venerdì 28 novembre 2014

COME CAMBIA IL LAVORO AL TEMPO DEL JOBS ACT

E io contavo i denti ai francobolli, dicevo grazie a dio, buon natale”. A differenza dell’impiegato di Fabrizio De André, questa storia non inizia col maggio francese e non finisce con la bomba che debutta in società: questa è la storia di un impiegato nel mondo della Leopolda, quello in cui il Jobs Act è il nuovo Statuto dei lavoratori, una storia di quando il futuro sarà il presente. Avvertimento preliminare: tutto quello che verrà raccontato è coerente con le disposizioni del ddl delega sul lavoro che diventerà legge la prossima settimana.

SUL LUOGO DI LAVORO STALIN NON TI VEDE, L’IMPRENDITORE SÌ

Milano. Anno decimo dell’era renziana del mercato del lavoro. Interno giorno. Un classico ufficio, tre postazioni di lavoro, una grande finestra, è l'ora di pranzo e un uomo solo guarda verso l’esterno.

È Carlo G., laurea in Economia e Commercio, 45 anni, impiegato da sette alla XXX SPA, media società che fornisce servizi logistici, sposato , due figlie. Carlo G. è un amministrativo e si occupa di preparare le buste paga: da contratto lavora sette ore e 12 minuti al giorno, che poi nella realtà sono spesso più di otto, guadagna 1.950 euro netti al mese, non è iscritto a nessun sindacato e non s’è mai lamentato, i suoi capi lo apprezzano.

Oggi, però, l’impiegato Carlo G. è preoccupato. Gli è arrivata una email dalla direzione: “Stante che un Dpcm del 2015 (governo Renzi) ci autorizza a utilizzare forme di controllo a distanza sui dispositivi aziendali, questa direzione è qui a chiederle informazioni sul suo comportamento del 15 novembre u.s.

Dai dati raccolti sul suo Pc risulta infatti che le operazioni di compilazione delle buste paga siano state interrotte senza apparente motivo tra le ore 15:12 e le ore 16:03. Come risulta inoltre dalla telecamera puntata sulla sua postazione – e non su di lei, ovviamente, come prescrive il Dpcm citato – lei si è assentato dalla postazione non solo in quel lasso di tempo, ma anche per mezz’ora nel pomeriggio di due giorni dopo”.

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(Marco Palombi per il Fatto Quotidiano via Dagospia)

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