martedì 1 dicembre 2009

Dal Danno alla Farsa


MA COSA STANNO FACENDO? MA DI COSA STANNO PARLANDO?

Le assemblee realizzate nei luoghi di lavoro, hanno confermato la posizione maggioritaria di dissenso delle metalmeccaniche e dei metalmeccanici rispetto all'accordo separato ed ai suoi contenuti. Questo contratto è un regalo per Federmeccanica che ha scelto l’accordo ad essa più conveniente e il referendum solo tra gli iscritti a Fim e Uilm è una farsa della democrazia.


L’INDIGNAZIONE ORAMAI È TANTA



E LA MISURA È COLMA.


I lavoratori non si confondano, la FIOM non sta facendo una battaglia contro FIM e UILM, perché la naturale controparte del nostro sindacato è Federmeccanica, anzi noi riteniamo che l’unità sindacale sia un diritto dei lavoratori che si può raggiungere rispettando le normali e consolidate regole della democrazia.


Noi vogliamo sperare che gli “amici” della FIM e della UILM abbiano commesso questo grave errore, che purtroppo si scarica su tutti i lavoratori, a causa della loro abitudine di svuotare di significato le parole e le frasi e non per un mero calcolo politico. Pertanto, vogliamo fornire ai nostri “amici” di FIM e UILM almeno le basi per una decente discussione democratica:

  • Sindacato: associazione di lavoratori costituita per tutelare gli interessi di categoria.
  • Democrazia: forma di governo nella quale la sovranità spetta al popolo che la esercita mediante i suoi rappresentanti liberamente eletti.
  • Referendum: votazione popolare diretta su questioni d’interesse collettivo.
Adesso, cari “amici” della FIM e della UILM, quando utilizzerete queste parole conoscerete anche il loro significato e capirete che :

  • Far votare il contratto nazionale solamente ai propri iscritti non è un referendum.
  • Far votare il contratto nazionale solamente ai propri iscritti non è democrazia.
  • Rappresentare soltanto i propri iscritti, quando l’argomento riguarda tutti ilavoratori, non è Sindacato……
Art. 36. costituzione Italiana

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.

NOI SIAMO LA FIOM

Dopo lo scandaloso accordo siglato da FIM e UIL e la farsa del referendum fra i soli iscritti, la FIOM si impegna a :
  • Considerare illegittimo l'accordo separato, non riconoscere le nuove regole in esso contenute, considerare ancora aperta la vertenza per il rinnovo del biennio economico, sviluppare un'azione di contrattazione su tutti gli aspetti che compongono la condizione lavorativa compresa la condizione salariale, in ogni luogo di lavoro, per rendere inapplicabile l'accordo separato a partire dalla conferma dell'applicazione del Ccnl del 2008 ancora in vigore fino a tutto il 2011;
  • Inviare a tutte le imprese che applicano il Ccnl Federmeccanica-Assistal una lettera di diffida ad applicare l'accordo separato e di conferma dell'applicazione del Ccnl del 2008 in vigore, riservandoci in caso di risposta negativa di agire anche per via giudiziaria;
  • Inviare anche a Fedemeccanica e Assistal tale lettera;
  • Lanciare, a partire dal mese di gennaio 2010, una raccolta di firme certificata a sostegno di un progetto di legge di iniziativa popolare da presentare al Parlamento per la democrazia sindacale in materia di rappresentanza, rappresentatività e referendum per la validazione dei contratti collettivi.
Inoltre, la FIOM richiede:

  • Alle Associazioni Imprenditoriali, alle Imprese ed al Governo di bloccare i licenziamenti, di estendere a tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori e a tutte le imprese gli ammortizzatori sociali, il prolungamento dei permessi di soggiorno per coloro che perdono il posto di lavoro a causa di crisi aziendale, di raddoppiare la cig ordinaria da 52 a 104 settimane, di riportare il trattamento economico della cig all'80% della retribuzione reale, di estendere l'uso dei contratti di solidarietà e della cig a rotazione.
  • una vera riforma fiscale che riduca la tassazione sulle retribuzioni da lavoro e sulle pensioni, che colpisca l'evasione fiscale e introduca una reale tassazione della rendita e dei patrimoni.
La Fiom può essere bandiera di questa richiesta, ma è necessaria l'unificazione delle lotte in corso in tutti i settori e l'indizione di una iniziativa generale di mobilitazione per raggiungere i nostri obbiettivi.

Mi batto con i compagni del sindacato Fiom perché non esiste una democrazia se non è garantita la dignità civile sul posto di lavoro, che non deve diventare sfruttamento, emarginazione, sopraffazione e sopruso schiavistico, ma deve tutelare garanzie, con statuto umano, con il diritto per il lavoratore e la lavoratrice di allevare la prole con serenità.           Moni Ovadia

lunedì 30 novembre 2009

Accordo separato. Fiom: “Fim e Uilm danno i numeri di una consultazione truffa”

“Secondo Fim e Uilm il 96% dei loro iscritti avrebbe votato ed il 94% avrebbe approvato l’accordo separato.”

“Un risultato da fare invidia ai regimi più disinvolti sul piano elettorale, seppur in assenza degli osservatori dell’Onu.”

“La credibilità dei dati si commenta da sola.”

“Lo sanno bene le lavoratrici e i lavoratori metalmeccanici, anche quelli iscritti a Fim e a Uilm che, laddove è stato permesso loro di esprimersi, hanno respinto l’accordo separato e sonoramente contestato le due Organizzazioni Sindacali.”

“Non a caso Fim e Uilm si sono rifiutate di realizzare un certificato e regolare referendum tra tutti i dipendenti metalmeccanici e si sono sistematicamente sottratte ad un confronto democratico e unitario nelle assemblee.”

“La realizzazione poi di una conferenza stampa congiunta tra Fim Uilm, Federmeccanica e Assistal è un nuovo atto di arroganza e un insulto alla categoria dei metalmeccanici.”

“Il fatto stesso che Fim e Uilm suggellino la “loro consultazione” con le controparti spiega meglio di ogni altra cosa che il risultato è stato esattamente quello che avevano deciso dovesse essere.”

“L’accordo separato è illegittimo, non validato dalle lavoratrici e dai lavoratori e, pertanto, la vertenza per il rinnovo del biennio economico è per noi ancora aperta.”

“Inoltre questa vicenda conferma che non è più rinviabile una legge sulla democrazia e sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro, che vincoli gli accordi al voto referendario della maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori interessati.”

“Per la Fiom la mobilitazione continua.”

giovedì 19 novembre 2009

Cgil, se vale tutto e il suo contrario

Ma davvero è indifferente per i lavoratori se il salario dei contratti nazionali ha una decorrenza di due oppure di tre anni? Davvero siamo arrivati a questa superficialità e insensibilità sulle retribuzioni dei lavoratori? E’ bene ricordare che il contratto nazionale una volta effettivamente durava tre anni. C’era però una piccola differenza, assieme al contratto nazionale c’era la scala mobile. Per cui anche se il contratto nazionale durava più a lungo o non garantiva il salario dagli improvvisi aumenti dei prezzi, c’era un meccanismo automatico di tutela delle retribuzioni. Che fu abolito il 31 luglio del 1992.
Proprio a compensazione di quel disastroso accordo l’anno successivo, nel luglio del ’93, fu sottoscritta un’intesa che stabiliva un nuovo regime contrattuale, dove la durata dei contratti veniva accorciata a due anni per la parte salariale. Il ragionamento fatto da noti salarialisti, come l’allora presidente del Consiglio Ciampi, era che se si toglieva la garanzia automatica dei salari rispetto all’inflazione, la durata dei contratti doveva essere più breve di prima proprio per evitare che tutto il rischio salariale si scaricasse sui lavoratori.
Quel sistema ha comunque compresso i salari perché li ha vincolati per lungo tempo all’inflazione programmata a livello nazionale e alla flessibilità a livello aziendale. Tuttavia l’accordo separato di quest’anno tra Confindustria, Governo, Cisl e Uil, è riuscito persino a peggiorare l’intesa del ‘93 perché ha semplicemente allungato i tempi del contratto senza aggiungere alcuna garanzia. Fin qui tutto chiaro, in questo giudizio sta una delle motivazioni del no della Cgil all’accordo sottoscritto dagli altri.
Tuttavia a questo punto stiamo assistendo a una serie di eventi che contraddicono proprio questo giudizio. Tutte le categorie della Cgil, esclusa la Fiom, hanno sinora presentato piattaforme su tre anni e, quelle che hanno sottoscritto accordi, non hanno inserito nel testo alcuna garanzia di recupero automatico dei salari come compensazione del contratto più lungo. Nella sostanza hanno accettato l’impostazione salariale della Confindustria, di Cisl e Uil. Da ultima la Fillea-Cgil, nel settore industriale del legno, si prepara addirittura da sola a disdettare il contratto normativo che dura due anni e che scade nel marzo del 2012, per passare al sistema salariale e normativo di tre, quello che nei metalmeccanici hanno fatto Fim e Uilm.
Inoltre, non c’è una sola categoria, a parte la Fiom, che nei contratti in corso rivendichi e pratichi il referendum tra le lavoratrici e i lavoratori. Questo sia quando le piattaforme sono unitarie, sia quando sono separate.
Naturalmente nelle sedi ufficiali della Cgil la cosa non suscita particolare discussione, hanno ragione i meccanici che lottano contro l’accordo separato e difendono i due anni, e anche quelle altre categorie che fanno accordi e piattaforme che già entrano nel nuovo sistema. Ha ragione la Fiom che considera discriminante nei rapporti unitari la democrazia sindacale, ma anche tutti coloro che invece la considerano meno importante dell’unità. Hanno ragione tutti quelli che fanno il contrario di tutti, viva la libertà.
Sarebbe questa un’intelligente tattica di depistaggio della Confindustria e del governo, se non corresse il rischio di mettere in confusione proprio le lavoratrici e i lavoratori più esposti sul fronte della lotta e dei contratti. Le poche volte che vanno in assemblea, i rappresentanti della Fim e della Uilm usano un solo argomento per contrastare la Fiom, visto che tutti gli altri sono indigeribili dai lavoratori: la Fiom fa una cosa e la Cgil e tutte le altre categorie un’altra. La Fiom è antiunitaria, mentre le altre categorie della Cgil no.
Mi si chiederà, ma c’è stata una discussione in Cgil su che linea affrontare per i contratti, come comportarsi, che strategie assumere? No. Una vera discussione, di quelle che si facevano una volta, nelle quali magari si aveva il coraggio di scontrarsi su posizioni contrattuali diverse, tutto questo non c’è stato. Eppure non stiamo parlando di accordi a sé stanti, ma di sistema contrattuale. Non stiamo parlando di un solo contratto, ma di come dovrebbero o dovranno essere i contratti nei prossimi dieci anni. E’ chiaro che su questo piano le scelte degli uni inevitabilmente riguardano, aiutano, o danneggiano tutti gli altri.
E’ per questo che, meglio tardi che mai, è necessario usare il congresso per fare un’operazione che dovrebbe essere scontata e che invece da tempo non si fa. Discutere della contrattazione sindacale, delle sue linee guida e delle scelte da compiere, delle regole effettive di democrazia sindacale che si vogliono adottare. Definire dei punti e delle pratiche comuni per misurarsi con le controparti e anche con gli altri sindacati, adottare tutti lo stesso atteggiamento di fronte all’accordo separato. Questa è confederalità. Quella che manca oggi alla Cgil.
Giorgio Cremaschi

venerdì 13 novembre 2009

Seconda convocazione RSU: deserta!



Grazie a Prodi, Dini e Berlusconi da gennaio diminuiscono le pensioni

Si potrebbe chiamare "tassa sulla speranza di vita". Il fatto che gli italiani vivano più a lungo rispetto a quindici anni fa nasconde una contropartita che in pochi conoscono: la pensione sarà più bassa. Con buona pace di chi annuncia che il sistema previdenziale non sarà toccato. Tutto nasce da un semplice problema: vivere di più significa, a parità di condizioni, ricevere la pensione per un numero maggiore di anni, con un costo che lo Stato ritiene fin d'ora insostenibile. La soluzione trovata è aritmeticamente ineccepibile: l'assegno mensile non potrà più essere quello di prima, ma necessariamente più leggero.

Lo Stato, invece di pagare poniamo 1.000 euro al mese per 19 anni (era la speranza di vita dei maschi ultrasessantenni una quindicina di anni fa), darà 905 euro al mese per 21 anni (speranza di vita attuale). E non è finita qui, perché ogni ulteriore aumento della vita media in futuro farà scattare di tre anni in tre anni un taglio della pensione. Insomma, campare di più non è un regalo ma ha un prezzo da pagare alla collettività. Non stiamo ovviamente parlando di quanti vanno in pensione adesso o ci stanno per andare: per loro l'assegno più o meno resta quello previsto. Stiamo parlando di tutti gli altri: i cinquantenni cui manca ancora una decina di anni, e soprattutto i giovani appena assunti o destinati ad esserlo. Che si porranno subito una domanda: scegliendo di andare in pensione più tardi, si eviterà la decurtazione dell'assegno? Per i cinquantenni la risposta è "sì", almeno in parte. Per i giovani "no".

Tutto questo non è un progetto, è già deciso e scatterà dal primo gennaio 2010. Lo ha disposto la riforma Dini del '95, lo ha tradotto in cifre una legge del 2007, lo ha confermato l'attuale governo. Dunque, decisione assolutamente bipartisan. Il fatto che non se ne parli tanto è almeno in parte dovuto all'astruso titolo di questa norma, incomprensibile per i non addetti ai lavori: "Revisione dei coefficienti di trasformazione". Si tratta di quei numeretti che moltiplicati per la totalità dei contributi versati danno come risultato la pensione dovuta a ciascun lavoratore. Ogni tre anni questi numeri andranno rivisti al ribasso man mano che crescerà la speranza di vita. Primo taglio a gennaio, dopo un lungo rimpallo tra i governi succedutisi dopo Dini.

Ma lasciamo parlare i dati, cominciando dalla situazione del lavoratore dipendente cinquantenne (diciamo 52), assunto nel 1985. Immaginiamo che voglia andare in pensione nel 2020 all'età minima consentita: 62 anni e 35 di contributi. Se non fosse introdotta la nuova "tassa sulla speranza di vita", prenderebbe il 62 per cento dello stipendio. Con la penalizzazione avrà invece il 58,5%. Per continuare a prendere il 62%, dovrà aspettare tre anni, fino al sessantacinquesimo anno di età. Se invece il lavoratore aveva deciso in ogni caso di andare in pensione a 65 anni, perderà quattro punti percentuali del proprio stipendio: circa 80 euro al mese su uno stipendio di 2.000 euro.

Prendiamo ora un giovane ventisettenne che dopo un lungo precariato sta finalmente per essere assunto all'inizio del prossimo anno. Nel 2045 avrà 62 anni e 35 anni di contributi (di più non è riuscito ad accumularne). Lasciando il lavoro a quell'età, se non venisse introdotta la nuova "tassa sulla speranza di vita", avrebbe un assegno pari al 60 per cento del proprio stipendio. Con la tassa, otterrà solo poco più del 52%. Se invece decidesse di rinviare il pensionamento fino al sessantacinquesimo compleanno, otterrebbe il 57 per cento, ossia recupererebbe qualcosa ma perderebbe comunque tre punti percentuali del proprio stipendio. Una stangata anche maggiore subirebbe chi avesse fin dall'inizio progettato di andare in pensione a 65 anni: perdita secca di nove punti, che per uno stipendio di 2.000 euro equivale a quasi 200 euro al mese in meno.

Tutto chiaro. Ma resta un dubbio, anzi due. Finora ci hanno ripetuto fino alla nausea che per salvare il sistema previdenziale è necessario innalzare l'età pensionistica, anche più di quanto già previsto. E ora scopriamo che per tutti i giovani lavoratori e i futuri assunti, rinviare l'addio al lavoro non servirà affatto a evitare un taglio dell'assegno. Ci si aspetterebbe che il sacrificio richiesto andasse in una sola direzione, e invece non solo si dovrà andare in pensione più tardi, ma si riceveranno meno soldi.

Un doppio onere che per molti critici del nuovo sistema non sembra avere alcuna logica. Secondo dubbio: il taglio dei coefficienti si applica a tutta la massa dei contributi versati nel corso della propria vita lavorativa e non - come sarebbe più giusto per evitare la retroattività - solo a quelli successivi all'introduzione del nuovo sacrificio.

Alla fine, tirate le somme, il baratro che divide giovani e meno giovani non fa che allargarsi ulteriormente, con i primi costretti a pagare, oltre alle conseguenze della propria precarietà lavorativa, anche quelle della crescente speranza di vita. Su cui sta per abbattersi, silenziosa e implacabile, la nuova tassa occulta.


La "tassa" sulla speranza di vita che ridurrà la pensione dei giovani
di MARCO RUFFOLO

Epifani sbaglia ad aspettare Cisl e Uil per lo sciopero generale

La manifestazione del 14 della Cgil deve essere il punto di partenza per arrivare rapidamente allo sciopero generale. In questo momento incertezze o messaggi confusi sono lussi che non ci si può permettere. E’ gravissimo il comportamento del governo, che minimizza la crisi o addirittura la nega, quando per milioni di lavoratori e pensionati sta per arrivare il periodo più nero. Le misure del governo sono o insufficienti o sbagliate o ingiuste, ed è importante contro di esse manifestare. Ma non ci si può fermare qui, soprattutto non si può lasciar fuori dallo scontro la Confindustria. Per questo ci vuole lo sciopero generale, uno sciopero che deve essere tale da bloccare il paese, coinvolgendo tutto il sistema delle imprese. E’ la Confindustria, infatti, che guida una critica al governo che è da destra, cioè a favore di misure ancor più pesanti a danno del mondo del lavoro. E’ la Confindustria che con l’accordo separato nel contratto dei metalmeccanici ha deciso di usare la crisi per smantellare progressivamente il contratto nazionale, a favore del salario flessibile e dell’autoritarismo aziendale. E’ la Confindustria che programma tagli dell’occupazione e rifiuta il blocco dei licenziamenti. E’ la Confindustria che rinvedica tagli fiscali ad esclusivo beneficio delle imprese e, quindi, ai danni del mondo del lavoro che è l’unico vero creditore fiscale dello stato. E’ necessario lo sciopero generale ed è necessaria una piattaforma chiara per esso. Per questo non è pensabile uno sciopero assieme a Cisl e Uil, a meno che queste organizzazioni non cambino profondamente linea. Scioperare assieme a chi ha fatto degli accordi separati, e della minaccia di essi, la propria filosofia sindacale, significa solo produrre confusione nel mondo del lavoro e indebolire le stesse piattaforme per cui si lotta. Per questo sbaglia Guglielmo Epifani quando rinvia a data da destinarsi lo sciopero generale, in attesa di un ritorno unitario con Cisl e Uil. In questo modo fa un doppio errore. Il primo è quello di non mettere in calendario una scadenza di lotta per la quale oggi c’è una domanda forte da parte di tutte e tutti coloro che oggi lottano per la difesa del lavoro e dei propri diritti. In secondo luogo Epifani sbaglia perché ridimensiona la gravità della scelta di Cisl e Uil di concordare regole e contratti violando le più elementari norme di democrazia e, tra i metalmeccanici, addirittura pretendendo come sindacati di minoranza di decidere per tutti. Difesa dell’occupazione, difesa del contratto nazionale, diritto alla democrazia, non possono essere separati. Vanno sostenuti assieme, perché il disegno della Confindustria e del governo li colpisce e li mette in discussione assieme. Per questo la manifestazione del 14 novembre richiede una scelta decisa da parte della Cgil a favore dell’estensione del conflitto sociale.

Giorgio Cremaschi

venerdì 30 ottobre 2009

Metalmeccanici, la Fiom va alla guerra

Rinaldini a Bologna davanti a 5mila delegati: "Faremo saltare l'accordo separato". Dal 9 al 13 novembre scioperi di 4 ore e cortei. "Rapporti unitari? Solo ipocrisia". Al via anche le firme per il referendum: "Ne possiamo raccogliere migliaia e migliaia"

Scatta la linea dura della Fiom contro l’accordo separato: mobilitazione dal 9 al 13 novembre con un pacchetto di quattro ore di sciopero, manifestazioni e presìdi, che saranno anticipati al 6 novembre a Bergamo, quando nella città lombarda si terrà l’assemblea nazionale dei delegati di Fim e Uilm. Sono soltanto alcune delle decisioni annunciate oggi dal leader delle tute blu Cgil, Gianni Rinaldini, che per circa un’ora ha parlato al Paladozza di Bologna davanti a 5mila delegati Fiom giunti da tutta Italia, interrotto più volte dagli applausi nei passaggi in cui veniva evidenziata la rottura con Cisl e Uil.

“RAPPORTI UNITARI? IPOCRISIA”. L’assemblea Fiom, è stato lo stesso Rinaldini ad annunciarlo dal palco, ha deciso per la “rottura di tutte le relazioni unitarie a partire dalla disdetta del patto di solidarietà”, con la richiesta di far applicare i contratti azienda per azienda attraverso le Rsu. Il conflitto aperto “non si risolve solo in due mesi”, ha aggiunto Rinaldini, sottolineando che per “reggere agli attacchi all’occupazione” degli ultimi mesi il sindacato userà “tutti gli strumenti a disposizione” perché “questa volta ci vogliono far fuori sul serio. Noi quel modello contrattuale lo vogliamo far saltare perché in questo modo viene calpestata la democrazia e la dignità dei lavoratori”. Ormai quella di mantenere rapporti unitari nelle singole aziende “è una pura ipocrisia”, ribadisce il segretario che si dice disposto a “fare di tutto, in trasparenza, affinché i delegati, azienda per azienda, possano convocare come Rsu assemblee rivolte a tutti i lavoratori”.

VIA AL REFERENDUM. Poi arriva l’annuncio della raccolta di firme: “La lanceremo fra i delegati che rifiutano l’accordo separato e chiedono il referendum fra tutti i lavoratori e le lavoratrici, siamo in grado di raccoglierne migliaia e migliaia”. Non solo. La Fiom si confronterà anche con giuristi ed esperti di diritto del lavoro: “Vogliamo uscire con una proposta di legge di iniziativa popolare per affermare i diritti dei lavoratori”. L’attacco a Cisl e Uil prosegue: “Basta accettare tutto quello che dice Federmeccanica che si fanno tutti i contratti senza dieci ore di sciopero. L’accordo è pessimo, loro lo giudicano ottimo. Anzi dicono che è tanto più importante perché non hanno fatto dieci secondi di sciopero. Permettetemi una battuta, avrei voluto vederli, Fim e Uilm, proclamare lo sciopero dei metalmeccanici”.

“GIU’ TASSE SU LAVORO E PENSIONI”. “Vedo che Marcegaglia dice cose strane. Mi pare che l’Irap sia già stata diminuita in maniera consistente con il cuneo fiscale del governo di centrosinistra. Oggi l’intervento fiscale deve essere sui lavoratori dipendenti e sui pensionati che hanno visto aumentare la pressione piu’ di qualsiasi altra categoria”, ha poi aggiunto il leader della Fiom, chiedendo al contrario uno sgravio per i dipendenti e i pensionati, “necessario specie dopo l’operazione scandalosa dello scudo fiscale che è stata una vera e propria vergogna”. E quando termina il proprio intervento, dalle tribune del Paladozza qualcuno grido ancora “Bergamo, Bergamo, Bergamo”.

www.rassegna.it

giovedì 22 ottobre 2009

INSIEL MERCATO VENDUTA A GRUPPO TBS

(Adnkronos) - La societa' "Insiel mercato" e' stata venduta a una newco del gruppo Ital Tbs di Trieste. La seduta pubblica si e' tenuta in mattinata presso la sede della direzione Patrimonio della Regione Friuli Venezia Giulia, a Trieste, e ha concluso la procedura di vendita avviata lo scorso febbraio, rispettando le finalita' e le tempistiche previste dal piano industriale. A fronte del prezzo a base d'asta di 6 milioni e 895 mila euro, la Regione introitera' dall'operazione 13 milioni e 300 mila euro proposti dalla "Tbs Telematic e biomedical service GB e Tbs FR".

La procedura di gara, avviata lo scorso febbraio, dopo che Insiel, la societa' informatica della Regione, si era gia' scissa in "Insiel Mercato" e "Insiel Fvg", aveva fissato alcuni vincoli cautelativi a tutela dei dipendenti. L'aggiudicataria dovra' garantire che per i tre anni successivi al trasferimento non ridurra' il personale, manterra' la sede legale e le altre sedi produttive della Societa' attualmente presenti all'interno del territorio regionale, proseguira' nel raggiungimento dei risultati economici, finanziari e industriali contenuti nel business plan e manterra' per i dipendenti il contratto collettivo di lavoro e gli accordi aziendali attualmente in essere.

Al primo luglio, termine della scadenza delle offerte erano state presentate 9 proposte: Expriva spa di Molfetta (Bari), Reply spa di Torino, Maggioli tributi spa di Sant'arcangelo di Romagna, Engineering spa di Roma, Progetto 09 srl e Dynamic srl di Venezia, TSF Telesistemi ferroviari spa di Roma, NoemaLife spa di Bologna, Infocent spa di Roma e appunto Ital Tbs. L'assessore regionale Sandra Savino ha espresso il proprio apprezzamento per il risultato, che "mantiene in Regione le capacita' economiche - ha detto - e la forza lavoro e contestualmente segna il raggiungimento di un obiettivo che il presidente Renzo Tondo sin dal suo insediamento si era prefissato, a tutela dei lavoratori di Insiel".

lunedì 19 ottobre 2009

Attacco al lavoro (Accordo separato per il rinnovo del Ccnl dei metalmeccanici) di Eugenio Orso

Con l’accordo separato di ottobre fra i sindacati [ormai definibili a pieno titolo “gialli”] Fim-Cisl e Uilm-Uil e la Federmeccanica per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, l’attacco ai diritti e al potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti si precisa in termini di “profondità” e di gravità.
La questione, è meglio precisare subito, non riguarderà soltanto i lavoratori del settore metalmeccanico, il loro contratto, i loro diritti e le loro prospettive di tutela sul posto di lavoro, ma nel prossimo futuro riguarderà direttamente anche tutti gli altri lavoratori dipendenti, perché è chiaro che il Ccnl dei metalmeccanici funge da banco di prova per far pagare interamente il conto della crisi e il costo della cassa integrazione guadagni, non certo alla Grande Finanza e all’Industria Decotta – che hanno pesanti responsabilità in ordine alla crisi italiana –, ma ai già miseri e fiscalmente tartassati redditi da lavoro dipendente e rappresenterà una tappa importante, decisiva per giungere, alla fine della fiera, ad avere campo libero in materia di licenziamenti e di eventuali, nuove assunzioni.
Anzi, dopo le ondate di disoccupazione che è ragionevole aspettarsi anche nel 2010 – primo anno di vigenza di tale contratto – eventuali assunzioni, o riassunzioni, potranno avvenire a condizioni decisamente favorevoli per il Capitale e punitive per il Lavoro, consentendo una piena “ristrutturazione” di ciò che rimarrà in piedi del sistema produttivo italiano, ri-mercificando pienamente il lavoro senza più difese e procedendo sulla via della modificazione dell’ordine sociale, nel senso di una “brasilianizzazione” a piè sospinto della società italiana con la concentrazione di ricchezza, potere e “prestigio sociale” [i classici, maxweberiani differenziali di classe] interamente nelle mani di pochi.
Assieme ad una parte economica miserrima, che determinerà per i prossimi tre anni peggioramenti significativi nelle condizioni di vita materiali di tutti i lavoratori metalmeccanici, i sindacati “gialli” firmatari hanno permesso l’applicazione di una subdola tecnica dilatoria, grazie alla quale le tranches maggiori di aumento scatteranno a partire dal 2011 ed hanno sottoscritto l’introduzione e l’attivazione del così detto “Ente bilaterale”, o meglio dell’Organismo bilaterale nazionale per il settore metalmeccanico e della installazione d’impianti, finanziato sostanzialmente dai contributi [in parte consistente dei lavoratori] stabiliti dallo stesso Ccnl.
Entrando brevemente e da non “esperti” nel merito della parte economica, si nota che l’aumento medio – per la 5a categoria – è di 110 euro lordi, di cui soltanto 28 euro lordi corrisposti per il 2010 [a far data dal primo gennaio], mentre al primo gennaio 2011 arriveranno 40 euro e il primo gennaio 2012 42 euro.
Se pensiamo che una buona parte del milione e mezzo di lavoratori metalmeccanici è inquadrata in 3a categoria, per moltissimi gli aumenti lordi saranno ancora inferiori, rasentando cifre insignificanti, inferiori persino a quelle della social card tremontiana: 24,15 euro con la prima tranche, 34,50 con la seconda e 36,23 con l’ultima.
Una sorte migliore non avranno coloro che sono inquadrati nella 7a categoria, poiché del lordo totale pari a 144,38 euro per il prossimo triennio, nel 2010 vedranno soltanto 36,75 euro.
Con l’accordo separato per il Ccnl metalmeccanico si costituisce altresì un Fondo di sostegno al reddito ad adesione volontaria, che dovrebbe essere impiegato a favore di quei lavoratori che subiscono riduzioni di reddito per periodi prolungati, al quale oltre alle imprese contribuiranno con un euro mensile di prelievo [versamento a gennaio 2013] i lavoratori che vi avranno aderito.
Sullo sfondo si staglia l’ombra della [mitica] contrattazione di secondo livello, probabile ultima spiaggia per integrare con qualche spicciolo questo possibile, futuro e pessimo Ccnl, pensato per affossare più che sostenere il “potere d’acquisto” dei metalmeccanici.
Ipocritamente, nel testo dell’accordo-truffa si pone l’accento sugli agognati Premi di risultato e sui “sistemi incentivanti”, opportunamente defiscalizzati [ad evidente vantaggio del Capitale], perché in realtà si vuole favorire l’estensione delle voci variabili stipendiali, in progressiva sostituzione delle componenti fisse della retribuzione che sole possono garantire al lavoratore dipendente un reddito non soggetto ad incertezza.
Il nocciolo della questione – vista in prospettiva – è che si vuole “scardinare” la contrattazione di primo livello, fingendo di esaltare il merito, la produttività, l’introduzione generalizzata di sistemi incentivanti con la contrattazione aziendale, ma puntando subdolamente al terzo livello di contrattazione, quello che maggiormente esalta il potere e la forza del Capitale davanti al Lavoro, e che “lascia solo” il lavoratore, ormai atomizzato, nella condizione di in-dividuo con poca o nessuna tutela effettiva, davanti alla parte più forte.
I prossimi tre anni saranno dunque anni molto duri, e questo anche per gli stessi iscritti ai sindacati “gialli” firmatari, la Fim-Cisl e La Uilm-Uil.
Ma la cosa che risulta evidente a tutti coloro che sono in buona fede, è che questo accordo è stato fatto senza la Fiom-Cgil, presente alle trattative soltanto con un osservatore, e, di fatto, è stato siglato dalle “parti sociali” in perfetta concordia, contro il sindacato più rappresentativo dei lavoratori del settore, con il placet del governo Berlusconi e con il silenzio compiacente del cartello elettorale del Pd.
Se si trattasse soltanto di manovre per emarginare la Cgil ed in particolare la Fiom al suo interno, visti come avversari “politici” per la supremazia nel mondo del lavoro dipendente, la cosa sarebbe forse un po’ meno grave di quanto è in realtà, perché il vero scopo è quello di emarginare i lavoratori tutti, di ridurli a merce “muta”, di impedire che possano partecipare alle decisioni che riguardano il loro futuro.
Non a caso i vertici di Fim-Cisl e Uilm-Uil – gli auxiliares di Confindustria e quinta colonna in questo decisivo attacco al lavoro dipendente – faranno di tutto pur di impedire di far votare l’accordo a tutti i metalmeccanici, come dovrebbe essere e prescindendo dal fatto che siano iscritti o meno ad un sindacato.
Mi è stato fatto notare, da chi ha competenza in queste materie ed esperienza in campo sindacale, che il quadro generale dell’offensiva contro il lavoro dipendente [e gli stessi lavoratori] deve essere ricostruito “mettendo insieme”, come si fa con le tessere sparse di un mosaico da ricomporre, la legge finanziaria del governo, il libro verde di Sacconi, i protocolli di intesa fra i governi e le parti sociali [dal Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo e siglato dalle parti sociali nel lontano mese di luglio del 1993 all’Accordo Interconfederale del 15 di aprile 2009] fino ad arrivare al livello contrattuale, livello in cui l’attacco al lavoro si concretizza e si precisa nelle parti economica e normativa.
Ma questo attacco, partito con la così detta “marcia dei quarantamila” quadri e impiegati della FIAT il 14 di ottobre del lontano 1980, guidata da Luigi Arisio e promossa dalla storica azienda, continuato con il blitz contro la scala mobile e l’adeguamento automatico delle retribuzioni all’inflazione nel giorno di San Valentino, il 14 febbraio del 1984 – in un processo ormai storico che ha determinato la “rotta di classe” della classe operaia, salariata e proletaria e che è giunto quasi a compimento – oggi è rivolto con decisione, approfittando della crisi sistemica, contro il livello contrattuale nazionale ed ancora una volta, nell’affondo finale e conclusivo, in primo luogo contro i diritti dei lavoratori metalmeccanici.
La cosa grave è che tale processo di ri-mercificazione del lavoro e di ri-plebeizzazione dei lavoratori ha trovato una sponda utile in un certo sindacalismo, pur minoritario, che assieme ai diritti dei lavoratori, alla così detta democrazia sindacale [per altro già di per sé insufficiente], sta vendendo, come si faceva nel mondo ellenistico-romano della “villa” con gli schiavi, le persone, le loro famiglie e il loro futuro.
Evidentemente questo frammento di sindacato [CISL e UIL], prono davanti ai voleri della Grande Finanza & Industria Decotta e della politica italiana sistemica che funge da supporto a tali interessi, sta cercando con ogni mezzo e a qualsiasi prezzo di sopravvivere alla “onda d’urto” della distruzione creatrice, scatenata dalla “tempesta perfetta” della crisi finanziaria globale, ed anzi di trarne vantaggio – quale centro di potere autoreferenziale e co-gestore degli “Enti bilaterali” – proponendosi come docile strumento al servizio dei soliti “poteri forti”.
Attraverso l’escamotage degli “Enti bilaterali” si decideranno in futuro assunzioni e licenziamenti, si farà formazione, si “flessibilizzerà” ulteriormente il lavoro e si aumenterà la dipendenza dei lavoratori dalle direzioni aziendali, diminuendo le tutele legali e rendendo il lavoro dipendente in modo sempre più pieno ed evidente una merce, mentre invece è parte, inscindibile dal tutto, dell’esperienza esistenziale delle persone e un loro carattere “istitutivo”.
Non è bastato, dunque, lo scudo fiscale concesso quale regalo e premio alla grande evasione, dalla mafia agli speculatori finanziari, da una certa Confindustria ai trafficanti di droga che muovono centinaia di milioni di euro … la distruzione creatice innescata dalla crisi prevede anche l’attacco al lavoro dipendente e, in ultima analisi, all’Etica stessa, se si concepisce l’Etica come Logos, cioè come razionalità ed equilibrata distribuzione della ricchezza e del potere.
Riflettano su questo brutto e insidioso accordo, dunque, tutti i lavoratori, siamo essi impiegati o operai, iscritti alla Fiom o non iscritti, aderenti ai sindacati “che hanno tradito” o non aderenti, perché il momento storico è grave e solenne, e fra tre anni – alla scadenza del contratto dei metalmeccanici in via di rinnovo – niente sarà più come prima.

Orso Eugenio

Non è più tempo di pace sociale

Le recenti dichiarazione del ministro Tremonti sull’opportunità di ritornare al “posto fisso” sono una lezioncina alla sinistra che ha tutto il sapore della presa in giro.

Tremonti predica il posto fisso. La Chiesa di Ratzinger invoca la responsabilità sociale delle imprese e dei paesi ricchi. Sacconi e la CISL chiedono la partecipazione agli utili delle imprese. E tutti insieme intendono una società più gerarchica, depauperata di meccanismi di partecipazione democratica, raccolta intorno alle elemosina che i ricchi vorranno concedere ai poveri.


La verità che è finito il tempo della pace sociale: quella pace continuamente invocata da Tremonti, Sacconi e Ratzinger. Questo tempo è scaduto simbolicamente il giorno in cui il Governo e la Confindustria hanno dichiarato guerra alla CGIL, dopo che per oltre venti anni questa aveva pacatamente accettato riduzioni dei salari reali, aumenti dei prezzi dei servizi e continue privatizzazioni, espandersi del sistema del precariato che scarica sui giovani le incertezze della competizione commerciale e finanziaria globale. La ricompensa per questo atteggiamento “responsabile” è stata che, alla prima pesante crisi economica, si è colta al volo l’occasione per scardinare l’unità dei sindacati e spezzare le reni all’unico sindacato confederale che aspira a mantenere un rapporto diretto con il mondo del lavoro e favorire la sua partecipazione ai processi decisionali.


E siccome c’è gente che fraintende: che sia finita la pace sociale, non significa ovviamente che sia iniziato il tempo delle rivolte armate. Significa invece qualcosa di più complesso e di più duraturo.


Significa che a livello sindacale occorre mutare radicalmente la strategia della concertazione per aprire una nuova stagione in cui si ricostruisca il rapporto con i lavoratori e, soprattutto, con il mondo del precariato. Occorre un cambiamento che porti, già dal prossimo congresso, alla guida del maggior sindacato confederale chi lo considera un luogo indipendente dalle contese interne ai partiti, in grado di leggere l’economia nazionale e internazionale e proporre ricette autonome e non semplicemente farsi trainare dalle analisi di organismi internazionali come l’OCSE o il Fondo Monetario.


Significa, a livello politico, che il tempo delle microscissioni, il tempo di quella che Corrado Guzzanti definirebbe “la strategia del microrganismo” (vincere sparendo dal mondo del visibile), non ha più senso. Non hanno più senso quelli che “Di Pietro non è di sinistra”. Occorre un fronte comune di tutte le opposizioni sociali, da Rifondazione a Di Pietro, che muovano una battaglia su alcune questioni comuni per arginare la frana della costante privatizzazione di tutti gli interessi pubblici: moratoria sui licenziamenti e su ogni ulteriore privatizzazioni dei servizi pubblici, abolizione dei contratti precari, istituzione di referendum obbligatori fra tutti i lavoratori sui contratti nazionali, salvaguardia delle pensioni di anziani e giovani, fine della guerra in Afghanistan, richiesta di referendum su ogni modifica dei trattati europei. Poi come presentarsi alle prossime elezioni si vedrà, a seconda di chi sia più concretamente (e non nelle assemblee) in grado di interpretare questo desiderio di battaglia sociale.


E significa che ogni individuo di sinistra deve essere investito della responsabilità di dar vita ad associazioni, gruppi che mettano insieme le persone sulle questioni più disparate, operando concretamente perché la cooperazione, il pubblico, la partecipazione e l’eguaglianza tornino, delineate in modo nuovo ed attraente, ad essere egemoni nella società. La cultura di sinistra deve smettere di trincerarsi nelle “riserve indiane” e aspirare nuovamente a farsi sentire da tutti, perché il mondo è migliore di quello che sembri a guardarlo in televisione.


Attendere che tutto questo accada dall’alto, magari scaricandosi la coscienza con un voto alle primarie ad un bravo chirurgo o ad un bravo amministratore regionale, è velleitario; perché la pace sociale deve finire prima di tutto dentro ogni persona, che deve ritrovare la convinzione di poter imporre concreti cambiamenti sociali e la forza di battersi attivamente per le cose in cui crede. Non servono dei tifosi oggi che la pace sociale deve andare in cantina, servono dei giocatori che si impegnino ognuno al meglio delle proprie competenze.

Giuliano Garavini

venerdì 16 ottobre 2009

Salari, dal 1980 persi tremila euro l’anno

Indagine Ires Cgil: la pressione fiscale sul lavoro è aumentata dell'11%. Cgil: “Urgente intervento redistributivo per ripagare onesti dallo ‘schiaffo’ dello scudo”. Serve un “sostegno ai redditi da lavoro e da pensione”


Se la pressione fiscale fosse rimasta invariata dal 1980 a oggi, ogni lavoratore avrebbe in busta paga 3.215 euro annui in più pari a circa 247 euro mensili. Mentre, invece, l’aumento della pressione fiscale dell’11,4% - dovuto esclusivamente ad un aumento della pressione tributaria visto che la pressione contributiva è rimasta pressoché invariata dal 1980 - è stata tutta a carico del lavoro.

E’ questo il dato principale emerso oggi nel corso dell’iniziativa promossa da Cgil e Ires "Salari in crisi - Un fisco equo per sostenere i redditi da lavoro e da pensione" alla presenza del segretario confederale dell’organizzazione sindacale, Agostino Megale, e di dirigenti sindacali di Cisl e Uil. Uno studio, quello elaborato dalla Cgil e dall’istituto di ricerca, che mette assieme dati e riflessi della crisi sul lavoro per sostenere la necessità urgente di una riforma del fisco fondata sull’equità. “Se la pressione tributaria fosse rimasta la stessa - osserva Megale - il salario netto mensile non sarebbe di 1.240 euro ma di 1.487 euro”.

Ed è alla luce del dato sulla pressione fiscale negli ultimi trent’anni, associato ad altri presentati oggi, che il dirigente della Cgil sostiene la necessità di “una indispensabile riforma fiscale, nel quadro di un intervento immediato di sostegno ai redditi da lavoro e da pensione insieme al rilancio della domanda interna, con l’obiettivo strutturale di diminuire le tasse mediamente di 100 euro mensili ai lavoratori dipendenti e ai pensionati, per un motivo di ‘giustizia fiscale’. Per realizzare questo obiettivo bisogna investire almeno 1,2 punti di Pil”. La crisi, infatti, “rende urgente interventi che sostengano l’occupazione e i redditi attraverso un’azione di carattere redistributivo. Un’urgenza - ha spiegato il dirigente sindacale - dettata anche dal fatto che mentre 28 milioni di persone pagano regolarmente le tasse il governo si cimenta sullo scudo fiscale: un vergognoso schiaffo ai contribuenti onesti”.

Italia diseguale
L’Italia – ricorda la Cgil - è il sesto paese “più diseguale” tra i paesi Ocse nella distribuzione del reddito. Secondo l’ultima indagine di Banca d’Italia sui redditi delle famiglie italiane, il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% dell'intera ricchezza netta delle famiglie italiane. Così come metà della popolazione possiede solo il 9,7% della ricchezza netta complessiva (nel 1995 era il 9,3%). In termini di reddito disponibile, il 50% delle famiglie (più povere) si trova sotto la soglia dei 26.062 euro annui. Il 10% sopra i 55.712 euro e detiene circa 1/4 del reddito disponibile totale. La ricchezza delle famiglie italiane (evidentemente soprattutto quella delle più ricche) risulta complessivamente 8 volte superiore del reddito disponibile. E risulta superiore a quella di Stati Uniti (5,8), Germania (6,1), Francia (7,9).

In Italia, nel 2007, su 41 milioni di contribuenti 76 mila (di cui 43 mila lavoratori dipendenti) hanno dichiarato più di 200 mila euro; 383 mila (di cui 218 mila lavoratori dipendenti) hanno dichiarato più di 100 mila euro. Ma, allo stesso tempo, nel 2007 sono state vendute 100 mila auto di lusso (sopra i 40 mila euro) e circolavano 94 mila imbarcazioni sopra i 10 metri (per mantenere un’imbarcazione di tali dimensioni ci vogliono dai 20 ai 30 mila euro all’anno).

L’altra faccia della medaglia
Secondo i dati forniti dalla Cgil, oltre 13,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese. Circa 7 milioni ne guadagnano meno di 1.000, di cui oltre il 60% sono donne. Oltre 8 milioni (il 66%) di lavoratori in pensione guadagna meno di mille euro netti mensili.

La Cgil, sui temi del fisco, (“mentre è in corso un lavoro di approfondimento unitario con Cisl e Uil per aggiornare le proposte comuni”, spiega il segretario confederale di Corso d’Italia), avanza proposte su cinque punti: lotta all’evasione fiscale, ripristinando in primis la tracciabilità dei pagamenti; riformare l’Irpef, riducendo la prima aliquota dal 23 al 20% e incrementando le detrazione sui redditi da lavoro dipendente e da pensione; agire sulle rendite e sulle ‘grandi ricchezze’, aumentando il livello delle tassazione e istituendo una imposta di ‘solidarietà’ sulla base del modello francese; sul secondo livello contrattuale bisogna rendere strutturale la detassazione; infine al federalismo non va delegata la ‘valorizzazione’ del reddito rendendo la delega sul tema meno generica.

Per fare tutto ciò, rileva Megale, “servirebbe un patto fiscale tra tutti i contribuenti onesti all’insegna di una cultura dell’equità e della legalità fiscale e in difesa dei più deboli. Uno strumento - conclude - capace di fare ‘pressione’ sul governo affinché riveda e cambi radicalmente la sua politica fiscale”.

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Salari in Crisi

Un golpe sindacale

Tecnicamente è un golpe. Come definire diversamente, infatti, la violazione brutale delle più elementari regole di democrazia con la sopraffazione della maggioranza da parte della minoranza? Fim e Uilm da sole rappresentano a malapena un terzo dei metalmeccanici. La Fiom da sola ha raccolto, tra iscritti e voti, un consenso tra il 55 e il 60% della categoria. Nel 2008 è stato firmato un contratto nazionale che prevedeva la durata della parte normativa fino alla fine del 2010. Eppure Fim e Uilm hanno unilateralmente disdettato il contratto in vigore, per applicare il nuovo sistema derivante dall’accordo, anch’esso separato, del 15 aprile. Nella sostanza Fim e Uilm hanno preteso di cambiare le regole del gioco nel corso della partita, senza il consenso dei giocatori più importanti e senza verificare con tutti se si era d’accordo. La Fiom ha semplicemente rivendicato il proprio buon diritto a rinnovare il contratto sulla base delle regole ancora in vigore.
Ma nessun golpe riesce da parte di una minoranza, se dietro di essa non c’è un potere forte che la adopera e sostiene per i propri fini. Non sono i sindacati che fanno gli accordi separati, ma i padroni. La Federmeccanica, dopo due rinnovi separati, aveva deciso per due volte di seguito di fare intese unitarie. Ora ha di nuovo cambiato idea. Perché? Sono gli stessi contenuti dell’accordo che lo chiariscono.
Fim e Uilm hanno infatti accettato di svalutare il valore del lavoro dei metalmeccanici, attraverso la riduzione del salario del nazionale. L’aumento è ridicolo e offensivo, 15 euro netti per un operaio di terzo livello per tutto il 2010. La durata triennale non è accompagnata da alcuna garanzia rispetto all’inflazione, mentre e si abbandona una conquista storica dei vecchi contratti, la rivalutazione del valore punto. Tale conquista, che aveva migliorato il sistema del 23 luglio, faceva sì che ad ogni rinnovo contrattuale si trattasse su una base più alta del rinnovo precedente. Ora, cancellato questo meccanismo, ci si predispone ad un andamento opposto. Cioè che ogni contratto dia meno soldi di quello prima. A tutto questo si aggiunge la piena accettazione dell’intesa confederale separata del 15 aprile 2009. Quella che dà il via alle deroghe al contratto nazionale, che riduce le libertà di contrattazione e i diritti individuali. Già ora il testo firmato parla di conciliazione e arbitrato e limita l’autonomia di contrattazione in fabbrica. Alla faccia di chi sosteneva che bisognava fare meno contratto nazionale per avere più accordi aziendali. Fim, Uilm e Federmeccanica, per non sbagliarsi, limitano tutti e due.
La Fiom ha chiesto il blocco dei licenziamenti e della chiusura delle fabbriche. Fim, Uilm e Federmeccanica hanno trovato una soluzione della crisi più lungimirante: l’istituzione di un ente bilaterale che raccoglierà fondi con la promessa di dare, tra tre anni, qualche contributo a qualche lavoratore particolarmente disagiato. Una risposta diffusa e tempestiva, quando centinaia di migliaia di lavoratori rischiano salario e posto ora. Ma l’importante è istituire un nuovo carrozzone, con il quale alimentare la collaborazione tra sindacato e imprese.
Potremmo andare avanti nello scoprire piccole e grandi porcherie nell’accordo, dal part-time selvaggio al peggioramento dei diritti per i contratti a termine, ma la sostanza è sempre quella. La Federmeccanica e la Confindustria hanno deciso di svalutare il lavoro passando per la complicità – direbbe il ministro Sacconi - di Fim e Uilm. Pensano di farcela, anche se sanno benissimo che in un referendum normale la grande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori travolgerebbe il loro accordo sotto una valanga di no. Pensano di farcela perché danno per scontato che nella società e nella politica italiana sia oramai un luogo comune accettato da tutti che i lavoratori siano cittadini di serie B, per i quali non valgono le regole della democrazia. Si può fare un golpe contro un contratto e la democrazia sindacale e presentare il tutto come un’evoluzione delle relazioni industriali
La rivoluzione francese cominciò perché il sovrano faceva votare per “stati” e non per persone. Così aristocrazia e clero, pur essendo una ristretta minoranza, vincevano sempre contro il popolo, che aveva un solo voto contro i loro due. Oggi si vorrebbe far votare i contratti per sindacati. Si conta la somma delle sigle e si dice “qui c’è la maggioranza”. Anche se la grande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori sta da un’altra parte. I francesi fecero la rivoluzione perché non accettavano quel sistema medievale di decisioni. Oggi è al medioevo che si vogliono riportare i lavoratori. E non solo loro.
La determinazione della Fiom e una sacrosanta ribellione dei lavoratori e dell’opinione pubblica fermerà questa deriva.

Giorgio Cremaschi

giovedì 15 ottobre 2009

Testo dell'accordo firmato da fim e uilm



Metalmeccanici, accordo separato senza la Fiom

Federmeccanica, Fim e Uilm firmano l'intesa per il rinnovo. Adottano il nuovo modello contrattuale e concedono 112 euro per il 2010-2012. Rinaldini: "E' illegittimo, subito il referendum o non lo applichiamo. Poi una campagna sulla democrazia sindacale"

Arriva l'accordo separato per il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici. Federmeccanica, Fim e Uilm lo hanno raggiunto oggi (15 ottobre) senza la Fiom. Le parti, nell'ultimo incontro di stamani, hanno concordato un aumento mensile di 112 euro per il triennio 2010-2012. Vengono così recepite le nuove regole sui contratti, contenute nell'accordo separato del 22 gennaio, siglato senza la Cgil. Dall'1 gennaio 2011 saranno corrisposti ulteriori 15 euro mensili per chi non fa la contrattazione integrativa. E' prevista una prima tranche "leggera" degli incrementi: si parte dal 2010 con 28 euro di aumento, poi 40 euro nel 2011 e 42 euro nel 2012. Le imprese hanno ottenuto così gli "zero oneri" richiesti per l'anno prossimo a causa della crisi economica. Istituito un fondo di sostegno al reddito, gestito dall'ente bilaterale partecipato al 50% dai lavoratori e al 50% delle imprese. Circa 6 euro in più di contribuzione vanno a Cometa, il fondo di previdenza complementare del settore. L'ipotesi di accordo viene firmata formalmente verso le 13.30.

Rinaldini, accordo illegittimo, subito referendum
"E' un accordo separato che consideriamo illegittimo sulla parte normativa". Lo dichiara il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, ai microfoni di RadioArticolo1. Sull'aumento salariale, prosegue, "manteniamo ferma la nostra richiesta per quanto riguarda il biennio, quello che è stato concordato oggi lo consideriamo semplicemente un anticipo". Il leader delle tute blu chiede a Fim e Uilm "di sottoporre l'accordo separato al referendum di tutti i lavoratori metalmeccanici". Se l'intesa non passa al vaglio degli addetti coinvolti, avverte, "noi della Fiom non applicheremo quelle regole". Inoltre, se ci sono modifiche peggiorative sulla parte normativa "si aprirà inevitabilmente anche un contenzioso legale. Per noi è vigente l'attuale contratto nazionale, fino alla fine del 2011, che è la sua scadenza naturale". Annuncia quindi le prossime iniziative della Fiom: "Apriremo una campagna nazionale sulla democrazia, che non è più soltanto un problema sindacale ma una questione politica enorme. E nella contrattazione non applicheremo le eventuali regole che sono state definite". Per la Fiom "l'unico vincolo è il voto dei lavoratori. Se non si vuole questa deriva, che è l'esatto opposto della coesione sociale che viene invocata, c'è uno strumento che è appunto la democrazia. Altrimenti l'accordo è un semplice sopruso - conclude - che sarà contrastato in tutti i modi". Fino a ieri (14 ottobre) Rinaldini, aveva chiesto di sospendere il negoziato e indire il referendum tra i lavoratori sulle piattaforme separate.

Cremaschi, 15 euro dal 2010, aumento offensivo
Va all'attacco anche il segretario nazionale della Fiom e leader della Rete 28 aprile, Giorgio Cremaschi: "Un contratto scandaloso che svaluta il lavoro dei metalmeccanici". Dal 2010 le tute blu riceveranno 28 euro a livello medio (il quinto) quindi, fa i conti Cremaschi, "un lavoratore di terzo livello riceverà un aumento di 15-16 euro netti. Il più basso rinnovo salariale da molti anni a questa parte". Le categorie di Cisl e Uil, insieme alle imprese, hanno raggiunta un'intesa "offensiva", a suo giudizio, che "in più viola le regole ancora in vigore sulla contrattazione, violando i diritti dei lavoratori. Infine, viola anche le più elementari regole di democrazia visto che è stato firmato da un sindacato di minoranza".

La soddisfazione di Federmeccanica, Fim e Uilm
Intanto le aziende e le categorie di Cisl e Uil "festeggiano" l'intesa, tutti sulla stessa linea. Il primo commento è del presidente di Federmeccanica, Pier Luigi Ceccardi, che parla di "accordo molto buono e molto responsabile nei confronti del paese e dei lavoratori, è un atto di grande responsabilità". Un'intesa "onerosa ma soddisfacente", a suo giudizio, che esclude la Fiom dato che il sindacato "si è chiamato fuori dalla partita, perchè per merito e metodo ha presentato una piattaforma non utile ad un accordo". Giuseppe Farina, leader della Fim, annuncia un referendum “tra gli iscritti”. E’ stato un negoziato “non lungo ma molto difficile”, dice, e conferma “che il diritto al rinnovo esiste sempre”. I sindacati non hanno scambiato nulla, a suo avviso: “Non abbiamo fatto ricorso a scioperi e abbiamo messo in busta paga gli aumenti fin dal primo giorno”. Tiene banco l’esclusione della Fiom: “Il problema è solo capire quando assumerà un atteggiamento più responsabile”, dichiara. Rimbalza le responsabilità anche il segretario generale della Uilm, Antonino Regazzi: “L'hanno voluto loro, noi ci dobbiamo preoccupare dei lavoratori. La Fiom è più impegnata nel suo congresso e nella politica generale piuttosto che a rinnovare il contratto”. In ogni caso, esprime “giudizio positivo” sull’intesa, soprattutto per il risultato salariale.

Sacconi, dispiace autoesclusione della Fiom
Torna la Fiom anche nelle parole del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che parla di "autoesclusione". A Sacconi "spiace sinceramente, nel momento in cui le altre categorie della Cgil appaiono più costruttivamente partecipi dei negoziati. L'auspicio - continua - è che possa ricomporsi un quadro unitario di relazioni industriali". L'accordo separato, comunque, "conferma la positività del nuovo modello contrattuale e la semplificazione che grazie ad esso si sta realizzando".

Anche Ugl e Fismic non firmano
Ugl e Fismic non siglano l'intesa, ma per motivi diversi dai metalmeccanici Cgil. I sindacati non confederali, infatti, nel testo dell'accordo sono esclusi dalla partecipazione dell'ente bilaterale che gestisce il fondo di sostegno al reddito. Entrambi chiedono "pari dignità" rispetto alle altre organizzazioni e si riservano di aderire o meno in relazione a questo punto.

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CCNL: Comunicato RSU FIOM Insiel Trieste e Udine



mercoledì 14 ottobre 2009

G.Cremaschi - Proposta Draghi. La risposta di Epifani è inadeguata

Trovo stupefacente la debolezza delle risposte confederali all’invito di Draghi di innalzare l‘età pensionabile. Passi per Cisl e Uil, a cui siamo abituati, ma la dichiarazione del Segretario generale della Cgil è assolutamente inadeguata, se non incomprensibile. Parlare oggi di aumento dell’età pensionabile, con milioni di disoccupati giovani alle porte, è una follia liberista da respingere con il massimo della fermezza. Quando lo stesso governo riconosce che i conti dell’Inps non richiedono nuovi interventi, alzare l’età pensionabile significa solo pensare di far cassa con i soldi dei lavoratori. Nel mondo del lavoro di oggi l’innalzamento dell’età pensionabile ha un rifiuto pressoché totale.

E’ una scelta di buon senso, che contrasta con la retorica delle riforme, che viene non a caso sostenuta dalla Confindustria, dal governatore della Banca d’Italia, dalla finanza, da tutti coloro che pensano che si esce dalla crisi con ancora più liberismo di prima.
Per queste ragioni la Cgil dovrebbe, senza esitazioni, schierarsi contro la proposta di Draghi e non avere atteggiamenti ambigui e confusi. E’ bene chiarirsi: le critiche della Confindustria al governo sono da destra. Se non siamo d’accordo, giustamente, con la politica economica e sociale del governo, non ha senso dialogare con chi critica il governo perché lo vorrebbe ancora più duro e brutale verso i lavoratori.

G.Cremaschi

domenica 11 ottobre 2009

La Fnsi Protesta per la scarsa visibilità data dal servizio pubblico alla manifestazione nazionale della Fiom

I temi del lavoro si confermano poco graditi alla nostra grande informazione, in particolare a quella televisiva. Anche la manifestazione di ieri dei metalmeccanici della Fiom ha ottenuto, tranne qualche eccezione, scarsissima visibilità.

Chi sceglie di oscurare così le ragioni di decine di migliaia di lavoratori li spinge - che se ne renda conto o no - a forme di protesta sempre più clamorose. Non ci si può stupire che gruppi di lavoratori decidano di salire su una gru, o sul tetto di un provveditorato, se le manifestazioni di tipo più “tradizionale” ottengono, per quanto partecipate, un distratto silenzio. Non per caso il corteo romano di ieri aveva come punto d’arrivo Viale Mazzini: la Rai è stata negli anni una delle principali artefici della rimozione mediatica dei lavoratori e delle lavoratrici. All’informazione, naturalmente, non si chiede di “tifare” per una delle parti in campo, su un tema come la contrattazione che vede il movimento sindacale attraversato da aspri conflitti interni. Sarebbe essenziale invece trasmettereall’opinione pubblica la rilevanza di una discussione che riguarda le condizioni materiali di milioni di famiglie. C’era anche la richiesta di un’attenzione diversa all’Italia reale, tra le motivazioni che hanno portato la Fnsi a indire la grande manifestazione di piazza del Popolo. Per quanto ci riguarda, il tema del lavoro è uno dei criteri-guida per poter misurare lo stato dell’informazione italiana. E proprio perché vogliamo tenere fede agli impegni assunti nella manifestazione, proponiamo a Cgil, Cisl, Uil e Ugl di riprendere una riflessione comune sul rapporto tra lavoro e media.

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giovedì 8 ottobre 2009

Incontro Iscritti Insiel e Segreteria Provinciale Fiom




Il giorno 15/10/2009 presso la saletta RSU di via S. Francesco si terrà l'incontro del Comitato degli Iscritti FIOM con la segeteria Provinciale della FIOM

Domani le metalmeccaniche e i metalmeccanici in sciopero per il contratto e la democrazia e contro il silenzio di regime sulle ragioni del lavoro

Domani in Italia ci sarà la più grande mobilitazione operaia d’Europa contro la crisi. Questo infatti significano, tra l’altro, le 8 ore di sciopero e le 5 manifestazioni dei metalmeccanici proclamate e indette dalla Fiom. In un mare di crisi, con lotte che spesso devono giungere a livelli estremi per farsi sentire e vedere, domani la Fiom rilancia l’azione collettiva del mondo del lavoro. Dovrebbe essere un evento, invece l’informazione di regime lo ha completamente cancellato. Non c’è paragone con quello che avviene nel resto d’Europa, manifestazioni operaie della portata di quella di domani oggi ci sono solo in Italia, eppure non se ne parla. E’ un fatto gravissimo, che corrisponde inevitabilmente, al di là delle diverse collocazioni dei mass-media, a una sostanziale accettazione della propaganda berlusconiana sulla crisi.
Governo e Confindustria continuano a parlare di una fine della crisi, mentre milioni di lavoratori vedono continuamente peggiorare le loro condizioni di lavoro e di reddito o hanno perso o stanno per perdere il posto di lavoro. Tutto questo viene cancellato e anestetizzato, così la manifestazione di domani urla prima di tutto che la crisi c’è e la stanno totalmente pagando le lavoratrici e i lavoratori. Forse una delle scuse che verranno utilizzate è che lo sciopero di domani è solo della Fiom. Ma questo dovrebbe essere un motivo in più per parlarne. Per parlare del fatto che in questo dramma sociale Cisl e Uil mandano solo messaggi di rassegnazione e passività ai lavoratori. La crisi c’è, aspettiamo che passi e intanto arrangiamoci e adattiamoci. Questo messaggio, che è la negazione della funzione fondamentale del sindacato, evidentemente piace alla cultura che domina l’informazione. E così lo sciopero di domani, che prima di tutto dice basta alla rassegnazione, viene ignorato. Come viene ignorata la vergognosa prevaricazione che sta avvenendo al tavolo del contratto nazionale. La Federmeccanica, in accordo con sindacati di minoranza e in minoranza tra i lavoratori, vuole imporre un nuovo sistema di regole, valido per tutti, che peggiora il salario e i diritti. Questa violazione delle più elementari regole di democrazia, anche nel sistema politico italiano distorto e malato, non sarebbe ammessa. Abbiamo gioito alla sentenza della Corte Costituzionale, che ristabilisce principi elementari di diritto e uguaglianza e che ci fa dire che in Italia la Costituzione non è lettera morta. Ma per i diritti sindacali dei lavoratori la Costituzione oggi è cancellata. Senza un voto, senza un reale consenso, senza un pronunciamento democratico, si riscrive la Costituzione formale dei contratti. Siamo di fronte a un vero e proprio golpe sindacale, che però, passa sotto silenzio. Domani nelle piazze, che si riempiranno di lavoratrici e lavoratori che, nonostante la crisi decidono di rinunciare a una giornata di salario per farsi sentire, tutti insieme urleremo che non solo vogliamo il lavoro e il contratto, ma anche e soprattutto la democrazia. Che non si può fermare all’entrata delle fabbriche. Altrimenti non c’è davvero per nessuno.
Giorgio Cremaschi

giovedì 17 settembre 2009

Fermiamoli!




FERMIAMOLI!


VENERDÌ 9 OTTOBRE 2009

Sciopero generale di 8 ore per tutti i metalmeccanici con manifestazione a MILANO

Da un anno è esplosa una crisi economica senza precedenti in tutto il mondo. In Italia milioni di lavoratrici e lavoratori subiscono la Cassa integrazione e la mobilità, mentre i dipendenti delle piccole aziende e i precari vengono licenziati dalla sera alla mattina.

Ora il Governo e le banche, la finanza e la Borsa, affermano che la crisi è finita e la ripresa è vicina. NON È VERO. La realtà è che aumentano le fabbriche a rischio di chiusura, si concentrano le produzioni e si chiudono gli stabilimenti, di nuovo si vuole delocalizzare. Centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori metalmeccanici proprio ora rischiano il posto.

La Fiom ha chiesto alla Federmeccanica di aprire subito un tavolo sulla crisi che abbia lo scopo di bloccare i licenziamenti e di fermare la chiusura delle fabbriche, per preparare davvero la ripresa produttiva. Gli industriali metalmeccanici hanno respinto questa richiesta, rivendicando invece il diritto a licenziare, come mezzo per affrontare in ultima istanza la caduta della produzione. COSI’ TANTE LAVORATRICI E LAVORATORI RISCHIANO DI TROVARSI IN MEZZO ALLA STRADA E LA RIPRESA RISCHIA DI ESSERE ANCORA PIU’ LONTANA.

La Federmeccanica evidentemente preferisce fare accordi separati che distruggono il contratto nazionale e la democrazia sindacale, piuttosto che impegnarsi davvero per affrontare la crisi e salvare il lavoro con investimenti in tecnologia e ricerca.

Bisogna fermare l’attacco all’occupazione e la distruzione del patrimonio industriale e per questo la Fiom rivendica:

    •il blocco dei licenziamenti delle lavoratrici e dei lavoratori stabili e precari;

    •il blocco delle delocalizzazioni e delle chiusure degli stabilimenti;

    •l’aumento della Cassa integrazione e la sua estensione a tutte e tutti i lavoratori delle aziende in crisi, anche ai precari.

In tante fabbriche oggi si lotta per il lavoro. La Fiom sostiene le diverse forme di lotta decise dalle lavoratrici e i lavoratori. Ora è il momento di farci sentire tutte e tutti assieme.

Fermiamo ora l’attacco all’occupazione e ai diritti

Vogliamo lavoro e non accordi separati

Il 9 ottobre i metalmeccanici scioperano 8 ore in tutta Italia e manifestano per fermare i licenziamenti e la chiusura delle fabbriche, difendere il contratto nazionale e la democrazia

venerdì 11 settembre 2009

Metalmeccanici: scontro sull'accordo separato

L’atteggiamento della Federmeccanica ha smascherato le chiacchiere confindustriali che, in questi giorni, hanno presentato una nuova disponibilità degli industriali. Essa in realtà non esiste. Al tavolo dei metalmeccanici la Federmeccanica ha ignorato la proposta della Fiom di sospendere l’applicazione dell’accordo separato sul sistema contrattuale, di fare un accordo ponte sul salario che tenga conto di tutte le piattaforme presentate e di cominciare a discutere del blocco dei licenziamenti e sulla crisi. La Federmeccanica ha semplicemente cominciato a trattare sulla piattaforma separata di Fim e Uilm, che non ha il consenso della maggioranza dei lavoratori metalmeccanici, riservandosi una risposta sulla proposta della Fiom e respingendone allo stesso tempo la piattaforma.”“Così si chiarisce, nella maniera più semplice e brutale, che gli industriali non sono disponibili ad alcuna mediazione e che perseguono la pura imposizione dell’accordo separato. Con i metalmeccanici quindi finiscono le illusioni di una ripresa a breve di dialogo tra tutti i sindacati e la Confindustria. Consideriamo importante, nella sua gravità, questo elemento di chiarezza. Con la vertenza dei metalmeccanici e con le decisioni che prenderà la Fiom, comincia la lotta contro l’accordo separato e contro la gestione confindustriale della crisi. La decisione di Fim e Uilm di ignorare la proposta della Fiom e di trattare sulla loro piattaforma minoritaria ripropone poi con forza la centralità della democrazia sindacale, che dopo l’accordo separato viene negata nei suoi fondamenti. Adesso per tutta la Cgil c’è una sola cosa da fare: organizzare e generalizzare il conflitto.”

Giorgio Cremaschi

giovedì 10 settembre 2009

Ccnl. Gianni Rinaldini, commenta il secondo incontro tra sindacati e Federmeccanica

Secondo incontro della trattativa relativa al contratto dei metalmeccanici

Il Segretario generale della Fiom-Cgil, Gianni Rinaldini, ha rilasciato oggi la seguente dichiarazione ai giornalisti presenti in Confindustria per il secondo incontro della trattativa relativa al contratto dei metalmeccanici.

“A fronte della situazione di crisi economica che il Paese sta attraversando, abbiamo presentato una proposta relativa a come procedere con la trattativa. In sostanza, abbiamo proposto di aprire un confronto con all’ordine del giorno il blocco dei licenziamenti e lo sviluppo della struttura industriale del nostro Paese. Abbiamo proposto, inoltre, di avanzare una richiesta congiunta delle parti sociali al Governo per l’estensione degli ammortizzatori sociali a tutti i lavoratori. Abbiamo anche proposto una soluzione transitoria di accordo economico, relativa al Contratto nazionale, con una richiesta congiunta al Governo di defiscalizzazione degli aumenti definiti dal Contratto stesso. Tutto ciò conseguente alla proposta di sospendere l’applicazione del sistema di regole definito negli accordi separati sul sistema contrattuale, ferme restando le posizioni delle parti, per operare per la definizione di un nuovo sistema di regole alla scadenza del secondo biennio contrattuale. Siamo in attesa di una risposta da parte di Federmeccanica. Rilevo che la stessa Federmeccanica, dopo aver dichiarato che la piattaforma della Fiom non costituisce per l’associazione delle imprese una base di confronto, ha scelto di proseguire la trattativa sulla piattaforma presentata da Fim e Uilm. Abbiamo quindi abbandonato il tavolo perché non partecipiamo al negoziato sulla piattaforma presentata dalle altre organizzazioni. Abbiamo comunque lasciato al tavolo, come osservatore, un componente della nostra Segreteria nazionale.”
“La Federmeccanica ha detto che ci darà una risposta relativa alla nostra proposta odierna, ma giudichiamo un fatto grave la sua scelta di trattare solo sulla piattaforma delle altre organizzazioni. Lunedì 14 settembre il Comitato centrale della Fiom si riunirà per decidere quali iniziative di lotta assumere in risposta alle scelte di Federmeccanica.

giovedì 3 settembre 2009

Fincantieri. Sospeso per 2 giorni un delegato. Un atto contro le Rsu e la Fiom

La Fincantieri ha colpito con un grave provvedimento disciplinare (2 giorni di sospensione) Riccardo Zolia, Rsu di Palazzo Marineria a Trieste. Il provvedimento dell’azienda è basato sull’accusa inconsistente di aver offeso un dirigente aziendale durante un colloquio. In realtà il delegato sindacale della Fiom, nel normale esercizio delle sue funzioni di rappresentanza, stava discutendo dello stato della professionalità e dello stato di lavoro negli uffici della Fincantieri a Trieste. Al provvedimento disciplinare è seguita una querela da parte del funzionario aziendale che si è sentito offeso. Si tratta di un’inaccettabile atto di rappresaglia antisindacale e di un atto di intimidazione nei confronti delle Rsu e della Fiom. Il provvedimento disciplinare dell’azienda colpisce un lavoratore di professionalità e rigore comportamentale ineccepibili, un rappresentante eletto dai lavoratori e un dirigente sindacale di comprovata esperienza. La vicenda non ha precedenti: per la prima volta nella storia delle relazioni sindacali in Fincantieri un provvedimento disciplinare sanziona un Rappresentante sindacale nell’esercizio delle sue funzioni. Per queste ragioni la segreteria nazionale della Fiom e il coordinamento nazionale Fiom del gruppo Fincantieri giudicano specialmente grave e inaccettabile il provvedimento dell’azienda, che rappresenta un’evidente rivalsa per la conclusione della vertenza di gruppo e che ha il solo effetto di deteriorare e inasprire il clima aziendale.