lunedì 20 maggio 2013

cose che non vanno

Di ritorno da Roma


Cari compagni della FIOM,
tornati a casa dopo la tour di 24 ore di ieri, anche voi vi porrete sicuramente la domanda su come è andata,(...)

farete anche voi nelle strutture direttive del sindacato i vostri bilanci. Io per conto mio ho fatto qualche pensata che vorrei trasmettervi. Riflessioni che non possono essere che parziali in quanto mi posso solamente riferire a quanto ho visto e sentito personalmente. Coinvolgo nella distribuzione di questo testo (c/c) compagni di lotta sindacale e politica con i quali sono in discussione.
Partirete sicuramente anche voi dalla questione partecipazione. Ho fatto il viaggio con il pulman da Sesto, e vi devo dire che sono rimasto spaventato. Il pulman di Sesto non era pieno neanche a metà. Se negli altri due pulman da Milano è stato simile, siamo stato neanche in cento a venire a Roma. Dei quali tanti non-metalmeccanici. Che da un lato è un buon segno, perché la FIOM coinvolge, però rimane la domanda: dove erano i metalmeccanici milanesi quel giorno? Sul pulman di Sesto i delegati, quelli che conosco, erano praticamente assenti. A Roma non ho visto neanche un segno delle nostre fabbriche in lotta: la Marcegaglia per esempio che proprio in questi giorni annuncia esuberi in tutta Italia, dove era? La Nokia Siemens di Cassina? Eccetera. Parlando con uno di voi mi avete parlato di “difficoltà” riscontrate durante la assemblee. Anch’io credo, un problema c’è. Viviamo in un periodo di attacchi del capitalismo alle condizioni di lavoro e di vita mai visti, e per cui il bisogno oggettivo di sindacato è molto forte. Per quale motivo gli operai e i lavoratori delle nostra fabbriche si assentono dall’iniziativa sindacale? Quando il viaggio è pure gratis. Cosa dicono i delegati? Quali sono state le voci durante gli attivi? Cosa dicono i lavoratori delle aziende? Cosa si aspettano dal sindacato in questo periodo? Nell’analisi delle risposte a queste domande si potrebbe trovare forse qualcosa sulle cause delle difficoltà.
Seconda la mia impressione il corteo era bello lungo e pieno, ben partecipato. Non ho avuto però l’impressione di un corteo incazzuto. I fischietti distribuiti all’arrivo a Roma non li ho praticamente sentiti. Sembrava piuttosto una tranquilla passeggiata romana. E la piazza? Mi sono fermato per sentire tutti interventi. Quando ha iniziato parlare il segretario Landini me ne sono andato dopo neanche cinque minuti. Niente di nuovo, già tutto sentito. E credo che non solamente io mi trovavo in questo stato d’animo, visto che la piazza si stava lentamente svuotando per rimanere in non più di cinquemila. Mi posso sbagliare. In ogni caso credo che questo sia un altro problema, se non lo stesso di sopra. In decine di migliaia veniamo da tutta Italia nella capitale per manifestare … che cosa? In ogni caso, al momento clou della giornata, quando inizia il comizio che dovrebbe riassumere lo stato d’animo di tutti quelli che sono venuti e quando si dovrebbero ascoltare idee strategiche del sindacato su come difendersi, su come lottare con successo, i metalmeccanici se ne vanno, me compreso. Sicuramente anche voi avete fatto queste osservazioni, e mi interesserebbe conoscere le vostre conclusioni.
Tornato a casa mi sono fatto la banale domanda: ma perché sono andato a Roma? Riformulo: che cosa abbiamo voluto raggiungere con la manifestazione? “Non possiamo più aspettare” è stato il capello di tutta la iniziativa. Un motto che in sé è vuoto e già si gridava anni fa. Ammesso che sia adatto alla situazione di oggi, sorge la domanda: cosa vogliamo che venga fatto? Vorrei fare un passo indietro: Come stiamo? Quali sono i nostri problemi? Quello che elenco lo sapete anche voi. La nostra realtà si è trasformata in una macelleria di lavoro e sociale. Le fabbriche chiudono una dopo l’altra, la nostra Sesto purtroppo ne e bruttissimo esempio. I ruderi della ex-FALK, sempre lì come uno scheletro vivente, ci ne ricordano tutti i giorni. Nuove non ne aprono. Il sistema di produzione industriale di Italia viene fatto a pezzi. Con le pesantissime conseguenze sul tutto l’apparato produttivo della società in cui viviamo. E chi rimane dentro è costretto di lavorare di più per lo stesso salario (vedi ultimi rinnovi CCNL di alcune categorie) con sempre meno diritti. La precarietà di lavoro e di vita è diventata la norma. Con il sindacato che lascia fare, alcuni scioperini dimostrativi a parte. Viviamo in un mondo che, se vogliamo ribellarci con successo, richiederebbe una denuncia pesante, ma molto pesante. Tutta questa denuncia alla crisi del capitalismo e agli effetti della crisi sui lavoratori non c’è stata in Piazza San Giovanni. La vita dei lavoratori, della classi popolari non è stata nel centro nelle cose che sono state dette dai microfoni in piazza. A volte avevo la sensazione che il nostro problema principale fosse la costituzione, da salvare, da modificare, sia quello che sia. I dati che ciclicamente vengono pubblicati dall’ISTAT su PIL, disoccupazione, disoccupazione giovanile, caduta del reddito, da un certo punto di vista soddisfano più questa bisogno di denuncia che gli interventi sentiti ieri, salvo qualche eccezione. Denuncia non vuol dire che abbiamo qualche problema. La denuncia che il sindacato dovrebbe fare è lo smascherare di sfruttamento, precarietà e povertà e andare con questo fino alle ossa del sistema. Questa mancanza mi sembra caratteristica negativa principale di tutta l’iniziativa. Si rimane in superficie, si chiede una politica un po’ diversa. Senza sviluppare questa denuncia, senza porsi la domanda da dove viene la crisi e quali sono le sua cause, senza affrontare seriamente questa domanda, quale valore può avere quando il segretario l’ennesima volta apostrofa “ci vuole un nuovo modello di sistema politico-economico”. Sono domande e argomenti difficili, ma vanno affrontati. Se no, perché i lavoratori dovrebbero assumersi il sacrificio del tour di Roma? Un mio amico esodato è venuto a Roma con il cartello “Agire insieme contro la disoccupazione”. Credete che adesso sa come agire, collettivamente intendo?
In questi mesi nel sindacato sono successe della cose di cui voglio enunciare solamente alcune. Sappiamo che proprio ieri era previsto la conclusione di un nuovo patto su rappresentanza e democrazia tra sindacati e Confindustria. Sapete anche voi che la clausola dell’”esigibilità” prevede che chi non aderisce al CCNL non ha più diritto di protestare. Certo, chi firma, non ha neanche motivo. Ragionando fino in fondo, questo nuovo patto elimina il senso del sindacato. E’ anti-democrazia sindacale che grida vendetta. Ne avete sentito qualcosa dal palco? Davanti a questa situazione, quale valore, quale credibilità può avere la richiesta della legge per la rappresentanza? Si vuole trasformare il patto in legge? Invece abbiamo sentito N. Nicolosi per fare propaganda indiretta a questo scempio sindacale. Altro episodio che voglio nominare qui è l’estromissione del compagno Sergio Bellavita del direttivo del comitato centrale della FIOM. Bruttissimo esempio di pre-potenza sindacale. Annientare il pensiero dell’altro perché da fastidio. Da quando questo è pratica di democrazia sindacale? In ogni caso, non riesco a non collegare eventi di cui sopra con i problemi riscontrati per mobilitare alle manifestazione nazionale della FIOM.
Noto anche una difficoltà generale di fare discussione con voi compagni funzionari su argomenti critici. Quello che riscontro sono la difesa del sindacato e l’autocelebrazione. Sono venuto a Roma con il cartellone “Nazionalizzare le aziende in crisi”. Nazionalizzare perché la risposta che conosce il capitale privato sono licenziamenti, esternalizzazioni, riduzione dello stipendio. La FIAT è esempio scalzante, la FIAT che come tanti altri si è tirata su con i nostri soldi. Nazionalizzare per salvare i posti di lavoro e con esso il lavoro. Nazionalizzare per estrarre un bene fondamentale dal regno del capitale finanziario. Ma non per trasformarlo in capitale pubblico, per cui “La fabbriche sotto controllo operaio”, cioè di chi fa la produzione. Discorsi complessi, però indispensabili. Purtroppo, l’unica reazione che mi è giunta da parte vostra è stato un laconico deriso. Discussione chiusa. Non così con la piazza.
Sul viaggio di ritorno nel pulman FIOM è stato proiettato un film poliziesco, sicuramente scelto con l’idea di offrire un po’ di svago. Però: un film poliziesco e di inseguimento, un’americanata pura. Devo dirvi che mi sentivo peggio che sui viaggi di ritorno in pulman con lo ski-club. E’ questa la cultura che il sappiamo offrire alla gente? La non-cultura? Se è così, poveri noi. Ma non deve essere così.

Lutz, Milano 19 maggio ‘13
Rete28aprile


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Un'inutile sfilata?


La Fiom di Landini sfila a Roma: molti slogan poche strategie.
Si è concluso nel primo pomeriggio di sabato quello che era stato preannunciato come un corteo con obiettivi ambiziosi: "diritto al lavoro, all'istruzione, alla salute, al reddito, alla cittadinanza, per la giustizia sociale e la democrazia".
"La priorità è il lavoro, non l'Imu" secondo Maurizio Landini. Per il segretario generale della Fiom i primi provvedimenti presi da Palazzo Chigi "non ci fanno uscire dall'emergenza, non ci fanno guardare al futuro". "Occorrono la riforma della cassa integrazione e il reddito di cittadinanza", ha quindi aggiunto il leader sindacale. Ottimi slogan certo. Ma con gli slogan non si otterranno posti di lavoro; per restituire centralità alle rivendicazioni delle classi lavoratrici, la Fiom dovrebbe attuare una strategia in netta discontinuità rispetto a quanto fatto in questi anni. Ma restando la strada maestra quella delle gite nella Capitale assolata, con le celebrity a fare discorsi edificanti dal palco, la richiesta di lavoro, magari decentemente retribuito, non troverà per molto tempo ancora orecchie ricettive. A maggior ragione se l'interlocutore è l'esecutivo di larghe intese Napolitano-Letta-Berlusconi: è come chiedere al lupo cattivo di non mangiare cappuccetto rosso.
La preoccupazione del Segretario Generale era quella di polemizzare con il Pd perché non presente ufficialmente in piazza: "Non capisco come si può essere al governo con Berlusconi ed avere paura di essere qui". Come se il Pd fosse ancora da considerare un interlocutore affidabile per il mondo del lavoro! Come se prima delle "larghe intese" con Berlusconi, non avesse appoggiato il Governo "tecnico" di Mario Monti, sempre in combutta con il Pdl. Come se ci fossero dubbi su quali siano gli interessi (di classe) che rappresenta il Pd.
La sfilata a cui abbiamo assistito era dunque niente più che una manifestazione di rito, a cui hanno preso parte (numeri reali) 25-30 mila persone. Significativo che una delle componenti più importanti fosse costituita dai pensionati dello Spi-Cgil, mentre il clima generale ricordava più una gita del dopo lavoro che un corteo combattivo in grado di rappresentare la rabbia e la sofferenza diffusa.
Viviamo in tempi dove questo genere di riti hanno sempre minor presa sociale. E si è visto fin troppo bene. Basti ricordare che il 16 ottobre 2010 la Fiom della lotta contro Marchionne, nella stessa piazza San Giovanni, aveva portato circa 500.000 manifestanti. Meno di tre anni hanno profondamente segnato la storia dell'organizzazione dei metalmeccanici, che si è tramutata nell'ombra del più antico e glorioso sindacato italiano. Piegato e svilito da una linea politica rinunciataria, passiva, perdente. Una linea che ha sostituito il conflitto sociale, unica strada, seppur difficile, per difendere veramente i diritti dei lavoratori, con le battaglie dei ricorsi in tribunale.
Addirittura Landini aveva preannunciato che l'iniziativa di ieri non sarebbe stata contro il governo. E contro chi allora? Contro nessuno? E per quale ragione i lavoratori dovrebbero partecipare ad un corteo contro nessuno? Come se nessuno fosse responsabile del massacro sociale, dell'austerità e dell'annientamento dei diritti. E se Landini dal palco ha precisato che "noi siamo qui perché non rinunciamo ad un'idea di fondo, quella di cambiare questo paese", ci sfugge come possa credere di cambiare questo paese temendo di chiamare per nome e per cognome gli avversari dei lavoratori che dovrebbe rappresentare. Senza spendere nemmeno una parola per denunciare l'abominevole matrimonio Cgil-Cisl-Uil con Confindustria, chiamato anche accordo sulla rappresentanza e democrazia, che riserva ai soli sindacati complici la possibilità di agire all'interno dell'ambito di lavoro. In pratica la generalizzazione del modello Marchionne.
Insomma l'impressione è che la Fiom di Landini non abbia più le risorse per offrire ai lavoratori una risposta all'altezza degli attacchi che subiscono quotidianamente.

A. Lami - 19/05/2013
http://megachip.globalist.it


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