi politica attuale. Una classe politica allevata all'insegna del realismo e della spregiudicatezza nella scelta del meno peggio, educata a tutte le  manovre e i giochi possibili pur di conservare il potere, che precipita nelle fantasie e nei sogni senza costrutto.

Davvero il gruppo dirigente del PDL aveva creduto che la politica delle larghe intese preservasse Berlusconi dalle condanne penali. Davvero il gruppo dirigente del PD aveva creduto che la politica delle larghe intese preservasse il governo Letta dagli effetti della condanna di Berlusconi.Davvero Giorgio Napolitano alimentava queste illusioni, e con lui quella grande stampa che ora si agita anch'essa in stato confusionale, predicando pateticamente senso di responsabilità.

Ora, in questo 8 settembre della classe dirigente della seconda repubblica, si cercano soluzioni confuse e disperate. La prima è una improbabile sopravvivenza a sé stesso del governo Letta. Chi la propone si aggrappa soprattutto al fatto che le decisioni di fondo del nostro sistema politico commissariato vengono prese a Bruxelles, e quindi basta obbedire con entusiasmo ai  diktat di Troika e spread, e si può continuare a far finta di governare. 

La seconda alternativa è quella di elezioni a breve in cui PD e PDL si sbranino, per recuperare il consenso dei rispettivi elettorati delusi. Tanto poi, chiunque vinca, saranno sempre Troika e spread a decidere. E le linee guida del governo saranno sempre le stesse che questi due partiti, sotto diverso nome, hanno seguito in questi venti anni. Diciotto dei quali in finta alternanza e gli ultimi due assieme.

Non facciamoci fregare un'altra volta; quale che sia che la via che il Palazzo alla fine si vedrà costretto a scegliere dobbiamo sostenere un solo concetto. Nelle piazze e nelle eventuali urne dobbiamo prima di tutto affermare:  tutti a casa.

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Come i tartari del deserto di Buzzati
G.Cattaneo - 04/08/2013
megachip.globalist.it



Berlusconi condannato, governo in bilico: notizie che cadono sul marciapiede come fossero chissà che. Come se davvero - dalle sorti del Cavaliere e da quelle dell'esecutivo Letta - dipendesse qualcosa di importante, per la vita degli italiani. Gli italiani: quelli che, a febbraio, bocciarono in massa il mainstream, la cosiddetta offerta politica dell'establishment: uno su quattro disertò le urne, mentre un altro 25% votò per Grillo. Restavano metà dei voti, e se li divisero i due acerrimi nemici, il Pd e l'uomo di Arcore. A semplificare il copione, chiarendo l'equivoco, provvide il Quirinale. Ed ecco il riluttante Napolitano appena rieletto che "persuade" il Pd a sposare il Pdl, per "larghe intese" in continuità con il governo-horror di Mario Monti, il commissario euro-americano inviato dai padroni della Terra con una missione precisa: mettere l'Italia in ginocchio e consegnare la sua residua sovranità ai poteri occulti che si nascondono dietro sigle straniere come Bce, European Commission, Fmi.
A dettare le regole - diktat veri, per nuove leggi-capestro - sono soggetti alieni come la potentissima Ert, European Roundtable of Industrialists, e il Transatlantic Business Dialogue, mentre sono i bankster della Jp Morgan Chase a "spiegare" che la vetusta Costituzione italiana, "fondata sul lavoro" e "nata dalla Resistenza antifascista", con la sua mania di tutelare le libertà democratiche partendo dai diritti dei cittadini-lavoratori, finisce solo col frenare il business e quindi va al più presto cambiata, rimossa, amputata, utilizzando ovviamente la manovalanza locale disponibile, Pd e Pdl. Qualcuno, all'indomani dell'ultima sentenza anti-Berlusca, strilla: impossibile che a mettere mano alla Costituzione sia un pregiudicato per gravi reati. Volendo, la storia dei reati gravi è lunghissima. La madre di tutte le illegalità - il trattato-fantasma di Maastricht, fondamento dell'euro-potere che sta devastando l'Italia - secondo l'ex ministro Giuseppe Guarino costituisce una pericolosa violazione della Costituzione nazionale, nonostante la "legge dell'obbedienza europea" firmata dal super-tecnocrate Antonio La Pergola già alla fine degli anni '80, quando il pubblico era distratto dalle ultime imprese di Craxi e Forlani.
Il popolo del centrosinistra, quello che ha sprecato vent'anni nella guerra di carta contro il Caimano, ora inonda di proteste il Pd "rinnegato e collaborazionista", credendo ancora che sia stato il Cavaliere ad affossare l'Italia, e non il bonario Romano Prodi, l'uomo che sorrideva a reti unificate e intanto si preparava alla condanna del paese, quella vera, l'economicidio ricattatorio del debito, lo scalpo dell'allora settima potenza industriale del mondo - troppo vitale e incontrollabile, troppo vicina al petrolio della Libia e al gas della Russia di Putin. Affiora, lentamente, l'enormità dell'irreparabile: il ruolo dei colossi finanziari dietro alle marionette della politica, le drammatiche urgenze degli scenari geopolitici in vista della confrontation con la Cina, la evidente simmetria tra le guerre locali della Nato e la crisi economica indotta nella quale sta annegando l'Europa, il gigante tradito e nanizzato dall'euro.
Finita la recita dell'uomo di Arcore, il mainstream italiano è interamente occupato a presidiare militarmente la scena mascherando il vuoto politico e proponendo il consueto teatro d'ombre, nell'ora delle mezze figure - Letta, Alfano, Renzi - mentre si affacciano in prima serata (come in ogni vero cambio di stagione) nomi poco consueti come quelli di giuristi e costituzionalisti, da Rodotà a Zagrebelsky, a indicare che qualcosa di strano, oscuro e incomprensibile sta probabilmente per accadere. Tutto è pericolosamente immobile, sospeso: legge elettorale, giustizia e riforme costituzionali, la sinistra calamità del presidenzialismo che incombe sull'orizzonte come i tartari del deserto di Buzzati, mentre il paese reale strangolato dalle nuove tasse imposte dall'euro-regime guarda ormai con crescente allarme all'autunno che arriva. Chi scommette sull'alternativa - l'unica possibile: democrazia contro oligarchia - punta tutto sulla sola data decisiva che abbiamo di fronte, le elezioni europee della primavera 2014. Pace e salvezza, equità e giustizia. Cioè lavoro, e quindi spesa pubblica. In una parola: sovranità. E' a Bruxelles - soltanto lì - che si potrà davvero difendere l'umanesimo della Costituzione italiana, la sua vocazione ad un futuro senza orrori.