mercoledì 9 marzo 2016

L'ATTO DEL LAVORO: IL (MAGRO) BILANCIO DI UN ANNO DI INTERVENTI RENZIANI, E I LORO VERI OBIETTIVI

Premessa: quello che state per leggere è il nostro quarto o quinto contributo sul Jobs Act. Se la nostra è un'ossessione, lo è in misura speculare a quella del governo e dei suoi megafoni ambulanti che, nel corso dell'ultimo anno, ci hanno quasi quotidianamente edotto sui prodigiosi effetti delle politiche governative sul lavoro.
Arriviamo buoni ultimi a rivelarvi che, in realtà, di prodigi se ne sono visti pochi: ma l'ansia da prestazione dell'apparato di governo su questi temi è di per sé rivelatrice del fatto che l'attacco al mondo del lavoro non può essere oggetto di alcuna critica. Il complesso di interventi volti a rendere più incerta la continuità lavorativa, minore e più precario il salario non consentivano critiche di alcun tipo: la realtà, però, è più forte di ogni rappresentazione, anche di quella di chi controlla le leve del potere politico e influenza paurosamente il potere mediatico.
Nota di metodo: ascriveremo alla categoria Jobs Act molte cose diverse: gli esoneri contributivi stabiliti dalla legge di stabilità 2015; i decreti che costituiscono il Jobs Act vero e proprio (decreti Poletti del 2014, contratto a tutele crescenti, demansionamento e controllo a distanza); l'estensione della possibilità di utilizzo dei voucher. Faremo questa mescolanza perché, al di là delle differenze tecniche tra i provvedimenti, ci interessa cogliere il nesso politico dietro tutta l'azione governativa sul lavoro, in un contesto, quello italiano, che non sembra proprio intenzionato a voler uscire dalla crisi (ammesso che qualcun altro ci sia effettivamente riuscito).
AGGIORNAMENTO 6 MARZO 2016: Nota sulle fonti
I dati che sono stati utilizzati per questo documento sono presi, essenzialmente, dall'Osservatorio sul Precariato dell'INPS e dal database dell'ISTAT. In particolare, quelli relativi all'incremento occupazionale 2015 e alla sua composizione sono tratti dal comunicato stampa ISTAT del 2 Febbraio 2016, reperibile qui. L'Istat ha, successivamente, aggiornato tutte le serie storiche relative all'occupazione, in seguito ad un'innovazione metodologica relativa alla destagionalizzazione dei dati. I cambiamenti non sono pochi, nè di scarso peso: per fare solo un esempio, il dato relativo all'incremento occupazionale 2015, che ammontava a +109.000 unità secondo il vecchio metodo, è “improvvisamente” diventato +163.606. Non avendo la possibilità di verificare di nuovo, e in breve tempo, tutti I dati, ci attestiamo su quelli che l'Istat forniva fino al mese scorso. Non possiamo fare a meno di notare, però, che la procedura seguita dal nostro istituto di statistica è poco rigorosa e piuttosto “bizzarra”, quantomeno dal punto di vista comunicativo. Del resto questo improvviso aumento di circa un terzo dei posti di lavoro in più per il 2015 – che ai malpensanti potrebbe far nascere più di un sospetto – è in scia con quanto è accaduto, ad esempio, in Grecia, Spagna e Portogallo negli anni scorsi; o con quanto è accaduto con I dati sulle migrazioni forniti da Frontex; dati che cambiano all'improvviso e che dimostrano, anche presupponendo la buona fede di chi li fornisce, il carattere profondamente politico, e quindi ideologicamente orientato, della raccolta ed elaborazione statistica di dati, sulla quale poi si fanno, o si giustificano, le scelte dei governi.


1. Spazziamo il campo dalla falsa propaganda: il Jobs Act è stato un flop (a caro prezzo)

Vi chiediamo un momento di pazienza prima di iniziare. Vi sembrerà di essere sommersi da un mare di numeri contraddittori e incomprensibili, e di perdervi, ma state tranquilli: ne usciremo vivi.
Le fonti utilizzate sono, come abbiamo detto, il bollettino mensile dell'Osservatorio sul Precariato dell'INPS e le rilevazioni statistiche dell'ISTAT.
Qual è la differenza tra le due fonti? L'INPS analizza i flussi, cioè l'andamento mensile delle attivazioni e delle cessazioni di contratti; l'ISTAT lo stock, cioè il saldo finale degli occupati, il suo incremento o decremento.
Non è la stessa cosa, un nuovo contratto o un nuovo posto di lavoro? No. Una stessa persona può essere intestataria di più contratti, contemporaneamente – due part-time, per esempio – o successivamente: ad un solo posto di lavoro possono corrispondere più contratti. Un altro esempio – è successo nel 2015 – è che un lavoratore, formalmente “autonomo”, diventa dipendente: quel lavoratore già era presente nel mercato del lavoro, quindi al nuovo contratto non corrisponde automaticamente un nuovo posto.
Che cosa ha fatto la propaganda governativa, a partire dall'inizio del 2015? Ha usato sistematicamente i dati INPS, cioè quelli sui contratti, e li ha spacciati per posti di lavoro (con la supina, pigra e colpevole complicità della quasi totalità della stampa nazionale); non solo, per cantare le lodi del Jobs Act il governo è arrivato addirittura a presentare come “crescita dell'occupazione” il dato lordo sui nuovi contratti attivati, senza calcolare le contemporanee cessazioni. Hanno imbrogliato spudoratamente e goffamente, per un anno intero.
La realtà, ovviamente, è diversa.


continua < QUI >


fonte : 
http://clashcityworkers.org
6 marzo 2016