mercoledì 26 marzo 2014

Un bel contratto dura poco (figurarsi uno brutto)

Eccolo, il decreto-legge che inaugura il Jobs Act di Matteo Renzi, che entra in vigore *da domani*: se il buon giorno si vede dal mattino, c’è davvero da preoccuparsi.

Non ci sono particolari sorprese rispetto a quanto annunciato nel comunicato stampa del governo e nei successivi chiarimenti del Ministero del Lavoro, di cui avevo scritto la scorsa settimana. Ora apprendiamo che il provvedimento viene ufficialmente spacciato per una misura “al fine di generare nuova occupazione, in particolare giovanile“, e in particolare per rendere il contratto a termine e l’apprendistato “maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo, nazionale e internazionale“.

È assolutamente evidente che le attuali esigenze di cui si parla sono quelle del padronato, che non si stanca mai di incassare nuovi strumenti per ricattare i lavoratori, stroncare i focolai di protesta, e alla fine della fiera abbassare gli stipendi: ancora una volta sono questi gli obiettivi, e questi i verosimili risultati dell’ennesima controriforma, che come tutte quelle che l’hanno preceduta non creerà neppure un posto di lavoro e contribuirà a peggiorare sensibilmente la qualità della vita di milioni di persone.

È questa la vera ragione per cui viene scelto lo strumento del decreto-legge: non certo il timore che un Parlamento largamente addomesticato possa disapprovare il testo, ma il desiderio di imporre questa riforma senza che neppure se ne discuta, per fare in modo che passino il meno possibile, al di fuori dei soliti circoli, il vero significato e le conseguenze concrete del decreto.

Vediamone ancora una volta il contenuto, visto che ora abbiamo qualcosa di certo da commentare:

1. I contratti a termine (e in somministrazione)


Da domani sarà sempre possibile stipulare contratti a termine di qualsiasi durata (fino a 36 mesi, ma 36 mesi è appunto il periodo massimo in cui si può essere assunti a termine) per lo svolgimento di qualsiasi mansione, senza necessità di individuare e specificare alcuna ragione. Entro i 36 mesi lo stesso contratto potrà essere anche prorogato fino a 8 volte: in pratica, un’azienda potrà assumere un lavoratore con un contratto di quattro mesi, e rinnovarlo o prorogarlo ogni 4 mesi per tre anni. In qualsiasi momento, naturalmente, oltre che alla fine dei tre anni, potrà anche decidere di non rinnovarlo o prorogarlo, senza che sia possibile protestare.


La conseguenza pratica è che, per tre anni, il datore di lavoro avrà diritto di vita e di morte sul lavoratore, potendo pretendere qualunque cosa (straordinari non pagati, disponibilità a saltare ferie o a lavorare in malattia) con la minaccia anche solo implicita che in caso di “sgarro” lo potrà mandar via senza colpo ferire; nel caso di una lavoratrice, non appena le vedrà al dito un anello di fidanzamento potrà non rinnovare il contratto nel “timore” che rimanga incinta. E via discorrendo.


Il ministro del lavoro Giuliano Poletti ha dichiarato qualche giorno fa che, dopo 36 mesi di contratto, è verosimile che l’azienda stabilizzi il lavoratore. La realtà dei fatti dimostra esattamente il contrario: già adesso, pur sapendo che se non li stabilizzano dopo i 36 mesi quelli possono fare causa e in 9 casi e mezzo su 10 la vincono, li mandano via. Figuriamoci con la certezza dell’impunità!


Qualcuno obietterà che è fissato un limite quantitativo all’utilizzo di contratti a termine, il 20% dell’organico complessivo. Innanzitutto, il decreto stesso fa salve tutte le già ampie possibilità di derogare a questo limite, comunque superiore a quello attualmente fissato nella maggior parte dei contratti collettivi: in fase di avvio di nuove attività, per ragioni di carattere sostitutivo o per lavori “stagionali”, nell’ambito del teatro e della televisione per specifici spettacoli o programmi, con lavoratori sopra i 55 anni non esisterà comunque nessun limite.

Ma oltre a questo, nelle grandi aziende è comunque praticamente impossibile superare il 10% di personale a tempo determinato, considerando il personale amministrativo, gli impiegati di alto livello e i quadri, che normalmente devono assicurare continuità all’organizzazione aziendale: è per le mansioni a bassa specializzazione, quelle che neppure fanno curriculum e da cui non c’è mobilità ascendente, che la precarietà diventerà sempre l’unica regola.

Per le imprese molto piccole, invece, quelle con meno di 5 dipendenti, sarà comunque sempre possibile stipulare un contratto a tempo determinato: non affezionatevi troppo alla cameriera che vi serve il caffè la mattina, non la vedrete a lungo.

Quasi dimenticavo di scrivere che tutte queste belle novità valgono anche per i contratti di lavoro in somministrazione, quelli tramite agenzia insomma: anche lì, niente più impugnazioni, etc. etc.

 2. I contratti di apprendistato


Neppure qui ci sono sorprese rispetto a quanto era stato annunciato: eliminato l’obbligo di mettere per iscritto il piano formativo e di far svolgere all’apprendista anche della formazione esterna, vengono meno anche gli ultimi (peraltro risibili) ostacoli alla possibilità di assumere un apprendista senza fargli fare nemmeno 5 minuti di formazione. Con l’eliminazione di qualunque vincolo di stabilizzazione di una certa percentuale apprendisti per poterne assumere di nuovi, l’apprendistato diventa ufficialmente soltanto un contratto a termine più a buon mercato, tra agevolazioni contributive e retribuzioni più contenute.


Anche in questo caso, non un solo posto di lavoro verrà creato grazie a questa liberalizzazione: l’unica conseguenza sarà un aumento dello sfruttamento degli apprendisti, e un aumento della concorrenza per gli stessi posti di lavoro, con il prevedibile effetto di diminuire ulteriormente i salari.


Perché, alla fine, si torna sempre lì: per reggere la concorrenza, il padronato non cerca altro rimedio che tagliare il costo del lavoro, e a questo governo che come gli ultimi rappresenta esclusivamente gli interessi dell’imprenditoria non chiede altro che nuovi strumenti per pagare di meno a parità di lavoro.


Sempre il ministro Poletti ha dichiarato che gli effetti di questo decreto si vedranno nel giro di dieci mesi: su questo sono d’accordo. Nei prossimi mesi, i precari con quasi tre anni di “anzianità” perderanno il posto di lavoro senza poter fare più niente per riaverlo indietro, o almeno chiedere una buonuscita. Pure chi finora non si è mai sognato di impugnare un contratto alla scadenza, nella speranza che venga rinnovato, si troverà deluso e disarmato.


Per i precari ancora meno tutelati, quelli con il contratto a progetto o la finta partita IVA, per non parlare di chi lavora in nero, la concorrenza dei contratti a termine e di apprendistato liberalizzati significherà compensi più bassi rispetto a quelli già miserabili di oggi.


Per tutti, anche per i lavoratori a tempo indeterminato, alla prossima ondata di scadenze contrattuali vedremo rinnovi al ribasso, un peggioramento complessivo dei diritti e delle condizioni di lavoro in cambio di poche briciole, la diminuzione progressiva dei salari reali, il tutto in mancanza di un valido strumento per alzare la posta.


Tra dieci mesi, se non si mette in campo da subito una resistenza all’altezza dell’attacco che ci viene portato, sarà troppo tardi per accorgersi di tutto quello che è stato perso.



A.Villari - 21/03/2014
http://www.avvocatolaser.net

venerdì 21 marzo 2014

Scheda sul jobs act

Scheda riassuntiva sul Jobs Act. A cura di Barbara Pettine (...)

 
Il Consiglio dei Ministri, nella riunione del 12 marzo 2014, su proposta del Presidente Renzi e del Ministro del Lavoro Poletti, ha approvato un decreto legge contenente disposizioni urgenti sul contratto a termine e sul contratto di apprendistato, liberalizzandone ulteriormente l’accesso e rendendone più precarie le condizioni di lavoro, intervenendo anche a diminuire le retribuzioni degli apprendisti e le forme di controllo sulla regolarità retributiva delle imprese (DURC).

 
-- Il contratto di lavoro a termine

Per il contratto a termine viene prevista l’elevazione da 12 a 36 mesi della durata del rapporto di lavoro a tempo determinato per il quale non è richiesto il requisito della causalità. Viene prevista la possibilità di prorogare fino ad un massimo di 8 volte il contratto a tempo determinato entro il limite dei tre anni. Condizione delle proroghe è che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato inizialmente stipulato.

Viene, infine, fissato il limite massimo, per i contratti a tempo determinato, del 20% dell’organico complessivo del datore di lavoro. Il decreto lascia comunque alla contrattazione collettiva la possibilità di ampliare tale limite quantitativo (che quindi può essere più ampio con modifiche pattuite anche solo a livello aziendale) con particolare riferimento alle esigenze connesse alle sostituzioni e alla stagionalità. Infine è previsto che le imprese che occupano fino a 5 dipendenti possono comunque stipulare un contratto a termine.

 
-- Il contratto di apprendistato

Per il contratto di apprendistato si prevede il ricorso alla forma scritta per il solo contratto e patto di prova (e non, come attualmente previsto, anche per il relativo piano formativo individuale) e l’eliminazione delle attuali previsioni secondo cui l’assunzione di nuovi apprendisti è necessariamente condizionata alla conferma in servizio di precedenti apprendisti al termine del percorso formativo.
È inoltre previsto che la retribuzione dell’apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sia pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento (va ricordato che l’apprendista può già essere inquadrato fino a due livelli sotto al livello d’inquadramento previsto per la qualifica per cui è assunto!).

Per il datore di lavoro viene eliminato l’obbligo di integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l’offerta formativa pubblica, che diventa un elemento discrezionale.

 
-- Smaterializzazione del DURC

Il DURC, documento unico di regolarità contributiva, è l’attestazione dell’assolvimento, da parte dell’impresa, degli obblighi legislativi e contrattuali nei confronti di INPS, INAIL e Cassa Edile, che il datore di lavoro deve esibire per qualsiasi richiesta di accesso a finanziamenti e contributi pubblici, ivi compresi gli ammortizzatori sociali, nonché in caso di accesso ispettivo da parte degli ispettori del lavoro e del Ministero della finanza.

Il Decreto legge prevede ora la smaterializzazione del DURC, superando l’attuale sistema che impone ripetuti adempimenti alle imprese.

 
-- Il disegno di legge delega

Inoltre, è previsto un disegno di legge delega al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, di semplificazione delle procedure e degli adempimenti in materia di lavoro, di riordino delle forme contrattuali e di miglioramento della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita. Queste le caratteristiche:

 
DELEGA IN MATERIA DI AMMORTIZZATORI SOCIALI
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La delega ha lo scopo di assicurare un sistema universale per tutti i lavoratori che preveda, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale. A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:

rivedere i criteri di concessione ed utilizzo delle integrazioni salariali escludendo i casi di cessazione aziendale;
semplificare le procedure burocratiche anche con la introduzione di meccanismi automatici di concessione; (superamento dell’attuale consultazione sindacale preventiva?);
prevedere che l’accesso alla cassa integrazione possa avvenire solo a seguito di esaurimento di altre possibilità di riduzione dell’orario di lavoro;
rivedere i limiti di durata, da legare ai singoli lavoratori;
prevedere una maggiore compartecipazione ai costi da parte delle imprese utilizzatrici;
prevedere una riduzione degli oneri contributivi ordinari e la loro rimodulazione tra i diversi settori in funzione dell’effettivo utilizzo;
rimodulare l’ASpI omogeneizzando tra loro la disciplina ordinaria e quella breve;
incrementare la durata massima dell’ASpI per i lavoratori con carriere contributive più significative;
estendere l’applicazione dell’ASpI ai lavoratori con contratti di co.co.co., prevedendo in fase iniziale un periodo biennale di sperimentazione a risorse definite; (rimangono escluse le partite IVA , le associazioni in partecipazione e tutte le altre forme di falso lavoro autonomo; nonché gli studenti, gli stagisti, i dottorandi , i neet e tutti coloro che non hanno avuto un precedente rapporto di lavoro “in chiaro”?);
introdurre massimali in relazione alla contribuzione figurativa (?!!);
valutare la possibilità che, dopo l’ASpI, possa essere riconosciuta un’ulteriore prestazione in favore di soggetti con indicatore ISEE particolarmente ridotto;
eliminare lo stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a prestazioni di carattere assistenziale.
 
 
DELEGA IN MATERIA DI SERVIZI PER IL LAVORO E DI POLITICHE ATTIVE
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La delega è finalizzata a garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché ad assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative.
A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:

razionalizzare gli incentivi all’assunzione già esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione;
razionalizzare gli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità;
istituire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un’Agenzia nazionale per l’impiego per la gestione integrata delle politiche attive e passive del lavoro, partecipata da Stato, Regioni e Province autonome e vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. All’agenzia sarebbero attribuiti compiti gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI e vedrebbe il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali. Si prevedono meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e l’Inps, sia a livello centrale che a livello territoriale, così come meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità;
razionalizzare gli enti e le strutture, anche all’interno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che operano in materia di ammortizzatori sociali, politiche attive e servizi per l’impiego allo scopo di evitare sovrapposizioni e garantire l’invarianza di spesa;
rafforzare e valorizzare l’integrazione pubblico/privato (?!) per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;
mantenere il capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il ruolo per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che debbono essere garantite su tutto il territorio nazionale;
mantenere in capo alle Regioni e Province autonome le competenze in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro;
favorire il coinvolgimento attivo del soggetto che cerca lavoro;
valorizzare il sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e il monitoraggio delle prestazioni erogate.
 
 
DELEGA IN MATERIA DI SEMPLIFICAZIONE DELLE PROCEDURE 
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E DEGLI ADEMPIMENTI
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La delega punta a conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre gli adempimenti a carico di cittadini e imprese.
A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:

razionalizzare e semplificare le procedure e gli adempimenti connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione del rapporto di carattere burocratico ed amministrativo;
eliminare e semplificare, anche mediante norme di carattere interpretativo, le disposizioni interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali e amministrativi;
unificare le comunicazioni alle pubbliche amministrazioni per i medesimi eventi (es. infortuni sul lavoro) ponendo a carico delle stesse amministrazioni l’obbligo di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
promuovere le comunicazioni in via telematica e l’abolizione della tenuta di documenti cartacei;
rivedere il regime delle sanzioni, valorizzando gli istituti di tipo premiale, che tengano conto della natura sostanziale o formale della violazione e favoriscano l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita (a parità di costo);
individuare modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere, anche in via telematica, tutti gli adempimenti di carattere burocratico e amministrativo connesso con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino.
 
 
DELEGA IN MATERIA DI RIORDINO DELLE FORME CONTRATTUALI
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La delega è finalizzata a riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto produttivo nazionale e internazionale.

A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:

individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il contesto occupazionale e produttivo nazionale e internazionale, anche in funzione di eventuali interventi di riordino delle medesime tipologie contrattuali;
procedere alla redazione di un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali dei rapporti di lavoro, riordinate secondo quanto indicato sopra, che possa anche prevedere l’introduzione, eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti;
introdurre, eventualmente anche in via sperimentale, il compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali (anche qui rimangono fuori tutte le forme di falso lavoro autonomo);
procedere all’abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con il testo organico di cui al secondo punto, al fine di assicurare certezza agli operatori, eliminando duplicazioni normative e difficoltà interpretative ed applicative.
 
 
DELEGA IN MATERIA DI CONCILIAZIONE DEI TEMPI DI LAVORO 
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CON LE ESIGENZE GENITORIALI
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La delega ha la finalità di contemperare i tempi di vita con i tempi di lavoro dei genitori.
A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:

introdurre a carattere universale l’indennità di maternità, quindi anche per le lavoratrici che versano contributi alla gestione separata;
garantire, alle lavoratrici madri parasubordinate ( partite Iva ? ), il diritto alla prestazione assistenziale anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;
abolire la detrazione per il coniuge a carico ed introdurre il tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito familiare;( oggi però la detrazione per coniuge a carico è indipendente dal fatto di avere o meno figli minori e indipendente dal reddito familiare)
incentivare accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo( attenzione al part time non volontario !) e l’impiego di premi di produttività, per favorire la conciliazione dell’attività lavorativa con l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti;
favorire l’integrazione dell’offerta di servizi per la prima infanzia forniti dalle aziende nel sistema pubblico – privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione del loro utilizzo ottimale da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi.
 
 
Rete28Aprile - 21/03/2014


venerdì 14 marzo 2014

#renzact: lo statuto dei lavoratori abolito per slide

In sintesi pare che noi Italiani ci fidiamo solo di quelli che hanno scritto in fronte: 
ti sto prendendo per il culo. 
Renzi ha fatto uno show da venditore di pentole, nel perfetto stile del suo sponsor di Arcore.
Ha promesso 1000 euro all’anno ai più poveri, come quello regalava case ai terremotati, senza mettere troppo l’accento sul fatto che è un provvedimento una tantum.
In cambio di questo regalo i lavoratori rinunciano di colpo a tutti i loro diritti, per loro e per le generazioni future. Se prima infatti il periodo di prova in cui si poteva essere licenziati in qualsiasi momento senza dover dare spiegazioni, era di tre mesi, ora diventa di tre anni. E naturalmente si può essere licenziati dopo due anni e 11 mesi senza nessun obbligo di assunzione.
Lo statuto dei lavoratori è abolito senza dover fare non dico una legge, ma nemmeno un decreto.
E’ stato abolito con una conferenza stampa illustrata con delle slide.
Del resto Renzi è diventato presidente del consiglio senza che sia stato sfiduciato il governo precedente e senza essere stato votato se non con le primarie che valgono meno di un sondaggio.
Bonanni e Sacconi festeggiano.
La Camusso per ora tace.
Il ministro Poletti che pochi giorni fa ha dichiarato che le imprese sono criminalizzate e ha proposto che il primo maggio diventi la festa dei lavoratori e delle imprese insieme più o meno con lo stesso ragionamento per cui il 25 aprile dovrebbe essere la festa della liberazione e dei ragazzi di Salò, esulta.
Sui giornali e nei talk si accapigliano quelli che dicono che non ce li ha questi soldi da regalare e quelli che dicono che invece li ha trovati. Per il resto a parte le battute sul web, tutto tace.
Siamo davvero così annichiliti da non reagire?
Manco fossimo stati plagiati da una setta satanica, manco ci avessero tenuti segregati in una stanza al buio insonorizzata e sottoposto all’elettroshok?
Che ci hanno fatto amici e compagni di sventura?
Chiamiamo Amnesty o ci prendiamo ‘sti 1000 euro e ce li giochiamo alle macchinette?


Sabina Guzzanti - 13/3/2014

http://www.sabinaguzzanti.it


mercoledì 12 marzo 2014

L'attacco di Renzi e le risposte sbagliate di Camusso e Landini

Quel terribile applauso che nella trasmissione di Fazio ha sottolineato un passaggio particolarmente reazionario di Renzi fa venire i brividi. Il Presidente del consiglio ha affermato che farà lavorare i disoccupati, e se i sindacati si opporranno pazienza. Quindi secondo Renzi e il pubblico di Fazio i sindacati sarebbero contrari a far lavorare i disoccupati, quindi i disoccupati  ci sono anche per colpa loro. È una vecchia baggianata che periodicamente percorre gli umori della destra: i sindacati hanno rovinato l'Italia  e ora il presidente nuovo e moderno la fa sua, approfittando della crisi evidente e della burocratizzazione di CGIL CISL UIL.  In questo modo Renzi strizza un occhio a chi verrebbe sindacati più forti ed efficaci e un altro a chi non li vorrebbe in nessun modo. È questo il suo modo di non essere né di  destra, né di sinistra, cioè di essere di destra stando formalmente a sinistra. (...)

Avendo passato un bel pezzo di vita sindacale a contestare la concertazione, posso ben dire che non sono a lutto per la sua fine, però non posso non tenere conto del fatto che essa cade dal lato della finanza, delle banche e delle multinazionali, e non da quello dei diritti del lavoro. Socialmente cade da destra.

Noi che la contestavamo da sinistra abbiamo più volte denunciato il fatto che lo scambio che stava alla base della concertazione, rafforzamento del ruolo istituzionale di CGIL CISL UIL in cambio della loro disponibilità ad accettare la regressione del mondo del lavoro, aveva qualcosa di insano. Questo scambio, il  sindacato come istituzione  stava meglio mentre per i  lavoratori andava sempre peggio, non poteva durare all'infinito.

Renzi e il sistema di potere che lo ha messo lì e che oggi lo sostiene sono ingenerosi. Grazie alla collaborazione o non opposizione dei grandi sindacati abbiamo avuto la caduta dei salari, la precarizzazione di massa per legge, il peggioramento delle condizioni di lavoro, un sistema pensionistico che è tra i più feroci ed iniqui di Europa. Appena insediato come ministro dell'economia, Tommaso Padoa Schioppa spiegò  che il suo governo, quello di Prodi, aveva gli stessi obiettivi di quelli della signora Thatcher, solo li voleva realizzare con la collaborazione e non con lo scontro con i sindacati.

Fino alla crisi la concertazione ha funzionato e lor signori dovrebbero essere riconoscenti alla moderazione sindacale. Ora però non serve  più, con le politiche di austerità e i diktat della Troika, anche la sola immagine di essa non piace ai signori dello spread,  per i quali il sindacato è negativo in sé. Come diceva  il generale Custer degli indiani, per chi guida la finanza e ci giudica sulla base dei propri interessi, il solo sindacato buono è quello morto. Già nel libro verde del ministero del lavoro gestione  Sacconi,  si chiedeva il passaggio dal regime della concertazione a quello della complicità con le imprese.  E questa è stata la richiesta dalla lettera BCE del 4 agosto 2011, assunta da Berlusconi che sperava così di salvarsi, e poi resa operativa da Monti. 

Renzi è un puro continuatore di questa politica, ma è lì perché ha  il compito di costruire attorno ad essa quel consenso che non ha mai avuto. Per questo dopo aver sostenuto Marchionne contro la FIOM, ora cavalca lo scontento sacrosanto che c' è verso la passività di CGIL CISL UIL , ma per colpire il sindacato non per rafforzarlo. Renzi ha lamentato che la CGIL si svegli dopo aver dormito venti anni, ciò che vuole è che quel sonno continui per sempre.

Alla crisi e alla ritirata dell'azione sindacale Susanna Camusso e Maurizio Landini stanno reagendo in due modi conflittuali tra loro e comunque sbagliati

La segretaria generale della CGIL difende la linea ed i comportamenti della CGIL di oggi, ne nega la burocratizzazione e la passività e ripropone la concertazione su scala ridotta, come azione comune delle cosiddette parti sociali, sindacati e Confindustria tutti nella stessa barca. L'accordo del 10 gennaio é una disperata difesa della  casa che crolla, ma  in realtà aggrava la crisi democratica del sindacato attraverso regole autoritarie e corporative. 

La risposta di Landini parte dalla giusta denuncia di questa crisi democratica,  ma poi finisce per scegliersi con interlocutore proprio quel Renzi che è avversario politico di un sindacato davvero rinnovato. 

Camusso, per non cambiare, si aggrappa all'intesa con CISL UIL e Confindustria, così prestando il fianco alla demagogia renziana contro le caste sindacali. 

Landini, che afferma di voler cambiare, si aggrappa a Renzi, così compromettendo tutto il senso della sua battaglia.

Entrambe queste scelte sono il segno che la CGIL è una organizzazione in piena crisi, i cui gruppi dirigenti hanno sinora tentato tutte le strade tranne una.  Quella di rompere con i palazzi della politica e del potere e con ogni collateralismo con il centrosinistra, per ricostruire la piena autonomia di azione sociale.

Il sindacato deve cambiare e la sfida  di Renzi va raccolta, ma proprio per lottare meglio contro il suo governo, ultimo esecutore delle politiche di austerità.
  
 
Giorgio Cremaschi
11/3/2014