giovedì 27 dicembre 2012

Monti è più pericoloso di Berlusconi / le nostre vite in vendita


Monti è più pericoloso di Berlusconi


Mario Monti ha iniziato alla Fiat di Melfi la sua campagna elettorale. Lo ha fatto assieme ad una pletora di suoi ministri per ricevere il pubblico sostegno di Marchionne.
Mentre la FIOM gli ricorda che la Fiat non rispetta la sentenza della magistratura che impone il reintegro di tre lavoratori licenziati per rappresaglia e mentre i lavoratori subiscono angherie e cassa integrazione continue, il presidente del Consiglio benedice il padrone più bugiardo d’Italia.
La cosa ha una sua logica, Monti ha fatto al paese quello che Marchionne ha fatto alla Fiat. Entrambi hanno avuto a cuore solo gli interessi e gli utili degli azionisti di riferimento, in parte gli stessi, promettendo un radioso futuro e intanto realizzando disoccupazione e super sfruttamento. Ora entrambi spiegano e spiegheranno che la causa di questi danni collaterali è il mancato completamento delle riforme. Si dice che il presidente del Consiglio abbia paragonato la sua azione a quella di una trivella che abbia scavato per trenta metri, mentre si dovrà arrivare a trecento. Ci vorrà l’intervento di Greenpeace!
Monti è l’avversario più pericoloso per il mondo del lavoro, dello stato sociale, dei beni comuni. Molto più pericoloso del ridicolo ritorno in campo di Berlusconi, che non ha alcuna possibilità di vincere e che viene soprattutto usato dal partito montiano, che domina davvero i mass media, come spauracchio. Uno spread mediatico che urla: hai paura del ritorno del boss di Arcore, vota chi ci ha reso rispettabili in Europa.
Monti è l’avversario più pericoloso perché il suo programma di massacro sociale continuo ha il sostegno della CISL di Bonanni e del Vaticano di Ratzinger, cioè di forze oggi profondamente conservatrici, che vogliono conciliare il liberismo economico con un restaurato potere temporale della Chiesa. Egli rappresenta il clerico liberismo.
Monti è l’avversario più pericoloso non solo perché i voti che prenderà saranno pesati e non contati dai poteri forti che lo hanno lanciato e da un Presidente della Repubblica a cui deve la nomina. Lo è anche perché il suo principale contendente, favorito oggi dai sondaggi, lo ha sostenuto per un anno e ora 
gli è totalmente subalterno.
Se Monti parte da Melfi, Bersani ha iniziato la campagna elettorale a Bruxelles, chiedendo udienza ai vertici dell’Europa. Così infatti da noi sono presentati i leader della destra conservatrice a capo delle istituzioni continentali: essi sono l’ Europa, quella che guarda un po’ vuole Monti.
Incontrando i capi della destra europea Bersani li ha rassicurati sul fatto che un suo governo manterrà tutti gli impegni, cioè fiscal compact, tagli e austerità. Il barone Junker, capo dell’eurozona, alla fine ha sorriso al candidato del centrosinistra, affermando: tra lui e Monti ci sono solo sfumature. Siamo d’accordo.
Dal finto scontro tra centro sinistra e nuovo centro può dunque venir fuori un parlamento che più montiano non si può.
Naturalmente c’è il voto di mezzo e bisogna operare e fare il possibile perché tutte le forze democratiche e di sinistra che davvero sono contro entrambi i due principali contendenti abbiano successo, meno sarà forte il montismo nelle prossime camere e meglio sarà per tutti noi. Però bisogna anche prevedere che Monti Marchionne e …Merkel, non mollino la presa tanto facilmente, così come le classi e gli interessi che li sostengono, in Italia ed in Europa. Per questo costruiamo una resistenza antimontiana destinata a diffondersi e a durare anche e soprattutto dopo le elezioni.
 
Giorgio Cremaschi - 21/12/2012

da MicroMega 


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 Le nostre vite in vendita


Viviamo in un’epoca in cui quasi tutto può essere comprato e venduto. Negli Stati uniti, ci sono scuole che pagano i bambini per ogni libro che leggono, in India si affittano uteri, l’Ue vende il diritto di inquinare emettendo anidride carbonica, ma si può anche affittare la propria fronte per esporre una pubblicità commerciale. Per affrontare questa situazione, bisogna fare qualcosa di più che inveire contro l’avidità: dobbiamo, ad esempio, tornare a discutere in modo pubblico, caso per caso, il significato morale e sociale di queste scelte.
Nelle società sviluppate ormai la logica di mercato non è applicata solo allo scambio dei beni materiali, ma governa sempre di più l’esistenza in ogni suo aspetto. Ci sono cose che il denaro non può comprare, anche se di questi tempi non sono molte. Oggi quasi tutto è in vendita.
 
Facciamo qualche esempio.
 
- Una cella moderna: novanta dollari a notte. A Santa Ana, in California, e in qualche altra città degli Stati Uniti i criminali non violenti possono pagarsi una cella pulita e silenziosa, dove non sono disturbati dagli altri detenuti
 
- L’accesso alle corsie riservate al car pooling per gli automobilisti che viaggiano soli: otto dollari. Minneapolis, San Diego, Houston, Seattle e altre città statunitensi hanno cercato di ridurre il traffico consentendo a chi viaggia da solo di transitare nelle corsie di car pooling , con tarife che variano in base al traffico
 
- I servizi di una madre surrogata indiana: ottomila dollari. Le coppie occidentali in cerca di uteri in affitto si rivolgono sempre più all’India, dove i prezzi sono meno di un terzo di quelli statunitensi.
 
- Il diritto di sparare a un rinoceronte nero in via d’estinzione: 250mila dollari. In Sudafrica i proprietari di ranch possono vendere ai cacciatori il diritto di uccidere un numero limitato di rinoceronti. Il governo lo ha permesso con l’obiettivo di dare ai proprietari un incentivo per allevare e proteggere le specie in via d’estinzione
 
- Il numero del telefono cellulare del vostro medico: a partire da 1.500 dollari all’anno. Un numero crescente di “medici concierge ” ofre consulti via cellulare e appuntamenti in giornata ai pazienti che pagano tarife annuali tra i 1.500 e i 25mila dollari
 
- Il diritto a emettere una tonnellata di anidride carbonica nell’atmosfera: 10,50 dollari. L’Unione europea gestisce un mercato delle emissioni di anidride carbonica che permette alle aziende di comprare e vendere il diritto di inquinare
 
- Il diritto di immigrare negli Stati Uniti: 500mila dollari. Gli stranieri che investono 500mila dollari e creano almeno dieci posti di lavoro a tempo pieno in un’area a elevata disoccupazione hanno diritto a una green card che li autorizza al soggiorno permanente.
Non tutti si possono permettere queste cose. Oggi, tuttavia, ci sono molti nuovi modi per fare soldi.
 
Se avete bisogno di guadagnare del denaro extra, ecco alcune alternative originali.
 
- Affittare la vostra fronte per esporre una pubblicità commerciale: diecimila dollari.
 
- Nello Utah una madre single che aveva bisogno di soldi per far studiare il figlio ha ricevuto diecimila dollari da un casinò online per farsi tatuare permanentemente sulla fronte l’indirizzo web del locale (le pubblicità con tatuaggi temporanei fruttano meno).
 
- Fare da cavia umana nelle sperimentazioni farmacologiche per una compagnia farmaceutica: 7.500 dollari. La paga può variare in base all’invasività delle procedure usate per testare gli efetti dei farmaci e al malessere procurato
 
- Combattere in Somalia o in Afghanistan per una compagnia militare privata: fino a mille dollari al giorno. Lo stipendio varia in base alle qualifiche, all’esperienza e alla nazionalità.
 
- Stare in fila per una notte al Campidoglio di Washington per tenere il posto a un lobbista che vuole assistere a un’udienza del congresso: da 15 a 20 dollari all’ora. Alcune società offrono questo servizio assumendo anche persone senza fissa dimora per fare la coda.
 
- Leggere un libro (se siete un alunno di seconda elementare in una scuola di Dallas che non ottiene grandi risultati): due dollari. Per promuovere la lettura, le scuole pagano i bambini per ogni libro che leggono.
 
Viviamo in un’epoca in cui quasi tutto può essere comprato e venduto

Negli ultimi trent’anni i mercati – e i valori di mercato – hanno governato le nostre vite come mai era successo prima. Non siamo arrivati a questa condizione attraverso una scelta deliberata: è come se ci fosse capitata. Dopo la guerra fredda i mercati e le teorie sui mercati hanno goduto, comprensibilmente, di un prestigio incontrastato. Nessun altro sistema di organizzazione della produzione e distribuzione dei beni si è dimostrato altrettanto efficace nel creare ricchezza e benessere. Tuttavia, proprio mentre un numero crescente di paesi adottava i meccanismi di mercato per il funzionamento dell’economia, succedeva qualcos’altro: i valori di mercato assumevano un ruolo sempre più importante nella società e l’economia diventava un dominio imperiale
Oggi la logica del comprare e del vendere non è più applicata solo ai beni materiali, ma governa in misura sempre più ampia la vita nella sua interezza. Gli anni precedenti alla crisi del 2008 sono stati un momento di esaltazione della fede nei mercati e della deregolamentazione, un’era di trionfalismo dei mercati.
Questo periodo è cominciato all’inizio degli anni ottanta, quando Ronald Reagan e Margaret Thatcher hanno proclamato il loro convincimento che fossero i mercati, e non i governi, ad avere in mano le chiavi del benessere e della libertà. Questo convincimento è continuato negli anni novanta con il pensiero liberal di Bill Clinton e di Tony Blair, che ha attenuato ma allo stesso tempo consolidato la fiducia nei mercati come mezzo principale per garantire il bene comune.
Oggi questa fiducia vacilla. La crisi non solo ha instillato il dubbio sulla capacità dei mercati di distribuire in modo efficiente il rischio. Ha anche suscitato la difusa percezione dell’allontanamento dei mercati dalla morale e della necessità di farli riavvicinare in qualche modo. Ma non è ovvio cosa significhi tutto questo o cosa dovremmo fare.
Alcuni sostengono che il lassismo morale al centro del trionfalismo dei mercati sia stato generato dall’avidità, che ha portato a prendere dei rischi in modo irresponsabile. Secondo questo punto di vista, la soluzione è tenere a freno l’avidità, esigere dai banchieri di Wall street più integrità e responsabilità, e approvare regole sensate per evitare che la crisi del 2008 si ripeta. Nel migliore dei casi questa è una diagnosi parziale. È certamente vero che l’avidità ha giocato un ruolo nella crisi, ma c’è in ballo qualcosa di più grande. 

Il più grave cambiamento degli ultimi trent’anni non è stato l’aumento dell’avidità, ma l’estensione dei mercati e dei valori di mercato a sfere della vita tradizionalmente governate da norme diverse.
Per affrontare questa situazione, bisogna fare qualcosa di più che inveire contro l’avidità: serve un dibattito pubblico per capire qual è il posto dei mercati. 

Consideriamo, per esempio, l’aumento del numero di scuole, ospedali e prigioni con fini di lucro o l’esternalizzazione della guerra a società private (in Iraq e in Afghanistan, i soldati delle società private sono di fatto più numerosi di quelli dell’esercito statunitense)
Consideriamo il declino delle forze di pubblica sicurezza a vantaggio delle società di sicurezza private, soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove le guardie private sono quasi il doppio degli agenti di polizia.
Oppure consideriamo il marketing aggressivo sulla prescrizione di farmaci delle aziende farmaceutiche nei confronti dei consumatori, una pratica ormai difusa negli Stati Uniti e proibita invece nella maggior parte degli altri paesi (se vi è capitato di vedere le pubblicità televisive durante i telegiornali della sera negli Stati Uniti, siete autorizzati a pensare che la prima emergenza sanitaria nel mondo non sia la malaria, la cecità fluviale o la malattia del sonno, ma un’epidemia di disfunzioni erettili)
Consideriamo anche le dimensioni della pubblicità commerciale nelle scuole pubbliche, la vendita dei diritti di denominazione per parchi e spazi pubblici, i confini sfumati tra informazione e pubblicità (che probabilmente diventeranno ancora più labili ora che i quotidiani e le riviste lottano per la sopravvivenza), il lancio sul mercato di ovuli e spermatozoi “grifati” per la riproduzione assistita, la compravendita del diritto di inquinare da parte di aziende e paesi, il sistema di finanziamento delle campagne elettorali negli Stati Uniti, che porta quasi ad autorizzare la compravendita delle elezioni
Trent’anni fa l’uso del mercato per garantire salute, istruzione, incolumità pubblica, sicurezza nazionale, giustizia, tutela dell’ambiente, divertimento, riproduzione e altri beni sociali era in gran parte sconosciuto
Oggi, in pratica, lo diamo per scontato. Ma il fatto che stiamo andando verso una società in cui tutto è in vendita ci deve preoccupare. Per due ragioni: una riguarda la disuguaglianza e l’altra la corruzione.
 
Consideriamo innanzitutto la disuguaglianza

In una società in cui tutto è in vendita, la vita è più difficile per chi dispone di mezzi modesti. Più cose il denaro può comprare, più i soldi (o la loro mancanza) contano. Se il solo vantaggio della ricchezza fosse la possibilità di comprare yacht, auto sportive e vacanze esclusive, le disuguaglianze di reddito e di ricchezza importerebbero meno di quanto importino oggi. Man mano però che il denaro arriva a comprare sempre più cose, la distribuzione del reddito e della ricchezza assume un ruolo molto più rilevante.
La seconda ragione per cui dovremmo esitare a mettere tutto in vendita è più complessa. Non riguarda la disuguaglianza e l’equità, ma gli efetti corrosivi dei mercati. Assegnare un prezzo alle cose che contano nella vita può corromperle, perché i mercati non si limitano a distribuire beni, ma esprimono e promuovono determinati atteggiamenti nei confronti dei beni che vengono scambiati. Pagare i bambini affinché leggano i libri può spingerli a leggere di più, ma può anche insegnargli a considerare la lettura come un lavoro e non come una fonte di soddisfazione interiore. Assumere mercenari stranieri per combattere le nostre guerre può risparmiare la vita ai nostri cittadini, ma può anche corrompere il significato di cittadinanza.
Spesso gli economisti presumono che i mercati siano inerti, cioè che non abbiano ripercussioni sui beni che scambiano. Ma questo non è vero. I mercati lasciano il segno. Talvolta i valori di mercato escludono altri valori di cui varrebbe la pena tener conto. Quando decidiamo che certe cose potrebbero essere comprate o vendute, decidiamo – almeno implicitamente – che sia appropriato trattarle come merci, come strumenti di profitto e di consumo. Ma non sempre questo ci permette di dare valutazioni corrette. L’esempio più ovvio è l’essere umano. La schiavitù è orribile perché tratta gli esseri umani come una merce da comprare e vendere all’asta. Questo trattamento non considera gli esseri umani come persone che meritano dignità e rispetto, ma come mezzi di guadagno e oggetti da usare. Questo vale anche in altri casi.
Non permettiamo che i bambini siano comprati o venduti, indipendentemente da quanto possa essere difficile il processo di adozione o da quanto siano disposti a fare gli aspiranti genitori. Anche ammesso che i potenziali acquirenti dovessero trattare responsabilmente il figlio, la nostra preoccupazione è che un mercato dei bambini esprimerebbe e promuoverebbe il modo sbagliato di valutarli. Giustamente i bambini non sono considerati beni di consumo, ma vite che meritano amore e cure. Consideriamo, inoltre, i diritti e i doveri dei cittadini. Se siamo chiamati a fare il giurato in un processo, non possiamo pagare qualcuno perché prenda il nostro posto. Così come non è permesso ai cittadini di vendere il loro voto, anche se ci sono altri pronti a comprarlo. Perché no? Perché crediamo che i doveri civici non siano una proprietà privata, ma una responsabilità pubblica. Esternalizzarli significa 
degradarli, valutarli nel modo sbagliato.
Questi esempi evidenziano un aspetto più generale: alcune delle cose che contano nella vita sono degradate se vengono trasformate in merce. Allora, per stabilire qual è il posto del mercato e a che distanza andrebbe tenuto, dobbiamo decidere in che modo valutare beni come la salute, l’istruzione, la sfera familiare, la natura, l’arte, i doveri civici. Sono questioni morali e politiche, non solo economiche. Per risolverle, dobbiamo discutere, caso per caso, il significato morale di queste cose e il modo corretto di valutarle.
 
È una discussione che non abbiamo affrontato all’epoca del trionfalismo dei mercati e come conseguenza, senza rendercene conto e senza mai decidere di farlo, siamo passati dall’avere un’economia di mercato a essere una società di mercato. 

La differenza è questa: un’economia di mercato è uno strumento – prezioso ed efficace – per organizzare l’attività produttiva, una società di mercato è un modo di vivere in cui i valori di mercato penetrano in ogni aspetto dell’attività umana. Un luogo dove le relazioni sociali sono trasformate a immagine del mercato
 
Il grande dibattito assente nella politica di oggi è quello sul ruolo e sulla portata dei mercati. Vogliamo un’economia di mercato o una società di mercato? Quale ruolo dovrebbero svolgere i mercati nella vita pubblica e nelle relazioni personali? Come possiamo decidere quali beni devono essere comprati e venduti e quali governati da valori non di mercato? Dov’è che la signoria dei soldi non dovrebbe esistere? Anche se foste d’accordo sul fatto che occorre affrontare grandi questioni relative alla moralità dei mercati, potreste dubitare che il nostro dibattito pubblico sia all’altezza del compito. È una preoccupazione legittima.
In un’epoca in cui il dibattito politico consiste soprattutto in confronti televisivi dai toni accesi, in un livore fazioso negli interventi alla radio e in battaglie al congresso alimentate dalle ideologie, è dificile immaginare un dibattito pubblico caratterizzato da un ragionamento su questioni morali difficili come il modo giusto di valutare la procreazione, l’infanzia, l’istruzione, la salute, l’ambiente, la cittadinanza e altri beni
Eppure, credo che una simile discussione sia possibile, ma solo se siamo disposti a estendere i termini del nostro dibattito pubblico e a confrontarci più esplicitamente con le diverse idee di benessere.
Nella speranza di evitare faziosità, spesso pretendiamo che i cittadini si lascino alle spalle le loro convinzioni morali e spirituali quando entrano nell’arena pubblica.
Ma la riluttanza ad ammettere in politica discussioni sull’idea di benessere ha avuto una conseguenza imprevista: ha contribuito a spianare la strada al trionfalismo dei mercati e alla perdurante tenuta della logica di mercato. A suo modo, la logica di mercato svuota anche di argomentazione morale la vita pubblica. Parte del fascino dei mercati si spiega con il fatto che non giudicano le preferenze che soddisfano. Non chiedono se alcuni modi di valutare le cose siano più nobili o più validi di altri. Se qualcuno è disposto a pagare per il sesso o per un rene e un adulto consenziente è disposto a vendere, l’unica domanda che l’economista si pone è: “A quale prezzo?”.
 
I mercati non rimproverano, non discriminano tra preferenze lodevoli e preferenze spregevoli

Ognuna delle parti di un affare decide autonomamente quale valore attribuire ai beni al centro dello scambio. Questo atteggiamento nei confronti dei valori sta al cuore della logica di mercato e spiega gran parte del suo fascino. Ma la nostra riluttanza a impegnarci nell’argomentazione morale e spirituale, insieme con la nostra adesione ai mercati, ha avuto un prezzo elevato: ha svuotato di energia morale e civile il dibattito pubblico e ha dato un contributo alle politiche manageriali e tecnocratiche che affliggono oggi molte società. Un dibattito sui limiti morali dei mercati potrebbe consentirci, come società, di decidere dove i mercati sono utili al bene comune e dove non devono stare.
Per analizzare a fondo il posto che spetta ai mercati, è necessario ragionare insieme, pubblicamente, sul modo giusto di valutare i beni sociali a cui diamo un prezzo. Sarebbe folle pretendere che un dibattito pubblico moralmente più solido, anche se al suo meglio, possa condurre a un accordo su ogni questione. Produrrebbe però una vita pubblica più sana. E ci renderebbe più consapevoli del prezzo che paghiamo vivendo in una società in cui ogni cosa è in vendita.
 
Michael J. Sandel, 26/12/2012

da : http://comune-info.net/

Michael J. Sandel insegna filosofia politica all’università di Harvard. Questo articolo è un estratto del suo saggio Quello che i soldi non possono comprare, che sarà pubblicato in aprile da Feltrinelli.

venerdì 7 dicembre 2012

Prima analisi dell'accordo separato metalmeccanici

Salario
I 130 euro di incremento dei minimi definiti dall'intesa separata nascondono due gabole non da poco:
In primo luogo si sana qualsiasi scostamento tra quanto avuto nel triennio precedente, i 127 euro, e il tasso di inflazione reale. In termini sindacali significa che persino la foglia di fico dell'accordo separato sul modello contrattuale del 2009 che defini' l'indicatore IPCA e il successivo recupero dello scostamento, tranne la famosa inflazione importata su cui si erano esercitati molti sindacalisti di professione, altro non era che una balla colossale per consentire la riduzione dei salari. (...)

In secondo luogo l'intesa stabilisce che la seconda rata ( 45 euro al quinto livello il 1/1/14) e la terza (50 euro al quinto livello il 1/1/15) sono nei fatti a disposizione delle singole aziende che potranno posticiparne il riconoscimento fino a 12 mesi e/o darli alla contrattazione di secondo livello, o meglio a disposizione di intese aziendali per particolari obbiettivi,  secondo quanto definito dal patto sulla produttivita' siglato recentemente. Sebbene sia stato definito, per ora, un riallineamento sui minimi nazionali che induce a presupporre il mantenimento formale del valore del contratto nazionale, l'introduzione di questo schema di possibile deroga sui minimi, da una parte apre per la prima volta ad una differenziazione temporanea dei minimi salariali nazionali, dall'altra sottrae risorse alla contrattazione di secondo livello, i padroni dal loro punto di vista penseranno di disporre a loro piacimento di quelle tranche e le riconosceranno nei tempi dovuti solo a fronte di ulteriori ricatti e peggioramenti.
Si sostanzia cosi sempre piu' la contrattazione di restituzione o di ricatto, secondo lo schema ormai ben noto. Quali aziende potranno usufruirne?

Tutte quelle interessate da crisi,avvio produzioni o incrementi produttivita'.
Cioe' tutte.

Sulle qualifiche si compie l'ennesima operazione a danno dei lavoratori. Nel 2005 e nel 2008 resistemmo alle pretese di Federmeccanica di introdurre un livello aggiuntivo tra terzo e quarto come tentativo di impedire il passaggio dal terzo al 4 livello, assolutamente di miglior favore per i lavoratori. Nacque cosi' la mediazione della terza  erp, non molto positiva ma comunque confinata ad alcune tipologie lavorative. Ora con la pattuizione di una 3 super si condannano i terzi livelli a non diventare mai quarti.
Sempre sull'inquadramento sono previste ulteriori manomissioni nei prossimi mesi con l'evidente obbiettivo di cancellare l'automatismo tra secondo e terzo livello e introdurre il 4 super, livello tra quarto e quinto con il sapore della stessa beffa realizzata con il 3 super.

Incredibile quanto previsto sulla contrazione temporanea dell'orario di lavoro in caso di minor lavoro. Fermo restando l'esistenza degli ammortizzatori sociali (bonta' loro!!!) l'azienda, previo esame con le rsu, senza cioe' alcun vincolo ad intese, puo' disporre di ferie e permessi dei lavoratori anche in modo collettivo. Un bel modo per dire senza mezzi termini che la crisi la pagano direttamente i lavoratori! Una pesante lesione del  diritto del lavoratore a godere le proprie ferie e permessi secondo le proprie esigenze.
Si escludono dal computo quelle in corso di maturazione, mentre si prendono, non solo il residuo anni precedenti, ma persino quello gia' maturato nel corso dell'anno e non ancora goduto. Sugli orari di lavoro si compie il vero omaggio a federmeccanica. Si conferma che l'orario settimanale di lavoro e' di 40 ore, ma solo in maniera simbolica in quanto e'  computato come media annuale, salvo accordi aziendali. In sostanza si conferma, in ossequio a accordo 28 giugno e patto produttivita' il possibile aumento dell'orario di lavoro settimanale (ferrovieri docet).

Si cancella ogni potere della rsu sulla flessibilita' di orario in quanto l'azienda ha il solo obbligo all'esame congiunto, poi trascorsi dieci giorni applica l'orario anche unilateralmente.
La collocazione della mezzora di pausa refezione sul turno e' consegnata a intese aziendali. Si incrementa il numero di ore di flessibilita' max in un anno, che passano cosi' da 64 a 80. L'azienda anche qui potra' fruirne unilteralmente dopo aver disbrigato l' esame congiunto con le rsu.
Per quanto attiene ai PAR, quelli a disposizione dell'azienda per chiusure collettive diventano 5. E' grave che, di questi 5, ben 3 l'azienda possa decidere di renderli non usufruibili e monetizzarli a fine anno.
L'impegno tra le parti sul  premio di risultato e' eloquente. Si definisce  che tra i criteri per il riconoscimento del premio c'e' l'effettiva prestazione di flessibilita'. Cioe' il premio fedelta' per chi partecipa alla flessibilita' aziendale, una sorta di premio partecipazione, variante del premio presenza. 
Sul trattamento di malattia l'accordo separato fa un'operazione meschina. Si introduce un meccanismo di pesante penalizzazione per le cosidette malattie brevi, quelle cioe' sino a 5 giorni di durata. Oltre la terza malattia breve nel corso dell'anno verra' ridotta la retribuzione, del 34% per la quarta malattia e del 50% per la quinta e successiva. Nascono pertanto quattro possibili fasce di retribuzione malattia: 50% 66% 80% 100% Le imprese ottengono cosi' di aggredire la parte piu' consistente, perche' piu' frequente, del diritto alla malattia e  concedono un simbolico incremento ai rari casi di malattie della seconda fascia del precedente schema che passa dal 50% all'80%.
Questi i principali punti che ad una prima veloce lettura appaiono piu deleteri dell-intesa separata.
 

Sergio Bellavita Rete 28 aprile Fiom 
05/12/2012

Nota della redazione e dell'autore: questo è un primo commento a caldo sull'accordo separato. Abbiamo ritenuto fosse utile pubblicare subito questa nota. Nel più breve tempo possibile, pubblicheremo un'analisi più precisa e puntuale confrontando i testi del ccnl 2008 e 2009.   

lunedì 3 dicembre 2012

6 dicembre - sciopero generale

Le responsabilità di Finmeccanica nell'accordo separato 
che si sta preparando sul contratto nazionale

Finmeccanica è responsabile dell'accordo separato che si sta consumando sul Contratto nazionale di lavoro. Il primo gruppo industriale metalmeccanico del paese dopo la Fiat, non può assolversi dalla responsabilità di aver permesso una trattativa sul Ccnl con l'esclusione dell'organizzazione sindacale più rappresentativa della categoria.
Quanto sta trapelando dal negoziato è assolutamente grave per le condizioni dei lavoratori.
A dettare le condizioni della trattativa è di fatto Federmeccanica che porterà a conclusione con un'intesa che graverà totalmente sui lavoratori.
La dimostrazione più evidente è che da quando è iniziato il confronto non c'è mai stato un passaggio tra le lavoratrici e i lavoratori.
Finmeccanica per il suo peso nell'associazione delle imprese poteva e non ha voluto proporre una trattativa anche con la Fiom.
Dopo l'accordo sulla produttività firmato da Cisl e Uil, senza la Cgil, è ancora più chiara questa mancanza di volontà: la svendita di garanzie e diritti, contenuta nell'intesa, propone sostanzialmente i contenuti che Agusta sta portando avanti nel confronto sull'integrativo.
Parallelamente, sul confronto della Selex Electronc Systems, Finmeccanica ha proposto un inaccettabile scambio; di fronte alla richiesta sindacale di definire delle regole di confronto per una trattativa che verosimilmente affronterà, tra l'altro, anche il problema di un numero altissimo di lavoratori in esubero, i vertici aziendali si sono resi disponibili solo se i sindacati avessero condiviso la scelta di fondere Selex Galileo, Selex Elsag e Selex Sistemi Integrati in Selex Electronic Systems. Una sorta di ricatto alla nostra richiesta di buon senso, aggravato dalla richiesta di armonizzare le condizioni dei lavoratori, senza presentare un piano industriale, accettato da Fim e Uilm.
Finmeccanica continua a insistere nella vendita del comparto civile, cedendo così alla concorrenza le poche imprese di pregio che tengono il mercato. Questo gruppo si fregia di operare sulle alte tecnologie e propone le "smart solution", ma allo stesso tempo svende il comparto dei trasporti, che potrebbe diventare, in un rapporto di collaborazione tra aziende, il banco di prova tanto delle stesse "smart solution", quanto di un piano dei trasporti integrati ambientalmente compatibile.
Dalla crisi il nostro paese dovrebbe tentare di uscire con un piano di rilancio industriale che punti alla modernizzazione, e che dovrebbe prevedere tra i protagonisti Finmeccanica: ma dovrebbe essere il management a sostenerlo, invece ciò non solo non avviene ma la mancanza di una visione strategica dell'impresa rischia di essere pagata da nefaste ricadute sui lavoratori.
Impressionano le stesse dichiarazioni dei vertici aziendali secondo i quali non verranno prese in considerazione possibili alleanze internazionali, mentre nel resto del mondo si intravedono grandi manovre dei concorrenti.
Lo sciopero generale del 5 e 6 dicembre serve anche a opporci a questo modo di fare e a rivendicare il diritto al lavoro e al lavoro di qualità in questo grande Gruppo, ma anche a rivendicare il diritto ad avere un gruppo dirigente che non sia all'attenzione internazionale per le inchieste della magistratura, ma per le capacità di sviluppare e far progredire questa grande opportunità per il paese che è Finmeccanica.
Il 5 e il 6 dicembre scioperiamo assieme per respingere l'autoritarismo dei sindacati minoritari e per rivendicare un futuro migliore.


http://www.fiom.cgil.it/eventi/2012/12_12_05-06-sciopero_generale/materiali/VOLANTINO-FINMECCANICA.pdf

 *

FIM E UILM PRONTI ALLA FIRMA DI UN CONTRATTO AL BUIO.
LA PIATTAFORMA DI FEDERMECCANICA STA' PER DIVENTARE 

IL NUOVO CCNL

I metalmeccanici devono sapere che tutto questo accade con la complicità di Fim e Uilm che hanno voluto l'esclusione della Fiom Cgil dal tavolo delle trattative.
Fim e Uilm, anteponendo gli interessi di organizzazione a scapito dell'interesse generale di tutti i lavoratori, con Federmeccanica hanno discriminato illegittimamente la Fiom e violato l'accordo del 28 giugno che prevede la partecipazione ai tavoli di trattativa delle organizzazioni sindacali con almeno il 5% di iscritti.
La scelta di escludere la Fiom è servita a nascondere la trattativa agli occhi dei metalmeccanici.
Nei prossimi giorni non avremo «solo» un nuovo contratto separato, ma, per la prima volta, avremo un Contratto Nazionale al buio che «aderisce » a tutte le richieste fatte da Federmeccanica.
Le lavoratrici e i lavoratori devono sapere quello che accadrà con la firma sul contratto dei metalmeccanici: è stato anticipato con il Contratto Collettivo Specifico di Lavoro firmato da Fim e Uilm con la Fiat e, successivamente, con la firma di Cisl e Uil «sull'accordo per la produttività».
Federmeccanica utilizza la scelta di Fim e Uilm e procedere nella trattativa senza la Fiom per ottenere, contro i metalmeccanici, di:
- far diventare flessibili i minimi salariali e vincolare le erogazioni salariali alla produttività;
- aumentare e rendere flessibile l'orario di lavoro giornaliero e settimanale, superando il ruolo contrattuale della RSU;
- comandare e aumentare - senza contrattazione - le ore di straordinario;
- non pagare più, come fino ad oggi è avvenuto, i primi tre giorni di malattia al 100%;
- non avere più la certezza delle normative di Legge e del Contratto Collettivo Nazionale.
Federmeccanica usa la scelta di Fim e Uilm di dividere i metalmeccanici, e la crisi, per ottenere tutto quello che non è riuscita ad avere in questi anni. 

Tutto ciò è possibile perché Fim e Uilm negano alle lavoratrici e ai lavoratori il diritto di conoscere e di votare gli accordi che li riguardano.
I metalmeccanici ogni giorno fanno i conti con la durezza della crisi e hanno bisogno di un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro che:
- impedisca i licenziamenti attraverso il ricorso ai contratti di solidarietà;
- aumenti il salario fisso, anche attraverso la defiscalizzazione degli aumenti;
- garantisca la sicurezza dei lavoratori e il rispetto dell'ambiente;
- favorisca e sostenga gli investimenti per la piena e buona occupazione;
- allarghi gli spazi di contrattazione della Rsu sulla prestazione lavorativa nei luoghi di lavoro;
È tempo di fermare la trattativa al buio, di impedire che la piattaforma di Federmeccanica si imponga nel CCNL, è tempo di riprendersi con la
democrazia il Contratto Nazionale.


http://www.fiom.cgil.it/eventi/2012/12_12_05-06-sciopero_generale/materiali/VOLANTINO-ccnl.pdf