venerdì 27 febbraio 2009

Lo sciopero: fra realtà sociale e mondo virtuale

Ci doveva pensare la “banda” di senatori capeggiata da Pietro Ichino e Tiziano Treu che ha presentato a suo tempo il disegno di legge n. 1170 “Disposizioni in materia di sciopero virtuale” lo scorso anno, sdraiata sulla odierna linea del ministro Maurizio Sacconi e con il codazzo di sindacalisti gialli dietro del calibro del tristo Angeletti per la UIL, a provarci, per impedire concrete azioni di interruzione del servizio e dell’attività lavorativa, nell’esercizio di un diritto riconosciuto costituzionalmente ai lavoratori dipendenti.
A dire il vero, l’articolo 40 della costituzione ancora in vigore qui, in Italia, si limita a recitare “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, demandando la regolamentazione al parlamento, attraverso la legge.
Il brutto è che in parlamento ci sono PdL e Pd, con qualche rumoroso partito nanetto, ridicolmente giustizialista o stupidamente xenofobo, che si occupa di tutto meno che delle cruciali questioni economiche e sociali, e i due partiti sistemici, uno dei quali oggi malconcio, sembrano in sintonia nell’attacco al diritto di sciopero, portando l’affondo – per ora – nei servizi essenziali, con un occhio di riguardo al settore dei trasporti pubblici.
Certo, non possiamo dire di amare i Cobas dei ferrovieri che con scioperi continui colpiscono e danneggiano soprattutto i poveri: lavoratori pendolari, studenti, ecc.
Sicuramente non amiamo i super pagati piloti e assistenti di volo ex Alitalia, oggi Cai, che troppo spesso ci hanno lasciato a terra.
Tuttavia, questo attacco al diritto di sciopero, se nelle intenzioni dichiarate da Sacconi & C. e persino nelle parole dell’ingessato presidente della camera, Gianfranco Fini, vuole evitare continui disagi a chi fruisce di un servizio principale e essenziale, impedendo che l’esercizio dello sciopero comprometta «oltre misura il godimento di altri diritti della persona ugualmente garantiti in Costituzione» – secondo Fini – l’impressione è che il probabile, futuro decreto governativo in materia sarà una sorta di “cavallo di troia” per stroncare gli scioperi, quelli reali, anche in molti altri settori.
Intanto, come accennato, ci si appresta a rendere obbligatorio lo sciopero virtuale per determinate categorie professionali.
Conviene far riferimento, per un momento, al testo originale del disegno di legge richiamato in apertura, presentato nell’ottobre dello scorso anno alla presidenza del senato, in cui nella relazione d’apertura di definisce lo sciopero virtuale come «la forma di agitazione collettiva che un sindacato o una coalizione di altro genere possono scegliere di proclamare in alternativa rispetto allo sciopero tradizionale, soprattutto in un settore di servizi pubblici […ma il bello è che …] A seguito della proclamazione dello sciopero virtuale , i lavoratori vi aderiscono continuando a svolgere regolarmente le proprie mansioni, rinunciando tuttavia alle rispettive retribuzioni».
Strabiliante! Si resta quindi a lavorare e si deve “devolvere” la giornata di sciopero ad un fondo di solidarietà in cui mette qualcosa anche l’azienda.
Non a caso, il primo firmatario di tale capolavoro, che si sviluppa in quattro articoli, è il famigerato Pietro Ichino, nemico dichiarato dei “nullafacenti” del settore pubblico, ex indipendente del PCI e giuslavorista al servizio dello sfruttamento del lavoro dipendente, mentre il secondo firmatario della richiamata proposta è niente di meno che Tiziano Treu, quello dell’omonimo pacchetto – Pacchetto Treu, appunto – che ha contribuito all'introduzione del "lavoro atipico" nel paese e, anzi, ne ha permesso l'attuazione pratica.
Ciliegina sulla torta, per chiudere il cerchio, sembra che il primo ad aver scritto sullo spinoso tema è stato Marco Biagi, quel celebrato giuslavorista che con la sua opera di “consulente” governativo, in materia di lavoro, ha ridotto alla precarietà e contribuito a spingere verso la soglia della povertà milioni di incolpevoli connazionali.
Fatto sta che già dal mese di ottobre dello scorso anno, oltre al disegno di legge sullo sciopero virtuale, sono pronte le linee guida per la definizione del disegno di legge delega, in materia di diritto di sciopero, di regolamentazione dello stesso diritto nei servizi pubblici essenziali, a cura del ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali nelle mani di quel Sacconi che sembra così in sintonia con Ichino, Treu e lo “spirito” di Marco Biagi.
Dopo la precarietà la virtualità dello sciopero, dunque.
Grandi novità ci aspettano e investiranno, in prima battuta e particolarmente il settore dei trasporti pubblici.
Fra queste si ricorda l’obbligo di procedere a referendum consultivo preventivo in caso di proclamazione di sciopero e la preventiva dichiarazione di adesione da parte del singolo lavoratore, si introduce l’istituto dello sciopero virtuale – o non-sciopero, direi io – e «la previsione di adeguate procedure per un congruo anticipo della revoca dello sciopero al fine di eliminare i danni causati dall’effetto».
Se poi si renderà obbligatorio lo sciopero virtuale, con il pretesto di non arrecare danno all’utenza, sarà chiaro che la linea dell’esecutivo, nonché del “centro-sinitra” e della gran parte dei sindacati – CGIL esclusa, va rilevato – è quella di sopprimere per via indiretta il diritto di sciopero, o quanto meno di renderne impossibile la pratica nel mondo reale.
Non rimarrà che fare come i dipendenti IBM, fra i quali migliaia di italiani, che non molto tempo fa hanno dato vita al primo sciopero autenticamente virtuale in Second life – ma non nel senso che vorrebbero i Sacconi e gli Ichino – occupando ben sette su trenta delle “piazze” virtuali di cui dispone il colosso informatico con i loro avatar … ma questa è un’altra storia, che ci riporta all’economia immateriale e all’etere, mentre gli autisti, i conducenti, i manutentori dei mezzi di trasporto vivono e lavorano in questo mondo, ostile e reale.

Eugenio Orso

giovedì 26 febbraio 2009

La legge antisciopero è autentico fascismo

Il Governo rifiuta di legiferare sulla democrazia sindacale. Respinge l’ipotesi che le lavoratrici e i lavoratori possano decidere sulle piattaforme e sugli accordi con il loro voto e, nello stesso tempo, impone ad essi di non scioperare o di scioperare virtualmente. (...)

Come in altri piani il Governo si sta inventando un suo sistema costituzionale che non ha nulla a che vedere con la Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza.
Il diritto allo sciopero è un diritto individuale e già esistono le leggi che lo disciplinano. Trasformarlo in un potere dei sindacati maggioritari, tra l’altro da attuare in forme virtuali, cioè inesistenti, significa semplicemente cancellare tale diritto. Né vale la tesi per cui questa misura eccezionale e antidemocratica avrebbe effetti solo nel settore dei trasporti. E’ evidente, infatti, che i principi che qui vengono affermati, proprio perché affrontano temi di carattere costituzionale, non possono essere ristretti a un solo settore. Il Governo vuole colpire il diritto di sciopero perché sa perfettamente che nei prossimi mesi ci saranno sempre più conflitti sociali dovuti alla crisi e alla sua gestione sbagliata e ingiusta. Limitare la libertà, imporre autoritariamente le decisioni e reprimere il dissenso è una caratteristica tipica dei sistemi antidemocratici e, nella nostra storia, è la caratteristica autentica del fascismo.
Se il Governo andrà avanti su queste misure, occorrerà una risposta politica e sindacale senza precedenti, sia sul piano delle relazioni sociali e sindacali, sia sul piano del ricorso alla magistratura e alla Corte Costituzionale. E’ chiaro che dopo questa scelta, con questo Governo ci può essere solo rottura e conflitto sociale.

Giorgio Cremaschi

Sciopero Virtuale!!!!

  • 1926 Legge n.563
ART. 18. La serrata e lo sciopero sono vietati.
Gli impiegati ed operai, che in numero di tre o più, previo concerto, abbandonano il, lavoro, o lo prestano in modo da turbare la continuità o la regolarità, per ottenere diversi patti di lavoro dai loro principali, sono puniti con la multa da lire cento a mille. Al procedimento si applicano le norme degli articoli 298 e seguenti del codice di procedura penale.
Quando gli autori dei reati preveduti nei precedenti comma siano più, i capi, promotori ed organizzatori sono puniti con la detenzione non inferiore ad un anno, né superiore a due, oltre la multa nei medesimi comma stabilita.

Ci vogliono confondere, ma la sostanza non cambia……

  • 2009 DDL n. 1170
Secondo la definizione più aggiornata che ne fornisce la letteratura lavoristica, per sciopero virtuale deve oggi intendersi la forma di agitazione collettiva che un sindacato o una coalizione di altro genere possono scegliere di proclamare in alternativa rispetto allo sciopero tradizionale, soprattutto in un settore di servizi pubblici, al fine di esercitare pressione sulla controparte imprenditoriale in modo diretto, incidendo immediatamente sul suo bilancio, ma senza recare pregiudizio agli utenti del servizio o alla collettività, comunque senza distruzione di ricchezza. A seguito della proclamazione dello sciopero virtuale, i lavoratori che vi aderiscono continuano a svolgere regolarmente le proprie mansioni, rinunciando tuttavia alle rispettive retribuzioni………

Quale era quella parola che si usava quando il potere limitava sempre più diritti e libertà? ...ah sì! Fascismo!

domenica 15 febbraio 2009

Comunicato stampa Sciopero FP - FIOM

Rinaldini (Fiom): “Siamo in piena emergenza sociale. Per rispondere alla crisi servono democrazia e solidarietà, non intolleranza e autoritarismo”

“Ce l’abbiamo fatta, ce l’avete fatta.” Ha esordito così il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, rivolgendosi, dal palco del comizio conclusivo, ai lavoratori metalmeccanici e della funzione pubblica che gremivano piazza San Giovanni in occasione della manifestazione nazionale organizzata a Roma dalla Fiom-Cgil e dalla Fp-Cgil.

“La crisi economica – ha affermato Rinaldini – ha determinato nel nostro Paese una vera e propria emergenza sociale. Centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori, posti in Cassa integrazione, percepiscono fra i 700 e gli 800 euro al mese. E questo non avviene per un solo mese, ma per più mesi consecutivi. Ci sono quindi centinaia di migliaia di famiglie che non sanno come fronteggiare un simile crollo del proprio reddito.”

“Tutto ciò è aggravato – ha proseguito Rinaldini – dal fatto che manca una rete di protezione sociale e dal fatto che il Governo non ha ancora neppure impostato una politica volta a far uscire il Paese dalla crisi. A ciò si aggiunga che, mentre il Governo trova le risorse per garantire le banche e per salvare l’Alitalia, di fronte all’emergenza sociale, ormai dilagante, non trova risorse sufficienti per intervenire. In realtà, le risorse ci sono ma il Governo non le utilizza per fare ciò che dovrebbe fare.”

“C’è ormai una cultura dell’odio e dell’intolleranza - ha scandito Rinaldini - particolarmente visibile per ciò che riguarda l’atteggiamento della maggioranza di centrodestra verso i lavoratori stranieri. Lavoratori cui, addirittura, viene negato, in pratica, un diritto umano fondamentale: il diritto alla salute.”

“C’è una cultura dell’odio e dell’intolleranza - ha aggiunto Rinaldini - che sta alla base anche del trattamento inflitto ai lavoratori in lotta in casi come quelli verificatisi, nei giorni scorsi, a Pomigliano d’Arco o all’Innse di Milano. E questa è quella stessa cultura che porta il Governo ad agire per stravolgere il Testo Unico sulla sicurezza, e ciò mentre gli incidenti mortali continuano a verificarsi giorno dopo giorno.”

“A questa cultura – ha affermato Rinaldini – noi contrapponiamo la cultura e la pratica della solidarietà. Così come contrapponiamo la rivendicazione del valore della democrazia e del valore del conflitto, l’unico strumento che i lavoratori possono utilizzare per difendere i propri diritti.”

“In gennaio – ha proseguito Rinaldini – è stato imposto ai lavoratori italiani un accordo separato sul sistema contrattuale. Ribadisco che per noi tale intesa va spiegata nelle assemblee e va poi sottoposta al voto delle lavoratrici e dei lavoratori. E sottolineo che se questi lavoratori lo approvassero, noi lo firmeremmo pur non condividendolo, perché per noi il voto di chi lavora è vincolante. Ma affermo anche che, se tale voto non ci sarà, noi non ci riterremo vincolati a tale accordo.”

“E d’altra parte – si è chiesto Rinaldini – se ai sindacati la legittimazione non viene data dai lavoratori, chi gliela può dare: forse le controparti? Quel che è certo è che noi non siamo disponibili ad accettare un’imposizione autoritaria nei confronti dei lavoratori. La scelta di chiedere il referendum sull’accordo separato del 22 gennaio, compiuta dalla Cgil, è quindi una scelta di grande valore, perché la possibilità o meno che i lavoratori esprimano con il voto una decisione vincolante sugli accordi che definiscono le loro condizioni di vita e di lavoro costituisce uno spartiacque anche per ciò che riguarda i rapporti con le altre organizzazioni.”

“A quanto si dice – ha poi detto Rinaldini – sembra che il Governo intenda intervenire sul diritto di sciopero. Ho un sospetto: che l’intenzione del Governo sia quella di togliere tale diritto ai lavoratori. Si tratta di un progetto autoritario che traspare anche dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio sulla sua volontà di cambiare la Costituzione. Dichiarazioni già fatte in passato, quando lo stesso presidente del Consiglio aveva detto che intendeva modificarla a partire dall’art. 1, quello in cui si dice che la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro.”

“Qui è bene essere chiari – ha scandito Rinaldini - la Costituzione è stata scritta nel periodo più glorioso della storia moderna del nostro Paese. Altre sono le pagine di cui ci dobbiamo vergognare: il fascismo e il fatto di essere stati uno dei Paesi corresponsabili di una guerra mondiale in cui si sono avuti oltre 50 milioni di morti. Un popolo che si ridesta e si riappropria del proprio destino per costruire la democrazia: questa è stata la Resistenza, qui stanno le radici della Costituzione.”

“Nessuno si illuda – ha concluso Rinaldini – di cancellare adesso questo popolo. Tutti sappiano che, in questo Paese, c’è un’organizzazione di massa determinata a difendere la democrazia: è la Cgil.”

mercoledì 11 febbraio 2009

Sciopero Generale FIOM CGIL e FP CGIL

Stipendi d'oro, una proposta di giustizia

500 mila dollari sono un bel mucchio di soldi. Eppure ha suscitato impressione qui da noi il fatto che il presidente degli Stati Uniti abbia posto questo tetto alle retribuzioni dei grandi manager delle aziende che ricevono gli aiuti di stato. In Italia la retribuzione equivalente, dai 350 ai 380 mila euro annui a seconda del cambio, è considerata nelle alte sfere uno stipendio da morti di fame. Prima ancora della crisi, quando Walter Veltroni si dimise da sindaco di Roma, suscitò apprensione una circolare del commissario governativo che gli era succeduto, che chiedeva agli alti dirigenti delle aziende a partecipazione municipale di accettare il tetto di 400 mila euro alle loro retribuzioni.
L'ipotesi di fermare le retribuzioni a 500 mila euro è stata considerata un atto demagogico da parte di importanti manager delle banche italiane, prima di tutto dall'amministratore delegato di Unicredit. A sua volta l'amministratore delegato della Fiat ha più volte sottolineato che il merito deve essere premiato e sono dunque giuste le altissime retribuzioni. Che fanno sì che egli riceva annualmente un compenso che vale da tre a quattrocento volte la paga di un operaio di linea. In un libro che ci fa ancora pensar bene del lavoro dei giornalisti, quando davvero viene fatto, Dragoni e Meletti documentano che "la paga dei padroni" è in Italia scandalosamente alta e scandalosamente diffusa. Con retribuzioni dei top manager largamente superiori al tetto attualmente indicato da Obama e, soprattutto, assolutamente estranee a qualsiasi logica di mercato.
Sì, perché l'altro aspetto della faccenda è che questi supermanager, che dai loro dipendenti pretendono la flessibilità totale e che impongono che le paghe degli operai e degli impiegati siano legate alla produttività e persino all'andamento della Borsa, per se stessi hanno riservato paghe da nababbi esenti da rischio.
Se confrontiamo l'andamento delle paghe dei supermanager con l'andamento reale delle loro aziende, possiamo tranquillamente concludere che il mercato c'è per i poveri e i lavoratori medio-bassi, mentre per gli alti manager c'è il più generoso dei socialismi. Solo così potremmo interpretare il fatto che la retribuzione dell'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato sia quasi quattro volte il tetto imposto da Obama. Così fan tutte le aziende, pubbliche e private, che vanno bene come male, che fanno debiti o profitti, che licenziano o assumono.
Nel mondo calvinista anglosassone con la crisi è esploso il discredito per le super paghe che l'unica casta ancora immune da vera critica, quella dei manager, attribuisce a se stessa. In Gran Bretagna la Camera dei Lord, evidentemente memore delle rivoluzioni che provocano i privilegi sfacciati, sta discutendo una legge che imporrebbe ad ogni manager di rendere pubblico quante volte il suo guadagno annuale moltiplichi la paga più bassa della sua azienda. Già solo il fatto di rendere trasparente che un megadirigente, che magari ha mandato in crisi l'impresa, intasca uno stipendio pari a diverse centinaia dei lavoratori che ha contribuito a mettere sul lastrico, è di per sé considerato educativo.
Comprendiamo che in Italia sia più difficile applicare quelli che verrebbero definiti inutili moralismi. Una componente del governo di Obama si è dovuta dimettere perché non pagava i contributi alla colf, con lo stesso criterio in Italia le istituzioni locali e nazionali sarebbero travolte da uno tsunami. Però non possiamo continuare a berci la favola imbrogliona per cui ci sono persone che ne valgono centinaia di altre. Nei vecchi libri del fordismo, quelli di parte padronale, si sosteneva che in un'azienda nessuna retribuzione poteva essere cinque volte superiore a quella minima. Noi accettiamo che oggi si possa essere di manica più larga. Si potrebbe decidere, per tutte le aziende pubbliche o che ricevono aiuti pubblici - cioè in Italia praticamente tutte le imprese medio-grandi - che la retribuzione massima non debba superare di dieci volte quella minima. Sono comunque tanti soldi. Con dieci volte la paga di un operaio si vive molto bene. Agganciare la retribuzione massima a quella minima raggiungerebbe anche un altro scopo. Incentiverebbe i manager a far guadagnare di più tutti i propri dipendenti, magari per ottenere più soldi anche per sé stessi. Sarebbe una sorta di cottimo sociale, che avrebbe significati molto più benefici per la giustizia, la salute e la stessa economia del cottimo integrale legato allo sfruttamento e alla fatica, che si vuole imporre sulle paghe dei lavoratori. Si potrebbero poi decidere incentivi e penalizzazioni sulla paga del manager, a seconda che la sua azienda assuma o licenzi.
La nostra è una modesta proposta, e siamo sicuri che a destra e a sinistra troverà pochi consensi. Però quando la buttiamo lì nelle assemblee che preparano lo sciopero del 13, nessuno ci dice che è demagogia. Anzi, da tante e tanti ci viene risposto che è scandalosa demagogia quella di chi vanta meriti inesistenti per giustificare paghe scandalose.

P.S. Naturalmente una forte riduzione degli stipendi dei parlamentari ed in generale delle cariche politiche sarebbe un buon incentivo a muoversi in questa direzione


Giorgio Cremaschi

lunedì 9 febbraio 2009

Sciopero e Crisi

La crisi sta dando i primi segnali, la cassa integrazione nelle aziende private è aumentata vertiginosamente e prossimamente sarà anche peggio considerando tutti i lavoratori precari che rischiano il posto senza ammortizzatori sociali!
La formula decisa dal governo per risanare il paese è di distruggere lo stato sociale e il sistema pensionistico.

La nostra idea è diversa, quindi scioperiamo per far cambiare le priorità al “nostro” governo!

Non possiamo restare in silenzio,
mentre ci stanno facendo la pelle!


Le nostre richieste per risollevare il paese dalla crisi sono:

  • Fermare la chiusura delle fabbriche e i licenziamenti
  • Fermare la precarietà
  • Difendere il reddito
  • Difendere il salario, il contratto nazionale e i diritti
  • Diminuire le tasse solo per il lavoro dipendente

Venerdì 13 febbraio 2009
SCIOPERO
con manifestazione a Roma.

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
A. Gramsci

venerdì 6 febbraio 2009

Elezioni RSU E RLS FIOM Insiel Mercato

Oggi si sono concluse le operazioni di voto della elezione delle RSU d'Insiel Mercato.
la FIOM - CGIL sarà rappresentata da Dagnelut Maurizio, che oltre ad essere una RSU d'Insiel Mercato è anche il Rappresentante della Sicurezza dei Lavorati.

Buon Lavoro!

giovedì 5 febbraio 2009

Impugnazione Licenziamento dipendenti Insiel MKT

Lettera da inviare alla Direzione Insiel (FVG) entro la fine di febbraio.

La lettera è da spedire tramite raccomandata con ricevuta di ritorno e deve arrivare entro la fine di febbraio, pertanto consiglio di spedirla prima possibile.

lunedì 2 febbraio 2009

Contratto e Diritti

Dopo mesi di preparazione è stata firmata la controriforma della contrattazione nazionale. Confindustria si appresta così ad incassare un nuovo accordo capestro, questa volta però senza la firma della Cgil.
Un nuovo accordo che peggiora il pessimo accordo di luglio ‘93, con il quale “gli imprenditori” in questi anni sono riusciti a demolire il potere d’acquisto dei lavoratori e peggiorare le condizioni di lavoro.

Non possiamo restare indifferenti, mentre vogliono eliminare il contratto nazionale e i nostri diritti.


Infatti l’accordo firmato da CISL – UIL e UGL:

  • Innalza da 2 anni a 3 anni il rinnovo dei contratti nazionali.
  • Introduce un nuovo indice per calcolare gli aumenti del contratto, ma sarà depurato dagli aumenti inflazionistici causati da prodotti importati (petrolio, gas, ecc…).
  • Può non essere rispettato e disatteso.
  • Vuole ridurre il salario fisso a favore della contrattazione aziendale.
  • Limita fortemente la libertà di sciopero.

L’accordo separato è un attacco ai diritti dei lavoratori ed è totalmente peggiorativo della situazione esistente, pertanto reputiamo necessario un referendum dove i lavoratori e le lavoratrici esprimano la loro opinione.



L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
A. Gramsci

La Confindustria imbroglia

Il centro studi della Confindustria spiega che ci sarebbero oltre 2.500 euro di guadagno per ogni lavoratore con l’accordo separato. E’ una dimostrazione emblematica della scarsa serietà del centro studi confindustriale che, ovviamente, mescola promesse con dati statistici per costruire un risultato che gli stessi imprenditori smentiranno al primo negoziato reale.
In ogni caso, questi dati, che vengono ripresi dal vicepresidente della Confindustria, per noi avranno un valore. Le prossime piattaforme aziendali, le prossime vertenze contrattuali, dovranno dare per acquisiti questi soldi che il centro studi della Confindustria garantisce. Quindi Bombassei, Marcegaglia, il mondo delle imprese, si preparino a dover pagare almeno 2.500 euro in più per lavoratore, rispetto a quello che hanno pagato finora.

Giorgio Cremaschi

Perchè NO

domenica 1 febbraio 2009

Lo sciopero francese parla anche alla Cisl e alla Uil

Il grande successo dello sciopero generale in Francia dovrebbe fischiare un po’ nelle orecchie dei segretari della Cisl e della Uil. Poco tempo fa Bonanni dichiarò che solo in Italia si scioperava. Invece ha scioperato il Belgio, ora la Francia, si prepara una grande manifestazione dei sindacati britannici, si avvia la mobilitazione in Germania. Gli unici grandi sindacati europei che pensano solo a firmare e non a mobilitarsi sono la Cisl e la Uil. E’ l’impostazione di Bonanni e Angeletti che è fuori dall’Europa e non quella di chi è in conflitto per i salari, contro i licenziamenti e l’attacco ai diritti.

Giorgio Cremaschi